CARDELLINO PARTE SECONDA - CAPITOLO 6
Patrick era felice per aver salvato e deciso di prendere con sé il giovane Kutkhay quel giorno sulla nave. Non solo perché aveva acquistato un servo tuttofare capace, intelligente e devoto, ma anche perché sentiva per il ragazzo una specie di tenero e confuso affetto. Era fiero dei progressi che questi faceva e ne curava l'istruzione con attenzione. Inoltre, del suo "cardellino" gli piaceva l'allegria, il sorriso sempre fresco e luminoso, gli occhi attenti e svegli, e non ultimo il bell'aspetto. Non lo considerava alla stregua degli altri schiavi e quasi più neanche un servo, ma una specie di fidato e prezioso collaboratore. Aveva sviluppato per Kutkhay un senso di protezione e di tenerezza. A volte si diceva che forse vedeva in lui un po' un fratello minore, quel fratello che non aveva e che da piccolo aveva sempre desiderato. Eppure Cardellino era diverso da un fratello. Si rendeva conto che il ragazzo dipendeva da lui e questo forse gli dava un senso di importanza ma anche di responsabilità: gli piaceva sentirsi responsabile di quel ragazzo che si affidava completamente a lui.

Inoltre sentiva nel ragazzo la forza della natura selvaggia, pur sotto la crescente impronta della civiltà, e anche questo gli piaceva. Lo sentiva spontaneo, semplice eppur non sprovveduto, e gli piaceva quando, soli nella campagna magari vicino a un corso d'acqua, il ragazzo gli chiedeva il permesso di spogliarsi per correre libero nella natura o guazzare felice nell'acqua o arrampicarsi su un albero, agile come uno scoiattolo. Allora si sorprendeva ad ammirarne il corpo snello, non più da efebo ma non ancora da uomo, dolce eppure forte, che sprizzava salute e gioia di vivere da tutti i pori. A volte sentiva l'impulso di abbracciarlo, ma temeva che il ragazzo interpretasse male il suo gesto, che vi trovasse un sottofondo sessuale che non c'era, e perciò si tratteneva. Ma quando qualcuno faceva un complimento al ragazzo, Patrick ne godeva come un artista gode nel sentir apprezzate le proprie opere d'arte.

Aveva introdotto il suo protetto alla lettura e a volte lo osservava, assorto su un libro, quasi dimentico di tutto ciò che lo circondava. Aveva un'espressione così intensa, concentrata, che Patrick temeva persino di disturbarlo facendo rumore: allora restava a guardarlo, ad ammirarlo, e sentiva in sé una dolcezza incredibile. Per quel giovane uomo assorbito dal mondo degli affari, la vicinanza del ragazzo era come un'oasi, un balsamo che gli faceva sentire la bellezza della vita. Patrick era grato al suo Cardellino.

Ma anche Kutkhay condivideva, profondo nel cuore, un simile sentimento di gratitudine e perciò era sempre pronto a qualsiasi ordine del suo padrone, che anzi cercava di prevenire. Per Kutkhay poi l'alzarsi a notte fonda per andare ad ammirare il suo padroncino era diventato quasi un rito. Alle prime luci dell'alba tornava silenzioso nel proprio lettino, per non far scoprire al padrone quel suo piccolo segreto, nel timore che il padrone glielo proibisse. A differenza del suo padrone, Kutkhay, che aveva già vissuto l'esperienza del sesso e del rapporto con il proprio sesso, provava per il padrone anche una forte attrazione fisica che però era sempre riuscito a controllare. Una mattina si svegliò sentendo il padrone che lo chiamava. Saltò giù dal lettino, infilò le leggere brache di tela e corse sollecito nella stanza del padrone, al solito a piedi nudi.

"Goldie, vai di sotto e preparami tutto per il bagno."

"Subito, signore."

Patrick era riuscito a ottenere dal ragazzo che non lo chiamasse padrone, così ora questi usava sempre l'appellativo "signore" con cui l'aveva sentito chiamare la prima volta che l'aveva visto.

Scese di corsa, a suo solito, in cucina: "Annie, il padroncino vuole fare il bagno, stamattina."

"L'acqua è calda. Avverti Matt."

"No, il padroncino ha detto che ci penso io."

"Bene. Sai dov'è la tinozza e quel che devi fare?"

Il ragazzo ci restò un po' male: "No..."

"Poco male. Vieni che ti faccio vedere e ti spiego io." disse la donna con indulgenza. Le piaceva il ragazzo che, pur sembrando un bianco ed essendo chiaramente il protetto del padroncino, non si dava mai arie con gli altri servi o con gli schiavi.

Kutkhay prese la grande tinozza di legno e, con un po' di fatica, la portò al piano di sopra sistemandola accanto al letto del padrone e vi sistemò dentro accuratamente un candido lenzuolo da bagno. Scese di nuovo e risalì con due secchi d'acqua calda che vuotò nella tinozza, ripetendo l'operazione più volte finché fu piena a metà, infine tornò su con altri secchi pieni che sistemò accanto alla tinozza. Patrick allora scese dal letto, si sfilò le brache con cui dormiva ed entrò nella tinozza. Il ragazzo guardava il bel corpo completamente nudo con occhi adoranti: gli capitava abbastanza di rado di poter vedere il suo padrone senza nulla indosso.

"Prendi il sapone e insaponami bene tutto il corpo."

Kutkhay si sentì emozionato: avrebbe toccato quel corpo stupendo, vi avrebbe passato il sapone con le proprie mani, centimetro per centimetro! Aveva sempre invidiato Matt, ma ora quella fortuna era capitata a lui. Se fosse stato bravo il padrone l'avrebbe fatto rifare a lui... Cominciò e le mani gli tremavano lievemente per l'intensità dell'emozione. Passò il sapone dappertutto, con estrema delicatezza, cominciando dal collo, alle belle spalle, alle braccia forti e muscolose, poi sull'ampia schiena, sul forte petto liscio e ben sviluppato. Quando Patrick si alzò in piedi, passò il sapone sulla vita snella, sul ventre sodo e incavato, sulle natiche vellutate, sulle cosce ben tornite, possenti...

Patrick gli disse con naturalezza e senza malizia alcuna: "Anche lì..."

Il ragazzo gli insaponò con delicatezza la folta peluria bionda dell'inguine e i bei genitali penduli. Kutkhay a quel punto era pienamente eccitato e i leggeri calzoni di tela non nascondevano più la sua erezione, ma il padrone sembrò non rendersene conto: Kutkhay lo guardò negli occhi arrossendo, ma Patrick li aveva chiusi e si gustava quel lieve, dolce massaggio. Quando ebbe finito di insaponarlo tutto, Patrick sedette di nuovo nella tinozza, s'insaponò anche i capelli, poi prese a sfregarsi energicamente per tutto il corpo. Kutkhay era infiammato dal desiderio. Avrebbe voluto... ma non spettava certo a lui fare il primo passo e il padrone sembrava non pensarci affatto. Patrick non sospettava minimamente quale tempesta avesse acceso nei sensi del ragazzo.

"Adesso Goldie rovesciami addosso un secchio, lentamente, in modo che io mi risciacqui." ordinò tranquillo.

Kutkhay eseguì ad arte. Quando il padrone si risciacquò anche fra le gambe, il ragazzo sentì riacuirsi in lui fortissimo il desiderio e di nuovo le mani gli tremarono. E quando, risciacquato, Patrick scavalcò il bordo della tinozza e chiese al ragazzo di asciugarlo, Kutkhay si sentì girare la testa come se avesse bevuto troppo... Cominciò ad asciugare quel corpo, che adorava, con estrema delicatezza, sentendo prepotente il desiderio di abbracciarlo, di stringerlo, di amarlo. Finalmente quel dolce supplizio finì.

"Prima di portar via tutto, vammi a prendere una veste da camera, Goldie."

Il ragazzo scelse quella di seta azzurra e l'aiutò a infilarsela.

"Pensavo, Goldie, potresti lavarti anche tu, qui, ora. Sì, forse è meglio. Dai, spogliati ed entra nella tinozza."

Kutkhay per un attimo restò sorpreso: lui di solito faceva il bagno alla rimessa, nel giorno in cui lo faceva la servitù, con gli altri servi e schiavi. Ma quello, da parte del padrone, più che un invito era un ordine. Girandosi in modo di non mostrare la propria erezione, si sfilò le brache e s'immerse nell'acqua calda, sedendosi dentro: l'acqua saponata ora nascondeva il suo imbarazzante stato. Così cominciò a insaponarsi il corpo. Notò che il padrone lo guardava.

"Hai proprio un bel corpo, ragazzo." disse questi.

Kutkhay arrossì lievemente: "Mai come il suo, signore." si schermì, vergognoso ma felice per il complimento.

"Stai crescendo e ti stai facendo proprio un bel ragazzo." insisté il padrone.

Kutkhay, finito di lavarsi e risciacquatosi, giratosi di nuovo in modo di non mostrare le proprie nudità, uscì e si asciugò, quindi infilò di nuovo le brache. Patrick aveva notato il lieve imbarazzo del ragazzo, ma l'aveva attribuito solo a un naturale senso di pudore e, dentro di sé, ne aveva sorriso.

"D'ora in poi quando farò il bagno io lo farai anche tu. Ti voglio sempre perfettamente pulito, Goldie, non bastano i due bagni al mese che fa la servitù."

"Come desidera, signore." rispose il ragazzo iniziando a portar via due secchiate di acqua sporca.

Nella sua fantasia immaginò quanto sarebbe stato bello fare il bagno assieme al padrone, contemporaneamente. Immaginò quanto gli sarebbe piaciuto se si fossero insaponati l'un l'altro... e allora il suo padrone avrebbe per forza sentito la sua eccitazione, notato la sua erezione... e allora forse... Ma, si disse, questi sono solo sogni ad occhi aperti. Il padrone avrebbe avuto mille occasioni per fare l'amore con lui, se avesse voluto. Evidentemente non gli interessava, pensò il ragazzo con rammarico. Sapeva bene che sono pochi gli uomini che provano piacere con gli altri uomini: anche nella sua tribù la maggioranza lo faceva solo con le donne. Eppure sapeva che il suo padrone non aveva una donna, o almeno non aveva mai avuto l'occasione di pensare che si appartasse con una donna. A meno che sia come alla tribù prima del vero matrimonio... concluse fra sé.

Una notte, come capitava a volte, si era addormentato sul tappeto mentre vegliava e ammirava il proprio padrone addormentato. Non si era reso conto di quanto tempo fosse trascorso, quando una mano fresca e forte lo scosse gentilmente per una spalla. Aprì gli occhi saltando su confuso e si trovò di fronte il suo giovane padrone.

"Che fai qui in terra? Perché non sei nel tuo letto?" chiese Patrick stupito.

Kutkhay arrossì sentendosi scoperto e conscio della propria nudità: "Io.. io volevo... vegliare il signore..."

"Ma perché? E poi, non hai freddo lì?"

"Io... no, non importa."

"Ma perché non dormi nel tuo letto?" chiese di nuovo Patrick.

"Io... mi sento solo di là, e poi... mi piace vegliare il signore."

"Tutte le notti dormi qui?" chiese stupito il giovanotto.

"Non arrabbiarti, signore..."

"No. Non sono arrabbiato. Ma tu tremi, ragazzo, sei infreddolito. Vieni..." disse guidandolo verso il grande letto, dove salì infilandosi sotto le coltri e tirandolo a sé: "Anche io mi sento solo, a volte. Stai qui accanto a me, ora. C'è posto per due." aggiunse coprendolo accuratamente. Patrick sentiva una gran tenerezza per il ragazzo. "Dormiamo, Cardellino." sussurrò con dolcezza carezzandogli lievemente il capo.

Kutkhay si rannicchiò tutto, facendo attenzione a non sfiorare il corpo del padrone col suo, nel timore che questi potesse rendersi conto del desiderio che si stava risvegliando in lui. Il ragazzo sentiva, sia pure in modo confuso, che da parte del giovane uomo nei suoi confronti vi era solo tenerezza e null'altro.

Patrick infatti, pur non avendo mai provato desiderio fisico per nessuna donna, neppure aveva mai pensato che si potesse provare attrazione fisica per un uomo. Anche se aveva ormai compiuto i ventitré anni, non s'era ancora mai posto il problema del rapporto sessuale. Qualche rarissima volta si era dato sollievo da solo, ma senza accompagnare l'atto con nessuna fantasia erotica. Nei confronti del ragazzo provava solo una forte simpatia, una dolce tenerezza, ma nessuna attrazione o interessamento sessuale conscio. Così, senza malizia, lo tirò un po' a sé carezzandogli lieve le spalle. Si addormentarono, Patrick sereno e tranquillo, Kutkhay felice ma teso.

Durante la notte a poco a poco i due corpi si accostarono inconsciamente, forse cercando solo calore l'uno dall'altro. Kutkhay si svegliò e sentì che anche il padrone ora era eccitato: ne percepiva l'erezione, attraverso la leggera batista delle brache di questi, palpitargli lieve contro una gamba. Kutkhay non riuscì più ad addormentarsi fino al mattino, quando tutto tornò normale. Quando Patrick si svegliò nulla tradiva l'eccitazione della notte. Il padrone svegliò Kutkhay scuotendolo dolcemente. Il ragazzo aprì gli occhi e vide il volto sorridente del giovane uomo a un palmo dal suo.

"Hai dormito bene, Cardellino?"

"Certo, signore, molto bene."

"Ti sei sentito solo?"

"Oh no, signore!"

"Bene, neanche io. Allora, quando ti senti solo, verrai a dormire qui con me e non in terra sul tappeto, chiaro? Ci terremo compagnia. Ma ora alzati, vestiti e portami la colazione: stamane voglio mangiare a letto."

Da allora il ragazzo dormì sempre più spesso nel letto del padrone, e in capo ad un paio di mesi, quando Patrick si metteva a letto, chiamava il ragazzo per farlo dormire al suo fianco, ogni notte. Prima di dormire parlavano un po' e poi si addormentavano mentre Patrick gli carezzava lieve i capelli o una spalla, a volte anche il petto.

In quelle carezze non c'erano sottintesi sessuali eppure Kutkhay si eccitava moltissimo. Ma cercava di fare in modo che il suo padrone non se ne accorgesse. Qualche volta questi, durante la notte, gli si addossava con tutto il corpo e alcune volte il ragazzo si svegliava sentendo l'erezione del padrone premergli contro. Allora spesso provava la tentazione di insinuare una mano fra i loro due corpi per toccarla, per goderla, ma non l'aveva mai fatto; non toccava a lui fare il primo passo: il rispetto del rango era un principio che gli era stato inculcato fin da piccolo.

A volte, prima di addormentarsi, Patrick gli chiedeva di raccontargli qualcosa sulla sua precedente vita nel villaggio, sui costumi della tribù. Il ragazzo raccontava, sottovoce, finché il ritmo regolare e profondo del respiro del giovane uomo gli faceva capire che il padrone si era addormentato. Allora taceva e attendeva il sonno che non tardava a venire, godendosi la vicinanza di quel corpo amato e desiderato, pronto al mattino a saltar giù dal letto per servirlo con rinnovato entusiasmo.

Anche Patrick in realtà s'era sempre sentito solo: già piccolissimo aveva dovuto dormire da solo, in una camera tutta per lui. Così ora quella presenza dolce e discreta, fresca e calda accanto a lui, gli dava un piacere fino ad allora sconosciuto e insospettato, ma in fondo, se pure inconsciamente, desiderato fin da bambino.

Se da una parte Kutkhay era sempre più innamorato del suo padroncino, e lo era in modo dolorosamente cosciente date le sue precedenti esperienze con il dolce Mokoa, per Patrick si stava rafforzando quel già forte sentimento di dolcezza, tenerezza e protezione nei confronti del ragazzo, e forse anche di affetto, a cui però non sapeva dare un nome, poiché non aveva esperienze per leggervi dentro e poiché la sua educazione era tale che non avrebbe mai preso in considerazione la possibilità di innamorarsi di uno del proprio sesso, per di più un servo. La religione, la società, l'educazione, tutto contribuiva a non fargli capire ciò che stava nascendo fra lui e il ragazzo.

Ma proprio la mancanza di esperienza e di malizia del padrone, e il profondo rispetto del ragazzo, facevano sì che fra i due si instaurasse a poco a poco un'intimità stretta e pura, che diversamente sarebbe sfociata quasi certamente o in un rifiuto netto o in una sensualità quasi puramente materiale. Così passarono i giorni e le settimane e i due erano sempre più vicini e uniti, pur restando il loro rapporto su un piano non fisico.


Patrick continuava a curare l'educazione del ragazzo. Ma volendo che giungesse oltre il semplice saper leggere, scrivere e far di conto, decise di affidarlo a un giovane studente universitario di famiglia povera che, dando lezioni al ragazzo, avrebbe potuto pagarsi gli studi: Rodney Rupert. Il giovane abitava in una piccola e modesta casa non lontana dalla Villa De Bruine, e la sera dopo cena aveva un po' di tempo libero dagli studi. Viveva solo con la madre che faceva la sarta. Il padre era morto quando lui era molto piccolo. Quando Kutkhay andava a lezione quasi sempre la madre era già a letto o vi stava andando, poiché si alzava molto presto: infatti cuciva solo alla luce del giorno, per tutta la giornata, e la sera era sempre molto stanca. La stanza in cui studiavano era arredata in modo povero, ma pulito e dignitoso. Vi erano tre stanze nell'appartamentino: la camera da letto della madre, la cucina e la grande stanza col caminetto, nella quale c'era anche un sommier su cui dormiva Rodney.

A Kutkhay il giovane fu subito simpatico: aveva una voce lieve e un atteggiamento gradevolmente vivace. Sedevano fianco a fianco al tavolo su cui era il lume a petrolio che dava loro luce. Rodney era di due anni più vecchio di Kutkhay: aveva un bell'aspetto, pur non essendo veramente bello; un casco di fini capelli fittamente ondulati castano scuri con una sfumatura ramata, occhi bruno dorati con due lunghe sopracciglia che ne sottolineavano la profondità, un naso piccolo e leggermente all'insù che gli dava un'aria vagamente sbarazzina, una bocca ampia con due labbra piene, dritte e lievemente sensuali. L'insieme del volto era illuminato da un'espressione franca e onesta. Il corpo era minuto, ma gli abiti modesti non nascondevano la sua muscolatura ben sviluppata che mostrava come il ragazzo dovesse fare molto esercizio fisico.

Ma c'era soprattutto un particolare che aveva subito attratto l'attenzione di Kutkhay: i calzoni attillati disegnavano e lasciavano intravedere in modo chiaro la presenza di un notevole equipaggiamento virile. Fin dalla prima volta che si incontrarono Kutkhay notò che lo sguardo di Rodney indugiava a lungo sul suo corpo con malcelato interesse e questo gli fece piacere.

Patrick concordò con Rodney il programma di insegnamento, gli orari e la paga, così Kutkhay iniziò i suoi corsi. Sedendogli accanto durante le lezioni, spesso lo sguardo di Kutkhay indugiava fra le gambe del suo giovane insegnante e ogni volta il ragazzo si eccitava. Specialmente quando, presa un po' più di confidenza, a volte Rod, mentre leggevano dallo stesso libro, si chinava verso di lui e gli cingeva una spalla o gli posava una mano sul braccio.

Dopo aver studiato, spesso Rod gli faceva i complimenti: "Sei un ottimo allievo, dai molta soddisfazione." e Kutkhay ne era molto contento.

A volte, facendo un intervallo durante la lezione, i due ragazzi chiacchieravano per qualche minuto accanto al caminetto acceso, ora che si era in inverno. Rod preparava un tè e lo sorseggiavano lentamente. A Kutkhay piaceva guardare il volto dell'altro illuminato dalle ultime fiamme del camino, in un gioco mutevole di luci e di ombre. Anche i suoi capelli cambiavano colore, al muoversi delle fiamme, tra bruno scuro e oro antico. La sua pelle brillava come avorio prezioso e agli occhi di Kutkhay quel giovane diventava più desiderabile ed eccitante che mai, in quei momenti incantati accanto al fuoco. Gli piaceva anche l'odore della legna che bruciava e il vivo riverbero del calore della brace, e il suono della voce bassa e calma di Rodney. Era tutto un insieme di sensazioni che coinvolgevano tutti i suoi sensi e che si mescolavano piacevolmente in un'amalgama erotica che non faceva che accentuare il suo desiderio verso l'altro.


Una sera, quando Kutkhay stava per tornare alla villa, Rod allungò una mano e prese la mano del suo allievo. Restarono lì, immobili, in silenzio, guardandosi l'un l'altro a lungo, dritto negli occhi che brillavano al chiarore delle ultime braci rosseggianti e che sembravano misteriosamente animati.

"Ci vediamo domani sera, Goldie." disse infine Rod con una voce che era come un carezzevole sussurro.

"Certo. Mi piace venire, star qui... con te." rispose Kutkhay emozionato, con voce lievemente strozzata.

"Ti aspetterò, non tardare." disse Rod chinandosi verso di lui e dandogli un bacio lieve su una guancia, quasi senza sfiorarlo.

La sua mano strinse quella di Kutkhay, i suoi occhi brillarono intensamente, poi si allontanò. Ma Kutkhay vi aveva letto il desiderio e fremette. Rod lo accompagnò fino alla porta e qui, prima di aprirla, gli dette un altro lievissimo bacio, ma questa volta sulle labbra, poi lo salutò. Kutkhay tornò alla villa perso in mille pensieri: qualcosa in quel ragazzo lo attraeva irresistibilmente. Ripensando a quei due lievi baci Kutkhay capì con chiarezza che avrebbe potuto far suo il giovane insegnante con facilità: questi era ansioso di arrenderglisi. Ma era il suo maestro, toccava a lui decidersi...

Poche sere più tardi, durante l'intervallo, Rod gli offrì per la prima volta un liquore. Il calore proveniente dal caminetto, unito a quello procurato dal liquore, risvegliarono in Kutkhay un vigoroso impulso di desiderio per l'altro. Lo guardò e notò che Rodney era eccitato: la prova palpitava appena, ma in modo inequivocabile, sotto la tela dei calzoni di Rod, più tesa del solito. Allora Kutkhay gli prese una mano e lo attirò a sé. Erano entrambi seduti su due cuscini davanti al caminetto. Rod gli scivolò accanto, lo guardò in silenzio, poi lo abbracciò appena, poggiandogli il capo su una spalla. Restarono così, immobili: solo lo scoppiettio della brace rompeva il silenzio che era calato fra di loro e che li avvolgeva. Allora Kutkhay gli posò le labbra su un orecchio e cominciò a strofinarle appena, poi, d'istinto, prese a mordicchiarglielo lievissimamente. Rod sospirò impercettibilmente, ebbe come un fremito, girò appena il capo e baciò il ragazzo sul collo. Però dopo un po' si separarono e tornarono a studiare. Ma ormai quasi ogni sera, seduti accanto al fuoco per l'intervallo, si accostavano e il loro toccarsi, darsi piccoli baci, abbracciarsi, divenne via via più intimo ed eccitante. Tutti e due sapevano bene ormai che cosa desiderasse l'altro, ma nessuno dei due osava ancora fare il primo passo esplicito. Forse era anche la presenza della madre che dormiva nella stanza accanto a frenarli.

Ma una sera, appena Rodney ebbe aperto la porta e fatto entrare Kutkhay, disse: "Questa sera siamo soli. Mia madre è andata dalla sorella che partorisce... mancherà per almeno un mese..." e la sua voce era calda, sensuale, insinuante.

Per Kutkhay fu un chiaro invito. Allora, d'impulso, lo abbracciò tirandolo a sé. Rod per un attimo sembrò sorpreso, ma poi si abbandonò e baciò Kutkhay in bocca, con calore. In breve furono entrambi eccitati, l'uno sentiva chiaramente il desiderio dell'altro, il loro abbraccio si fece più stretto, le loro mani presero a esplorare il corpo dell'altro, le loro labbra si unirono di nuovo e le loro lingue si cercarono. Con calma e metodo, senza che le loro bocche si separassero, Kutkhay iniziò a spogliare il compagno, che lo lasciava fare docilmente.

Quando fu nudo, Rod gli mormorò: "Lasciati spogliare, Goldie: voglio vedere il tuo corpo nudo, toccarlo... finalmente."

Kutkhay lo sospinse fremente fino al sommier e gli sussurrò con voce sensuale: "Come vuoi tu, Rod..."

L'altro sorrise appena e i suoi occhi brillarono con anticipazione. Quando anche Kutkhay fu completamente nudo, ne carezzò lievemente tutto il bel corpo facendolo fremere dal desiderio, poi lo carezzò intimamente e lo attirò a sé sul sommier mormorandogli eccitato, la voce roca per l'emozione: "Prendimi Goldie, prendimi! Ti voglio sentire in me: lo desidero dal primo giorno che ti ho visto."

Kutkhay non si fece pregare, lieto di poter finalmente dare libero sfogo alla propria sessualità, dopo tanti mesi di astinenza. Così, senza indugio, lo fece girare e, tenendolo stretto a sé, lo prese. Rodney gli si agitava sotto felice, assaporando la vigorosa cavalcata dello splendido allievo.

La relazione così iniziata con Rodney, però, anziché sopire il desiderio che Kutkhay provava per il suo giovane padrone, ebbe l'effetto di acuirlo, di renderlo ancora più intenso. Quando la notte il ragazzo si trovava accanto a Patrick, spesso semiabbracciato da questi, carezzato lievemente, gli diventava sempre più difficile starsene lì buono buono, tranquillo, controllare la propria eccitazione, non far nulla.

Quando tornò la madre di Rod, inizialmente le loro effusioni ebbero un freno, per timore che questa potesse alzarsi e sorprenderli in atteggiamenti intimi. Ma il reciproco desiderio era tale che, durante la lezione, iniziarono a sfiorarsi, poi a carezzarsi, a darsi baci... finché una sera durante l'intervallo, benché vestiti, tornarono a unirsi, a donarsi piacere reciproco senza più freni. Anzi, il rischio che correvano contribuiva a rendere quei momenti più eccitanti che mai. D'altronde non era mai capitato che la donna si alzasse di nuovo dopo essere andata a dormire. Comunque ora erano ridotti a unirsi senza spogliarsi, gli abiti ancora indosso, solo i calzoni aperti e parzialmente calati, con una specie di fretta febbrile. Poi riprendevano la lezione continuando a carezzarsi intimamente di tanto in tanto. Infine il ragazzo tornava svelto alla villa, anticipando il momento di rivedere il suo padrone, di stargli accanto.

Una notte, prima di addormentarsi, Patrick chiese a Kutkhay: "Vai volentieri a lezione da Mr. Rupert, la sera?"

"Sì, signore."

"Il tuo insegnante è bravo?"

"Sì, molto."

"Ti piace dunque."

"Sì."

"Mi sembra un bravo ragazzo, serio e simpatico. Sono contento di aiutarlo pagandogli le lezioni. E ho l'impressione che tu stia facendo progressi notevoli sotto la sua guida."

Kutkhay pensò a quello che facevano durante gli intervalli e provò un lieve rimorso nei confronti del suo padroncino. Rimorso e rimpianto: quanto gli sarebbe piaciuto fare l'amore con Patrick anziché con Rod. Sarebbe mai capitato? Temeva proprio di no. Non che con Rodney stesse male, anzi, ma avrebbe rinunciato a cento Rodney pur di poter fare l'amore con Patrick. Immerso in questi pensieri il ragazzo si eccitò, soprattutto perché sentiva vicino il tepore del corpo di Patrick e questi, come ormai capitava spesso, gli stava carezzando lievemente la schiena.

Improvvisamente dall'esterno provenne il forte e prolungato rombo di un tuono che fece tremare i vetri della finestra, seguito dopo poco da un vivido lampo e da un forte colpo secco quasi immediato. Kutkhay istintivamente rabbrividì rannicchiandosi tutto. Non aveva paura del tuono, era stata solo la sorpresa a farlo sobbalzare.

Patrick lo cinse fra le sue braccia stringendolo a sé e gli sussurrò: "Non aver paura..."

Ma il tremito che ora sconvolgeva le membra del ragazzo non era di paura, ma di emozione: era la prima volta che il padrone lo abbracciava e lo serrava contro il suo forte petto nudo e la sensazione era così bella e intensa da togliergli il fiato.

Gli si rannicchiò ancor più contro e l'altro lo strinse con più forza: "Stai tranquillo, mio dolce Cardellino, ci sono qui io, non devi avere paura. È solo un temporale passeggero: in questa stagione passano in fretta."

Kutkhay ne sentiva la pelle contro la sua, a diretto contatto e fremeva per il piacere. Un nuovo lampo seguito da un tuono più vicino: il temporale stava investendo la villa, ma ben altro e più violento temporale si era scatenato nel cuore e nel corpo del ragazzo. Ora gocce violente di pioggia battevano contro i vetri riempiendo di rumore la stanza: Kutkhay lo ascoltava e sentì che era esattamente lo stesso rumore del battito impazzito del proprio cuore. Gli sembrava persino impossibile che Patrick non lo sentisse. La sua testa posava sul forte petto del giovane uomo: quanto era dolce stare così, sentire la pelle liscia e tiepida contro la guancia! A poco a poco questa ineffabile dolcezza gli scese nel cuore e Kutkhay si rilassò. Il suo padrone aveva preso a carezzargli lieve i capelli e un senso di pace lo avvolse; la sua eccitazione ora si stava calmando e, quasi in risposta, anche il breve temporale iniziò ad allontanarsi, ad attenuarsi.

Patrick, continuando a carezzarlo, sussurrò: "Adesso dormiamo, Cardellino. Domattina devo alzarmi presto. Devo partire con mio padre per andare fino al porto a controllare il carico di alcune navi. Mancherò per tre o quattro giorni."

"Mi porterete con voi?" chiese Kutkhay con un filo di voce.

"No, non è possibile, mi dispiace. Prendiamo solo il calesse che sarà già carico: dobbiamo portare molte cose, perciò..."

"Allora aspetterò..." disse il ragazzo con tono rassegnato.

Tacquero, ma restarono entrambi svegli a lungo. Il temporale ancora brontolava di tanto in tanto, lontano.

"Mi mancherà, signore." sussurrò Kutkhay.

Patrick non rispose e poiché da un po' aveva anche smesso di carezzarlo, il ragazzo pensò che il padrone si fosse addormentato.

Ma dopo un lungo momento, Patrick mormorò: "Anche tu mi mancherai, sai, Cardellino!" e riprese a carezzarlo, mentre il ragazzo si accucciava di più contro di lui, quasi a cercare quel calore che presto gli sarebbe mancato per alcuni giorni.

La notte era calma, ora. Lontano lontano si indovinava l'abbaiare di un cane che riusciva appena a turbare la quiete della notte fonda e oscura. Kutkhay rifletteva: da quando il suo padrone l'aveva salvato, sulla nave, e l'aveva preso con sé, questa sarebbe stata la prima volta che si separavano. Per tre, quattro notti, avrebbe dormito da solo, sarebbe stato solo. Per la prima volta sentì che era in una terra straniera. Certo, anche prima aveva trovato mille cose strane, anche prima aveva avuto problemi per adattarsi a quella vita nuova, così diversa, così strana, così complicata e a volte ne aveva ancora. Ma c'era sempre stato accanto a lui il suo padrone che lo proteggeva, che lo aiutava, che lo difendeva.

Questo primo distacco, sia pure per pochi giorni, gli provocava un senso di smarrimento, di timore. All'improvviso tutte le stranezze di quella cultura così differente da quella in cui era nato, da cui proveniva, tutte le difficoltà che incontrava e che fino ad allora aveva sempre accantonato, gli sembrava che gli si riversassero addosso. Sì, lui si era già un po' acculturato, si stava integrando, ma non era ancora un bianco, anche se molti lo credevano tale. La sua forza veniva solo dalla sicurezza che proveniva dal fatto di sentirsi protetto, ma ora...

Tre, quattro giorni, si disse, passeranno in fretta. Sono un periodo breve, in fondo. Quattro giorni fa, per esempio... che cosa aveva fatto? che cosa era successo? Non riusciva a ricordare tutto in dettaglio, si confondeva nel cercare di riordinare i ricordi e improvvisamente anche solo quattro giorni gli sembrarono un periodo terribilmente grande, lungo.

Troppo lungo!


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