CARDELLINO PARTE TERZA - CAPITOLO 14
Ormai il progetto aveva preso forma e già stava sviluppandosi: da un paio d'anni avevano affrancato i propri schiavi offrendo loro un salario in cambio del lavoro e garantendo loro che avrebbero potuto andarsene quando volevano. All'inizio gli schiavi furono confusi.

"Ma da chi andremo, signore, chi ci vorrebbe dovendoci pagare un salario, quando uno schiavo è gratis?" chiese uno di essi esprimendo il pensiero di tutti.

Rispose Barney: "Certo, hai ragione. Resteremo qui, anche perché comunque qui stiamo bene. Ma se un giorno vorremo far studiare i nostri figli, o sposarci, o far altro, avremo messo da parte un gruzzoletto e potremo decidere liberamente, invece che sperare che un padrone decida al posto nostro. La libertà non è solo fare quello che si vuole: è anche avere responsabilità. È poter decidere ma è anche dover decidere."

La voce che i De Bruine - Van Kleft avevano liberato tutti i propri schiavi e ora li salariavano, fece presto il giro non solo della città ma anche dello stato. La maggioranza delle famiglie benestanti li giudicò con sufficienza come pazzi idealisti, ma qualche famiglia imitò il loro esempio e questo costituì già un primo successo. Inoltre Barney aveva preso contatto con il pastore Matthew e ora si occupava di finanziare la rete segreta che favoriva la fuga degli schiavi. Agli schiavi che potevano essere riscattati spesso veniva offerto di lavorare per la Compagnia De Bruine, a seconda delle loro capacità, sulle navi, o in porto o ai magazzini. Henrietta volle aprire una scuola per i figli degli ex schiavi perché potessero raggiungere una istruzione sufficiente e trovare eventualmente anche lavori non manuali. Barney curava l'accoglienza dei fuggitivi.

Kutkhay si accorse che il giovanotto, approfittando un po' della sua nuova posizione e della sua libertà di movimento, a volte metteva gli occhi su qualche bel ragazzo e, se questi ci stava, non esitava a portarselo a letto. La cosa in sé non lo scandalizzò ma si chiese se anche Jimmy si fosse reso conto della cosa e se non ne stesse soffrendo.

Così un giorno prese Barney in disparte e gli chiese: "Barney, come va tra te e Jimmy?"

"Oh, molto bene,grazie. È un amante delizioso."

"Sei contento di stare con lui?"

"Molto contento."

"Ma allora perché cerchi spesso avventure con altri ragazzi?"

"Ma faccio l'amore solo con quelli che ci stanno." rispose Barney sulla difensiva.

"Sì, questo l'ho capito. Ma non credi che Jimmy possa essere geloso, starci male se sapesse che tu lo tradisci?"

"No, io ne ho parlato con lui. Lui lo sa, non lo faccio di nascosto da lui. È che io fin da piccolo sono abituato ad andare con molti maschi e uno solo non mi basta. Ma io amo solo Jimmy e ci tengo a lui. Se lui mi chiedesse di smettere io ci proverei, ma non credo che ci riuscirei: mi basta vedere un bel ragazzo che mi viene subito voglia di provarci. Mi attira la novità, l'avventura. Io sono fatto così, Goldie. Ti ricordi quando ci avevo provato anche con te? Io sono innamorato di Jimmy, te lo giuro. Forse anche perché lui mi capisce e mi vuole bene ugualmente."

"Ma ti sembra il caso di raccontargli ogni cosa?"

"L'ha messo lui come patto: gli piace sentirmi raccontare le cose che faccio e mentre gliele racconto si eccita e allora facciamo l'amore anche meglio. Lui vuole che faccio con lui le stesse cose che faccio con gli altri ragazzi, nello stesso modo. Ma Jimmy in più ci mette tanto amore e è molto bello. Non rinuncerei mai a lui."

"Capisco: Mokoa, il mio primo amante era un po' come te... Ma tu promettimi che farai attenzione a non far soffrire Jimmy."

"Certo. Gli altri sono solo avventure, lui è il mio amante."

"Scusami Barney se mi sono intromesso in questo modo nella tua vita privata..."

"Siamo o non siamo una sola famiglia?" gli rispose allora il giovane in tono allegro.

Poi, cambiando discorso, sottopose a Kutkhay un nuovo progetto per la campagna di liberazione degli schiavi. Tutta la famiglia era impegnata, oltre che nel solito lavoro di gestione degli affari, in quest'opera. Presto non furono soli: da altre città e Stati venivano persone illuminate a offrire collaborazione, sostegno, aiuto. Ricevevano, è vero, anche ingiurie, amichevoli consigli a desistere, minacce, ma ormai erano decisi, pur sapendo che correvano qualche rischio, a continuare. Alcuni clienti rescissero i contratti o tolsero i fondi dalle banche, ma ne arrivarono altri che invece, proprio perché sapevano in quale campagna si erano impegnati, volevano in questo modo dar loro un aiuto discreto.

Fu in questa atmosfera di fervore che qualcuna delle famiglie che sostenevano questa azione, propose a Rod di presentarsi candidato alle prossime elezioni per rappresentarle. Rod infatti aveva un'ottima dialettica, era molto istruito e sapeva essere convincente e infine, non guastava, aveva anche una bella presenza. Rod all'inizio nicchiò un po', ma poi, dietro le pressioni di tutti e specialmente di Patrick, Kutkhay e Henrietta, accettò.

In quelle elezioni non riuscì per poco, ma ormai si era lanciato e non desistette. Vinse però le elezioni seguenti e divenne deputato. Patrick, per fargli avere i fondi necessari per la sua attività politica senza che il giovanotto sentisse di dipendere da loro per ogni spesa, con l'accordo di Kutkhay e Henrietta, prese Rod come socio d'affari. Rodney era commosso. Accettò proprio perché sapeva che era per una giusta causa. La madre di Rod nel frattempo si era risposata ed era andata a vivere col marito altrove. Perciò Rod era restato solo. Decisero quindi di invitarlo ad andare ad abitare nella villa: oltre tutto, ora che era deputato, era opportuno che vivesse in un ambiente più dignitoso. Così anche Rod entrò a far parte a pieno titolo della famiglia.


Ormai Mike stava per compiere i sette anni. Nella villa si stavano facendo i preparativi per festeggiarlo. Henrietta col figlio erano andati per alcuni giorni a casa di parenti che vivevano nel sud in modo che gli altri potessero preparare una sorpresa per il piccolo al suo ritorno. Qualcuno suonò alla porta. Long Jack, che ora era maggiordomo, andò ad aprire. Un uomo non ancora sulla trentina chiese:

"È questa la casa di Mr. George Van Kleft? È in casa?"

"Sì, signore. Chi devo annunciare?"

"Sono Hugo Bush, ma il mio nome non gli può dire nulla, non ci conosciamo. Gli dica che sono un giornalista del Guardian di Londra e che gradirei poterlo intervistare."

Long Jack lo fece accomodare in biblioteca e andò ad avvertire Kutkhay che stava decorando la stanza del piccolo Mike. Questi rimise la giacca, si assestò i capelli e scese in biblioteca.

"Mr. Bush? Sono George Van Kleft." disse tendendo la mano.

L'altro la strinse e disse: "La immaginavo diverso. Piacere di conoscerla."

Kutkhay sorrise: "Diverso? Come?"

"Mah... non so. A dire il vero non mi ero fatto un'immagine mentale di lei. Ho letto il suo libro, visto i suoi disegni. Poi ho saputo anche della sua campagna contro lo schiavismo. Così mi son detto: vale la pena di andarlo a conoscere. Il direttore del giornale è stato d'accordo, così eccomi qui..."

L'uomo era sorridente, aperto e aveva un'aria raffinata e intelligente. A Kutkhay fu istintivamente simpatico.

"Mi prende in un momento un po' particolare: stiamo preparando la festa di compleanno per Mike, il figlioletto di mia cugina Henrietta, e..."

"Ah, Henrietta Van Kleft è sua cugina?" chiese l'altro.

"Sì... la conosce?"

"Come potrei: è la prima volta che Hugo Bush viene in questa bella terra oltre oceano, anche se sono anni che lo desidera. Comunque... è in casa la signora?"

A Kutkhay sembrò strano quel parlare di sé in terza persona ma non vi fece caso: forse era solo un modo un po' affettato di esprimersi, forse era tipico degli inglesi.

"No, mia cugina è assente da alcuni giorni col piccolo."

"Ma torniamo a lei: avrei molto piacere di poterla intervistare, di conoscerla per poterla presentare ai nostri lettori in Inghilterra. Potrà concedermi un po' del suo tempo?"

"Sono molto occupato, ma... Se crede, potrebbe venire a pranzo qui in casa nostra, così potremo parlare tranquillamente."

"La ringrazio. Approfitterò volentieri della sua proposta."

"Allora, domani alle 12,30 se per lei va bene."

L'altro accettò subito, ringraziò, salutò e uscì. Quella sera Kutkhay, tutto elettrizzato, raccontò a Patrick e Rod del giornalista. Il giorno seguente questi giunse puntuale. Dopo il pranzo i quattro uomini andarono in salotto e iniziò l'intervista.

Quando andò via, dopo essersi dati appuntamento per il giorno dopo a pranzo, Rod esclamò: "Accidenti che bell'uomo affascinante. E, da come ci guardava, direi anche che forse... potrei avere qualche speranza."

"Amore a prima vista?" chiese scherzoso Patrick.

"Quasi. Mi piace davvero molto, è proprio il mio tipo."

Kutkhay annuì: "Anche a me ha dato quell'impressione. Pur avendo un aspetto assai virile, c'è un non so che... oltre il modo di guardare. A dire il vero il modo in cui guardava me mi metteva un po' soggezione: sembrava volermi leggere dentro. Te Patrick ti guardava con lieve curiosità e guardava Rod con genuino interesse. Che anche lui sia restato colpito da te, Rod?"

"Magari. Ma credo che sia meglio non farsi troppe illusioni. Comunque tornerà ancora per qualche giorno, da quel che ho capito..."

"Faremo in modo che l'intervista duri a lungo e domani vi metteremo a sedere vicini..." suggerì malizioso Patrick.

Il giorno seguente Mr. Bush pose alcune domande sull'azione per l'abolizione dello schiavismo. Allora Kutkhay prese la palla al balzo e gli disse che, più che a lui, doveva porre le sue domande a Rod, perché era lui la mente di tutto il movimento. Il giornalista allora si rivolse al giovane deputato chiedendogli se avrebbe potuto dedicargli un po' di tempo. Rod, emozionato, rispose che gli avrebbe concesso molto volentieri tutto il tempo necessario. Così dopo poco Patrick e Kutkhay, con una scusa, se ne andarono e li lasciarono soli.

Quando si rividero più tardi Rod era lievemente agitato: "Non dovevate farmi questo tiro, voi due!" protestò fingendosi arrabbiato.

"Perché è andata male?" chiese Kutkhay fingendo a sua volte preoccupazione.

"No, non lo so... So solo che mi piace davvero molto quel tipo. A volte doveva ripetermi due volte le domande perché ero così preso nel guardarlo che quasi non lo stavo a sentire. Che devo fare? Mi interessa molto, ma non vorrei fare un passo falso..."

I due amici dapprima gli diedero consigli scherzosi ma poi, più seriamente, gli dissero che non c'era altro da fare che cercare di lasciarli soli il più a lungo possibile nella speranza che Rod capisse se l'altro era interessato a lui oppure no.

"Portalo a vedere gli uffici, la scuola di Henrietta, fagli leggere le tue proposte di legge, i tuoi interventi... Invitalo a venire a cavallo con te..." propose Patrick.

"Secondo me anche lui è attratto da te." disse Kutkhay, "Oggi a pranzo ti guardava un po' troppo spesso e quando tu te ne accorgevi distoglieva lo sguardo un po' troppo in fretta. Mi sbaglierò, ma... Perché non lo porti al nostro laghetto e non lo inviti a nuotare?"

"Perché? Perché se Hugo si spoglia davanti a me, chi mi trattiene più!" esclamò Rod fra il serio e il faceto.

Hugo Bush continuò a frequentarli per alcuni giorni finché giunse la vigilia del compleanno di Mike.

"Domattina rientreranno mia moglie e il piccolo. Che ne dice, Mr. Bush, di essere nostro ospite per la festa di compleanno? Così potrà conoscere anche il resto della mia famiglia." propose Patrick.

"La ringrazio, Mr. De Bruine, ma penso che in una festa familiare sia meglio che non ci siano estranei..."

"Ma no, che dice! Ci saranno anche altri amici di famiglia e per i piccoli più gente c'è più la festa è riuscita. Allora, sarà dei nostri anche domani?" insisté Patrick.

"Va bene, allora. A che ora sarà la festa?"

"Alle undici di mattina. Mia moglie dovrebbe rientrare domattina presto: non sono molto lontani e andrò a prenderla con la carrozza in modo che siano qui per le nove, almeno avranno il tempo di rinfrescarsi e cambiarsi."

"A domani, Mr. De Bruine, e grazie. Arrivederci anche a lei, Mr. Van Kleft e anche a lei Rodney." salutò il giornalista e uscì.

"Ehilà, ti chiama per nome ora! È un bel progresso!" notò subito dopo Kutkhay.

"Beh, a dire il vero gliel'ho chiesto io, perciò non significa molto. No, non riesco a capire: a volte sembra particolarmente gentile e interessato a me, altre volte è così formale... Forse sarebbe meglio che non mi illuda troppo." disse Rod serio.

Quando furono soli Patrick chiese a Kutkhay: "Tu che ne dici? Rod sembra essersi preso una vera infatuazione per il nostro giornalista."

"E secondo me anche Mr. Bush non è insensibile a Rod. Ci metterei la mano sul fuoco. Rod dovrebbe avere un po' più di coraggio. Come si può pretendere di essere sicuri prima di muoversi? L'unico mezzo è provarci."

"Beh, non è così semplice: se Rod si sbagliasse potrebbe anche nascerne uno scandalo e non può certo permetterselo, nella posizione in cui è ora."


Il mattino seguente Patrick partì di buon'ora con la carrozza e andò a prendere Henrietta e il figlio. Mentre era assente arrivò Mr. Bush che fu ricevuto da Kutkhay.

"Le chiedo scusa, ma ho pensato che più tardi mi sarebbe difficile continuare l'intervista e avrei ancora alcune cose da chiederle e così mi sono permesso..." si scusò l'uomo.

Kutkhay lo fece accomodare in biblioteca.

Il giornalista chiese: "Non c'è Mr. Rupert?"

"Sì, credo che sia ancora in camera sua, non l'ho visto scendere. Vuole che faccia chiamare Rod?"

"No, non importa, lo vedrò più tardi. Veniamo a noi: c'è una cosa che le vorrei chiedere: da alcune informazioni mi risulta che suo padre la diseredò. È vero? Come mai?"

"Sì, è vero. Dissidi fra me e mio padre: voleva impormi cose che non potevo accettare."

"Già. Perciò alla morte di suo padre ereditò tutto sua cugina Henrietta, vero?"

"Non esattamente: prima ereditò tutto il padre di Henrietta e alla sua morte passò tutto a lei."

"Perciò ora è tutto di sua cugina?"

"No. Poco dopo il mio ritorno volle restituirmi la mia parte. Non ne avevo alcun diritto legale ma Henrietta insisté molto e alla fine accettai, ponendo la condizione che continuasse a gestire il patrimonio suo marito. E io ho fatto testamento in favore di Mike."

"Capisco. E, mi tolga una curiosità, quando Henrietta la vide tornare dopo tanti anni, la riconobbe subito?"

"Sì, immediatamente. Eravamo molto legati noi due, fin da piccoli. Siamo cresciuti assieme, eravamo i confidenti l'uno dell'altra. Quando decisi di partire lei aveva cercato di convincermi a restare ma io volevo allontanarmi da mio padre, così..."

Mentre Kutkhay stava recitando disinvoltamente la sua parte, si aprì la porta della biblioteca e comparve Patrick: "Oh, eccovi qui. Mi avevano detto che lei era già arrivato, Mr. Bush. Tra un attimo verrà mia moglie e avrò il piacere di presentarvi. Oh, eccola. Cara, questo è Mr. Bush, giorna..."

La donna era entrata sorridendo, il giornalista s'era alzato in piedi, Henrietta aveva mormorato: "Mio Dio!" e si era accasciata, svenuta. Subito i tre uomini la soccorsero e la adagiarono in una poltrona.

Quasi immediatamente Henrietta, cui un pallore mortale aveva soffuso il volto, riaprì gli occhi e mormorò: "George..."

Subito sia Kutkhay che il giornalista, a una voce, chinandosi verso di lei, risposero premurosi:

"Sì?"

poi Kutkhay si arrestò, guardò con occhi sgranati il giornalista e a mezza voce mormorò a sua volta: "Mio Dio!"

Frattanto il giornalista s'era inginocchiato accanto alla donna, le aveva preso una mano fra le sue e le stava dicendo: "Perdonami, Henrietta, è stato uno stupido scherzo... Non credevo di darti questa emozione..."

La donna gli carezzò una mano, poi disse: "Sedete tutti, credo che ci siano molte cose da dire..."

Così, con un filo di voce, Henrietta iniziò, ritrovando pian piano le forze. Il vero George ascoltava attentamente, senza interrompere. Mentre Henrietta stava parlando bussarono alla porta: era Rodney. Henrietta gli fece cenno di entrare e sedersi, e continuò. Rodney all'inizio non capiva che cosa stesse succedendo: vedeva Henrietta seria che raccontava di Kutkhay e stava dando, con profondo stupore di Rodney, la versione vera al giornalista. Guardò Patrick e vide che era visibilmente teso e il suo sguardo correva preoccupato da Henrietta a Hugo a Kutkhay. Questi sedeva quasi accasciato, lo sguardo a terra, confuso, nervoso. L'unico che sembrava tranquillo era Hugo, il giornalista.

"Certo," pensò Rod, "lui è un giornalista, un estraneo, non è coinvolto... ma perché gli stanno svelando tutto?"

Quando Henrietta concluse dicendo: "Ecco, questo è tutto. Nessuno di noi ha voluto profittare di te, della tua assenza, credimi. E comunque sono io, come ti ho detto, ad aver architettato tutto il piano."

Il giornalista le rivolse un sorriso. Poi guardò gli altri due e disse con voce sorprendentemente serena: "Va bene, Henrietta, hai fatto bene. Io ero scomparso. Forse non sarei mai tornato, ma leggere il mio nome su un libro, su un bel libro devo dire, poi rileggerlo su un giornale, mi ha incuriosito. Non sono venuto per protestare, per pretendere ma solo per curiosità, per vedere chi stava usando il mio nome, chi lo portava. E devo dire che sono contento che lo porti tu Goldie, perché lo stai portando con onore. E forse anche per l'ironia della sorte: mio padre mi aveva cacciato di casa perché io non volevo rinunciare ad amare quelli del mio stesso sesso e chi lo ha preso ora ha fatto le mie stesse scelte."

A queste parole Rodney saltò in piedi: "Lei... lei è George?"

Il giornalista lo corresse: "No, è esatto dire che io ero George. Ora George è lui. Io sono Hugo e mi piacerebbe restarlo."

Parlarono. Hugo, per evitare confusioni, chiese che continuassero a chiamarlo così. Chiarì che non gli interessava la sua parte di eredità né il suo vecchio nome o stato sociale: voleva lasciare tutto come era. Kutkhay non riusciva a parlare tanta era la sua confusione e smarrimento. Rod fu quello che parlò più di tutti, oltre a Henrietta e Patrick. Uno dei servi venne a bussare ricordando che stavano per giungere gli ospiti.

Allora tutti andarono a prepararsi, ma Hugo volle restare ancora un poco a tu per tu con Kutkhay: "Via, amico mio, George Van Kleft non può reagire così, lasciatelo dire da me che lo conosco bene. Va tutto bene, tutto davvero."

Il ragazzo lo guardò: "Siete molto buono, molto generoso, voi."

"Eh no, non accetterò che tu mi dia del voi né del lei. In fin dei conti abbiamo molto in comune noi due: io rappresento la prima parte della vita di George e tu la seconda. Continuala bene, ti prego."

"Davvero non mi giudichi male, non ce l'hai con me?"

"Ma no, certo. L'ho detto, sono anzi lieto che il mio nome riviva in te. Mi piaci, giovanotto. E ti auguro tutta la felicità di questo mondo con il marito di mia cugina... Oh dio, è una storia così intricata che se la leggessi in un romanzo la giudicherei incredibile. Forse anche per questo mi piace tanto. E poi vedo come vi guardate tu e Patrick: con vero amore. Mi pare di rivedere me col mio povero Steven. E poi siete così belli e dolci tutti e due..."

Parlarono ancora un po' finché Hugo vide che Kutkhay aveva ritrovato la sua serenità. Allora andarono a unirsi agli altri per la festa di Mike.

Durante la festa Rod si avvicinò a Kutkhay: "Come stai, amico mio?"

"Bene Rod, e tu?"

"Ah, io bene. Se Hugo è il cugino di Henrietta, allora forse ho qualche speranza. Sai, ora ne sono ancor più attratto di prima. Non solo è bello e simpatico, ma è anche una persona eccezionale."

"Allora sbrigati: ha detto che resterà ancora un poco qui con noi, poi ritornerà in Inghilterra."

Rod andò a cercare Hugo e i due si misero a chiacchierare. Kutkhay ogni tanto li guardava spiandone le espressioni. I due parlarono per tutto il tempo, senza lasciarsi mai, interrompendosi solo per salutare o scambiare due parole con gli altri invitati. Quando gli ospiti, nel pomeriggio salutarono e se ne andarono, Henrietta volle trattenere il cugino e anzi lo invitò, d'accordo con gli altri, a disdire la camera in albergo e a fermarsi nella villa. Hugo accettò con semplicità allora Patrick mandò Jimmy ed Ulisses a ritirare i bagagli del nuovo ospite all'albergo.

Kutkhay si avvicinò a Rod: "Allora come va adesso con Hugo?" chiese sottovoce.

"Mah, non so..."

"Ma come, non gli hai ancora detto niente?"

"Non ne ho avuto il coraggio."

"Neanche ora che sai di lui?"

"Ma scusa, non posso mica andar là e chiedergli se gli andrebbe di far l'amore con me, no?" protestò Rodney.

"Beh, e perché no?"

In quel mentre si avvicinò Hugo: "Che state complottando voi due?" chiese scherzoso.

Kutkhay allora, incurante delle occhiatacce di Rod, rispose: "Nulla, stavo solo dicendo al mio amico qui che se ha qualcosa da dirti non deve far altro che dirtelo, semplicemente."

"Certo. Che voleva dirmi, Rodney?"

"Io... nulla." rispose il giovane arrossendo penosamente.

Hugo lo guardò, annuì, poi disse: "Da come arrossisce, Rodney, direi che è qualcosa di molto personale. Vuoi lasciarci, per favore, George?"

Kutkhay sorridendo si allontanò.

Restati soli Hugo disse: "Allora Rodney, preferisci che sia io a parlare?"

L'altro lo guardò negli occhi, sorpreso, e vi si perse: Hugo, lo notava solo ora, aveva due chiarissimi occhi color malva, luminosi, che ricordavano le profondità di un lago di montagna.

"Ebbene, non rispondi? Che succede?" insisté Hugo prendendolo per un braccio, poi aggiunse: "Mi piaci, Rod. Dal primo momento che ti ho visto mi sei piaciuto. Se il tuo carattere fosse adatto al mio, se anche io ti piaccio quanto tu piaci a me, se, se e se... forse tu sei la persona che ho aspettato per anni. Io non ho mai sognato un tipo in particolare, perciò non posso dire che tu sia il mio tipo, ma posso dirti che per quel che vedo e conosco di te, per ora mi piaci moltissimo. E spero di non restare deluso ma anche di non deluderti."

Rod ebbe un breve singhiozzo, poi mormorò: "Ma tu tornerai presto in Inghilterra... non è vero?"

"E chi lo sa? Se avessi una buona ragione potrei anche decidere di stabilirmi qui..."

"Davvero lo faresti?"

"Se me ne dai una buona ragione, sì, Rodney. Dobbiamo soltanto conoscerci meglio, provarci. E siamo fortunati ad avere qui amici che la pensano come noi: tutto sarà più facile. Vuoi provarci con me?"

"Oh, Hugo, non chiedo altro!"

"Allora questa sera potremmo cominciare: verresti a trovarmi nella camera che mi assegneranno?"

Rod come risposta lo abbracciò stretto e lo baciò in bocca.

"Ehi ehi, ci sono due servi qui... non credo..."

"Barney e Jimmy sono nostri amici, non servi, e sono amanti."

"Anche loro? Dio mio dove sono capitato!" esclamò Hugo fingendosi scandalizzato, poi chiese: "Ma qui... tutti..."

"No, solo loro due, per quel che ne so, oltre a Goldie e Patrick e adesso noi due... Verrò, puoi giurarci. Anzi, se non fosse scortese verso gli altri, ci verrei subito, in camera con te."

Passò il resto della giornata. Trascorsa anche la serata a parlare tutti assieme, dopo che Henrietta si fu ritirata, Hugo di alzò, augurò la buona notte a tutti, dette un bacio a Rod sulle labbra e disse tranquillamente:

"Ti aspetto, non tardare."

Appena il giovanotto fu uscito, Kutkhay volle sapere e Rod gli raccontò tutto.

"Devi ringraziare me, dunque. Allora vacci subito, non lo far aspettare troppo, non sta bene." esclamò allegro Kutkhay.

Rod arrossì deliziosamente ma uscì subito dicendo: "Scusatemi..."

"Speriamo che leghino quei due. Mi piace molto Hugo." osservò Patrick poi disse a Kutkhay: "E noi due che aspettiamo, Cardellino?" e presolo per mano lo portò su nella loro camera.

Frattanto Rod era andato nell'ala della villa in cui era stato sistemato Hugo. Sostò un attimo davanti alla porta, emozionato, poi bussò.

Dall'interno giunse la voce squillante di Hugo: "Avanti, vieni, è aperto."

Rod entrò. Hugo era seduto sul letto, senza scarpe e senza giacca, appoggiato alla testiera.

"Stavo per spogliarmi, ma poi ho pensato che sarebbe stato più bello se lo facevi tu, Rod..." gli disse sorridendo e tendendo una mano in un gesto di invito.

Rodney si avvicinò, si sfilò le scarpe e la giacca e salì sul letto inginocchiandosi davanti all'altro fra le sue gambe divaricate. Lasciò scorrere il suo sguardo su Hugo, su e giù, poi gli sfilò la cravatta, iniziò ad aprirgli la camicia che gli sfilò e lasciò scivolare a terra accanto al letto. Gli tolse lentamente la maglietta scoprendogli il bel torso ampio e coperto di una fine pelurie castano scuro appena più folta attorno ai capezzoli.

"Dio, come sei bello!" sussurrò Rod emozionatissimo.

"Non hai ancora visto il meglio!" rispose Hugo giocoso guidandogli le mani a sbottonare di fianco i calzoni.

Rod continuò a spogliarlo finché ne rivelò tutto il corpo: "Sei bellissimo, sei un maschio bellissimo." mormorò.

"Può darsi, ma non vale: tu sei ancora tutto vestito. Voglio vedere anche io come sei fatto..." disse Hugo iniziando a sbottonargli la camicia.

Quando gli ebbe denudato la pare superiore del corpo lo carezzò sul bel petto quasi glabro, poi lo fece alzare in piedi sul letto e gli si inginocchiò davanti in modo di liberare dagli abiti anche la parte bassa del suo corpo. Quando lo ebbe denudato completamente lo ammirò a lungo, sfiorandogli tutto il corpo con le mani finché lo vide pienamente eccitato.

Allora, con un ampio sorriso compiaciuto, restandogli inginocchiato davanti gli disse: "Sì Rod, sei proprio ben fatto, mi piaci..." e posategli le mani sulle sode natiche, lo tirò lentamente a sé.

Rodney sussultò per il piacere e si lasciò lentamente scivolare sul letto, senza che l'altro abbandonasse la presa. Dopo poco erano un sol groviglio di membra che si intrecciavano, si toccavano, si stringevano. Il lume sul comodino languì e si spense: continuarono al buio: non avevano ancora esaurito il reciproco desiderio.

Quando scesero per colazione gli altri capirono che la notte era trascorsa bene per entrambi.

In un momento in cui erano soli, Kutkhay chiese a Rodney: "Allora, amico mio?"

Questi sorrise radioso: "Più bello del più bel sogno. Hugo è un uomo unico e fa l'amore in modo fantastico. Speriamo che duri..."

"Lo spero tanto anche io, amico mio. Ne sarei davvero felice." disse Kutkhay stringendo affettuosamente le spalle dell'altro.

Passò una settimana, due e tutto procedeva bene fra i due nuovi amanti: bastava vederli assieme o sentire come l'uno parlava dell'altro per rendersene conto. Erano sempre più innamorati l'uno dell'altro.

Passò un mese e finalmente un giorno, a tavola, Hugo disse: "Ho deciso di rimanere: io e Rodney vogliamo vivere assieme. Se ci sopportate ancora un po', cercheremo una casa tutta per noi."

Patrick disse ai due che potevano restare nella villa finché avessero voluto: era casa loro. Anche Kutkhay insisté che restassero e anche Henrietta.

Il giorno dopo durante il pranzo Henrietta disse: "Hugo, ho parlato con mio marito e Goldie. Abbiamo pensato di donarti un giornale: è il tuo lavoro e alla causa farà bene avere un giornale che la sostenga. Il giornale locale non è il Guardian di Londra, ma è abbastanza diffuso. Ne possediamo già azioni per un quaranta per cento e gli stabili di redazione e tipografia sono nostri. Possiamo ottenere facilmente un altro quindici per cento di azioni che ti daremo assieme alle nostre, così tu ne sarai il proprietario oltre che il direttore. No, non rifiutare, non devi fare complimenti, te lo dobbiamo ed è ancora poco. Pensavamo anche di regalarvi una casa ma sinceramente preferiremmo che continuaste a vivere con noi."

Hugo guardò Rodney, poi sorrise e disse: "Se questo è un regalo... di nozze, accettiamo, vero Rod?"

Questi assentì commosso, strinse con calore una mano del suo uomo e disse: "Siete dolcissimi, vi ringrazio amici per me e per il mio Hugo."

"E potenzieremo il giornale, ne faremo uno dei più diffusi dello stato e anche degli stati vicini. Sì, è un bellissimo regalo, grazie, grazie infinite."

Quella notte Kutkhay disse a Patrick: "Amore, tutti sembrano felici in questa casa e tutto è per merito tuo. Sì, lo sai come lo sappiamo tutti. Solo, mi chiedo, Henrietta è davvero felice? Le stiamo dando davvero tutto ciò di cui ha bisogno per essere felice? Non vorrei che fosse proprio lei a rimetterci."

Patrick lo accarezzò: "Penso di sì, amore. Lei dice di sì. Ma ora che c'è anche Hugo possiamo chiedere a lui che se ne sinceri e che ci avverta se ci fosse qualcosa che possiamo fare per lei e che non abbiamo fatto. Se le cose vanno bene qui dentro è anche per merito suo, ma anche tuo, e di Rod e di Hugo, non solo mio..."

"Non dimenticare Jimmy e quel dongiovanni di Barney..."

"No certo. E neanche i servi: siamo davvero fortunati."

Il giorno dopo parlarono con Hugo chiedendogli di indagare con tatto per sapere se la cugina fosse davvero felice o se avesse qualche problema. Hugo accettò volentieri. Dopo alcuni giorni disse a Patrick di stare tranquillo: Henrietta si sentiva veramente felice e realizzata: aveva il figlio, amici cari attorno a sé, le sue attività sociali e soprattutto non era costretta a subire il rapporto fisico. Anzi, si considerava davvero fortunata per aver sposato Patrick e di vivere in quella casa.

Tutto insomma procedeva veramente per il meglio. Patrick si sentiva un po' il patriarca di quella comunità, si sentiva responsabile del benessere di tutti. Anche gli altri riconoscevano tacitamente in lui il capo della casa, il punto di riferimento per tutto.

Un giorno Jack (non lo chiamavano più Long Jack da un po' di tempo su suggerimento di Kutkhay) chiese di parlare a Patrick.

"Mi scusi, signore... io avrei un problema..."

"Dimmi Jack, di che si tratta?"

"Se non ride di me..."

"Certo che no: non si deve mai ridere dei problemi degli altri."

"Ecco, io... ho ormai ventisei anni, credo. L'idea di non avere nessuno con cui condividere la vita non mi piace. Se il signore permette, vorrei trovare una persona con cui unirmi e..."

"Jack, non devi chiedere il permesso a me. Sei un uomo libero ora. Se c'è una ragazza che ti piace, falle la corte e se lei ti vuole sposare puoi portarla qui e le daremo volentieri un lavoro, tanto più che la vecchia Annie comincia a non avere più molta forza..."

Jack scosse la testa serio: "È qui il problema, non c'è nessuna ragazza."

"Bene, cercala. Se è una ragazza libera non c'è alcun problema, se fosse una schiava vedremo di comprarla e di liberarla."

"No, signore, il fatto è che io non pensavo di cercarmi una ragazza. Forse prima sì, qualche volta ci pensavo, ma adesso... adesso che ho visto voi, lei e il signor George, e poi Barney e Jimmy e ora Mr. Bush e Mr. Rupert... e ho visto quanto siete felici..."

Patrick sorride e gli chiese con dolcezza: "Ma tu hai mai fatto l'amore con un maschio?"

"Beh... sì signore, alcune volte con Barney. Ma non posso continuare con lui, lui ha Jimmy e si vogliono bene..."

"Ma ti è piaciuto? Sei proprio sicuro che sia questa la scelta che vuoi fare?"

"Oh sì, signore, molto, signore. Barney è un maschio molto sexy. Basta che mi dica di andare con lui che mi monta il desiderio. E da quando ho provato a farlo con lui guardo sempre più spesso i ragazzi e faccio sogni a occhi aperti e desidero trovare il ragazzo con cui stare, con cui fare l'amore e l'idea mi piace sempre più. Solo che non so come fare a trovare un compagno adatto, un ragazzo che gli piaccia fare l'amore coi maschi, cioè con me. Con le ragazze si scherza e è facile dire: tu mi piaci e magari combinare. Ma con un ragazzo... Però sento che io ne ho bisogno, non posso continuare a star solo, a fare da solo. Io desidero trovare un compagno, signore. Voglio anche io fare coppia e essere felice come voi..." disse accorato il giovane.

Patrick assicurò Jack che ci avrebbe pensato e che avrebbe cercato di aiutarlo a risolvere il problema, anche se non sapeva come. Ne parlò con gli amici. Barney subito propose di cercare lui, fra le sue future conquiste, un compagno per Jack. Ma Kutkhay pensò a Lee: chissà se aveva trovato un nuovo compagno? Sarebbe stato possibile comprarlo? Gli sarebbe piaciuto avere accanto a sé quel caro ragazzo. Patrick dichiarò che questa seconda soluzione era quella a cui dare la precedenza, anche se Barney assicurava che anche la sua soluzione avrebbe potuto funzionare.

Decisero di partire: Hugo, con Kutkhay e con Jack presero la carrozza e si accinsero al viaggio. Jack era eccitato e felice alla prospettiva che forse avrebbe trovato un compagno. Viaggiarono per giorni e finalmente giunsero in vista della casa di Mr. Faulkner. Durante il viaggio si erano accordati: Kutkhay avrebbe indossato abiti più modesti, simili a quelli di Jack e si sarebbero fatti passare per schiavi di Hugo: infatti stavano andando in uno Stato in cui ancora non si riconosceva la libertà degli schiavi.


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