Matt & Andrej Koymasky Homelogo


pin Un'altra possibilità
Prima parte
CAPITOLO 10
Vojto e Walter

Cammino lentamente, continuando a riflettere sul mio stato d'animo. Mi sento come un condannato rassegnato di fronte ad un destino inevitabile. Ma provo anche un'insopportabile voglia di sottrarmi a questo fato, ben sapendo, però, che al mondo le cose non si risolvono con un aut-aut; le situazioni, le sensazioni, gli atteggiamenti hanno mille sfumature, quante sono le diverse gradazioni tra il bianco ed il nero.

E non voglio essere nemmeno come un disgraziato, la cui vita si spegne a poco a poco, senza rimedio, per un lento male, che pone fine, tutto ad un tratto, al suo martirio con un colpo di pistola alla tempia. O forse è questo nuovo male, che avverto e che mi consuma le forze, a togliermi anche il coraggio per liberarmene?

Certo, si potrebbe anche dire: chi non si lascerebbe tagliare un braccio piuttosto che mettere a repentaglio la propria vita con 1'irrisolutezza e la paura? Non lo so!

Mi rendo conto, ora, con quanta consapevolezza mi sono cacciato passo passo in questo groviglio! Con quanta chiarezza vedo la mia situazione e il mio continuo agire come da bambino! Senza mai alcun segno di miglioramento. Avrei potuto condurre una vita splendida e felice se non fossi stato un pazzo, incosciente e insensibile. Non è semplice che circostanze favorevoli come quelle che la vita mi ha offerto siano sciupate con la facilità con cui io l'ho fatto.

Non ho mai compreso che il nostro cuore si procura da sé la propria felicità. Senza alcuna lungimiranza sono vissuto sugli stimoli delle mie passioni, accantonando quel po' di senno che, talvolta, mi faceva da grillo parlante. E non credo che sia questo il destino dell'uomo. È stata solo la mia stoltezza a non farmi vedere che proprio ciò che credevo darmi appagamento sarebbe stata la fonte della mia attuale infelicità. Il pieno e ottuso godimento che m'inondava di tanto piacere, che faceva del mondo intorno a me un paradiso, è diventato ora il mio supplizio insopportabile, il mio spirito torturatore che m'insegue ovunque.

Il solo ricordare quegli anni ora mi fa male. Anche lo sforzo di richiamare alla mente quei sentimenti ineffabili, di ridirli, degrada la mia anima e mi fa poi sentire doppiamente l'angoscia dello stato in cui ora mi trovo. È come se davanti all'anima mia un sipario mostrasse di fronte a me il baratro di un sepolcro eternamente spalancato e come se un mostro, che instancabilmente divora ed ingoia, si protendesse verso di me. Così, angosciato, barcollo e un fiume di lacrime erompe dalla mia anima oppressa e sconsolata per il nero avvenire che mi attende.

Sono così assorto nelle mie riflessioni che fatico a sentire la voce che mi sta chiamando.

"Antò! Che fine hai fatto? Non sei ancora passato a ritirare le verdure! Ma che ti stai rincoglionendo pure tu?"

È Marino che si sbraccia e si sgola dal suo orto per richiamare la mia attenzione poiché, senza rendermene conto, sto seguendo meccanicamente l'usuale percorso senza, però, fermarmi per ritirare gli ortaggi e fare le solite quattro chiacchiere.

"Scusa, Marino, ero soprappensiero e non mi ero accorto che stavo andando oltre."

Marino mi guarda con aria preoccupata. Evidentemente il mio aspetto denuncia la sofferenza interiore.

"Ma che hai? Stai male? C'hai na faccia!"

"Non ti preoccupare... niente di particolare... sono solo pensieri."

"Pensieri? E che pensieri hai tu? Stai bene, non ti manca niente e puoi vivere tranquillamente, fino a cento anni e più, senza nessuna preoccupazione. Sempre che il padreterno non si mette di traverso."

"Credi davvero che la salute fisica e i soldi bastano per farti stare bene? Anche se non ci credi... ho dei pensieri anch'io."

"E che tipo di pensieri puoi avere tu? Forse che non sai cosa metterti la mattina quando ti devi vestire... e perciò devi fare uno sforzo per girare tutti gli armadi?" tenta di celiare Marino.

"Ho pensieri e basta!" rispondo bruscamente, subito pentendomi.

Marino non desiste e ribatte: "Guarda che lo so quali sono i tuoi pensieri e non mi fai nemmeno pena, perché ognuno si costruisce la vita con le sue mani. E tu, una persona così intelligente ed istruita, sei stato più somaro del marinaio più stupido che ci può essere in paese. Se non sei stato capace di capire che quello che volevi non potevi averlo, ora non ti devi piangere addosso. Potevi sistemare la tua vita in un altro modo, per esempio ti chiudevi in un convento come facevano cento anni fa. Oppure ti cercavi un'altra compagnia e magari oggi eri contento e felice."

Nel dire queste cose il vecchio Marino si è ringalluzzito e, drizzata la stanca e curva schiena, sembra persino più alto di me e quasi mi aspetto che mi molli un ceffone, che mi farebbe tanto bene. Mi sembra di vedere, addirittura, la mia immagine riflessa nei suoi occhi e quello che mi rimanda questo immaginario specchio è deludente e deprimente.

"Hai ragione Marino. Mi comporto ancora come un bambino capriccioso, che tiene il broncio quando non riceve il regalo impossibile che aveva immaginato di ottenere. Scusami se sono stato sgarbato."

"Scusa tu se mi sono permesso di rimproverarti. Ma quando ci vuole ci vuole." conclude Marino con tono improvvisamente dolce e comprensivo.

Ritiro le verdure e rientro a casa per prepararmi il pranzo. Nel pomeriggio riprendo lo smantellamento dei miei trofei.


Ecco Sandro, che è stato uno dei tanti effimeri compagni, di cui conservo le foto, ma non mi fanno venire in mente momenti o vicende particolari. Lui, l'ho lasciato dopo un paio di mesi e non lo avevo nemmeno fatto trasferire a casa mia, sia perché me lo chiedeva con troppa insistenza sia perché lo consideravo una storia transitoria.

Dopo Sandro ci sono stati i due gemelli, Luca e Leonardo, di cui ho già raccontato, storia durata con mio gran divertimento un paio d'anni, fino a quando non mi sono infatuato di Vojto.


Ecco Vojto, il palestrato che mi ha fatto abbandonare i gemelli.

Vojto, un ragazzo jugoslavo fuggito in Italia con un permesso turistico, era il nipote della moglie di un famoso dentista milanese, che si era sposato in Jugoslavia durante la guerra. Rimasto a Milano, lo zio era riuscito a fargli ottenere lo stato di rifugiato politico e in seguito, svolto il servizio militare volontario, anche la cittadinanza italiana.

Vojto era un bel marcantonio. Alto un metro e ottantacinque, fisico atletico, con muscolatura ben sviluppata per le lunghe ore di palestra, sua vera ed unica passione. Biondo platino, capelli tagliati a spazzola, occhi di un celeste così chiaro da sembrare trasparenti, carnagione latte e miele, sorriso a trentadue denti, risata prorompente e contagiosa, intelligenza carente.

Lo zio, che non aveva figli, una volta ottenuta la cittadinanza, dopo avere tentato invano di farlo studiare per prendere una laurea in odontoiatria per farlo subentrare nel suo avviatissimo studio una volta che si fosse ritirato, aveva desistito dal suo proposito e gli aveva aperto una palestra. Unico e solo interesse di Vojto.

La palestra era vicina a casa mia ed io, sentendo il bisogno di tenermi in forma in modo più scientifico che non fare pochi e incompleti esercizi in casa, m'iscrissi e presi frequentarla quasi ogni sera.

Vojto non era in grado di sostenere una qualsiasi conversazione che non fosse di un banale qualunquismo, ma nel suo lavoro ci sapeva fare veramente. Conosceva tutti i muscoli del corpo, tutte le tecniche e gli esercizi per tenerli in forma. Sapeva dare consigli appropriati sulla migliore alimentazione per evitare accumuli di grasso ed era anche un buon massaggiatore. All'infuori di questi campi poteva, al massimo, raccontare una barzelletta, e non sempre da ridere. Ma lui si sganasciava fino alle lacrime.

Io non pensavo che potesse nascere qualcosa con quella specie d'analfabeta, oltretutto non era neanche il mio tipo, se si esclude il biondo che mi è sempre piaciuto, era troppo massiccio, troppo muscoloso, troppo alto, troppo... troppo... troppo.

Arrivavo in palestra verso le otto, mi cambiavo e iniziavo la serie degli esercizi, necessariamente sotto la guida di Vojto, ma nulla di più. Ero così poco interessato a lui che non mi ero mai preoccupato di osservarlo, com'ero solito fare, per cercare di cogliere quei piccoli segnali che, ad un occhio esperto, fanno capire da che parte stai.

I miei rapporti con Vojto erano improntati su un livello di professionalità. Lui era l'istruttore, io ero un cliente della palestra. Seguivo i suoi consigli, non ridevo alle sue barzellette, come invece faceva una certa categoria di clienti che gli assomigliavano molto, preoccupati solo della circonferenza dei propri bicipiti.

Una sera avevo fatto tardi in ufficio e non volevo rinunciare alla palestra, per rilassarmi e sbollire l'incazzatura scatenata da un paio di colleghi che non capivano una questione da me considerata di semplicità lapalissiana. Arrivai in palestra piuttosto tardi, quasi le ventidue, e mi resi conto che non c'era nessuno oltre a Vojto.

"Scusi... ho fatto tardi. Ma forse è meglio che ci rinunci. Non ricordo qual è l'orario."

"Oh... l'orario è fino ora. Devo chiudere. Ma siccome io faccio esercizi dopo chiusura e se al dottore non dispiace che chiudo, può fare esercizi con me."

Ero indeciso, perché senza la guida di Vojto e a causa della tensione accumulata, temevo di mettere troppa foga in qualche esercizio, procurandomi uno strappo. Ma infine decisi che dovevo scaricare la tensione, perciò accettai. Entrai e andai a cambiarmi, mentre Vojto chiudeva la porta.

Rientrato nel locale degli attrezzi mi avviai ad una panca per fare i miei esercizi addominali, mentre Vojto faceva sollevamento pesi sdraiato sulla panca di fronte. Sollevavo in modo troppo vigoroso il mio busto, tanto che ad un certo punto Vojto intervenne: "No! Non così, dottore! Vuole una bella distorsione?"

Mi fermai e, per la prima volta, notai nel suo sguardo un che di preoccupato misto ad un certo non so che di voglioso.

"Mi dispiace. Ha ragione... sto facendo male... ma sono troppo nervoso... ho avuto una giornataccia."

"Questo no è problema per Vojto. Io so cosa ci vuole al posto di esercizi. Andiamo in sala massaggi."

Non avevo mai fatto un massaggio in vita mia. Di quel tipo s'intende, poiché nel letto ne avevo fatti tanti e molto piacevoli. Cercai di schermirmi.

"Ma no... sono io un po' ridicolo. Mi lascio trascinare come una casalinga insoddisfatta da piccole beghe. Ora mi rimetto a fare gli esercizi con il giusto ritmo."

"No! Dottore è troppo nervoso. Se mi dà retta sarà contento. Andiamo in sala massaggi."

Era quasi un ordine, perciò ubbidii, spinto anche dalla curiosità. Arrivati in sala Vojto m'invitò a spogliarmi e a sdraiarmi sul lettino. Tolsi i pantaloncini e la canotta e stavo per salire sul lettino.

"Non va bene così. Togliere anche scarpe, calzini e mutande."

"Scusi, Vojto. Posso capire scarpe e calzini, per non rovinare il lettino, ma le mutande?"

"Si vede che dottore non sa cosa è massaggio. Elastico calzini e mutande non fa circolare bene sangue e mio lavoro non serve. Se ha vergogna copre con asciugamano." Cosi dicendo mi allungò un piccolo asciugamano preso dallo scaffale alle sue spalle.

Finii di spogliarmi a mi stesi sul lettino, coprendo le mie "vergogne" con l'asciugamano.

Vojto mi disse di stendermi sulla pancia e intanto spense le luci a soffitto, lasciando accese solo due piccole applique sulle pareti, e prese da uno scaffale un scatola di crema.

"Ora mi scaldo mani e poi incomincio." annunciò, mentre si frizionava una con l'altra le mani su cui aveva posto un poco di crema.

Si avvicinò al lettino e sentii sollevarmi il piede destro, su cui Vojto spalmò un po' di crema. Mi massaggiava delicatamente la pianta del piede con una pressione crescente. Sentivo già la tensione sciogliersi e un piacevole formicolio si diffondeva dalla pianta del piede su, su lungo il polpaccio. Ripeté la stessa operazione con l'altro piede, procurandomi una ugualmente gradevole sensazione. Solo allora mi resi conto che avevo trascorso un'intera giornata in ufficio ed avevo abbondantemente sudato durante i pochi minuti d'esercizi.

"Vojto... smettiamo! Sono puzzolente come un caprone. Non è giusto che sopporti i miei cattivi odori."

"Cosa dice dottore... questo è buon odore di maschio... non si deve preoccupare..."

Il tono della sua voce era diventato particolarmente caldo e suadente ed il benessere che il suo massaggio mi procurava mi fecero pensare che se stava bene a lui io davvero non mi dovevo preoccupare.

Vojto fece lo stesso massaggio sulle mie mani ed anche in quel caso un formicolio si diffondeva lungo le braccia e la stessa piacevole sensazione di benessere m'invadeva. Poi Vojto pose le sue mani sulla mia schiena e a quel contatto, caldo e sapiente, fremetti. Il massaggio continuò come qualsiasi altro massaggio, benché fatto da mani abili ed esperte. Il suo efficiente alternare forza e delicatezza applicata nei punti giusti, nel modo giusto, era talmente piacevole che mi ero completamente rilassato e tenevo gli occhi chiusi, cercando di svuotare la mente da tutti i pensieri, per raggiungere una totale distensione.

Non mi resi conto di quando il massaggio cambiò ed assunse forme di un crescente erotismo. Erano sensazioni bellissime e mi ero anche eccitato. Il mio membro era teso allo spasimo, premuto fra il lettino ed il mio ventre e quello che mi stupiva era che le mani di Vojto non avevano sfiorato nessuna delle mie zone erogene.

Quando Vojto mi disse di girarmi supino, ebbi un attimo d'incertezza a causa della prepotente erezione, ma lui, quasi leggendomi nel pensiero, mi anticipò: "Non deve essere vergognoso, dottore, io so che con massaggi diventa sempre duro." ed accompagnò la frase con una risata chioccia.

Incoraggiato, mi voltai sulla schiena e, mentre eseguivo il movimento, il mio membro, che svettava dal folto dei peli del pube dritto come un fuso, fece volare il piccolo asciugamano per terra. Cercai di raccoglierlo, ma, ancora una volta, Vojto intervenne: "Allora si vergogna proprio, dottore! Io ho già visto tanti cazzi duri e il suo è molto bello. Lascia a me guardare, mentre lavoro. È tanto migliore!"

Ormai ero nelle sue mani, perciò mi rassegnai, sperando che l'erezione cessasse presto. Vojto riprese a massaggiarmi senza commenti e apparentemente concentrato nel suo compito, a parte un lieve sorriso, sempre senza toccare zone erogene. Richiusi gli occhi e cercai di concentrarmi per fare cessare la mia eccitazione ma, malgrado gli sforzi, fu tutto inutile, anzi continuava lentamente e gradualmente ad aumentare, tanto che decisi di rinunciare e lasciare andare le cose "secondo natura".

Quel cambio d'atteggiamento fu, evidentemente, rilevato dalle abili mani di Vojto che procedevano nella sapiente manipolazione dalla mia muscolatura.

"Piace, dottore?" mi chiese, con tono mellifluo.

"Sì... molto." fui costretto ad ammettere.

Sentii cessare il contatto delle sue mani. Aprii gli occhi ed incontrai il suo sorriso a trentadue denti, mentre si denudava rapidamente, al che io non mostrai sorpresa né protestai.

Mi "ordinò" di rimettermi a pancia sotto ed io ubbidii meccanicamente, quasi in trance. Salì sul lettino e si stese sul mio corpo. L'aderenza con la calda carne e il membro di Vojto, già completamente eretto, mi fecero allargare le gambe in un movimento istintivo. Vojto, agevolato dall'abbondante balsamo per i massaggi sparso sulla mia pelle, iniziò a manipolarmi con tutto il corpo premurandosi di fare scorrere il suo lungo e turgido membro fra le mie chiappe che allargavo sempre più sotto quella gradevole ed incessante frizione.

Quando ritenne che fosse giunto il momento giusto si accoccolò con i piedi sul lettino a fianco del mio torso e mi "ordinò" di nuovo di girarmi, quindi si poggiò cavalcioni sulle mie cosce. Riprese a massaggiarmi tutto il corpo in modo rilassante ed erotico. Era molto abile e non protestai, nonostante non fosse il mio tipo, godendomi la novità e le sensazioni che mi stava regalando.

Quando, istintivamente, provai a carezzarlo mi disse di stare fermo, di non muovermi, di lasciarlo fare, ché lui sapeva cosa ci voleva per scaricare la mia tensione.

"È difficile, sono molto eccitato." protestai.

Rimise in mostra i suoi trentadue denti: "Lo so, dottore. Ma l'istruttore sono io, dico io che cosa fare. Faccio io, dottore, ora lei non fare niente."

Guardavo il suo membro, chiaro, lungo ma non grosso, bello, duro e ritto in su verso il suo ombelico, quasi aderente al suo ventre piatto, muscoloso e sodo. Vojto continuò quel magnifico massaggio erotico facendomi eccitare sempre più. Sembrava un artista che forgiava il mio corpo. I suoi occhi vogliosi mi dicevano che gli piacevo.

Ero eccitatissimo e mi era sempre più difficile restare fermo. Alle sue abili ed esperte mani non sfuggiva nessuno dei miei punti erogeni, sembrava un polpo e me le faceva sentire dappertutto, dandomi il massimo del piacere; scariche di godimento percorrevano ogni fibra dei miei muscoli, anche la più profonda. Sentivo un fuoco divampare dappertutto e volevo toccarlo, ma ogni mio tentativo era soffocato sul nascere.

Finalmente si fermò, preso un vasetto di gel lubrificante se ne spalmò un po' fra le natiche e subito dopo m'infilò un preservativo. Poi, sempre cavalcioni, guidò il mio membro e si lasciò impalare. Scivolai dentro di lui fino in fondo in un sol colpo, aiutato dal peso del suo corpo che si abbandonava su di me. Lo tenni stretto per i fianchi e lui iniziò una cavalcata ritmica e calma, che faceva sbattere il suo lungo membro alternativamente sui nostri ventri, e tutta l'energia che si era ammassata in me si stava liberando in quell'accoppiamento pieno di passione.

"Bravo... dottore... bravo... visto che era da fare così... come dico io..." mugolava Vojto eccitato e roteava e dondolava il bacino dolcemente, faceva pulsare l'ano, stringeva le sue muscolose e muscolose chiappe ad ogni affondo. Ormai i nostri corpi erano abbondantemente sudati ed ansimavamo all'unisono.

Quando Vojto sentì avvicinarsi il mio orgasmo, accelerò il suo ritmo ed io sentii aumentare il mio vigore, finché ad ogni affondo un potente getto mi fece svuotare con forza dentro di lui gemendo, in un orgasmo squassante e vigoroso. Continuò a muoversi sopra di me con un va e vieni meno veloce, sempre più lento, finché si lasciò andare inerte sul mio corpo e le nostre bocche si unirono. Attendemmo che il nostro respiro affannoso si calmasse ed il mio membro si ritraesse dall'accogliente, caldo e stretto canale.

"Adesso ti faccio godere io..." gli dissi.

Vojto sorrise, quasi schivo: "Non è necessario... io volevo fare rilassare... il dottore."

"No... no! È giusto così... devi godere anche tu!"

"Grazie... grazie... dottore! Io no speravo... ma se lui è contento... io sono felice."

"Dai! Non fare complimenti! Dimmi cosa ti piace fare."

"Se dottore permette... basta che resta come è ora."

Rimasi supino sul lettino e Vojto riprese a massaggiarmi di nuovo usando tutto il suo corpo, che grazie alla lozione scivolava facilmente e piacevolmente sul mio; il suo membro ancora prepotentemente eretto contribuiva sostanzialmente a risvegliare la mia eccitazione. Mi gustavo profondamente quelle attenzioni particolari e così sconosciute, insolite e sentivo l'eccitazione crescere sempre di più, in contrasto con lo strano senso di rilassatezza, che mi faceva provare un gran benessere fisico, come non mai.

Vojto mi disse di allargare le gambe, si tolse di sopra e si mise in ginocchio fra le mie cosce, invitandomi a sollevarle e tenerle con le mani. Capito come voleva prendermi mi misi prontamente in posizione. Con le dita intinte nel gel lubrificante mi spalmò il buchetto e abilmente massaggiò il solco, soffermandosi a trattare lo sfintere, come se stesse preparandomi alla prima penetrazione, ma forse lui non sapeva che ero gay da sempre.

Quando mi sentì rilassato e pronto, s'infilò un preservativo sul lungo membro eretto e scese su di me, che aspettavo sorridendo ad occhi chiusi, in un completo stato di benessere. Sentii il lungo, caldo e duro membro di Vojto sfregare piacevolmente nel solco fra le mie natiche e, pochi attimi dopo, la punta si posizionò sullo sfintere ed iniziò a premere. Anche se il membro di Vojto non era particolarmente grosso ed io ero abituato alla penetrazione, avvertii una gradevole dilatazione, che, aggiunta agli incessanti toccamenti delle mani nei punti giusti del mio corpo, ridestarono la mia eccitazione. Vojto, finalmente, s'introdusse nel mio foro, penetrando sempre più dentro, lento, forte, caldo, lungo e gradevole.

Vojto doveva avere una grande esperienza, perché strusciò ad arte sulla mia prostata provocandomi un forte senso di languore e d'urgenza, tanto da farmi sussurrare, con voce strozzata dal piacere: "Dai... presto... spingi fino in fondo e poi fottimi!"

Non si fece pregare e presto i peli del suo pube solleticavano leggeri le mie natiche e i suoi sodi testicoli premevano lievi la mia pelle. Restò fermo per un tempo che sembrava non voler finire, ma teneva desto il mio desiderio contraendo ritmicamente il lungo palo infisso delle mie viscere e continuando a titillarmi tutto il corpo. Poi prese a muoversi, prima con movimenti lenti, ora ondulatori ora rotatori, come per assestarsi meglio nell'accogliente rifugio, ed io lo incoraggiavo con piccole contrazioni dello sfintere, per meglio gustare quel piacevole palo di calda e forte carne.

Allora Vojto si mosse ritmicamente in sapienti va e vieni che massaggiavano l'interno del mio caldo e morbido canale ed ogni cellula del mio corpo partecipava a quell'amplesso. Presto l'orgasmo traboccò dai miei lombi e schizzai sul petto di Vojto e sul mio ventre. Le forti e incontrollate contrazioni del mio sfintere ruppero il ritmo che fino allora Vojto aveva tenuto e percepii chiaramente il sopraggiungere del suo orgasmo dentro di me. Quindi Vojto si abbandonò su di me e io, distese le gambe, lo abbracciai e lo baciai profondamente grato, mentre mi restava ancora infisso dentro.

Restammo abbracciati, senza parlare, ma continuando a scambiarci baci e carezze, per circa un'ora, poi Vojto disse: "Adesso andiamo a fare una doccia."

Vojto non volle mai trasferirsi da me, perché mi disse chiaramente che lui voleva la sua libertà e, anche se gli piacevo molto, non mi avrebbe dato l'esclusiva. Mettere su una palestra era stata una scelta ben precisa, lì aveva la possibilità di "andare a caccia" con tutta tranquillità, senza esporsi troppo e se la preda non ci stava aveva modo di far sembrare un equivoco il tentato approccio.

La storia durò un paio d'anni, con reciproca soddisfazione, specialmente per me che apprezzavo molto il suo modo di prepararmi all'amplesso, ma un giorno Vojto, con il suo fare semplice e diretto, mi comunicò che si era perdutamente innamorato di un suo "cliente", un altro palestrato e massaggiatore suo coetaneo.

Io, unica volta in vita mia, lo lasciai andare senza scenate e senza nutrire propositi di vendetta.


Ecco Walter, un giovane iscritto dell'Alexander Club, una sauna per soli soci, che in realtà mascherava un locale frequentato unicamente da gay. Anch'io quando avevo scoperto la sua esistenza mi ero iscritto, ma la frequentavo raramente, salvo nei periodi in cui ero solo o cercavo qualche avventura.

La storia con Vojto era finita da qualche settimana, perciò avevo ripreso a frequentare assiduamente la sauna.

Walter ci veniva tutte le sere, abbastanza tardi, al termine del suo lavoro di commesso in un negozio d'abbigliamento maschile in centro. Arrivava verso le nove di sera, mangiava un panino alla buvette e poi s'inabissava nei locali del club. Lo avevo adocchiato subito, per il suo sguardo da cerbiatto accentuato dai suoi occhi neri, incorniciati da due sopracciglia nere e sottili, fronte alta, capelli nerissimi divisi da una scriminatura centrale in due lunghe onde ricadenti fin sulle piccole orecchie. Un naso lungo e perfetto sopra due bellissime labbra, atteggiate in una lieve piega di tristezza, davano al viso un'espressione mista di dolcezza e di mistero. La pelle olivastra e un fisico slanciato e flessuoso lo facevano sembrare quasi un indiano.

Una mancia al barista per avere informazioni sul cerbiatto sortì scarsi risultati. Infatti, riuscii solo a sapere che si chiamava Walter, aveva venticinque anni, arrivava tutte le sere a quell'ora, mangiava il suo panino e poi spariva nei locali interni da dove usciva verso mezzanotte sempre solo. Walter mi aveva colpito e mi piaceva, perciò avevo deciso di tentare un approccio. Ma dovevo trovare un modo plausibile perché il ragazzo sembrava molto schivo e non guardava in faccia nessuno, almeno così sembrava.

Una sera l'aspettai alla buvette e quando arrivò presi un panino anch'io, che consumai adeguando il mio ritmo al suo. Quando finimmo di mangiare, Walter si avviò verso i locali interni ed io lo seguii. Si avviò verso gli spogliatoi e appena dentro prese un paio d'asciugamani puliti dalla pila sopra la panca. Io lo imitai.

Nel locale non c'era nessuno. Si avvicinò alla fila degli armadietti e cominciò a spogliarsi, riponendo i suoi panni in uno libero. Io, ostentatamente, scelsi un armadietto vicino al suo, nonostante ve ne fossero parecchi aperti, anche in altre file. Lui non diede il minimo segno di avermi notato. Si spogliava velocemente e con tranquillità. Io mi spogliavo, mettendo tutto alla rinfusa dentro l'armadietto, senza distogliere lo sguardo da Walter neppure per un istante.

Il suo corpo mi si svelava gradualmente e confermava la mia intuizione. Era proprio un cerbiatto, snello, flessuoso e nervoso. Non un filo di grasso copriva il corpo. Quando fu completamente nudo io ero già eccitato, ma lui non se n'accorse perché mi girava le spalle, mostrandomi le sue piccole, sode e bronzee chiappette, senza un'ombra di peluria evidente. Gli sarei saltato addosso immediatamente, anche se non avevo potuto valutare la sua dotazione anteriore, ma lui cinse i fianchi con uno degli asciugamani, chiuse l'armadietto, mise al collo la chiave, gettò l'altro asciugamano su una spalla e si avviò decisamente verso le docce.

Eseguii le stesse operazioni precipitosamente e lo seguii, con una certa titubanza, poiché l'asciugamano non riusciva a mascherare la mia erezione. Ma l'effetto che quel ragazzo mi faceva dissolse qualsiasi remora. Le docce erano separate, opportunamente, data la natura del locale, solo da muretti alti non più di un metro e mezzo. Walter appoggiò i suoi asciugamani ed entrò in uno dei box. Io, sfacciatamente, entrai in quello di fianco.

Walter sembrava non fare caso a me. Manovrò i rubinetti e si posizionò, con gli occhi chiusi, sotto il getto scrosciante dell'acqua. La sua indifferenza mi procurava un certo fastidio, ma mi diede modo di osservarlo con tutta calma, sporgendomi al di sopra del muretto. Il suo petto era liscio, con i pettorali non troppo pronunciati ma ben tracciati, il ventre ben incavato, il pube coperto da un piccolo alone di peluria liscia e nera, il morbido e scurissimo membro mi fece ritornare in mente la mia seconda conquista: Billy. Anche a riposo era di dimensioni notevoli, mentre il mio ormai spingeva contro le piastrelle del muro, talmente mi ero eccitato.

Ero così preso dalle mie considerazioni che non mi accorsi che Walter aveva riaperto gli occhi e mi stava guardando, senza fare commenti.

Appena me ne resi conto, rilevato che non protestava né si sottraeva all'indagine, gli dissi: "Scusa... qui hanno dimenticato di mettere il sapone, puoi passarmi il tuo quando hai fatto?"

"Certo... con piacere. Però non mi sembrava che stessi guardando il sapone!"

"Mica ti scandalizzi? Lo sai anche tu che genere di locale è questo! O non te n'eri ancora accorto?"

"Sicuro che lo so, ma mi dà fastidio la sfrontatezza!"

"Scusa... hai ragione, ma sei un ragazzo così bello che dovresti essere abituato ad essere guardato in questo modo."

"Proprio questo mi disturba. Mi guardano tutti come se fossi un'oca senza cervello, che ti porti a letto per una notte e addio."

"O.K.! Uno a zero! Ricominciamo daccapo. Io mi chiamo Antonio, volevo fare la tua conoscenza, non come oca, ed il sapone era una scusa per attaccare bottone. Va meglio così?"

Un lieve sorriso, che lo rese ancora più bello, increspò le labbra del ragazzo e gli occhi divennero più luminosi di prima.

"Perdonato e... chiedo scusa per essere stato scorbutico. Io mi chiamo Walter."

"Bene Walter. Confermo che sei un bel ragazzo e mi piaci molto, ma, se ti dà fastidio il mio interessamento, sono pronto a ritirarmi."

"Così va meglio. Comunque non mi dà fastidio il tuo interessamento. Ora finiamo di fare la doccia e poi andiamo in sauna insieme. A proposito... il sapone ti serve davvero?"

"No... no. Era una scusa... te l'ho detto."

Non potevo più sopportare la mia eccitazione, anche perché non riuscivo a fare a meno di guardare: fantasticavo di averlo davanti a me ed io, inginocchiato proprio lì, davanti a lui fra le sue gambe, mentre lui mi supplicava di succhiarlo... e io, forzando il mio desiderio, lo facevo pregare abbastanza a lungo per non mettermi nelle sue mani ma infine accoglievo nella mia bocca avida il suo svettante e lungo membro, tutto dentro, e lo succhiavo con golosità... E venni abbondantemente, senza nemmeno toccarmi.

Finalmente il mio membro ritornò morbido e così potei finire la doccia ed insieme a Walter andare in sauna.

Le cabine per la sauna erano tutte piccole, di proposito, per due, tre persone e si potevano chiudere dall'interno. Ne cercammo una libera. Appena entrati mi preoccupai di chiudere e ci sistemammo sulle panche, che erano disposte una di fronte all'altra.

Inizialmente tenemmo gli asciugamani intorno ai fianchi, ma poi, con mia piacevole sorpresa, fu Walter a proporre: "Visto che ti piace tanto guardarmi e che io ancora non ti ho potuto guardare, togliamoci questi asciugamani."

Restammo nudi, sdraiati su un fianco per poterci guardare mentre chiacchieravamo. Io mi stavo eccitando ancora e la cosa mi dava un po' fastidio, dopo quanto aveva detto Walter, perché mi faceva sembrare interessato solo al sesso.

Fu lui stesso a togliermi dall'imbarazzo, dicendomi: "Non ti preoccupare se ti viene duro. Ognuno di noi ha i suoi tempi di reazione e se ti faccio questo effetto non ci puoi fare niente. Io ci metto più tempo ad eccitarmi, perché il corpo mi interessa meno della persona che c'è dentro. E quello che c'è dentro mi deve piacere più del corpo."

Avrei voluto toccarlo, accarezzarlo, baciarlo, ma capivo che lui non era disposto ad avere solo sesso e mi piaceva talmente che dovevo necessariamente stare alle sue regole. Spostai così il discorso su argomenti generici.

"Ti ringrazio per avermi tolto dall'imbarazzo, ma dovrebbe farti piacere vedere l'effetto che mi fai. Io ho trentanove anni, sono uno dei dirigenti di una società di consulenza, vivo da solo dopo una storia di un paio d'anni con un palestrato più interessato al suo aspetto fisico che a tutto il resto."

"Come ti ho detto, capisco l'effetto che faccio, ma io ci metto più tempo a reagire a certe pulsioni. Io ho venticinque anni, sono commesso in un negozio d'abbigliamento per giovani, ora vivo da solo anch'io, dopo una storia finita per un incidente che ha portato via il mio compagno."

"Mi dispiace... non potevo sapere. Ecco perché sei sempre così triste. Deve essere stato un grande dolore. Com'è successo?"

"Francesco aveva cinquanta anni ed era cardiopatico. Sei mesi fa un infarto me lo ha portato via e ancora non riesco a rassegnarmi."

"Gli volevi molto bene... vero? Io cerco di non attaccarmi a nessuno per paura di soffrire troppo, quando la persona amata viene a mancare. A me è successo da giovane. Chi amavo non è morto, ma per me è stato come se lo fosse perché ha scelto un'altra vita ed io non l'ho mai dimenticato, pur sapendo di non poterlo avere."

Era la prima volta che dicevo a qualcuno e probabilmente anche a me stesso quale era stata la vera natura dei miei sentimenti per Vittorio. Forse inconsciamente quel ragazzo suscitava in me sentimenti simili, ma non potevo e non volevo ammetterlo. Avevo vissuto, fino ad allora, cercando di evitare accuratamente tutto ciò che poteva procurarmi delusione.

"Sì. Gli volevo molto bene e lui a me. Mi aveva salvato da una situazione difficile, quando avevo quindici anni, e da allora non mi aveva più abbandonato e mi aveva amato sopra ogni altra cosa al mondo, anche più di se stesso."

"Ti dispiace se ti chiedo da quale situazione difficile ti aveva tolto?"

"No... te lo posso raccontare... se davvero t'interessa."

Ben felice che il discorso si spostasse su un argomento serio e sperando che l'attenzione che gli avrei dovuto prestare distogliesse la mia mente dal desiderio per il suo corpo replicai: "Certo che m'interessa... tutto quello che ti riguarda m'interessa."

"Non è una storia molto lunga né avvincente, ma per me ha rappresentato l'alternativa fra il finire male e la salvezza. Magari ti annoierai a sentirla."

"Stai tranquillo. Ti ho già assicurato che m'interessa tutto quello che ti riguarda." lo incoraggiai.

Walter iniziò il suo racconto, in modo molto scarno e senza alcuna enfasi di drammaticità, benché la situazione vissuta fosse stata molto difficile.

"Avevo quattordici anni, quando scoprii che mi piacevano i maschi, ed ero riuscito ad avere una relazione con Giancarlo, un mio compagno di scuola, con il quale studiavamo insieme a casa mia. Le cose sembravano andare bene. Ogni pomeriggio facevamo l'amore, escluso il sabato e la domenica quando i miei erano a casa dal lavoro e non c'era altra possibilità per trovarsi.

Un pomeriggio stavamo facendo l'amore, completamente nudi sul lettino della mia camera, e non sentimmo mio padre che era rientrato perché si sentiva male ed aveva lasciato il lavoro in anticipo. Quando scoprì cosa stava succedendo non disse una parola, ma caricò di botte sia me sia Giancarlo.

Buttò fuori Giancarlo, nudo com'era, e lo costrinse a tornare a casa sua in quelle condizioni. Così fu costretto a dire ai suoi quello che era successo. I suoi genitori, più intelligenti e comprensivi, volevano denunciare mio padre, ma poi misero tutto a tacere.

In paese, però, si era diffusa la notizia e tutti ci guardavano con aria di disprezzo. I compagni di scuola si spingevano anche oltre, facendoci anche scherzi di pessimo gusto e ci schernivano, chiamandoci 'i due fidanzati'. La situazione divenne per me insopportabile, anche perché mio padre continuava a picchiarmi ed insultarmi e non mi permetteva di uscire di casa se non per andare a scuola.

Io non avrei avuto il coraggio di uscire, ma quella costrizione mi faceva sentire come un prigioniero. E poi c'erano tutte quelle botte e quegli insulti e a nulla valevano le suppliche di mia madre, che, benché non accettasse la mia diversità, cercava di difendermi. Mio padre non accettava che il suo unico figlio fosse una checca, come diceva lui. Piuttosto mi avrebbe ammazzato con le sue mani.

Resistetti per tre mesi poi, una notte, scappai da casa e venni a Milano. Ero minorenne e non sapevo come fare. Non avevo un soldo, nessuno mi voleva dare lavoro perché capivano che ero fuggito da casa, così mi arrangiavo a rubacchiare qualcosa sulle bancarelle dei mercati e per dormire mi aggiustavo alla meglio su una panchina della stazione centrale.

Erano passati circa quindici giorni ed ero sporco, impaurito, affamato e miei panni non miglioravano certo il mio aspetto. La sera, come sempre, ero andato a fare i miei bisogni nei bagni della stazione, prima di cercare una panchina per la notte. Quando uscii dal box, vicino ad un orinatoio, c'era un uomo sui quaranta, che mostrandomi il suo cazzo già duro mi chiese: "Quanto vuoi per un pompino? Mi piacerebbe anche mettertelo nel culo, ma sei troppo sporco!".

Io non sapevo niente di quelle questioni, ma la fame mi fece subito capire che gli strani movimenti che avevo osservato nei giorni precedenti avevano un preciso significato: c'erano uomini che cercavano e pagavano ragazzi per fare sesso. Così risposi d'impulso: "Diecimila, ma senza ingoio."

L'uomo, ridendo, ribatté: "Sei a buon mercato! Te ne do ventimila se mi fai l'ingoio."

La proposta era troppo allettante ed io avevo troppa fame, perciò risposi che andava bene, ma che non sapevo dove potevamo farlo e volevo i soldi prima.

Andammo con la sua macchina in un posto appartato e poi lui mi riportò indietro, non senza avermi spiegato come funzionavano le cose e consigliato di darmi una sistemata ed una ripulita, perché, carino com'ero, avrei potuto fare un sacco di soldi. M'informò anche che le tariffe erano molto più alte, specialmente per un bel bocconcino come me.

Da quella sera le cose andarono meglio. Mi organizzai e con i primi soldi mi comprai qualcosa per cambiarmi, così quando lasciavo in lavanderia i panni di un giorno indossavo quelli già lavati. Dovevo dormire ancora alla stazione centrale, ma mangiavo e mi permettevo anche qualche vizio. La sera andavo a adescare clienti, cercando di sceglierli almeno un po' di mio gusto.

Dopo qualche mese, una sera avevo adocchiato un uomo di circa quaranta anni che si avviava speditamente verso i bagni e, siccome mi piaceva, lo seguii. Entrò e si mise davanti ad un orinatoio, armeggiando con la sua patta. Sembrava che seguisse il rituale tipico di quelli che si pongono in mostra finché qualcuno non gli fa una proposta, perciò mi misi all'orinatoio di fianco e me lo tirai fuori.

Finalmente lui riuscì a tirare fuori il suo e, con un sospiro di sollievo, cominciò a scaricarsi. Io, fraintendendo il significato di quel sospiro mi gli rivolsi sottovoce, guardando il muro davanti a me: "Per trentamila faccio pompe senza ingoio, per quarantamila le faccio con l'ingoio, per cinquantamila me lo faccio mettere o lo metto, centomila per tutta la notte e faccio di tutto."

Lui si girò a guardarmi con aria sinceramente sorpresa e, tutto d'un fiato, mi disse che gli andava bene tutta la notte.

Prendemmo un taxi e mi portò a casa sua, dove mi spiegò che lui davvero era lì solo per scaricarsi e che era rimasto colpito e preoccupato nel vedere uno cosi giovane girare in quei posti. Non lo sapevo che se mi beccavano finivo al riformatorio, dove sicuramente avrei fatto una brutta fine e sarei diventato un vero delinquente? Era quello che volevo? Non avevo una famiglia? E se c'era, che faceva per me?

Gli raccontai la mia storia, che lo commosse molto. Mi confessò di essere un diverso anche lui, ma che mai avrebbe approfittato di un ragazzino. Non andava a cercare avventure né nei bagni pubblici, né nei cinema, né nei parchi. Aveva avuto un compagno per venti anni, un funzionario di pubblica sicurezza, che l'anno prima era morto in una sparatoria con una banda di sequestratori, e da allora era rimasto solo.

Francesco aveva un negozio di giocattoli e mi offrì ospitalità e lavoro, dato che non poteva farmi riprendere gli studi per non fare scoprire ai miei dove mi trovavo. Mi fece promettere che non avrei più frequentato quei luoghi e, se avessi trovato un compagno, di portarlo pure in casa.

Accettai la proposta, subito affascinato da Francesco. Lavoravo nel suo negozio e non cercavo un compagno, perché inconsapevolmente mi stavo innamorando di lui giorno dopo giorno. Ma lui, benché mi dimostrasse un affetto sempre crescente, mi trattava come un figlio, senza rendersi conto del sentimento che provavo.

Per me era una situazione insostenibile, cercavo di resistere, di convincermi che aveva ragione lui. Poteva essere più un padre che un compagno. Tutti i miei sforzi erano inutili. Stavamo tutto il tempo insieme. Di giorno al negozio, la sera casa e la notte, saperlo nella stanza di fianco, mi toglieva il sonno. Così, dopo qualche mese, una notte m'infilai nel suo letto, stringendomi a lui, accarezzandolo e baciandolo.

Francesco si svegliò di soprassalto, sorpreso dal mio comportamento tentò di allontanarmi, di farmi ragionare, ma io gli dissi che non sarei rimasto un minuto di più in quella casa a sopportare quella tortura, se lui non mi avesse tenuto come suo amante e non come un figlio.

Da quella notte iniziò la nostra meravigliosa storia d'amore. Appena maggiorenne ho ripreso gli studi ed ho voluto cercare un lavoro che non mi costringesse ad essere ogni minuto vicino al mio Francesco, perché il nostro sentimento era così forte che tutti lo notavano e questo non piaceva alla nostra clientela. Quando Francesco è mancato stavo completando la mia tesi di laurea in sociologia, ma ho abbandonato perché le mie condizioni psicologiche non mi consentivano di concentrarmi a sufficienza per portare avanti il lavoro.

Francesco mi ha lasciato tutti i suoi beni, casa, negozio, titoli, azioni e soldi, ma di tutto questo non m'importa nulla. Non ho ancora toccato niente. Continuo a vivere nella sua casa ed ho affittato il negozio, senza toccare una lira dell'affitto. Ho mantenuto il mio lavoro di commesso che mi ha aiutato a non impazzire.

E questo è tutto"

Ascoltai tutta la storia senza aprire bocca, facendo solo qualche cenno d'assenso durante il racconto e Walter me ne fu grato e mi confessò che era la prima volta che era riuscito a parlare con qualcuno della sua vicenda e quello sfogo lo faceva sentire meglio.

Uscimmo dalla sauna senza avere più sfiorato l'argomento sesso e concordammo di ritrovarci il giorno successivo, non nella sauna, per trascorrere la serata insieme. Da quel momento ci vedemmo tutti i giorni e pian piano ci rendemmo conto che stavamo bene insieme ed io mi ero convinto che con Walter poteva nascere una storia che, finalmente, avrebbe dato alla mia esistenza una svolta positiva.

Ormai ci vedevamo, più spesso nelle nostre rispettive abitazioni che fuori, e io ero tentato di spingere la nostra amicizia oltre quel limite, ma Walter non sembrava ancora pronto a fare quel passo. Io fremevo perché il ragazzo mi piaceva sempre di più ed ero convinto che poteva essere l'approdo finale del mio passare da un'avventura all'altra.

Una sera Walter volle mostrarmi le foto sue e di Francesco e, man mano che le pagine degli album di susseguivano e lui commentava le occasioni in cui erano state scattate le pose, il suo viso diventava sempre più triste, la voce sempre più rotta e gli occhi sempre più lucidi, finché non iniziò a singhiozzare e lacrime cocenti scesero dai suoi begli occhi.

Io ero straziato da quella pena che lo dilaniava e, senza riflettere, gli presi il viso fra le mani e calorosamente baciavo i suoi occhi e gli sussurravo: "Non piangere... non è giusto che tu soffra così... mi fa male vederti sopportare tutta questa pena."

Walter mi abbracciò e poggiò il volto sul mio petto, continuando a piangere sommessamente, mentre io gli carezzavo la testa delicatamente. Il contatto fisico, intimo come mai era stato fino allora, e la sericea capigliatura sulla quale le mie mani scivolavano leggere, immediatamente mi fecero eccitare.

Ben presto, senza rendermene conto, iniziai ad accarezzarlo sulla schiena, spingendomi talvolta anche sui suoi sodi e piccoli glutei. Pian piano i singulti di Walter cessarono e, timidamente, anche lui iniziò a carezzare la mia schiena. Allora gli sollevai il viso e lo baciai con dolcezza, assaporando ancora le lacrime che gli avevano bagnato tutto il viso. Walter rispose al mio bacio e subito dopo mi disse: "Portami di là... ti prego... ho bisogno di sentirmi vivo."

Lo sollevai di peso, stringendolo al cuore che mi batteva all'impazzata, e lo deposi sul suo lettino immaginando che non avrebbe voluto fare l'amore sul lettone di Francesco. Lo spogliai lentamente, con delicatezza, continuando ad accarezzarlo e baciarlo dappertutto. Lui era quasi passivo, ma mi lasciava fare e partecipava con qualche accenno di carezza, tanto da farmi temere che si fosse pentito.

Quando fu completamente nudo, ancora abbandonato sul letto, quasi inerte, gli chiesi: "Sei proprio sicuro di volere andare avanti? Se non te la senti, se non sei ancora pronto, io vado via."

"No! Ti scongiuro! Ma devi avere pazienza... vedrai che tutto si sistema."

Scesi a baciare il suo bel membro, desiderato dal primo momento che glielo avevo visto, mentre gli carezzavo il petto, il ventre, il viso, le labbra. Non ci volle molto a risvegliare la sua eccitazione, così potei infine ingoiare quel suo maestoso scettro e sentirmelo scendere fino in fondo alla gola, mentre impastavo delicatamente i suoi gonfi testicoli, per lungo tempo lasciati negletti. Walter incominciò a dare segni di vita e prese ad accarezzarmi la testa, finché non la bloccò fra le mani per manovrarla in modo da farmi andare avanti e indietro.

Esultavo, anche se l'energia che ci metteva rischiava di soffocarmi tutte le volte che mi spingeva la sua lunga e poderosa asta in fondo alla gola. Rapidamente la furia messa in quelle manovre e la lunga astinenza lo portarono ad un disordinato e squassante orgasmo, che per durata e quantità di sperma rischiò di soffocarmi davvero.

Walter si abbandonò esausto e mi guardò sconsolato: "Scusa... non volevo... è stato più forte di me... non sono stato capace di controllarmi... e tu non hai fatto nemmeno in tempo a spogliarti."

"Non pensarci e non ti preoccupare, sono felice anche così."

"No! Non è giusto. E poi non voglio che finisca così. Sei diventato troppo importante per me. Ti puoi fermare qui... tutta la notte?"

Risposi di sì, precipitosamente.

Fu una notte indimenticabile. Walter, contrariamente a quel primo, istintivo, incontrollato episodio, fu dolcissimo, delicato e preoccupato del mio piacere, tanto da farmi impazzire e da darmi la certezza che avevo trovato il compagno che poteva sostituire il mio perduto amore.

Si trasferì a casa mia poco tempo dopo. Discusse la sua tesi di laurea e lo aiutai a inserirsi nel mondo universitario, dove molto in fretta ebbe la sua cattedra di sociologia.

I primi tempi furono splendidi, io non vedevo che lui e lui, altrettanto, non vedeva che me. Tutto filava liscio, ero diventato un'altra persona, gentile, premuroso, buono, generoso più del solito, ma il mio tarlo era in agguato e ben presto il fantasma della potenziale sofferenza che Walter poteva infliggermi lasciandomi, mi portò a comportarmi come il solito.

Egoista, prepotente, sgarbato, dominatore, non perdevo occasione per maltrattare Walter, mentre lui continuava ad amarmi come il primo giorno, con dedizione, attaccamento e passione.

La storia durò circa cinque anni ed infine, una mattina, dopo che avevo trascorso la notte in bagordi con una marchetta, rientrato a casa non trovai più Walter. Tutta la sua roba era sparita e sul tavolo della cucina c'era un biglietto, con lo stile educato e gentile di Walter:

"Amato mio,

anche se questo atto mi strazia il cuore, devo lasciarti. Mi dispiace di non averti saputo dare quello di cui hai bisogno, ma non trovo in me le risorse adeguate per farti felice, perciò penso che sia meglio che ti restituisca la tua libertà, in modo che tu possa realizzare i tuoi desideri.

Ti prego di non odiarmi. Io non ne sono capace e continuo ad amarti pur facendo questo doloroso e difficile passo.

Ti abbraccio e ti penserò sempre.

Walter"

Un moto di stizza mi fece strappare il biglietto in mille pezzi, imprecai contro la sua ingratitudine e gli augurai di non trovare più nessuno che si occupasse di lui come avevo fatto io!


Capitolo precedente
back
Copertina e indice
INDICE
Scaffale degli scritti inviatimi
shelf 1
Capitolo seguente
next


© Matt & Andrej Koymasky, 1997 - 2006
navigation map
recommend
corner
corner
If you can't use the map, use these links.
HALL Lounge Livingroom Memorial
Our Bedroom Guestroom Library Workshop
Links Awards Map
corner
corner