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pin Un'altra possibilità
Seconda parte
CAPITOLO 16
Epilogo

È trascorso un quarto di secolo della mia nuova vita e mi guardo indietro provando un gran senso di soddisfazione, di totale appagamento, e ringrazio la potenza soprannaturale che mi ha dato la possibilità di rimettermi in gioco, di scoprire i veri valori della vita: l'amore, l'amicizia, la generosità, la tolleranza, la solidarietà, l'umiltà, l'onestà, la famiglia. Ma anche il vero dolore per la perdita di persone care, la sofferenza per le ingiustizie, il pentimento per le decisioni sbagliate, il rimorso per gli errori irreparabili. Tutti ingredienti inevitabili della nostra vita, che servono a temprare il carattere e sono di riferimento per evitare, per quanto possibile, che si ripetano. Certo è che alla morte non c'è rimedio, ma per tutto il resto si può migliorare giorno per giorno, facendo tesoro delle esperienze precedenti e comportandosi conseguentemente.

Guardo la linea dell'orizzonte marino dalla grande vetrata del mio ufficio e mi dico che, fin dove si può spingere lo sguardo per rilevare le cose che non vanno, fin lì bisogna adoperarsi per cercare di cambiarle, di renderle migliori, più sopportabili, a qualsiasi costo. Questa filosofia è stata al centro della mia nuova vita, della mia attività e di quella di tutti i miei collaboratori più stretti. Abbiamo creato benessere in tutti i posti dove sono sorte nostre iniziative e non abbiamo mai avuto esitazioni o ripensamenti nel rinunciare a grossi profitti personali per destinarli a chi lavora per noi. Tiro mentalmente le somme di questi venticinque anni e concludo che non potevamo fare di meglio, anche se al meglio non c'è mai fine, ma non è nelle facoltà umane poterlo conseguire.


Marino ci ha lasciati quindici anni fa, all'età di settantasei anni. Non si può dire che fosse troppo vecchio, ma la vita d'intenso lavoro e la sensibilità che aveva permeato tutto il suo agire avevano logorato il suo fisico e la sua psiche. Se n'è andato in silenzio, senza disturbare nessuno, come aveva fatto per tutta la sua vita, attento sempre ai problemi degli altri piuttosto che ai suoi. Non aveva mai lamentato problemi di salute, forse per non creare apprensione nei suoi cari. Un giorno ci ha voluti tutti a cena e ci ha ringraziati per quanto avevamo fatto, me in particolare, e ci ha incitati ad andare avanti su quella strada, che sicuramente era la più giusta. Io avevo notato una certa malinconia nei suoi occhi e una particolare stanchezza nel suo fisico, accentuata dai movimenti lenti, quasi avesse le membra intorpidite. Infatti, la notte stessa è trapassato, passando dal sonno alla morte, senza che neppure Eugenia se ne fosse accorta.

Gli abbiamo fatto un funerale degno del miglior capofamiglia che avessimo potuto avere ed io personalmente ho preteso che gli fosse eretta una tomba idonea a fargli onore come meritava. Fu in quella circostanza che ho scoperto dove fosse la cappella della "mia famiglia" e mi sono vergognato per avere trascurato gli obblighi discendenti dal ruolo che mi era stato attribuito. Stavo sfruttando tutte le risorse derivate da quelle persone, ma non avevo mai curato la loro ultima dimora, che si stava trasformando in un ricettacolo di sporcizia e disordine. L'ho fatta ripulire, rinfrescare ed ho cominciato a visitarla regolarmente, dopo avervi trasferito anche i nonni romani.

Renata ha lasciato il vuoto in casa di Adriano dodici anni fa, all'età di ottantadue anni, ma ancora saldamente impegnata nel suo ruolo di governante, accettando l'aiuto marginale di una domestica ad ore solo negli ultimi anni. Adriano ne ha risentito parecchio e non ha più voluto nessuno in casa. Adriano aveva già fatto costruire una tomba per accogliere le sue spoglie e quelle di Giulio e Renata, dato che non ha più relazioni con la sua famiglia fin dal tempo dell'università, e l'ha fatta tumulare con tutti gli onori, compresa la banda musicale per espresso desiderio della stessa. Renata è stata una fonte preziosa per Nora, cui ha svelato tutti i segreti della sua ottima pasticceria e l'attività ne ha tratto interessanti vantaggi.

Eugenia è stata la più longeva. Ci ha lasciati il mese scorso, all'età di novantuno anni, sempre battagliera e avvolgente, come si conviene ad una chioccia. Penso ancora con tenerezza che, fino a due giorni prima di morire, mi ha mandato la pasta fresca fatta da lei, perché quelle due ragazze, per quanto lei si fosse prodigata, non la sapevano fare bene come lei. Dopo la morte di Marino è stato molto faticoso convincerla a rendere comunicante il suo appartamento con quello adiacente di Nando, visto che Gabriella non lavorava e poteva darle un occhiata. Eugenia si era ribellata e, combattiva come sempre, aveva detto che lei non aveva bisogno di balie e che era capace di badare a se stessa meglio di chiunque altro. Infine, si era arresa in seguito alla promessa che le avrebbero lasciato fare tutte le sue cose e che, finché aveva fiato, avrebbe preparato il pranzo del sabato, visto che la domenica si andava tutti da Rosa. L'abbiamo deposta di fianco a Marino, tributandole gli stessi onori.

Rosa è mancata sei anni fa e la sua attività viene portata avanti dalle due figlie, Mara e Lorella. Venti anni fa abbiamo fuso l'attività della locanda nella nostra società, ampliando notevolmente la struttura, dopo che la famiglia è cresciuta e che le occasioni d'incontri di lavoro e conviviali si sono moltiplicate. Abbiamo ricavato una grande sala convegni, una sala da pranzo adeguata riservata in via esclusiva alla nostra azienda, per consentire la prosecuzione dell'attività ordinaria nel resto del locale. Sopra ci sono le camere per ospitare i nostri visitatori meno intimi, quando vengono a trovarci per affari. Il locale usa i nostri prodotti ed ha anche una show room per chi fosse interessato a comprarne.

Questi che ho elencato sono quelli che se ne sono andati lasciando, anche se in misura diversa, un vuoto nei nostri cuori ma una ricchezza nelle nostre menti e che non scorderemo mai.


Adriano, dopo la morte di Renata, ha deciso di ritirarsi dall'attività di notaio, confortato anche dal parere di Giulio. Allora avevano entrambi settanta anni e non ce la facevano più a seguire tutte le questioni legali aziendali, ormai divenuto un gruppo internazionale, e l'attività notarile. Inoltre, Adriano è sempre rimasto presidente del consiglio d'amministrazione e il buon Giulio gli ha sempre fatto da segretario, perciò erano entrambi oberati di lavoro. Ha venduto l'immobile nel centro abitato, ha comprato un podere confinante con la Favorita, ha fatto costruire un grazioso villino a fianco di casa mia, dove si è trasferito con Giulio, e abbiamo abbattuto il muro di confine comune, così anche loro partecipano alla nostra vita, pur conservando la loro intimità.

Il resto del podere è stato conferito all'azienda per ampliare le colture e anche tutte le altre disponibilità le ha riversate per consentire uno sviluppo più veloce. Anch'io, su consiglio di Adriano, mi sono liberato di tutti gli investimenti finanziari e dei rimanenti immobili di Roma, conservando solo la villa dei nonni, utilizzata come sede di rappresentanza e foresteria per le nostre necessità nella capitale. Il ricavato lo abbiamo investito per realizzazione di un caseificio e un salumificio, con annessi allevamenti.

Samuele e Guido hanno il loro bel da fare, perché l'attività è cresciuta molto e tanti coltivatori ed allevatori della zona si sono consorziati con noi per avere maggiori sbocchi. Noi facciamo sempre accordi che prevedono l'esclusività delle forniture al nostro gruppo, che provvede alla commercializzazione o trasformazione dei prodotti, l'impiego delle nostre macchine agricole nel caso in cui non ne abbiano disponibilità, il finanziamento agevolato per dotarsene nel più breve tempo possibile, ma non concediamo "azioni di risparmio", a meno che non accettino di fondersi con noi. I consorziati devono anche accettare la nostra supervisione tecnica per la conduzione dei fondi e Samuele e Guido hanno questo onere, che vogliono sempre svolgere personalmente pur avendo una discreta squadra di collaboratori. Io insisto ad invitarli a lavorare meno, a dare più spazio ai giovani agronomi che abbiamo, compresi alcuni "nostri figli" (di cui dirò dopo), ma loro sostengono che è proprio per dare più spazio che vogliono assicurarsi sempre personalmente che tutto proceda bene, così sono in grado di elogiarli e farli sentire più sicuri.

Carlo e Sergio hanno fatto crescere un team di collaboratori preparati, anche in questo caso compresi alcuni "nostri figli", e gli impianti non hanno mai dato problemi particolari, perché ne fanno una manutenzione accurata e preventiva. Loro sono più "fiduciosi" di Samuele e Guido perché hanno riservato e riservano un enorme interesse per tutte le attrezzature trovate in casa mia. Da quando le strutture aziendali hanno cominciato a funzionare senza particolari problemi, si sono creati una piccola officina personale nella fabbrica di conserve e vi trascorrono molto tempo per "copiare" i miei aggeggi. Non si sanno ancora spiegare la natura di certi materiali e, per quanti tentativi abbiano fatto, aiutati anche da un paio d'ingegneri chimici, non ne sono venuti a capo. Io so che il problema è quello delle materie plastiche, derivate dal petrolio, e dei microchip inseriti in tanti degli apparecchi che ho in casa, ma non posso chiarirgli nulla sia per la mia incompetenza sia per l'impegno morale che avevo preso Leonardo, perciò li lascio divertire a modo loro.

La mia sorpresa è che hanno, comunque, riprodotto diversi oggetti utili, usando il metallo e il vetro al posto della plastica, rinunciando alla sofisticazione che può dare solo un microchip, ma "ricopiando" con ottimi risultati alcuni circuiti stampati e altri componenti che rendono più efficienti le tecnologie attuali. Abbiamo potuto sfruttare anche questa caparbietà di Carlo e Sergio per produrre piccoli elettrodomestici, più efficienti e meno ingombranti di quelli esistenti sul mercato, e conquistarne una buona fetta, anche se ancora ristretto. La fabbrica di elettrodomestici è accorpata alla sede degli uffici amministrativi, dove c'è anche il mio ufficio. Questa struttura l'abbiamo edificata sul lungomare dieci anni fa, quando la nostra attività è cresciuta tanto da richiedere un'organizzazione consistente, e ora abbiamo trecento impiegati per seguire l'attività commerciale, la distribuzione, la produzione e manutenzione, gli acquisti, l'amministrazione vera e propria. Ogni tanto penso che nel mondo dal quale provengo, con tutti gli strumenti disponibili, questa attività potrebbe essere svolta da meno di cento persone e provo piacere nel potere dare lavoro ad una quantità superiore di lavoratori.

Carlo e Sergio, però, non demordono e vanno avanti nei loro tentativi di copiare le cose più sofisticate, senza possibilità di successo dato che tutta l'industria dell'elettronica, di cui avrebbero bisogno, non è ancora nata. Quello che li fa dannare di più è il mio impianto di autoproduzione di energia elettrica. Non riescono a capire che diavolo di materiale sia quello delle celle fotovoltaiche e hanno consumato, ricopiandole diverse volte per non correre il rischio di danneggiarle definitivamente, le istruzioni sul loro funzionamento che mi ha fornito Leonardo. Hanno capito che tutto dipende da quegli aggeggi, perché il resto sono riusciti a scoprire come funziona, tranne i soliti microchip per governare il sistema. Sanno come poter sostituire gli accumulatori, i serbatoi per la riserva d'acqua, anche se con materiali diversi, ma non riescono proprio a capire qual è il principio che fa funzionare quelle dannate celle.

L'altra cosa che li ha impegnati a lungo è stato il videocitofono, ma hanno abbandonato presto i tentativi, perché quel sistema di trasmettere immagini via filo è ancora più complicato. Gli è chiaro come si trasmette la voce, ma per le immagini è un vero mistero. Da tempo hanno pure desistito dal cercare di rintracciare il geniale inventore che ha fornito tutto quanto a mio padre, e che comunque a questo punto dovrebbe pure essere morto, ma non cessano di chiedere informazioni in tutte le occasioni per sapere se da qualche parte nel mondo ci siano già quei congegni. Chi ne fa le spese più di tutti è Stefano, tempestato di sollecitazioni per indagare in Argentina, dove l'industria è molto più avanzata che nel resto del mondo.

Stefano ed Enrico sono stati promossi al rango di responsabili per l'estero e girano tutti i paesi dove abbiamo avviato attività. Ormai i collegamenti aerei sono una realtà e loro hanno stabilito la residenza principale qui in Italia, nel loro appartamentino quando sono in sede, nella foresteria di Roma quando devono fare il viaggio bisettimanale per uno dei paesi esteri. In Argentina abbiamo già aperto centodieci negozi e ventidue ristoranti, principalmente nelle città più importanti, altri quindici negozi e sei ristoranti li abbiamo aperti in ciascuno dei paesi principali dell'Europa, raggiungendo un numero complessivo di novantasette negozi e quarantatrè ristoranti. Per ogni paese c'è un responsabile locale che risponde direttamente e indifferentemente a Stefano o Enrico che ci sommergono di curiosità locali tutte le volte che rientrano da un viaggio, così la nostra casa sta diventando più esotica di come l'avevano lasciata i miei veri antenati, tutti marinai di carriera.

Roberto e Pio, che hanno risposto egregiamente alle nostre lezioni private, sono i responsabili amministrativi di tutto il gruppo e hanno formato una forte squadra di seconde linee, che curano tutti gli adempimenti correlati. Oggi sono più sicuri di quanto io stesso non mi aspettasi e godono della fiducia incondizionata di Adriano, che è molto esigente riguardo alla tempestività, correttezza e regolarità della tenuta dei libri societari. Pio ha avuto il coraggio di dire alla sua famiglia che lui è diverso ed ama Roberto. È accaduto circa venti anni fa, quando il padre lo sollecitava a trovarsi una brava moglie e mettere su famiglia. Sono tuttora sorpreso della reazione del Mancini, che è venuto proprio da me a chiedere consiglio per sapere come comportarsi con suo figlio, che la sera prima gli aveva confidato di essere innamorato di Roberto e che dormivano insieme da quando aveva preso servizio in casa mia e facevano l'amore da due anni prima.

Io ero molto imbarazzato e non sapevo come affrontare la questione, ma il Mancini stesso mi mise a mio agio, dichiarando che lui non aveva reagito male nei confronti di Pio e nemmeno la madre ne aveva fatto una tragedia, voleva solo capire se io ne ero al corrente e come vedevo la cosa, cioè se mi dava fastidio avere in casa un "diverso" che sotto il mio tetto faceva l'amore con un altro maschio. Credo che il mio sollievo sia stato così evidente che il Mancini si è rilassato ed ha pure sorriso, chiedendomi se pensavo che scherzasse.

"Lo so che non scherzate signor Mancini", gli risposi, "e se la cosa vi può essere di conforto vi dico che pure io sono come Pio, perciò non vi dovete preoccupare; se la cosa non dà fastidio a voi a me ne dà ancora di meno."

Al Mancini cadde la mascella, ma non fece commenti e se ne andò salutandomi e dicendomi un semplice grazie.

Nicola e Ciro continuano a svolgere il loro lavoro, esteso ora anche al giardino di Adriano, perché non hanno mai demorso dal loro convincimento di essere molto fortunati ad avere trovato un lavoro ed un posto dove vivere in pace il loro amore. Sono sempre più attaccati a noi e riescono ancora a rallegrarci con la loro arguzia e spirito. Noi li consideriamo alla pari, come abbiamo sempre fatto indipendentemente dal lavoro che ognuno svolge e dal grado d'istruzione, oltretutto la loro presenza costante nella casa ci ha permesso di allevare meglio i "nostri figli", cui si sono dedicati con costanza, cure e amore. Devo anche aggiungere che sono gli unici che hanno sempre inventato i giochi più incredibili e divertenti per farli svagare o per tenerli impegnati nel tempo libero e si sono anche prodigati quando qualcuno non stava bene, dedicandovisi anche la notte. Certe volte, anche se sono sicuro che è solo apparenza, mi sembrano la coppia più felice.

Sara e Miriam sono quasi stoiche. Memori dell'ostracismo che hanno sopportato, non hanno mai voluto avere nessuno che le aiutasse, anche quando la famiglia è cresciuta, per evitare che qualcuno "diverso" potesse creare problemi a tutti noi. Hanno imparato ad usare ogni aggeggio della casa che potesse semplificare i lavori domestici e si sono accordate con Rosa per farsi mandare tutti i giorni i pasti parzialmente precotti, che Nicola va a prendere regolarmente per avere più tempo di dedicarsi ai "nostri figli". Miriam, in modo particolare, sentiva il bisogno di maternità, ma era combattuta fra questo desiderio e la possibilità concreta di poterlo realizzare, data la difficoltà di trovare un partner con cui soddisfare l'esigenza. Io pensavo spesso a come sarebbe stato facile ai "miei tempi", con la fecondazione artificiale, e con tutti i maschi che c'eravamo in casa non sarebbe stato un problema procurarsi la materia prima, ma immaginare un rapporto diretto era impensabile.

L'argomento veniva spesso a galla e ne eravamo tutti affascinati, specialmente Sara, che voleva che la sua compagna fosse felice completamente, potendo realizzare il suo sogno. Però una soluzione non veniva fuori, perché nessuno di noi, pur essendo Miriam una bellissima ragazza, si vedeva nella veste di fecondatore, senza contare il fatto che bisognava pure riuscire ad eccitarsi per lo scopo, e tutti restavamo delusi dalla nostra incapacità di realizzare il progetto. Una sera che se ne parlava per l'ennesima volta, Federico chiese a Miriam se lei voleva per forza farlo quel figlio o se poteva essere contenta lo stesso di avere un bambino da accudire, da amare, da crescere. Miriam rispose che per lei era lo stesso, perché la cosa più importante non era fare un figlio ma era l'amore per un essere piccolo e indifeso. Federico assentì e disse a Miriam che aveva perfettamente ragione e lui ne era una prova vivente, poiché era stato fatto e poi gettato via, perciò suggerì di prendere un bambino all'orfanotrofio e curarlo come una madre vera non aveva voluto o potuto fare.

Era l'uovo di Colombo e tutti ci entusiasmammo all'idea, facendo progetti e lasciandoci ammaliare dall'idea. Quella sera c'erano anche Adriano e Giulio, che subito raffreddarono i nostri entusiasmi, facendoci notare che a scapoli non era permesso adottare bambini, perciò era meglio che abbandonassimo subito l'idea. Eravamo tutti abbacchiati, demoralizzati per avere perso l'unica opportunità che avevamo per avere bambini e contemporaneamente fare del bene, quando lo spirito napoletano diruppe e Nicola, guardando intensamente Ciro negli occhi, disse: "Ma che problema c'è? Io sposo a Miriam e Ciro sposa a Sara, così ne prendiamo due alla volta."

Ci fu un momento di silenzio totale, subito rotto da grida di approvazione, da risate allegre, che riuscirono a trascinare anche i compassati Adriano e Giulio. Fu un fermento unico per predisporre le condizioni adatte. Federico ed io ci trasferimmo all'ultimo piano, facendo un unico appartamento dei due occupati da Sara e Miriam e Ciro e Nicola. Al piano terra aggiungemmo un'estensione, per ricavare quattro camere da letto, e rendemmo comunicanti le due matrimoniali delle coppie, che non dovevano farsi scoprire dai bambini quando andavano a letto in modo "strano". Finiti i lavori, ci fu una bellissima cerimonia per il matrimonio dei "domestici" della casa degli scapoli e, nel giro di poco tempo, avevamo quattro bambini in casa, ufficialmente adottati dalle due coppie e moralmente divenuti i "nostri figli".

Noi siamo stati sempre gli zii, più o meno giovani, di tutti i ragazzi e le ragazze che abbiamo adottato, mentre mamma e papà sono sempre stati Sara, Miriam, Ciro e Nicola, che non hanno lesinato il loro impegno a curarli finché erano troppo piccoli per essere affidati anche agli zii per qualche loro attività. Nessuno dei bimbi ha mai sospettato l'anomalia dei loro genitori, hanno però capito o sentito dire dell'anomalia dei loro zii, ma né a noi né a loro importa niente. In questi venticinque anni ne abbiamo adottati venti, quattro ogni cinque anni, ed ora quattro sono già al lavoro, di cui due già sposati ma tutti sistemati nelle villette che facciamo costruire nei nostri terreni. Quattro stanno frequentando l'università a Roma, alloggiando nella nostra foresteria, dove abbiamo ricavato appartamentini nel grande solaio. Quattro frequentano il liceo, da interni, nel capoluogo e vengono a casa le domeniche e durante le vacanze. Quattro frequentano le medie e quattro le elementari.

Ogni volta che adottiamo quattro nuovi figli deliberiamo un aumento del capitale della società del 4% e intestiamo a ciascuno di loro l'1% delle azioni, così hanno assicurato il loro avvenire. Adriano ed io siamo i fiduciari per l'amministrazione di queste quote e investiamo tutti i profitti in altri settori, per garantire al massimo il capitale. Con Federico abbiamo deciso di fare testamento a favore dei ragazzi, modificandolo ad ogni nuovo arrivo, nella malaugurata ipotesi che venissimo a mancare contemporaneamente facendo incamerare tutto allo stato, poiché né io né lui abbiamo eredi legittimi.

Nel tempo ci siamo organizzati per potere ospitare tutti i nostri figli, cosi l'estensione al piano terra è stata ampliata fino a comprendere dieci stanze e cinque bagni. Sara, Miriam, Ciro e Nicola sono impagabili e instancabili, benché tutti ci adoperiamo per seguire i ragazzi. In questo momento, al mio tavolo riunioni, ci sono Giorgia, di dieci anni, e Luca, di tredici anni, che stanno facendo i compiti e non mi tempestano di domande, come al solito, perché si sono accorti che la mia mente vaga e mi guardano scambiandosi cenni complici, accorgendosi della mia "assenza". Sono anche sicuro che qualcuno sarà da Roberto, qualche altro da Pio e così via, così le madri e i padri possono svolgere il loro lavoro e prepararsi ad accogliere altri quattro piccoli, che devono seguire personalmente. I "nostri figli" sanno tutti di essere trovatelli e non se ne crucciano perché riusciamo, tutti insieme, a farli sentire più amati dei loro compagni coetanei, che hanno due soli genitori, mentre loro ne hanno quasi sempre quattordici o, addirittura, sedici, da quando Adriano e Giulio si sono trasferiti da noi.


Ignacio è il nostro plenipotenziario in Argentina e si è rivelato un vulcano, anche ora che è il più anziano del gruppo, avendo raggiunto il traguardo degli ottanta anni, ma ne dimostra molti di meno ed ha una grinta da cow boy. I figli hanno abbandonato le rispettive carriere e si sono dedicati all'impresa, cogliendo maggiori soddisfazioni nel vedere crescere, giorno per giorno, qualcosa che costruivano con le loro stesse mani, che era frutto delle loro idee, che otteneva il successo anche per merito loro e non soltanto per la qualità dei prodotti trattati. Siamo tutti grati a Ignacio per la dedizione con cui conduce gli affari e non abbiamo mai avuto alcun problema nel suo paese, dove riesce ad ottenere velocemente tutti i permessi necessari ogni volta che vogliamo aprire un nuovo punto vendita o ristorante. Non mi sono mai chiesto se la celerità sia ottenuta con qualche spintarella onerosa, ma cheto la mia coscienza pensando che ogni volta riesco a dare un'opportunità di miglioramento della propria vita ad un connazionale che è stato costretto a lasciare l'Italia per cercare fortuna.

Sì, confesso questo campanilismo, perché cerchiamo sempre di assumere più italiani che gente di altre nazionalità ma io sostengo che non togliamo niente a nessuno perché ogni posto lasciato libero da un italiano che noi assumiamo diviene disponibile per un altro lavoratore di qualsiasi nazionalità; ma io desidero beneficiare principalmente i miei connazionali, pur riconoscendo che questa è una mia debolezza. Per Ignacio o altri ospiti intimi che vogliamo accogliere nella casa, anziché farli alloggiare da Rosa, abbiamo sopraelevato la stalla costruita per Saetta e Pacifica e ne abbiamo fatto un'accogliente dependance, dove gli ospiti hanno tutta la loro libertà pur partecipando alla vita della nostra numerosa famiglia. Ignacio viene in Italia due volte all'anno, con tutta la famiglia, moglie, figlio con compagno, figlia con marito e due adorabili bambini, e si ferma almeno un mese alla volta, facendo fondere i telefax dei nostri uffici perché continua lavorare anche durante questi periodi, nonostante le proteste della moglie e mie.

Igino è il coordinatore di tutte le fattorie e fa attuare il piano delle produzioni messo a punto da Samuele e Guido che basano la programmazione delle colture in relazione alle necessità di rotazione e al portafoglio ordini che ricevono dal settore commerciale. Per alcuni di questi aspetti c'è il mio zampino, che, se anche sono vincolato a non svelare i "segreti del mio mondo", posso fare largo impiego della mia esperienza personale. Per questo ho impostato il lavoro in modo che proceda con una pianificazione preventiva, pur dipendendo molto dall'andamento delle stagioni; finora non abbiamo avuto problemi particolari, perché calcoliamo sempre un margine di rischio e prendiamo ordini per l'anno seguente solo entro questi limiti, con ulteriore riserva di un'oscillazione di più o meno il venti percento. Ci occupiamo della produzione eventualmente eccedente a tempo debito, collocandola sul mercato gradualmente, per non subire contraccolpi sui prezzi di vendita.

Nora è diventata un vulcano, in modo particolare da quando, su mio suggerimento indiretto, ha dato il via ad un concorso mensile per la miglior ricetta per conserve. I consumatori possono inviare una ricetta, su cui applicare un bollino presente su tutte le nostre confezioni, e quella che risulta la più gradita, originale e producibile è premiata con una serie completa di attrezzi per fare le conserve in casa. Otteniamo così il duplice scopo di incentivare le vendite e di pubblicizzate i nostri piccoli elettrodomestici, piuttosto all'avanguardia per questi tempi. Nora ha organizzato un piccolo laboratorio dove, con alcune collaboratrici, prova le ricette selezionate fra le tante che riceve e poi, unico onere per noi, ci porta quelle che a suo parere sono più idonee per il giudizio finale, come ha sempre fatto in questi venticinque anni.

Con questo sistema abbiamo ampliato tre volte la fabbrica di conserve ed abbiamo un gran numero di prodotti di ottimo livello e successo che riusciamo a commercializzare a prezzi accettabili, grazie all'integrazione verticale di cui disponiamo. Infatti, per quasi tutti gli articoli che la fabbrica sforna, produciamo anche le materie prime necessarie e ci forniamo del rimanente con accordi pluriennali che ci consentono di contenere al massimo i prezzi d'acquisto. Anche nel mulino-pastificio, su insistenza di Nora, si è dovuto procedere ad un ampliamento per l'aggiunta di un settore di prodotti da forno. Lei sosteneva che le ricette di Renata erano troppo interessanti per trascurare l'opportunità di entrare nel settore ed ha avuto ragione.

Mario ha già tre pescherecci, ora che la famiglia è numerosa. I tre figli maschi, con i loro ragazzi e qualche marinaio di rincalzo, ne governano uno a testa e lui si occupa di tutto il lavoro a terra con la moglie, la figlia ed il genero. Forniscono qualche negozio dei dintorni, ma la maggior parte del pescato finisce nella nostra attività, per conservarlo in vari modi o farne sughi pronti. Io non suggerisco di utilizzare il sistema del surgelamento, anche se la tecnologia necessaria sarebbe già disponibile, perché il mercato non è ancora pronto e la gente preferisce ancora le conserve tradizionali. Ho fatto provare a Carlo come si conservano bene i cibi surgelati nei freezer di casa e lui ha già progettato qualcosa di analogo per gli usi domestici ed attende il momento giusto per metterlo in produzione, ma temo che ciò non avverrà durante la nostra vita.

Nando ha preso le redini dell'attività di Marino e l'ha pure sostituito nel consiglio d'amministrazione, investito dell'onere sia da Igino sia da Maria Loreta. Nel suo lavoro lo aiuta molto la moglie Gabriella, che ha un grande senso dell'economia, così sono riusciti ad acquistare altri tre poderi, confluiti nell'azienda, dove hanno sistemato i figli maggiori, ora sposati e con numerosa prole. Hanno scelto di far studiare Giacomino e Rosalba, stimolati anche da me, così ora sono tutti e due occupati nell'azienda. Giacomino è responsabile della distribuzione e Rosalba dei rapporti con la clientela. Anche loro sono sposati e Rosalba ha qualche problema con il marito, geloso di tutta quella gente che lei si deve spupazzare, così mi tocca fare da paciere di frequente, perché non voglio cambiarle l'incarico per il quale sembra nata apposta.


Federico! Ne parlo per ultimo perché è sempre presente nei miei pensieri e non corro certo il rischio di dimenticarlo. Il nostro amore è diventato più cheto, ma ogni giorno di più profondo e solido. Per quanto possa sembrare impossibile non c'è mai stato fra noi uno screzio, un motivo di disaccordo, perché ciascuno di noi ha sempre fatto di tutto per adeguarsi all'altro, per assecondarlo nei suoi desideri, per prevenire ogni possibile necessità. Non abbiamo più infuocati convegni d'amore, ma lunghi, avvolgenti, sommergenti amplessi maturi, completi in ogni minimo particolare, tale è la conoscenza reciproca di ogni punto del nostro corpo che fa aumentare il piacere, anche il più piccolo o il più nascosto.

Il solo pensiero di averlo con me e per me, riempie totalmente la mia vita e mi fa apparire tutto il resto come cose di poco conto, anche le più importanti decisioni. Ogni volta che devo esprimere un giudizio su qualunque argomento il primo pensiero è: cosa farebbe Federico in questo caso? E la risposta che mi do mi aiuta a scegliere la soluzione.

Federico è stato il più tenace, vuoi travolto dall'interesse per i suoi cavalli, vuoi per porsi su un piano che lo rendesse più idoneo a me (questa era una sua preoccupazione, mentre io sarei stato appagato in ogni caso), e si è impegnato a fondo nel seguire le nostre lezioni. In seguito, grazie all'ordinamento scolastico ed universitario vigente in questo mondo, che permette di non frequentare purché si abbiano docenti idonei (per questo tutti noi laureati di casa abbiamo sostenuto esami in forma di colloquio) e di sostenere esami da privatista, Federico ha preso la laurea in veterinaria. In questo arduo compito ci ha aiutati anche il dottor Marconi, che considerava Federico anche una sua creatura, pensando di averlo salvato lui, sia per le lezioni di medicina sia per la frequenza del laboratorio per il quale ha pregato un collega dell'ospedale di dare una mano; io ne sono stato grato al punto di regalare al nosocomio tutte le attrezzature di laboratorio di ultima generazione.

Ora, Federico si prende cura anche di me sostenendo, a ragion veduta, che un veterinario è più bravo di un medico, perché le malattie sono pressoché identiche nell'uomo come nell'animale, solo che quest'ultimo non parla e bisogna solo basarsi sui sintomi evidenti. Io lo prendo bonariamente in giro dicendogli che mi sentirò sicuramente amato finché lui mi tratterà come un suo cavallo. L'allevamento si è ingrandito notevolmente ed ora è diventato un punto di riferimento fra i pochi presenti in Italia per chi vuole un cavallo di prestigio. Questo successo rende Federico felice perché lo fa sentire capace di competere con me, ma solo per un atto d'amore e non per spirito d'antagonismo.

Samuele lo ha invogliato ad occuparsi anche dei nostri allevamenti e lui lo fa con grande competenza e serietà, evitandoci tanti dei problemi che hanno afflitto altri allevamenti della zona. Sembra nato proprio per fare questa professione e non tralascia di aggiornarsi continuamente sulle novità, sia in campo diagnostico sia in campo farmacologico, tanto che, talvolta, viene invitato a parlare nei convegni annuali della sua categoria di professionisti. Io lo accompagno sempre in queste occasioni e sono orgoglioso di come il ragazzo spaventato e timido sia diventato un uomo sicuro e preparato, che pensa a me non per gratitudine ma per amore.

Tacitamente in questi anni abbiamo costituito alcuni rituali che rappresentano momenti di completa libertà, di dedizione esclusiva l'uno verso l'altro. Ogni anno ritorniamo per una settimana nell'albergo sulla costiera amalfitana e rinverdiamo la nostra luna di miele, scambiandoci doni di poco valore ma di grande significato simbolico. Rivisitiamo tutte le calette dove abbiamo fatto l'amore e ripetiamo, con rinnovata passione e grande emozione, il nostro giuramento di appartenerci per sempre.

La galoppata sulla spiaggia la saltiamo raramente, solo quando uno dei due è indisposto o il tempo non lo permette. I cavalli non sono gli stessi di allora e Federico, quando è morto Tempesta prima e Saetta dopo qualche anno, ci ha sofferto moltissimo ed ho fatto fatica a consolare il suo dolore, ricordandogli che purtroppo i cavalli vivono meno degli uomini e bisogna abituarsi all'idea che sarà sempre così. Ma lui è fatto così e ama i suoi cavalli al punto che continua a seguirne le vicende anche dopo che li ha venduti, intrattenendo corrispondenza con gli acquirenti. Io tremo all'idea della sofferenza che proverà quando verrò a mancare, dato che ho sette anni più di lui e talvolta mi auguro persino che lui muoia prima di me, per non fargli sopportare questo dolore. Poi mi do dell'incosciente e mi auguro soltanto che si arrivi insieme a tarda età in modo tale che Federico maturi a sufficienza per essere in grado di elaborare anche il dolore del lutto, perché è giusto che sia io a morire prima di lui.

Qualche anno fa abbiamo comprato una barca e, tempo permettendo, facciamo escursioni in mare aperto, godendo della brezza che ci scompiglia i capelli e del sole che ci carezza la pelle. Al largo facciamo il bagno nudi e dopo ci stendiamo ad asciugarci sulla tolda, direttamente sul legno gradevolmente caldo. Con il passare del tempo i nostri corpi non sono più belli ed attraenti come quando ci siamo conosciuti, ma per noi sono sempre desiderabili ed eccitanti e finisce sempre che facciamo l'amore. Peccato che queste occasioni si fanno sempre più rare perché molto spesso alcuni dei "nostri figli" ci chiedono di venire con noi, questa però è l'occasione per un godimento diverso ma altrettanto intenso perché noi li amiamo molto, senza riserve e vogliamo che abbiano la felicità che ogni figlio merita, incondizionatamente.


Questo ultimo pensiero mi distoglie dalle mie riflessioni e guardo con occhi amorevoli verso il tavolo riunioni dove Giorgia e Luca sono intenti a fare i compiti e provo rimorso per essermi estraniato, per averli costretti, per loro stessa sensibilità, a rinunciare al mio aiuto nello svolgimento del loro lavoro. Mi sono sottratto all'impegno morale che ho assunto, come tutti gli altri, di occuparmi di loro prima di ogni altra cosa. Richiamo la loro attenzione con un colpetto di tosse.

"Ehilà, ragazzi. Com'è mai state così in silenzio e non mi avete chiesto nulla? Sono così facili i compiti di oggi?"

Giorgia mi guarda con occhi birichini e un finto e marcato broncio: "È stato questo qua, Luca, che mi ha dato una gomitata per farmi stare zitta. Io mi volevo fare aiutare con le divisioni a tre cifre, perché non mi entrano proprio in testa."

Luca interviene subito: "Lo vedi, zio Antonio, com'è sempre smorfiosa! Mica ti dice che l'ho aiutata io!"

Queste scaramucce sono un toccasana per il cuore e mi fanno sentire un componente importante della famiglia: "Scusami Giorgia, ma mi ero distratto un po' con i miei pensieri. Tuo fratello c'è riuscito a fartelo capire come si fanno queste benedette divisioni?"

Giorgia, accentuando il broncio, replica: "Sì... ma io preferivo che mi aiutavi tu... perché sei più bravo di questo testone."

"Ah... ah... non devi dare del testone a tuo fratello, che è stato tanto gentile. Adesso chiedi scusa. Domani ti aiuto io, va bene?"

"Sì... scusami Luca... io non dicevo per davvero."

Luca sorride con aria di superiorità e perdona la sorella: "Va bene... per questa volta ti scuso, ma non dirmi più le parolacce."

"E tu... Luca... non avevi nulla da chiedermi?"

"Veramente sì, ci sono un paio di regole d'inglese che non capisco bene, ma tu eri tanto pensieroso che non volevo disturbarti."

"Bene, Luca! Ora andiamo a casa e te le spiego in macchina, così la mamma e il papà saranno contenti che tutti e due avete fatto i compiti per bene."


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