CARDELLINO PARTE PRIMA - CAPITOLO 4
Kutkhay cominciò a lavorare per lo sciamano. Contrariamente a ciò che aveva pensato, questi non gli fece nessuna proposta sessuale né tentò mai nessun tipo d'approccio. Gli faceva ripulire la casa, sistemare alcuni attrezzi, poi gli insegnava parole nuove nella lingua degli stranieri. L'apprendista aveva circa l'età del suo fratello maggiore. Era un tipo strano, chiuso, sembrava che fosse sempre di malumore, al contrario dello sciamano.

Anche quel giorno, finita la lezione, Kutkhay si avviò verso casa. A metà cammino venne un improvviso scroscio di pioggia. Il ragazzo si fermò lasciandosi investire dai rovesci e gustando le sensazioni che le violente gocce gli provocavano sulla pelle. Amava quegli acquazzoni ma non sopportava le grandi piogge. Questi avevano sempre una temperatura piacevole ed erano violenti ma brevi, quelle invece erano insistenti, noiose e fredde.

Sollevò il viso verso il cielo, chiuse gli occhi e aprì le labbra, lasciando che la pioggia gli scivolasse in bocca. Era una sensazione bellissima. Poi ebbe un'idea: si allontanò dal villaggio, trovò un luogo fuori vista e si tolse il perizoma: ora si sentiva veramente libero e felice. Si mise a cantare usando le nuove parole che aveva imparato, alla rinfusa, senza neanche cercare di dare un senso a quello che diceva. Gli piaceva stare così nella natura, sentirsi parte della natura.

Un forte tuono scosse l'aria e Kutkhay rise forte e gridò: "Sì, sì, canta anche tu, spirito dell'aria. La vita è bella. Tutto è bello! Canta!"

Si passò le mani sulla pelle su cui ruscellava l'acqua, fra i capelli grondanti, fece roteare in aria il perizoma zuppo e prese a correre e saltellare felice. Il temporale, improvviso come era iniziato, cessò. Un raggio di luce penetrò fra le nubi e il cielo si aprì rapidamente. Il sole tornò a scaldare tutta la natura rutilante di colori e di profumi. Kutkhay cinse di nuovo il perizoma e tornò verso il villaggio. Ora il calore del sole gli carezzava la pelle, asciugandogliela rapidamente. Solo il perizoma e i suoi capelli restavano bagnati.

Al villaggio tutti erano usciti cercando di profittare del breve periodo di sole per fare qualcosa. Vide Mokoa entrare in una casa, poi uscirne e avviarsi verso il bosco. Dalla casa uscì Wikhat, un loro coetaneo che all'iniziazione aveva fatto coppia con Mokoa, e andò nella direzione opposta di questi.

Ma Kutkhay conosceva quei trucchi, avendoli praticati egli stesso, e capì che i due si erano dati appuntamento. Che Wikhat fosse uno degli altri due con cui giocava il suo amico? Decise di seguirlo per scoprirlo. Kutkhay era un ottimo cacciatore e sapeva seguire una preda senza farsi scorgere, perciò riuscì a fare la stessa strada del coetaneo senza farsi vedere da questi e senza mai perderlo di vista. Ogni tanto Wikhat guardava indietro per esser certo che nessuno lo seguisse, ma non riuscì mai a sospettare che due occhi attenti ne spiavano i passi.

Il pedinamento durò a lungo. Finalmente Wikhat giunse al sito della roccia forata e sedette in attesa. Kutkhay capì che avevano scelto la grotta per appartarsi e poiché l'altro ancora non s'era avvicinato abbastanza, riuscì ad aggirarlo e a scivolarvi dentro furtivo. L'attesa fu breve: sentì la voce di Mokoa, poi quella dell'altro. Dall'interno della grotta non riusciva a sentire che cosa si dicessero i due e sperò di non essersi sbagliato nel prevedere che sarebbero entrati lì per fare l'amore. Sentì le voci avvicinarsi e si ritirò all'interno, cercando un punto buio in cui non potessero vederlo. Li vide entrare e fermarsi accanto all'ingresso.

"Fermiamoci qui, non mi va di stare al buio." disse Wikhat, poi aggiunse: "E se arriva qualcuno di qui lo vediamo in tempo."

Mokoa annuì. Kutkhay aveva il cuore in gola e gli batteva forte il cuore, ma non li perdeva d'occhio neppure un istante. Così vide avverarsi quello che aveva immaginato: i due si denudarono e si unirono. Il sangue gli salì alle tempie e si sentì avvampare di gelosia. Anche da Wikhat Mokoa si faceva prendere, ma notò con un certo orgoglio e piacere, non facevano le cose che fanno gli stranieri. Wikhat però volle farlo due volte di seguito e Mokoa ne era felice e gridava come un animaletto in calore. Il corpo di Wikhat non era molto bello ma indubbiamente era prestante e forte.

Alla fine questi disse: "Voglio vederti più spesso."

"No, va bene così." replicò Mokoa.

"Ma io voglio vederti più spesso!" ripeté cocciuto l'altro.

Allora Mokoa con tono duro gli disse: "Non dimenticare che io sono di rango più alto del tuo. Perciò faccio come voglio. Non insistere o non ci vedremo mai più."

"Anche tu hai voglia, e se non ci vediamo più, come fai?" chiese Wikhat con tono arrogante.

"Piuttosto smetto anch'io!" rispose Mokoa.

Kutkhay fu lieto di capire che Mokoa non aveva detto all'altro di avere altri due amanti. L'altro lo guardò per un attimo con aria di sfida, ma Mokoa, tranquillo, aggiunse: "Vai, ora. Io rientro dopo."

Wikhat abbassò lo sguardo e mormorò: "Sei un prepotente." e uscì rapidamente.

Mokoa lo guardò allontanarsi. Era ancora nudo e restava immobile, ritto sull'imboccatura della grotta. Kutkhay, che nell'assistere a quell'amplesso s'era eccitato, si fece scivolar via il perizoma e silenziosamente giunse alle spalle dell'amico. L'abbracciò e questi lanciò un grido divincolandosi e girandosi pronto a lottare. Riconobbe Kutkhay e si bloccò con espressione stupita.

Poi scoppiò a ridere: "Eri qui? Hai visto tutto?"

Il ragazzo annuì serio.

"Così adesso sai chi è uno dei due. Ma come hai fatto a scoprirci? Eri qui dentro per caso?"

Kutkhay scosse la testa e gli spiegò.

Mokoa frattanto aveva notato che l'amico era senza perizoma ed eccitato: "Hai voglia, vero?"

"Sì..."

"Anch'io. Con te è più bello. Vieni..."

"Ma allora perché vai anche con lui?"

"Perché lui è forte. Perché a me non basta un solo amante. Perché mi piace cambiare..." dicendo così guardava l'amico e ne notò l'espressione triste. "Ma sei mica geloso? Non siamo sposati, io e te, ognuno può fare quel che vuole... con chi vuole."

Kutkhay non rispose ma sentì confusamente che forse l'amico aveva ragione. Mokoa lo abbracciò e cominciò a baciarlo teneramente sulla bocca. Kutkhay si lasciò andare.

Poi, staccatosi, chiese: "Perché con lui non vi baciate né fate le altre cose?"

"Con lui non mi piace. Solo con te."

"E... con l'altro?"

"Con l'altro è tutto diverso."

"Chi è l'altro?"

"Visto che sei così bravo, perché non lo scopri da solo?" rispose Mokoa ma subito lo abbracciò e lo baciò di nuovo.

"Non mi va di farlo qui dentro, preferisco farlo all'aperto, sotto il sole." mormorò Kutkhay.

"Mi sa che sta per piovere di nuovo..." rispose Mokoa scrutando pensieroso il cielo.

"Ancor meglio, lo faremo sotto la pioggia." disse Kutkhay cominciando a ritrovare un po' d'allegria.

Uscirono e stavano appena cominciando a carezzarsi per tutto il corpo quando scoppiò un altro temporale. Incuranti, continuarono e stando in piedi sotto la furia dell'acqua la loro passione si accese. Con l'accompagnamento delle nubi tonanti, del suono del vento e ai bianchi lampi dei fulmini, si unirono, schiena contro petto, e Mokoa accolse in sé l'amico. Kutkhay abbassò il capo sulla spalla di Mokoa, carezzando con labbra e guancia l'incavo dolce del collo del suo amante e le sue braccia circondarono il caldo corpo bagnato dell'amico mentre le sue mani lo carezzavano intimamente.

Continuarono così, a lungo, i loro gemiti e mugolii persi nelle assordanti eco della tempesta che infuriava dal mare, finché, in un istante eterno, la tempesta scaturì anche dai loro lombi, cuore e respiro si fermarono e la loro estasi fu compiuta.

Fu un amplesso veramente molto bello e anche Mokoa ne fu entusiasta. Il temporale ancora continuava quando si avviarono verso il villaggio.

"Mokoa?"

"Sì, fratello?"

"Ma tu come fai a dividerti fra quattro? Per me è già difficile dividermi fra due: vorrei avere solo te..."

"Oh no, io vorrei averne anche altri. Farei volentieri a meno della mia donna, ma non si può. Mio fratello me l'ha detto: fai il tuo dovere con la tua donna, poi se ti piace fai quello che vuoi..."

"Tuo fratello lo sa?"

"Certo."

"E non dice niente?"

"No. Anche lui ha un amante maschio: Jokkah, il nostro schiavo. E anche Kwashi fa l'amore con Gohtey..."

"Come fai a saperlo, tu?"

"Lo so."

"E ci sono altre coppie di maschi qui al villaggio?"

"Lo sciamano col suo aiutante e basta, per quel che ne so. Pare che anche il capo vada con Preshk, ma non ne sono proprio sicuro."

"Chi è il tuo altro amante?" chiese di nuovo Kutkhay.

"Uno a cui ho promesso che non te l'avrei mai detto."

"Allora lui sa di me?"

"No. Ma mi ha chiesto di non dirlo a nessuno e tanto meno a te."

"Ha parlato proprio di me?"

"Sì."

"Chi è?"

"Ma gli ho promesso di non fare il suo nome..."

"Beh, tu non fare il suo nome, ma fammelo capire..." obiettò ridendo Kutkhay.

"Mi giuri che non gli dirai mai che te l'ho fatto capire io?"

"Si capisce. Te lo giuro."

"È uno che si è sposato da poco..."

"Tarhak!"

"No, dopo..."

"Dopo? Ma dopo di lui... Tumchey? mio fratello?" chiese sbalordito fermandosi a guardare l'amico per capire se scherzava.

"Io non posso fare nomi..."

"Ti fai prendere anche da Tumchey?"

"No, lui da me."

Il forte Tumchey, il virile Tumchey che si faceva prendere dal delicato Mokoa!

"Non ci credo! E poi siete anche di due classi d'età diverse. Lui è più grande, com'è possibile?"

"Gli piace. E poi è proprio lui che m'ha insegnato. È il mio primo maschio." disse sicuro Mokoa.

"Ma Tumchey è così virile... l'ho visto che prendeva la sua donna... Com'è possibile che si faccia prendere da te?"

"La prossima volta che ci vado ti dico dove ci troviamo, così potrai vedere con i tuoi occhi." rispose serio l'amico.

"Ti credo... ma è davvero una sorpresa."

Da quel giorno Kutkhay iniziò a osservare il fratello con maggiore attenzione, ma non riusciva a capacitarsi che quella di Mokoa non fosse una grossa palla. Nulla poteva far pensare che davvero Tumchey avesse quei gusti. A volte lo spiava di notte quando s'univa a sua moglie: avevano la stuoia accanto alla sua così quando facevano l'amore poteva intravederne i corpi in movimento. Tumchey pareva la virilità in persona, più del fratello maggiore o persino del padre. Bastava vedere la foga con cui prendeva la moglie quasi tutte le notti, e quanto durava a lungo.

Quando la moglie di Tumchey giunse al settimo mese, tornò a casa della madre come voleva la tradizione. Tumchey restò invece in casa del padre, da solo.

Una notte Kutkhay si svegliò. Accanto a sé udì un rumore ritmico appena percettibile: capì che Tumchey si stava dando soddisfazione da solo. Eccitato, dopo una brevissima esitazione, rotolò fino a toccarlo e gli si addossò facendogli sentire la propria erezione e toccandolo davanti. Tumchey si irrigidì e cercò di allontanarlo, senza parlare. Kutkhay insistette, riuscì a scivolargli dietro e gli si spinse contro. Tumchey ora resisteva debolmente. A poco a poco smise di respingerlo, lo lasciò fare. Kutkhay spinse in avanti il bacino finché il fratello lo accolse in sé con un basso mugolio di piacere. Kutkhay credeva di impazzire per il piacere e per l'eccitazione e si godette il bel corpo maschio e sodo del fratello senza più pensare ad altro. Mentre lo prendeva, gli carezzava il petto muscoloso, il ventre teso, i genitali e lo sentiva fremere come le foglie al vento primaverile. Quando vennero, Kutkhay restò a lungo nel fratello continuando a carezzargli il corpo finché non lo sentì rilassato. Allora si separarono e Kutkhay tornò a dormire soddisfatto sulla propria stuoia.

La cosa si ripeté tutte le notti per quasi tutto il periodo in cui la moglie del fratello fu assente. Durante il giorno entrambi facevano finta di nulla, non ne parlavano mai.

Ma un giorno il fratello maggiore, mentre erano tutti e tre assieme a caccia, li prese in disparte: "Se vi volete divertire fra voi due, sono affari vostri. Ma è meglio che non lo fate in casa: altri potrebbero accorgersene. Trovatevi altrove, è più prudente. Specialmente per te Tumchey: ormai stai per avere un figlio." disse e li lasciò.

Entrambi i ragazzi furono molto imbarazzati. Kutkhay allora propose al fratello di trovarsi altrove ma questi rifiutò: "Tra poco torna mia moglie. È meglio che smettiamo."

Kutkhay ci restò male, ma pensò che dopo tutto lui aveva Mokoa e non insistette.

Tornò la moglie di Tumchey col bambino.


Finì l'estate e a metà autunno tutto il villaggio si trasferì nel sito invernale appena in tempo prima che cominciasse la stagione delle grandi piogge. Frattanto anche la donna di Kutkhay fu incinta e fu celebrato anche il suo matrimonio. Poiché la casa cominciava a diventare insufficiente per tutti, fu deciso di costruire una nuova casa per le coppie più giovani. Così Tumchey, Kutkhay e due cugini con le loro mogli e piccoli andarono ad abitare nella nuova casa.

Tumchey aveva troncato i suoi rapporti con Mokoa ed anche Wikhat, da quando s'era sposato, non ne aveva più voluto sapere di Mokoa, così questi invitava sempre più spesso l'amico. Kutkhay ne era felice: gli piaceva molto fare l'amore con Mokoa che ora era finalmente tutto per lui, a parte logicamente la moglie: ma di questa Kutkhay non era geloso.

Ormai era inverno e la neve era alta, cosicché non si poteva fare l'amore all'aperto e tanto meno in casa. Ma i due ragazzi avevano scovato una grotta non molto lontana e all'interno vi era un temperatura sopportabile. Di nascosto vi avevano portato una stuoia e una lanterna, così potevano continuare a incontrarsi comodamente.

Anche l'inverno passò, venne la primavera e il villaggio si trasferì nel sito estivo. Anche qui fu costruita una nuova casa per le quattro giovani famiglie. A Kutkhay sentire di notte il fratello o i due cugini, e uno dei due era proprio un bel ragazzo, unirsi alle proprie donne, dava sempre una forte eccitazione che poteva sfogare solo con la propria moglie. Il ragazzo si accorgeva però di essere sempre più attratto dal corpo maschile che gli sembrava bellissimo, mentre quello femminile gli pareva insulso. Ne parlò con Mokoa e questi gli disse che per lui era lo stesso. Questo lo tranquillizzò un po' perché al villaggio gli altri uomini, a parte le poche eccezioni di cui erano al corrente, parevano attratti esclusivamente dalle donne. A Kutkhay non era mai piaciuto sentirsi diverso dagli altri. Ma Mokoa gli disse che non era una questione di diversità, semplicemente ognuno aveva i suoi gusti "proprio come per il cibo", aggiunse.

Kutkhay si rendeva conto che il proprio corpo si stava sviluppando sempre meglio e ne era compiaciuto. Non era un atteggiamento narcisistico il suo, ma aveva piacere nel vedere come il corpo gli si stesse formando proporzionato, snello ed elegante ma forte, come quelli degli uomini che più ammirava sul piano fisico. Anche Mokoa gli diceva spesso che si stava facendo sempre più bello.


Risiedevano da poco nel sito estivo quando accadde qualcosa che doveva lasciare un profondo segno nella vita del villaggio. Due degli uomini della tribù avevano sconfinato nel territorio della tribù confinante dal lato della montagna e avevano visto che lì c'era una grande abbondanza di alci. Avevano allora proposto agli anziani di fare una grande battuta di caccia in quel territorio. Si discusse molto: i più saggi fecero presente che andare a cacciare nel territorio di un'altra tribù equivaleva a una dichiarazione di guerra. Ma l'idea di poter avere buona carne, ottime pelli, ossa da lavorare e in abbondanza, convinse la maggioranza che valesse la pena di rischiare. Tanto più che contavano di fare una scorreria rapida in modo di non essere avvistati dagli uomini dell'altra tribù. Questa decisione suscitò una grande agitazione in tutto il villaggio: da una parte per i preparativi da fare, dall'altra per la speranza di una buona caccia, e per qualcuno anche per la prospettiva di una gloriosa guerra.

Mokoa era fra i sostenitori dell'iniziativa. Kutkhay, pur non essendo pienamente avverso, non era neppure certo che fosse una buona idea, ma la cosa era ormai decisa.

Furono mandate spie a studiare il terreno e la posizione dell'altro villaggio, le zone di pascolo delle bestie e le migliori vie di accesso e di ritirata. Queste tornarono e le notizie che portarono non fecero che aumentare il numero dei sostenitori dell'impresa. Così finalmente, quando la gente del villaggio si sentì pronta, gli uomini partirono scaglionati a gruppetti di due o tre, seguendo piste diverse e dandosi appuntamento in un luogo conosciuto da tutti. Mokoa fece in modo di far coppia con Kutkhay. Partirono alle prime luci dell'alba, ben attrezzati di armi e corde e salirono veloci per i pendii boscosi verso l'interno. Lungo la strada non parlavano. Si potevano spostare veloci e sicuri finché erano nel territorio della tribù. Solo durante le soste, quando sedevano per pochi minuti per riposare, potevano scambiare due parole.

Mokoa propose un paio di volte di fare l'amore, ma Kutkhay aveva rifiutato: "Non è che non mi piacerebbe, lo sai, ma dobbiamo conservare le forze. Al ritorno troveremo il modo di farlo, non dubitare."

Mokoa per un po' gli tenne il muso, ma poi con il suo buon carattere accettò la decisione dell'amico, almeno per il momento. Ma quando si fermarono per la notte e si stesero a riposare, Mokoa cominciò a stuzzicarlo finché riuscì a farlo eccitare. Kutkhay cercò di resistere, di convincere l'amico di smettere, ma l'altro era deciso a ottenere quello che voleva e Kutkhay non era poi così restio, specialmente ora che l'altro era riuscito a eccitarlo. Lottarono per un poco ma Kutkhay non ci metteva davvero tutto l'impegno e la forza, cedette a poco a poco e quando l'altro riuscì a sciogliergli il perizoma e chinarsi fra le sue gambe, si arrese di buon grado. Fecero l'amore in pieno abbandono, dimentichi di tutto e di tutti, consci solo della presenza dell'altro e del piacere che si sapevano dare a vicenda.

Mokoa, dopo che, soddisfatto il reciproco desiderio, avevano trovato la calma, gli chiese: "Kutkhay, mi giuri che sarai sempre il mio amante?"

"Certo, non devi nemmeno chiedermelo. Con te sto bene, lo sai. Tu piuttosto, non ti accontenti di me..."

"Lo sai che adesso ho solo te."

"Solo perché gli altri due hanno detto basta."

"Tu non mi dirai mai basta?"

"No, mai."

"E allora io ti giuro che non lo farò mai con nessun altro."

"Grazie." disse Kutkhay commosso.

Mokoa lo baciò, gli carezzò lieve il corpo e si addormentarono così, abbracciati stretti, felici. Riposarono poco e ripresero la via che era ancora buio. All'alba del secondo giorno arrivarono al punto di ritrovo; si contarono: c'erano tutti. Il capo villaggio dette le ultime istruzioni. Ora cominciava la parte più difficile dell'impresa: dovevano individuare una mandria di alci senza farsi vedere dai nemici, ucciderla e tornare rapidamente in territorio sicuro, al villaggio. Alcune coppie dovevano stare di vedetta mentre gli altri cacciavano, per dare l'allarme in caso si avvicinassero i nemici. Le vedette furono scelte fra i più giovani, così, se pure con loro grande delusione, anche a Kutkhay e Mokoa toccò questo compito. Fu detto loro dove andare, fu concordata una serie di segnali e il gruppo si divise di nuovo.

Ora i due ragazzi dovevano muoversi con estrema circospezione e in assoluto silenzio. Dovevano studiare bene il terreno per prepararsi un'eventuale via di fuga, e spesso dovevano salire sugli alberi per vedere più lontano sia la configurazione del terreno sia l'eventuale arrivo di estranei. Mokoa era meno prudente dell'amico e spesso questi era tentato di richiamarlo, ma la consegna del silenzio era assoluta. Si spinsero avanti finché Mokoa, da un albero, gli fece cenno di salire. Kutkhay si arrampicò svelto, con estrema agilità e giunto vicino all'amico guardò nella direzione che questi gli indicava.

Erano in vista del villaggio nemico, che si stendeva giù a valle del punto in cui loro erano di vedetta. Era la prima volta che vedeva un villaggio diverso dal proprio. Era molto particolare: era composto da piccole tende circolari a punta, e dalla sommità di alcune si levava un esile pennacchio di fumo. La gente del villaggio era in attività ma pareva che la vita fosse orientata verso valle, che l'andare e venire fosse in direzione opposta al luogo in cui i due ragazzi erano nascosti. Gli uomini portavano un grembiule simile a quello delle donne del villaggio di Kutkhay, ma più piccolo, corto, molto colorato e decorato. Inoltre avevano i capelli uniti dietro e molto lunghi. Le donne portavano abiti che coprivano anche la parte superiore del loro corpo e avevano i capelli legati ai lati della testa. Non si distinguevano i tratti del viso di quella gente, ma il colore della pelle era un po' più bruciato di quello del loro popolo.

Mokoa gli sussurrò ad un orecchio: "Da qui, se salissero, li vedremmo subito, è un ottimo posto."

"Ma se dovessimo scappare, la salita è difficile. Forse è meglio tornare un po' indietro."

"No no, è difficile anche per loro la salita fin qui. Questo posto è sicuro."

Kutkhay annuì anche se poco convinto e restarono in silenzio a far la guardia. Avrebbero dovuto restare lì finché avessero udito il segnale di richiamo della loro gente. L'attesa si prospettava lunga e noiosa. Bisognava perciò fare anche più attenzione: la noia a volte porta alla distrazione, che può anche risultare fatale.

Le ore passavano lente e dal villaggio di tende cominciò a salire un ottimo aroma di carne arrostita che mise una gran fame addosso ai due ragazzi: infatti non mangiavano da più di un giorno. Mokoa si chiuse il naso facendo una smorfia espressiva per indicare la sofferenza che quel buon odore provocava, e Kutkhay trattenne a stento le risa. Gli piaceva l'allegria del suo Mokoa... gli piaceva Mokoa. Era fortunato ad aver trovato un amico come lui. Ma doveva far la guardia, non distrarsi a guardare l'amico, pensò quando si accorse che il desiderio si stava risvegliando in lui. Continuarono a guardare verso il villaggio. Nessuno saliva verso la montagna, perciò non c'era nessun pericolo immediato, almeno da quella parte. Il tempo sembrava non passare mai, ma la pazienza non faceva certo difetto ai due ragazzi.

A un tratto Kutkhay sentì un rumore alle loro spalle. Mise una mano su un braccio di Mokoa facendogli segno di non emettere alcun suono e indicò in direzione del rumore. Entrambi tesi, stettero in ascolto e scrutarono fra gli alberi del bosco. Dopo poco videro un uomo che stava scendendo verso il villaggio portando a spalla due lepri uccise. Evidentemente era andato a cacciare da solo, tranquillo perché era poco lontano dal villaggio. Kutkhay sperò che l'uomo non alzasse lo sguardo, altrimenti li avrebbe visti e avrebbe lanciato l'allarme. Se avesse gridato da quel punto certamente poteva essere sentito dal villaggio. Incoccò una freccia e la diresse verso l'uomo. Mokoa lo imitò pronto. Restarono così, immobili, spostandosi solo quel tanto che permetteva loro di tenere sempre sotto tiro l'uomo che avanzava. Questi stava aggirando la loro posizione verso l'alto, ignaro della loro presenza, seguendo tranquillamente il sentiero di avvicinamento al villaggio.

Improvvisamente una ghiandaia lanciò il suo richiamo da un ramo del loro albero e l'uomo alzò il capo a guardare. Le due frecce partirono all'unisono, l'uomo le vide arrivare e tentò di scartare lanciando un fortissimo grido. Una freccia lo ferì a un braccio, l'altra gli si infisse profondamente nel petto e il grido di spezzò, l'uomo stramazzò. I due ragazzi guardarono verso il villaggio e si resero conto che il grido era stato udito. Lanciarono il segnale di pericolo e scesero svelti dall'albero inerpicandosi agili per la via di fuga. Ma l'uomo colpito non era ancora morto e, alle loro spalle, con fatica, s'era sollevato a metà senza che i due ragazzi se ne rendessero conto, aveva incoccato una freccia e aveva trafitto Mokoa alla schiena. Il ragazzo s'accasciò con un grido strozzato. Kutkhay si girò e lanciò una seconda freccia in centro al petto del nemico, poi cercò di far alzare l'amico, sollevandolo di peso.

Ma Mokoa gli disse: "Vai ad avvertire gli altri."

"Ti aiuto..."

"No, è un ordine, vai. Ricorda che io sono di rango..." e s'afflosciò di nuovo a terra.

Kutkhay sentì le grida degli uomini che stavano salendo dal villaggio e riprese a salire la china veloce lanciando di tanto in tanto il segnale di pericolo finché ottenne risposta. Allora corse con tutte le proprie forze verso il territorio del suo villaggio e continuò a correre anche quando cominciò a riconoscere il terreno a lui familiare. Gli sembrava che i polmoni gli dovessero scoppiare per lo sforzo, il cuore gli batteva all'impazzata, le forze lo stavano abbandonando, ma continuò a correre per ore e ore. Era già da un po' in territorio sicuro quando giunse vicino alla grotta in cui si era trovato molte volte con Mokoa in inverno. Vi entrò, trovò la stuoia e vi si gettò sopra estenuato. Restò sdraiato finché ebbe ripreso fiato e il suo cuore si fu calmato. In tutto il percorso non aveva visto nessuno, neanche la sua gente. Erano riusciti gli altri? E Mokoa, era morto o solo ferito? L'avevano trovato i nemici? L'avevano preso prigioniero o l'avevano ucciso?

Il grido di Mokoa ancora gli risuonava dentro. Si sentì addosso una grande tristezza. Alzatosi, si diresse verso il villaggio, a passo svelto ma senza più correre. Quando arrivò alcuni erano già tornati, altri stavano rientrando. Raccontò di Mokoa. La moglie e la madre del suo amico proruppero in un pianto disperato. Kutkhay andò a sedere davanti alla propria casa, le spalle e il capo appoggiati alla parete e chiuse gli occhi: quel pianto lo disturbava. Lui avrebbe avuto più diritto di loro di piangere l'amante e non poteva farlo.

Giunsero anche gli ultimi: la caccia era stata discreta ma all'appello, oltre a Mokoa, mancava un altro uomo. Due uomini in cambio di undici alci. Al villaggio, nonostante le perdite, vi fu festa. L'altro uomo aveva combattuto durante il ritorno: assieme ai due compagni si era imbattuto in quattro cacciatori locali. Li avevano uccisi tutti e avevano anche preso la loro preda, ma avevano lasciato sul campo un loro compagno, morto. Tutta l'impresa era durata tre giorni.

Nessuno fece una colpa a Kutkhay per non aver soccorso l'amico: tutti avrebbero agito allo stesso modo e comunque il suo primo dovere era lanciare l'allarme e i suoi segnali erano stati uditi e avevano sicuramente evitato perdite maggiori. Ma il ragazzo si sentiva ugualmente responsabile per l'amico. Si fece la divisione della carne, delle pelli e delle ossa. Kutkhay ebbe anche una tibia. Ne tagliò un pezzetto e vi fece un fischietto che appese al collo assieme al suo involto di erbe portafortuna. In segreto chiamò quel fischietto "amante". Il nome dell'amico, supponendo che fosse morto, era infatti considerato tabù e non lo si poteva nominare finché un altro bambino non avesse portato quello stesso nome. La moglie di Mokoa andò in sposa al fratello di questi secondo la tradizione. La vita continuava quasi come se nulla fosse successo, a parte il lutto dei parenti dei due che non erano tornati. Anche Kutkhay, in segreto, compì i riti del lutto, benché in cuor suo sperasse che Mokoa fosse stato preso vivo e trattenuto come schiavo. Ma, per il villaggio, era morto a tutti gli effetti. Ora capì perché, di solito, gli schiavi non scappavano: non sarebbero stati accolti nei villaggi dopo essere stati pianti come morti.

Passarono i giorni. Kutkhay ora si sentiva terribilmente solo e soltanto le lezioni dello sciamano sulla lingua di suo padre costituivano per lui una parentesi piacevole. Anche con la propria moglie compiva meno spesso il suo dovere, sì che questa gli aveva chiesto in che cosa l'avesse offeso o se per caso Kutkhay si fosse stancato di lei. Cercò di rassicurarla e di unirsi più spesso alla donna, ma ogni volta che s'univa alla moglie ripensava al suo Mokoa, a quanto era bello fare l'amore con lui, al suo corpo che lui conosceva in modo così intimo, e diveniva terribilmente triste. Si tuffò nel lavoro, nella fatica. Questo, oltre a permettergli di pensare meno, contribuì a rafforzare il suo corpo in continua crescita. Nessuno più lo chiamava Sbagliato, era anzi ammirato e rispettato, ora, da tutti.


Un pomeriggio era nei boschi col padre a tagliare un albero quando dal villaggio giunse un confuso rumore di grida. Kutkhay pensò che forse era la tribù nel cui territorio erano andati a caccia che stava attaccando il villaggio e col padre si avvicinò furtivamente per poter partecipare eventualmente alla difesa. Kutkhay sperava che fossero loro, perché voleva vendicare l'amico e perché avrebbe volto morire in battaglia per raggiungere il suo Mokoa nel mondo degli spiriti. Ma quando furono in vista del villaggio videro che tutti erano sulla riva, ammassati, in festa e che guardavano verso il largo. Guardarono anch'essi verso il mare e videro che c'era una nuova grande nave degli stranieri che si stava avvicinando. Il padre si alzò con un mezzo sospiro di sollievo e tornò a cercare gli attrezzi che avevano lasciato sotto l'albero, ma Kutkhay si precititò a rotta di collo verso la riva, pieno di felicità. Il suo sogno si era avverato, e ora sapeva parlare la loro lingua, poteva comunicare con quegli uomini, con quella gente misteriosa e affascinante, strana e potente.

Quando giunse sulla riva fra la sua gente, la nave stava imbrogliando le vele e gettando l'ancora. Tutto il villaggio era eccitato, ma il ragazzo più di ogni altro: finalmente eran tornati quelli del popolo di suo padre, il cui sangue scorreva anche nel suo corpo. Erano suoi parenti, si diceva, suoi fratelli, forse. E se fra di loro ci fosse stato anche suo padre? O se qualcuno lo conosceva e gli poteva dire dove fosse? Doveva essere un uomo bellissimo, suo padre, se aveva affascinato sua madre al punto di farle dimenticare di essere già sposata, al punto di darsi a lui più volte: le loro donne erano fedeli e sapeva che sua madre amava il marito. Doveva essere irresistibile, suo padre James...

Dalla nave stavano calando le scialuppe e Kutkhay notò che questa volta gli uomini non erano vestiti tutti uguali, ma con colori e fogge diversi e che pochissimi avevano i bastoni lucenti del tuono. Non c'era neanche il capo con il vestito luccicante e col cappello con le piume. Allora guardò meglio la nave e si accorse che anche questa era diversa, meno snella ma più grande... Questo fece capire al ragazzo che dunque c'erano molte di quelle grandi barche, ognuna con una diversa tribù a bordo e che perciò non poteva sapere se quella gente fosse dello stesso popolo di suo padre o no. Ma poi si rasserenò pensando che, poiché ogni tribù parlava una lingua diversa, se le parole che lui conosceva gli permettevano di capire e farsi capire, quella sarebbe stata la prova che quella era la gente di suo padre. Così guardò avvicinarsi le scialuppe con un senso crescente di ansia e di aspettativa.

Quando la prima toccò terra e ne scesero gli uomini, uno di essi parlò e Kutkhay esultò: aveva capito subito!

Quell'uomo aveva detto: "Pace, pace."

Lo sciamano rispose: "Pace, uomini."

Il tizio allora disse: "Tu capisci la mia lingua?"

"Sì, io capisce la tua lingua."

Kutkhay allora si spostò verso la seconda barca che stava attraccando e al primo uomo che ne scese disse fiero: "Io capisce la tua lingua!"

Questi lo guardò, rise e disse: "Meno male, ragazzo, perché io non capirei la tua." e batté amichevolmente una mano sulla spalla di Kutkhay.

"Tu conosce uomo che ha nome James?" gli chiese allora Kutkhay trattenendo il respiro.

"James? Ci sono almeno sei James a bordo. Come si chiama di cognome questo James?"

"Cognome?" chiese perplesso Kutkhay: non capiva la parola.

Quando capì che James era solo metà del nome di un uomo, ci rimase male e capì che sarebbe stato difficile trovare suo padre senza conoscere l'altra metà del nome.

Comunque quella era la gente del popolo di suo padre: la lingua era la stessa.


DIETRO - AVANTI