CARDELLINO | PARTE TERZA - CAPITOLO 17 |
Patrick ebbe l'impressione che il secondo carceriere tardasse ma non ne era sicuro, perché nelle sue condizioni gli era sempre più difficile avere un'esatta nozione del tempo. Da quanti giorni era prigioniero? Non riusciva assolutamente a rendersene conto, ma dovevano essere parecchi.
Quando vide arrivare di nuovo Clement capì che non si era sbagliato: l'altro non era venuto. Che cosa poteva significare? Forse semplicemente che era scappato per non essere complice di Clement? Se fosse stato così il suo tentativo di farsi aiutare in qualche modo da quel giovane era miseramente naufragato. Dalle parole del suo carceriere capì che questi non s'era ancora reso conto del fatto che l'altro non fosse venuto quel giorno. A meno che fosse stato proprio Clement a non farlo andare... Forse l'altro aveva parlato o il suo carnefice aveva subodorato qualcosa... ma scartò questa ipotesi: Clement si comportava come sempre. Quando fu di nuovo solo si chiese quanto ancora sarebbe durata quella storia. Da Clement aveva saputo che Kutkhay era andato a vendere anche Barney. Chissà come stava il suo Cardellino? Questo era quello che lo faceva stare peggio: sapere che certamente stava male, in pensiero per lui. Lo faceva star male più delle frustate che spesso riceveva, più della violenza sessuale a cui era sottoposto metodicamente, più del freddo umido che gli attanagliava le carni, più del fatto di essere ancora legato in quella posizione: la sua pelle piagata a contatto col rude pagliericcio cominciava a macerarsi e gli bruciava terribilmente... E poi temeva di non poterlo più rivedere: questo timore gli premeva addosso come una cappa di piombo, era un pensiero davvero insopportabile. Il tempo non trascorreva mai. Certo, si disse, non ho mai avuto tanto tempo per pensare come in questi giorni... A volte gli pareva di diventare matto, perché aveva anche troppo tempo per pensare! A volte per fortuna si addormentava. Quando si svegliava non ricordava se avesse sognato o no. Erano periodi, non sapeva quanto lunghi, di completo oblio, di relativo sollievo. Ma si risvegliava in condizioni sempre peggiori. Ripensava alla propria vita e sempre più si rendeva conto quanto fosse stato fortunato ad aver incontrato il suo Cardellino, ad aver avuto il suo amore così intenso, così bello... Sì, era valsa la pena di vivere: ma lui voleva continuare a vivere, voleva di nuovo essere riunito al suo amante e amato. A un tratto sentì un rumore inusuale, poi una voce: strano, nessuno dei suoi due carcerieri parlava mai prima di essere accanto a lui... Più voci... Ebbe un sussulto: i suoi l'avevano forse trovato? O era gente che passava di lì per caso e che esplorava le rovine? Magari ragazzini che giocavano... O forse questa volta erano in molti perché stavano venendo a prenderlo per ucciderlo... Non poteva far altro che aspettare. O forse invece avrebbe dovuto chiamare nel caso che fossero stati estranei che non sapevano che lui era lì, tenuto prigioniero? In fondo che aveva da rischiare a farsi sentire? Nulla. Anzi, aveva tutto da guadagnare. Se anche fossero stati i suoi carcerieri, al massimo potevano ridere di lui... Allora gridò con tutte le poche forze che gli restavano: "Aiuto! Aiuto! Sono qui, aiutatemi! Aiuto!" Appena tacque sentì che le voci ora erano concitate, chiamavano... chiamavano lui! Allora gridò ancora e ancora finché riconobbe la voce di Hugo che lo chiamava da dietro la porta. Sì, quella era proprio la voce di Hugo e subito sentì colpi alla porta e capì che stavano tentando di sfondarla non avendone la chiave. Finalmente vi fu uno schianto fortissimo, rumore di calcinacci e la porta cedette abbattendosi a terra. Entrarono figure indistinte, luci, voci e Patrick ebbe un tracollo nervoso e cominciò a ridere e piangere a un tempo. Hugo gli si accoccolò a fianco, gli diede una lieve carezza su una spalla e gli disse con tenerezza: "È finita, Patrick, siamo qui... è tutto finito... Stai calmo, amico mio, è davvero finita, grazie al cielo." Com'era dolce, piacevole, amica quella voce. Mani delicate lo sciolsero dai legacci che lo fissavano a terra poi qualcuno mormorò: "Dio mio! Guardate come l'hanno ridotto! Povero Patrick, che cosa orribile!" Si sentì girare pian piano, sollevare un poco, poi si trovò seduto sul pagliericcio, sostenuto da un braccio di Hugo che gli cingeva le spalle e allora si sentì terribilmente debole. Ma, con un filo di voce, chiese a Hugo: "Il mio Goldie... come sta?" "Bene... tornerà presto. Sta bene." Allora Patrick si abbandonò, senza più forze, lasciando fare tutto agli amici che lo stavano soccorrendo. Lo avvolsero delicatamente in una coperta pulita, lo sollevarono pian piano e lo trasportarono fuori. La luce del giorno pieno gli ferì gli occhi ormai da troppo tempo abituati al buio e li dovette chiudere, abbagliato. L'aria pura gli riempì i polmoni quasi bruciante, gli carezzò la pelle martoriata procurandogli un misto di pena e di sollievo. Lo deposero delicatamente sul pianale del carro, su un morbido giaciglio, e subito ripartirono. Il carro procedeva lentamente in modo che il suo corpo non risentisse troppo dei sobbalzi dovuti alla strada di terra battuta. Lee gli era seduto accanto, teneva il capo di Patrick in grembo e con una pezzuola pulita gli tergeva delicatamente il volto: era quasi una carezza, lieve, tenera, gentile. Patrick socchiuse gli occhi ed abozzò un sorriso: "Quanto è bello... rivedervi... Temevo... non capitasse più." "Zitto, non sforzarti. Anche noi siamo felici di averti finalmente ritrovato. L'incubo è finito, fortunatamente. Eravamo tutti terribilmente in pena per te e ci mancavi molto, a tutti." Patrick annuì poi chiese di nuovo: "E il mio Goldie?" "Ora non è qui, arriverà a giorni. È dovuto andare ad Abilene." "Meglio... non deve vedermi... così, in queste condizioni... Soffrirebbe troppo... E poi ora... devo essere davvero... ripugnante, non è vero?" "No, sono sicuro che ai suoi occhi saresti sempre e comunque bellissimo." gli rispose Lee sorridendo. Patrick annuì e, richiusi gli occhi, si abbandonò esausto. Il carro finalmente giunse alle porte della città e imboccò lentamente la strada che passava davanti alla prigione. Appena fu scorto la marea degli uomini che stava attendendo quel carro sembrò ondeggiare. Si levò come un mormorio indistinto dalla folla, ma poi ammutolì e la massa compatta di corpi si aprì al passaggio del carro. Patrick aveva ancora gli occhi chiusi: la coperta che lo avvolgeva ne lasciava vedere soltanto il volto pallido, soffuso di sofferenza, immoto. Qualcuno chiese, in un tono colmo di ansia: "Ma è vivo?" "Sì, grazie al cielo." rispose Lee. Un altro chiese: "Lasciatecelo vedere... che gli hanno fatto? Come sta?" "No, lasciateci passare. Dobbiamo portarlo subito in un letto. Piuttosto chiamate il medico." rispose Hugo. Patrick aprì gli occhi e tentò di alzarsi a sedere: la coperta scivolò via dal petto e tutti videro la sua carne martoriata. Un gemito di raccapriccio si levò dalla gente, aumentò, sembrò spegnersi, si rafforzò, finché sgorgò una voce, chiara, tremenda nella sua durezza, che disse: "Andiamo, ho visto abbastanza. Quel mostro di Miles, o Stevens o Clement o come diavolo si chiama, deve morire!" Henrietta, vedendo la massa avvicinarsi al portico antistante la prigione, gridò con voce ferma: "Fermi tutti! Clement deve essere giudicato, punito, non linciato! Non vi avvicinate!" La folla rumoreggiò, premette, Henrietta gridò ancora, lo sceriffo e i suoi uomini imbracciarono i fucili e li armarono. Allora Patrick, che nonostante le sue condizioni pietose aveva intuito che cosa stesse per accadere, cercando di farsi udire dalla folla, disse: "No, non dovete farlo, vi prego. Non mettetevi sul suo stesso piano. Vi prego..." Qualcuno vicino a lui gridò chiedendo silenzio: "Mr. De Bruine sta parlando, sta dicendo qualcosa: zitti, fateci sentire!" Dopo poco erano tutti di nuovo in silenzio, girati verso il carro. Patrick fece cenno a Lee di aiutarlo a tirarsi su, poi, sorretto dalle forti braccia del giovane che gli aveva risistemato la coperta addosso, con un filo di voce, facendo uno sforzo enorme, disse: "Non dovete uccidere quell'uomo, non voglio. La sua morte sarebbe solo una sporca vendetta che mi farebbe vergognare. Aspettate che io mi rimetta e si farà un regolare processo: la legge lo punirà, non noi. La sua vita non ci appartiene, nessuno di noi ha il diritto di disporre della vita di un altro uomo, neanche del peggiore uomo." Stanco per lo sforzo sostenuto si afflosciò, ripetendo: "Vi prego... vi prego..." Allora quegli uomini che lo sdegno e il furore aveva reso decisi a uccidere, si calmarono e quando il carro si mosse di nuovo lo accompagnarono in un corteo silenzioso fino a villa Van Kleft, dove erano andati ad abitare tutti dopo l'incendio di villa De Bruine. Mentre trasportavano dentro il corpo esanime di Patrick, la gente a poco a poco defluì, ognuno tornando alla propria casa, alla propria occupazione. Solo un gruppetto rimase davanti all'ingresso. Il medico era già giunto e visitò subito Patrick. Con l'aiuto di Lee ripulì quel corpo martoriato lavandolo accuratamente con pezzuole bagnate in acqua calda, disinfettò le ferite a una a una con delicata attenzione, vi spalmò un unguento per accelerarne la guarigione. Quando uscì dalla stanza lasciandolo alle cure dell'infaticabile Lee, trovò fuori tutti gli altri membri della famiglia in ansiosa attesa. "Si riprenderà presto, non temete. Non ho trovato nulla di troppo grave, per fortuna, solo un terribile stress fisico, ferite diffuse ma quasi tutte superficiali, dovute a ripetuti colpi di frusta, alle corde che lo legavano e al forzato decubito. Ha bisogno di assoluto riposo e di un buon nutrimento, leggero e sostanzioso. Tornerò a vederlo spesso, ma con Lee accanto è in buone mani. Santo Dio, non ho mai visto nessuno frustato con tanto accanimento, neanche il più ribelle degli schiavi. Chi l'ha conciato così è un pazzo psicopatico, una belva, non un essere umano. Ma Mr. De Bruine è un giovanotto forte e se tutto andrà bene riuscirà a rimettersi in una quarantina di giorni, due mesi... E forse, a parte in qualche punto, non gli resteranno troppe cicatrici..." A turno vegliarono Patrick che dormì per più di una giornata senza mai risvegliarsi. Poi cominciò a passare periodi di sonno alternati da pause di veglia. La sua forte fibra, come aveva previsto il medico, lo stava facendo riprendere abbastanza velocemente.
Quando Patrick riaprì gli occhi e vide Kutkhay, il suo volto si illuminò con un sorriso radioso: "Amore! Sei qui finalmente. Come stai, stai bene?" "Tu piuttosto... tu, amore dolce, come stai?" "Mi vedi... mi stanno rimettendo in sesto. Ma, adesso che sei qui, sto bene. Quanto mi sei mancato, amore mio, in tutto questo tempo. Non ho fatto che pensare a te, sai... Temevo tanto di non rivederti mai più..." "No, taci. Che avrei fatto io se tu non fossi tornato? No, amore mio dolce, no... Quanto hai sofferto..." Kutkhay aveva gli occhi lucidi di commozione, dolore, amore, Patrick se ne accorse e, sollevato un braccio, gli diede una carezza su una guancia, con tenerezza infinita. "No, adesso è tutto finito, stiamo di nuovo assieme. Mi rimetterò presto, vedrai, e tutto sarà come prima. Ti desidero tanto, amore: voglio fare l'amore con te. Mi sei mancato troppo." "Adesso non possiamo: dobbiamo aspettare che tu stia meglio. Anche io ne avrei tanta voglia, sai? Ma lo faremo presto, non dubitare. Adesso devi solo pensare a rimetterti, poi recupereremo tutto il tempo perso. Abbiamo tutta la vita per noi, ora..." "Ma almeno un bacio me lo puoi dare.... vero?" "Certo, amore mio."
Frattanto Hugo andò a farsi rilasciare dallo sceriffo federale un certificato in cui di diceva che Jimmy e Barney erano stati venduti contro la volontà del loro padrone e in cui se ne ordinava l'immediata restituzione al loro legittimo proprietario. Avevano dovuto dichiarare che erano ancora schiavi perché, essendo Abilene in uno Stato del sud, per la legge locale non era riconosciuta la libertà degli schiavi e perciò, senza questo sotterfugio, non sarebbero riusciti a liberare i due giovanotti. Così Hugo e Rod partirono subito per Abilene per riscattare i loro amici. Henrietta da parte sua aveva convocato un bravo architetto perché iniziasse a fare il progetto per la nuova villa, più grande e bella di quella bruciata, più funzionale e moderna, concepita in modo che ogni coppia avesse i suoi spazi, oltre agli spazi comuni, di rappresentanza e per gli ospiti, le casette per il personale, il centro di accoglienza con l'infermieria e la scuola, le rimesse e le scuderie. Anzi, per avere più spazio s'era deciso di comprare una villa confinante e farla demolire unendo i due terreni. Patrick cominciò a potersi alzare da letto e per prima cosa volle fare l'amore col suo Cardellino. Poi volle anche riprendere a interessarsi a poco a poco degli affari di famiglia, per troppo tempo trascurati, e della ricostruzione della villa. Hugo e Rod tornarono riportando a casa Jimmy e Barney. Patrick volle subito ringraziarli: "Devo anche al vostro generoso sacrificio se sono ancora vivo: grazie per non avermi abbandonato. Davvero siete due amici, anzi di più: non potevate dimostrarmelo in modo più evidente di così." "Ma che dici, Patrick! Noi dobbiamo a te la nostra libertà e tutto quello che siamo: daremmo di nuovo dieci, cento, mille volte tutto quello che abbiamo, anche la nostra vita, per te o per gli altri amici. Ogni volta che fosse necessario. E poi, siamo o non siamo anche noi dei De Bruine?" Patrick era commosso e felice. La famiglia era di nuovo unita, ora più che mai e si sentivano tutti una cosa sola, al di là del colore della pelle, delle origini, di ogni cosa. Quando Patrick fu in grado di uscire di casa si celebrò il processo contro Clement. Per decisione di Patrick e degli altri non si parlò delle violenze sessuali subite, ma solo dell'odio personale e per la causa antischiavista. Il processo fu molto seguito e alla fine, essendo provata l'intenzione dell'accusato di uccidere Patrick, perché lo stesso Clement la ribadì più volte durante il processo, l'imputato fu condannato a morte e la sentenza fu eseguita poco dopo la conclusione del processo. Questi fatti ebbero anche un effetto collaterale: la causa antischiavista trovò nuovi sostenitori e non pochi giornali, oltre quello di Hugo, stigmatizzarono i metodi incivili degli schiavisti che avevano trattato un avversario politico peggio di quel che si possa trattare persino il peggior criminale, dimostrando inumanità e ferocia. Un giornale affermò, ripreso da molti: "Quando si difende una causa persa, ingiusta, si perde il senso della morale. Chi è nel giusto non ha bisogno di usare la violenza..." La villa De Bruine - Van Kleft fu ricostruita in stile neoclassico italianeggiante: era davvero molto bella, comoda e grande e all'inaugurazione fu data una grande festa a cui parteciparono sia le più importanti famiglie dello stato che gente comune ed ex schiavi, uomini politici e giornalisti.
Barney continuava ad avere avventure al di fuori della sua unione con Jimmy ma questi non recriminava perché il suo partner gli restava accanto con affetto. Anche Patrick ora se n'era accorto, così aveva sgridato Barney: "Non ti rendi conto che così rischi di far soffrire Jimmy? E Jimmy non se lo merita, non credi?" Ma lo stesso Jimmy lo scusava: "È fatto così, il mio Barney... lui ha bisogno di evadere a volte, ma so che mi vuole bene, che non mi lascerà mai, perciò lo accetto così: è e resta il mio Barney, il mio stupendo uomo. E poi, sinceramente, qualche volta mi sono concesso anche io qualche scappatella con una delle conquiste di Barney... È bello qualche volta anche fare l'amore in tre..." disse e arrossì. "Vedi, Patrick, io amo il mio uomo: per lui mi farei tagliare la testa. Ma io sono un sangue caldo: vedere un bel ragazzo e capire che ha voglia di farlo con me, mi fa girare la testa, non riesco a resistere. Devo portarmelo a letto... Ma io amo solo Jimmy, te lo giuro, Jimmy mi fa girare la testa più di tutti..."
"Ci conosciamo bene... e abbiamo ormai quasi sedici anni... Lo desideriamo tutti e due, papà... ti prego. La mamma ha detto che devi decidere tu, e..." "D'accordo, allora. Farò aggiungere un lettino nella tua stanza entro stasera, d'accordo?" "Invece di un nuovo lettino... non potresti far mettere un letto grande al posto del mio? Tanto, ne useremmo sempre solo uno." disse il ragazzo con occhi furbetti. Patrick sorrise, lo carezzò e annuì. Mike lo abbracciò e lo baciò con affetto e gioia: "Grazie, papà, sapevo che potevo contare su te."
Patrick, facendo in modo che Kutkhay non riuscisse a scoprirlo prima, aveva fatto fare alla nave una rotta speciale cosicché all'alba del quarto giorno di navigazione gettasse l'ancora nella baia d'origine del villaggio del suo amato. Quando questi si svegliò, si stirò pigramente poi abbracciò Patrick come faceva sempre e lo baciò. L'amico, dopo averlo baciato e carezzato per un po', lo invitò a vestirsi e di uscire in coperta dove gli altri li stavano aspettando. Kutkhay, ignaro, uscì dalla cabina, salutò gli amici che vedeva insolitamente allegri, alzò lo sguardo fuori bordo ed ammutolì: "Ma... ma questo... questo è il mio villaggio!" esclamò colmo di sorpresa guardando Patrick. "Sì, amore mio: qui ci siamo visti per la prima volta perciò ho pensato che fosse il posto più bello per celebrare i nostri quindici anni, diciannove da quando ci siamo visti... Vuoi scendere a terra? Le scialuppe sono già pronte e la gente del villaggio è tutta a riva che ci aspetta..." Scesero, Kutkhay era eccitato. Ma, d'accordo con Patrick e gli altri, aveva deciso di non farsi riconoscere: quasi certamente lì viveva ancora la sua ex moglie e suo figlio Samanah. Patrick gli propose di riprendersi il figlio: "Così non avremmo bisogno di adottare nessuno, non credi? Io sarei felice di averlo con noi..." "Non lo so amore, Sì, mi piacerebbe, ma... ormai ha quasi venti anni e... sarà padre a sua volta..." La gente del villaggio, anche se ormai le navi dei bianchi arrivavano sempre più spesso, li aspettava festosa a riva. Kutkhay parlò con loro e con suo sollievo nessuno parve riconoscere in quel gentiluomo bianco il vecchio Kutkhay. Dopo un po', parlando con la gente del villaggio, riuscì ad individuare suo figlio: era un bel giovane, un po' meno alto di Kutkhay, leggermente più scuro di pelle, i capelli lisci e neri lunghi alle spalle, il portamento fiero. Kutkhay trovò il modo di parlarci assieme. Il ragazzo era già sposato e aveva due figli. "Samanah, stai bene con tua moglie?" "È la mia donna..." "Sei contento dei tuoi figli?" "Certo, tutti sono contenti dei figli. Tu non hai figli?" "Sì, ne ho uno... ma non lo vedo da tanti anni..." "Anche io, mio padre..." "Come mai?" "Scomparve una notte... l'hanno rapito gli spiriti." "Ti è mancato?" "Mi ha fatto da padre Tumchey." "Com'era tuo padre?" "Bello, dicono... forte... sognatore... un buon cacciatore." "Non ti piacerebbe rivederlo?" "Ormai mio padre è Tumchey." concluse il giovane tranquillamente, senza mostrare alcuna emozione. Kutkhay annuì silenziosamente, poi gli chiese: "Non ti piacerebbe venire con noi, abitare nelle città dei bianchi? Io ti porterei volentieri con me..." "No. Io sto bene qui, non mi manca nulla, ho una moglie obbediente e saggia e due bei figli. Sto tra la mia gente." "Hai ragione figlio." disse Kutkhay usando il vecchio appellativo che gli adulti usavano con i giovani, ma caricandolo del vero significato di quella parola. Poi tradusse a Patrick il dialogo avuto: "Vedi, mio figlio sta bene qui, non ha nessun desiderio di venir via. Lui è un figlio della sua gente. Non credo che sarebbe opportuno turbarlo. Ha ragione lui: ormai suo padre è il marito della madre, mio fratello Tumchey. Io per lui non rappresento più nulla: non mi odia, non mi ama, io non esisto più nei suoi pensieri. E in fondo è meglio così. Per tutti e due." Patrick capì e sperò solo che Kutkhay non ne soffrisse. Allora gli chiese: "E... sei riuscito ad avere notizie di Mokoa?" "No, nessuno ne ha saputo più nulla dopo di allora. C'è un nuovo Mokoa, un ragazzino di sei anni. Anche lui come me è scomparso nel nulla. Ma non c'è ancora un nuovo Kutkhay..." "Forse ho fatto male a portarti qui... Pensavo di farti un regalo e invece ho forse riaperto antiche ferite..." suggerì Patrick incerto. "No, amore mio. Invece sono molto contento di essere tornato. Ora so con certezza, anche più di prima, che ti appartengo, che appartengo solamente e completamente a te. Qui c'era una parte delle mie radici, ma ora sono trapiantato e vivo bene solo con te. Questo luogo, questa gente, fan parte solo di un lontano ricordo. Il mio posto, la mia gente, la mia terra, tutto è solo a casa nostra, tra i nostri amici, nella nostra terra. Quando vuoi, perciò, possiamo tornare alla nave, riprendere il viaggio."
|