CARDELLINO PARTE TERZA - CAPITOLO 15
Jack restò a cassetta e Hugo nella carrozza, mentre Kutkhay andava a suonare alla porta di Mr. Faulkner. Venne ad aprire uno schiavo che Kutkhay non conosceva.

Gli disse: "Il mio padrone, Masta Hugo Bush, chiede di parlare al tuo padrone, Masta Faulkner."

Lo schiavo gli disse di aspettare, poi tornò: "Di' al tuo padrone di entrare e al cocchiere di mettere la carrozza da quella parte."

"Noi possiamo entrare in cucina? Mentre aspettiamo almeno potremo sederci un po'..." gli chiese Kutkhay.

"Sì, va bene, vi ci porto io, dopo."

Hugo entrò poi i due giovani furono portati in cucina.

Qui, dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua, Kutkhay disse: "Una volta ho servito Masta Faulkner e c'era un ragazzo chiamato Lee. È ancora in questa casa?"

"Lee? Certo, credo che sia nella rimessa, adesso."

"Potrei andare a salutarlo?"

"Bah, vai pure, sai dov'è la rimessa. No?"

"Certo, non ho la memoria così corta."

Kutkhay fece cenno a Jack di seguirlo, uscì nel giardino posteriore, lo traversò ed entrò nella rimessa. Lee era lì, con solo un paio di rozze braghe indosso che stava lavando una carrozza.

Kutkhay si fermò sulla porta e chiese a Jack sussurrando: "Eccolo... ti piace?"

"È un gran bel giovanotto... e se è simpatico quanto bello... Ma io gli piacerò?"

"Adesso lo sapremo."

Entrò e chiamò Lee. Questi si girò, li guardò poi riconobbe Kutkhay e si illuminò in un grande sorriso: "Buon dio! Ma non è il buon vecchio Goldie? Vieni qui, fratello, lasciati abbracciare!" e gli andò incontro a braccia spalancate.

I due si strinsero dandosi manate affettuose sulle spalle.

"Che fai di nuovo qui, Goldie? Ho ricevuto il libro che m'hai mandato: hai ritrovato il tuo padrone e ci fai l'amore, allora?"

"Sì. Ti devo parlare. Ma prima dimmi, che hai fatto dopo la mia partenza?"

"Che vuoi che abbia fatto: il cocchiere."

"E chi è il tuo nuovo compagno di camera?"

"Il buon vecchio Joshua, il giardiniere."

"Vecchio?"

"Beh, avrà almeno il doppio della mia età..."

"E... ci stai bene?"

Lee sorrise maliziosamente: "Se vuoi sapere se è come con te, no. Ci sto bene, ma dopo che te ne sei andato non ho più trovato nessuno con cui..." e si fermò incerto guardando Jack.

Poi indicandolo con un gesto del capo chiese: "Tu e lui?"

"No, io solo col mio padrone. Lui è un caro amico."

"Ah, pensavo."

"Lui si chiama Jack, fa il cocchiere come te. Ha poco più di te, un paio d'anni credo..." poi, abbassando la voce gli chiese: "Non ti piacerebbe aver un compagno di camera come lui?"

Lee rise forte, batté una mano sulla spalla di Kutkhay poi disse sottovoce, con gli occhi che gli brillavano: "Buon dio, sì. Molto più che Joshua. Sembra un bello stallone... ma bisognerebbe vedere se lui sarebbe contento di stare con me..."

Jack stava un po' in dietro e non sentiva quel che si dicevano i due anche se lo immaginava dalle occhiate.

Kutkhay disse: "Lui prima quando t'ha visto m'ha detto che ci proverebbe con te. Se il mio padrone ti comprasse e ti mettesse in camera con lui, non ti andrebbe di provarci?"

"Ma che discorsi mi fai? Se e se... Comunque mi piacerebbe provarci eccome. Mi sta venendo duro solo a pensarci..."

"Se vi piacete... io vado alla porta a far la guardia: vedete solo di fare svelti..."

"Adesso? Qui? Ma..." disse Lee guardandolo stupito.

"Quant'è che non fai più all'amore, Lee?"

"L'ultima volta è stato con te, Goldie. Un secolo!"

"Allora che aspetti? Non perdere tempo dai." rispose Kutkhay.

Poi si avvicinò a Jack, lo sospinse verso Lee e andò a mettersi sulla porta della rimessa, un po' guardando verso la casa un po' verso i due.

Questi si guardarono, evidentemente impacciati, poi Jack sussurrò: "Hai un gran bel corpo, Lee..."

"Grazie. Ti va di salire con me dentro questa carrozza?"

"Sì, certo..."

I due giovani salirono e Lee accostò la portiera. Per un po' sembrò che non succedesse nulla, poi la carrozza cominciò a dondolare lievemente, a ritmo.

Kutkhay emise un piccolo sospiro, mormorando fra sé e sé soddisfatto: "Oh, finalmente si sono decisi..."

Il movimento fece scostare un po' lo sportello e Kutkhay intravide i due corpi allacciati, Lee nudo e Jack seminudo, agitarsi nell'amplesso. Guardò di nuovo verso la casa per assicurarsi che non stesse arrivando nessuno, ma presto il suo sguardo fu attratto da quel che stava succedendo nella carrozza. Era eccitante vedere quei due bei ragazzi unirsi dimentichi di tutto.


Nel frattempo Hugo era stato ricevuto da Mr. Faulkner. Si era presentato come proprietario e direttore del proprio giornale e gli raccontò che aveva bisogno di un nuovo schiavo. Lui preferiva comprare gli schiavi direttamente e non dai mercanti e di solito quando aveva bisogno di un nuovo schiavo chiedeva ai suoi schiavi di consigliargli qualcuno che avesser conosciuto dai vecchi padroni. Mr. Faulkner ascoltava con atteggiamento cortese, senza interromperlo e si stava chiedendo dove volesse arrivare il suo imprevisto ospite. Hugo continuò dicendogli che tra i suoi schiavi aveva Goldie che era stato a servizio da lui.

L'altro annuì dicendo: "Sì, lo ricordo: un ottimo elemento."

"Ebbene, ho bisogno di un altro cocchiere e Goldie mi ha detto che lei ha un cocchiere che si chiama Lee: penso che potrebbe interessarmi comprarlo. Lei sarebbe eventualmente disposto a vendermelo?" concluse Hugo con naturalezza.

Faulkner lo guardò annuendo impercettibilmente poi rispose: "È una richiesta inconsueta. Lee è un buon cocchiere, lo possiedo da sette, otto anni e non ho mai pensato a disfarmene..."

"Il che è un'ottima referenza. Avrei piacere di vederlo, in modo di capire se è quello che cerco e di poterle fare eventualmente una offerta adeguata."

"Ma io non le ho affatto detto di essere disposto a venderlo, al contrario..." ribatté Faulkner.

"Né io a comprarlo, ancora. Me lo faccia vedere e ascolti almeno la mia offerta, se mi interessasse. Se poi non se ne fa nulla, vorrà dire che avrò avuto il piacere di conoscerla..."

Faulkner sorrise: "Non si può dire che lei non sia un tipo diretto e convincente. Ma Lee è un buono schiavo e non è facile, come lei sa, al giorno d'oggi, trovare elementi fidati, lavoratori, senza grilli per il capo. Comunque, visto che lei insiste, vedrò di farlo chiamare e di farglielo vedere come desidera. Ma prima mi permetta di offrirle qualche cosa..."

Faulkner suonò e arrivò un valletto mulatto: "Portaci i liquori e due bicchieri puliti. Dopo vai ad avvertire Lee di mettersi in ordine e di presentarsi qui nel mio studio. In livrea, si capisce."

"Subito, padrone."

Lo schiavo tornò poco dopo, servì impeccabilmente i liquori e uscì di nuovo.

Nella rimessa, frattanto, i due stavano continuando a far l'amore e Kutkhay era sempre di guardia sulla porta. Quello che intravedeva l'aveva eccitato non poco: era bello vedere due maschi così ben fatti unirsi senza riserve.

A un tratto uno schiavo si affacciò alla porta della cucina e, visto Kutkhay, gli chiese da lontano: "Lee è in rimessa?"

"Sì, è qui che pulisce la carrozza." rispose ad alta voce.

"Allora digli di strigliarsi a fondo e mettersi in livrea e presentarsi al padrone nello studio grande, in fretta."

"Va bene... glielo dico subito." gridò Kutkhay ringraziando in cuor suo che l'altro non fosse andato fino alla rimessa. È vero che i due avrebbero fatto in tempo a ricomporsi, ma...

Entrò, si avvicinò alla carrozza e chiese: "Hai sentito, Lee?"

Questi si era già rimesso le brache e stava scendendo, mentre dietro di lui Jack stava finendo in fretta e furia di richiudersi gli abiti discinti.

"Sì, ho sentito, vado."

Kutkhay lo accompagnò verso la porta: "Allora, ti è piaciuto?"

A Lee brillarono gli occhi: "Sì, peccato che siamo stati interrotti sul più bello..."

"Avrai tutto il tempo che vorrai se tutto andrà bene. Se il mio padrone riuscirà a comprarti, Jack sarà il tuo compagno di camera. Perciò potrete fare l'amore finché vi pare..."

"Allora spero che riesca a comprarmi. Mi piacerebbe continuare quello che stavamo facendo... e non per una volta soltanto!" disse Lee allontanandosi in fretta e ridendo.

Kutkhay tornò dentro. Jack stava scendendo dalla carrozza con gli abiti di nuovo perfettamente in ordine.

"Allora Jack, ti piace Lee?"

"Sì, è davvero come m'avevi detto, anzi meglio. Poi è così deciso: appena siamo saliti mi ha toccato e mi ha detto di calarmi i calzoni e se era solo per me eravamo ancora lì a guardarci negli occhi... peccato che abbiamo dovuto smettere sul più bello."

"L'ha detto anche lui. Anche tu gli piaci."

"Sai, con Barney mi era piaciuto ma con lui ancora di più. Spero davvero che Mr. Hugo riesca a comprarlo..."

Tornarono in cucina. Dopo un po' entrò Mr. Fletcher.

"M'avevano detto che eri qui. Goldie. Sei tornato?"

"No, signore. Ho accompagnato il mio nuovo padrone che vorrebbe comprare Lee."

"Ah, ho capito. E, dimmi, continui a leggere e a scrivere, dal tuo nuovo padrone?"

"Certo, signore."

"Bene, bravo. Mi ha fatto piacere rivederti, Goldie." disse il segretario, poi lo salutò e uscì. Arrivarono altri schiavi che avevano conosciuto Kutkhay a salutarlo.

Frattanto Lee s'era lavato in fretta, aveva indossato la livrea poi era anadato a bussare alla porta dello studio del padrone.

Entrato, questi lo indicò a Hugo e gli disse: "Ecco, Mr. Bush: questo è Lee, il cocchiere."

Hugo si alzò, si avvicinò al giovanotto e lo esaminò a lungo girandogli attorno, ma senza sfiorarlo. Lee stava ritto, in silenzio, guardando fisso davanti a sé.

Infine Hugo disse: "Sì, niente male. Quanto l'ha pagato, Mr. Faulkner?"

"Mah, chi ricorda? Sono passati anni..."

"Capisco. Diciamo che oggi sul mercato può valere milleottocento dollari?"

"Probabilmente sì..."

"Bene, gliene offro duemiladuecento."

Faulkner che era restato seduto, s'alzò visibilmente colpito: "Duemiladuecento? Ma è una bella cifra. Per duemiladuecento può quasi comprarsi un paio di cocchieri, più giovani."

"Sì, è vero, ma non avrei referenze sicure come quelle che ho, e sarebbero da drizzare. Perciò rischierei di sprecare il mio denaro. Allora, Mr. Faulkner?"

"Beh... dovrei pensarci. Se le vendessi questo schiavo resterei senza cocchiere... Prima di trovarne un altro potrebbe passare del tempo..."

Hugo annuì: "Devo restare qui per un paio di giorni. Ma poi devo rientrare e abito a diverse miglia da qui. Potrebbe darmi una risposta entro dopodomani?"

"Devo pensarci, le ho detto. La sua offerta è molto buona... D'accordo, le darò una risposta dopodomani. Non è che ci tenga molto a venderlo..."

"Neanche se le offrissi duemilatrecento dollari? Di più mi sarebbe piuttosto difficile...."

"Davvero non capisco che cosa ci trovi di talmente eccezionale in questo schiavo. Lee è un buon soggetto, è vero, ma..."

"Me l'ha consigliato Goldie e fino a ora i suoi consigli sono stati ottimi. Inoltre ho fretta di concludere e non voglio tornare a mani vuote. E infine, non ho problemi di denaro."

"Capisco, ha tre buone ragioni... Se solo avessi un altro cocchiere, glielo cederei anche subito..."

"Non c'è un mercante di schiavi qui in città?"

"No, viene fatta a volte un'asta qui in città. Il più vicino mercato stabile è a due giornate da qui, il più vicino mercante a mezza giornata. E non è detto che mi trovi subito uno schiavo già pratico di cavalli e di carrozze..."

Discussero ancora un po' poi Hugo salutò confermando che sarebbe tornato di lì a due giorni. Mr. Faulkner disse a Lee di accompagnare l'ospite alla porta e si salutarono.

Quando furono soli all'entrata Hugo chiese a Lee: "Saresti contento se riuscissi a comprarti?"

"Se il padrone decide di vendermi a lei... ne sarei felice. Ma non è che si stia male qui... Vado a chiamare i suoi schiavi, Masta. Sono in cucina..."

"Sì, va bene."

Dopo poco uscirono anche Kutkhay e Jack.

"Allora Jack, ti piace Lee?"

"Oh sì, moltissimo. Non è riuscito a comprarlo?"

"Avremo la risposta dopodomani. Adesso andiamo in città cercare un albergo. Poi... ho un'idea."

Sistematosi Hugo in una stanza e gli altri due nella stalla, Hugo disse loro che aveva pensato di andare nella città vicina a cercare il mercante di schiavi per vedere se poteva procurare un cocchiere esperto in pochi giorni. Ripartirono subito. Giunti a destinazione, Hugo andò a parlare con il mercante e dopo un lungo colloquio e la promessa di un regalo in denaro, riuscì a convincere il mercante ad annunciare un'asta nella città di Mr. Faulkner e di portare con sé, soprattutto, un paio di giovani in grado di fare i cocchieri. Quindi tornarono indietro.

Quella notte nella stalla, mentre stavano sdraiati sulla paglia aspettando di prender sonno, Jack disse a Kutkhay: "Quel Lee è simpatico... e bello... e mi piaceva fare l'amore con lui. Anche se è durato poco..."

"Ho visto che vi piaceva fare l'amore... Eravate belli."

"Visti? Ma se eravamo chiusi dentro la carrozza!"

"Si è scostata un po' la portiera coi vostri movimenti così si poteva vedere dentro. Eravate davvero belli. Spero proprio che riusciate a mettervi assieme, tu e Lee. Fareste una bella coppia."

"Sì, lo spero anche io..."


Due giorni dopo in città c'erano gli avvisi di una prossima asta di schiavi. Il mercante passò in albergo da Hugo a ritirare il premio promesso. Gli disse che sperava anche di portare qualche cocchiere. Allora Hugo tornò da Faulkner. Lo avvertì di aver letto gli avvisi di un'imminente asta di schiavi e gli rinnovò la sua offerta.

"Non so se faccio bene ma, anche se non ho bisogno di denaro, la sua offerta mi alletta. Inoltre Luke, anche se è anziano, sa guidare un calesse e per un po' potrebbe sostituire Lee. Perciò ora chiamo il mio segretario che stenderà il regolare contratto di vendita. Si accorderà con lui per le modalità di pagamento."

Dopo poco più di un'ora la carrozza era ripartita con Lee e Jack a cassetta e Kutkhay e Hugo all'interno. Lungo il viaggio Jack spiegò a Lee la reale posizione di Kutkhay e gli disse anche che, appena arrivati a casa, sarebbe stato steso l'atto di affrancamento di Lee. Gli raccontò tutto quello che stavano facendo per gli schiavi e Lee passava di meraviglia in meraviglia. Quando si fermarono per far riposare i cavalli e mangiare, Lee si avvicinò a Kutkhay emozionato.

"Allora, Goldie... o scusi, signore..."

"Ma no, stupido: per te resto sempre Goldie, no? Che dicevi?"

"Allora Goldie è proprio vero che sarò libero? Che potrò vivere con Jack e che lavorerò con un salario?"

"Certo, se anche a te va bene."

"Bene? Mi sembra un sogno. Buon dio, troppe notizie incredibili in un colpo solo! Benedetto il giorno in cui t'ho conosciuto!"

"Sì, amico mio, e stanotte prenderemo una camera per te e per Jack e potrete stare tranquilli assieme, soli, e fare l'amore senza che nessuno vi interrompa. E ti faremo togliere presto quella ridicola livrea. Comincia a toglierti il parrucchino e lo jabot..."

Lee prese una mano di Kutkhay e la baciò.

Questi la tolse impacciato e invece gliela strinse con forza: "Sono contento che tu sia felice, amico mio. Ti auguro di essere felice con Jack."

"Ci proveremo, tutti e due. E... potrai contare su di me per sempre. Lee non dimentica mai quello che si fa per lui..."

Tornarono a casa. Kutkhay si sentiva contento. Raccontò a Patrick come si erano svolte le cose.

Quando gli disse della scena vista nella rimessa e dell'effetto che aveva avuto su di lui, questi disse scherzosamente: "Ma allora sei un guardone, tu!"

Kutkhay rifletté un attimo poi rispose serio: "Temo di sì. Ma stai tranquillo: così come non cerco nessuno al di fuori di te, non cerco certo le occasioni per spiare. Ma, lo devo ammettere, vedere due maschi che fanno l'amore la trovo una cosa bellissima. È una delle cose più belle che ci siano. Ammirare un maschio ben fatto e nudo è bello. Guardarne due che si uniscono, specialmente se con sentimento, è... qualcosa di speciale, di prezioso. A te non è mai capitato?"

"No, lo sai. Tu sei l'unico maschio della mia vita, l'unico perciò che abbia mai visto fare l'amore... con me. Ma mi piace guardarti mentre facciamo l'amore: diventi anche più bello, se è possibile."

"Sei tu a farmi diventare più bello, amore mio. Mi sei mancato in questi giorni: lontano da te sento di non essere niente... tu invece mi fai sentire speciale. Ti amo, Patrick, ti amo tanto." disse Kutkhay.

Appoggiò il viso sul grembo nudo dell'amico. Questi gli carezzò una guancia con tenerezza. Patrick lo tirò a sé fremendo. Dopo poco erano profondamente uniti: a Kutkhay piaceva molto guardare Patrick torreggiare su di lui, così come poi gli piaceva guardare il suo amante quando lo accoglieva con passione. A volte ricordava la prima volta che aveva visto Patrick al villaggio: se n'era invaghito subito, ma non avrebbe mai sognato, allora, di poter un giorno essere il suo amante... Quanta strada aveva percorso da quando era un ragazzino seminudo con gli occhi e il cuore pieni di sogni: sogni in cui ora stava vivendo.


La campagna contro lo schiavismo cominciava a dare i primi frutti: in parecchi stati del nord erano già molti gli schiavi liberi che si mantenevano facendo lavori vari e qualcuno dei più giovani cominciava anche a studiare. A sud invece c'era la repressione pura e semplice contro ogni tentativo di cambiare le cose. Questo dipendeva anche dal fatto che il nord era più industrializzato, aveva perciò bisogno di manodopera libera, mentre il sud agricolo, delle grandi piantagioni, si basava proprio sullo schiavismo per dare un prodotto concorrenziale. Lì da loro la situazione era mista, intermedia, perciò ricevevano sia appoggi che critiche, opposizioni e sostegni, a volte anche minacce. Ma non davano troppo peso a queste ultime.

Sorse anche una associazione di bianchi che propose di liberare gli schiavi e di rimandarli in Africa, su un tratto di costa che intendevano comprare appositamente e a cui avevano già dato il nome di "Liberia". Ma Patrick e Hugo, Rod e Kutkhay e anche i loro amici negri si opponevano a questo progetto.

Henrietta espresse bene il loro comune pensiero: "Non ha senso, dopo averli strappati alla loro terra in varie parti del continente africano scaricarli là come merce che non serve più. Ormai sono quasi tutti nati qui, hanno assimilato la nostra cultura, la loro patria è qui. Non possiamo di nuovo farne degli stranieri, degli sradicati per la seconda volta! È falso umanitarismo quello della associazione della Liberia! È qui che dobbiamo dar loro finalmente una patria che non sia matrigna."

Hugo continuava a pubblicare articoli sul problema e, preso spunto dalle parole di Henrietta, prese posizione anche contro la cosiddetta teoria del ritorno alle origini. Patrick e Kutkhay, oltre a gestire gli affari della famiglia, cominciarono, con Henrietta e Barney, a girare le città per formare e sostenere i gruppi antischiavisti. Lee e Jack avevano detto che volevano studiare: Lee avrebbe voluto diventare medico e Jack studiare legge, per proteggere e aiutare la loro gente. Le università non accettavano negri ma i due giovani dissero che a loro non importava avere un titolo di studio ufficiale, gli bastava poter studiare. Rod e Hugo sostenevano i due giovani nelle loro aspirazioni, non solo economicamente, ma anche con i loro consigli. Il gruppo era sempre più affiatato e unito. La grande villa De Bruine era diventata un vero e proprio cantiere di idee e di azione. Avevano deciso di ampliarla perché ognuno potesse avere le proprie stanze e comodi spazi per le proprie attività. Inoltre, nelle dipendenze della villa spesso ospitavano schiavi fuggiti, in attesa di poter trovare loro una sistemazione e un lavoro.

La maggioranza erano uomini, ma qualche volta c'erano anche donne con i loro figlioletti, raramente gente vecchia o anche solo anziana: i negri che riuscivano a sopravvivere fino alla vecchiaia erano quelli trattati bene, che perciò non fuggivano. Lee, Jimmy e Henrietta, aiutati da altro personale della villa, accoglievano e assistevano i fuggiaschi. Per prima cosa venivano fatti lavare, curati se ve n'era bisogno, e venivano dati loro abiti decenti. Poi, grazie a una legge presentata da Rod e recentemente approvata nel loro stato, venivano accompagnati da un giudice per redigere l'atto di affrancamento.

Da pochi giorni era arrivata una donna con i suoi tre figli maschi di due, cinque e nove anni. Tutti e quattro erano stremati, affamati, sporchi e laceri. La donna era anche gravemente malata. Curati e rifocillati, i tre piccoli s'erano ripresi abbastanza in fretta, ma la donna peggiorò rapidamente e presto si vide che non c'era più speranza per lei. Anche la donna si rese conto che le restava poco da vivere.

Afferrò una mano di Lee che la stava vegliando e gli disse: "Ti affido i miei figli. Aiutali, non hanno più nessuno al mondo. Aiutali, te ne prego."

"Vedrai che guarirai e ci penserai tu a loro." mentì Lee.

"No, me lo sento, me ne sto andando. Aiutali." invocò la donna.

"Se davvero sarà necessario, ti giuro che non saranno soli."

"Ma ci penserai tu? Di te mi fido, sei forte e buono..."

"Sì, li alleverò io, stai tranquilla. Ma ora cerca di riposare."

"Grazie. Sì, ora posso riposare... riposerò per sempre, finalmente. Che Dio ti benedica, uomo."

La donna soffrì ancora per tre giorni e finalmente spirò. Allora Lee parlò con Jack e, tutti e due d'accordo, adottarono i tre piccoli: Mark il minore, Mat e il maggiore, Luke che era coetaneo di Mike De Bruine. Quest'ultimo fu molto contento di avere altri piccoli per casa con cui giocare. Secondo la vecchia usanza gli schiavi erano chiamati con il cognome dei loro padroni, perciò anche Jack e Lee avevano il cognome De Bruine e i piccoli ebbero lo stesso cognome. Quando Barney e gli altri tornarono furono contenti per la decisione di adottare i tre piccoli. La loro famiglia così cresceva. Kutkhay anzi disse a Patrick che anche a lui sarebbe piaciuto adottare almeno un piccolo e anche a Jimmy non sarebbe dispiaciuto. Tutto procedeva per il meglio, gli affari andavano bene, la campagna antischiavista stava lentamente dando i suoi frutti, nella villa c'era concordia.


Quello però che nessuno di loro sospettava, a cui nessuno aveva mai pensato era che, passati gli anni, Clement era uscito di prigione deciso a vendicarsi. Aveva rinunciato a cercare di dimostrare che George Van Kleft era un ex schiavo, ma aveva addosso un odio profondo per quella gente che sapeva responsabile dei suoi anni di prigione. Di nuovo libero, perciò, cominciò a seguire le loro attività tenendosi nell'ombra. S'era fatto crescere una folta barba in modo di non essere riconosciuto, aveva cambiato nome per l'ennesima volta e, presentandosi come Mr. Morris, era riuscito a farsi assumere come magazziniere nella De Bruine & Co. Nel giro di un anno riuscì a studiare le abitudini di ognuno e presto si rese conto che Patrick era il leader: colpendo lui avrebbe avuto ragione di tutti. Così cominciò a preparare accuratamente il suo piano. Segretamente aveva preso contatto con i gruppi che sostenevano lo schiavismo e aveva chiesto loro di appoggiare e finanziare il suo piano. Questi all'inizio sembrarono non dargli peso, ma pian piano riuscì a convincerli della bontà della sua idea: una lezione data alla congrega dei De Bruine avrebbe calmato gli antischiavisti che si stavano rafforzando.

Ottenuta la somma che gli occorreva, comprò il rudere di una vecchia casa padronale che sorgeva isolata in riva al fiume e, con l'aiuto dei suoi finanziatori, riuscì a ricavarvi un ambiente segreto, ben nascosto nel sotterraneo. Quindi dette inizio alla seconda parte del suo progetto. Prese contatto con un gruppo antischiavista di un vicino centro, facendosi passare per un acceso sostenitore della causa: il fatto che lavorasse per i De Bruine lo fece accettare senza problemi. Conquistata la fiducia di quella gente, gli fu facile portarli a decidere di invitare Patrick De Bruine a parlare a una loro riunione. Questi accettò e un pomeriggio partì con il suo calessino: solo, com'era solito fare quando andava vicino e come Clement s'aspettava.

La strada sfiorava la selva che circondava il vecchio rudere. Quando il calessino giunse in quel punto, Patrick vide un uomo riverso in terra. Si fermò e scese per soccorrerlo. Appena si fu chinato per vedere che cosa fosse accaduto a quell'uomo, questi si girò e gli puntò contro una pistola. Altri tre uomini mascherati e armati di fucile sbucarono fuori dai cespugli contemporaneamente tenendo Patrick sotto mira. Questi pensò che si trattasse di una rapina e, senza spaventarsi, dichiarò che avrebbe dato loro quello che aveva indosso. Stava ancora parlando quando ricevete un forte colpo di randello sulla nuca e cadde in terra privo di sensi. Fu subito sollevato e trasportato nella cella sotterranea del rudere. mentre uno degli uomini prendeva il calessino e lo portava via per un'altra strada.

Patrick fu atteso invano nella piccola città. Pensando che non fosse potuto andare alla riunione per qualche imprevisto, il giorno seguente mandarono un uomo alla villa per chiedere se sarebbe potuto andare per un'altra riunione. Alla villa furono tutti stupiti: Patrick avrebbe dovuto essere arrivato il giorno prima e tutti pensavano che, essendosi protratta fino a tardi la riunione, avesse deciso di passare la notte là. In un primo momento pensarono a un incidente, perciò rifecero la strada osservando bene per tutto il cammino se ci fosse qualche traccia. Ma non trovarono niente: Patrick sembrava svanito nel nulla. Allora informarono lo sceriffo della sua scomparsa.

Ma dopo due giorni ricevettero una strana missiva al giornale.

Questa diceva:

"Se volete rivedere Patrick Be Bruine vivo, dovete obbedire agli ordini che arriveranno nei prossimi giorni. Diversamente preparate un bel funerale. Se avvertite lo sceriffo il funerale è certo. Nessuna indagine, solo obbedienza pronta."

La lettera non aveva alcuna firma ed era stata infilata, durante la notte, sotto la porta della sede del giornale. Quando tutti alla villa l'ebbero letta, l'angoscia scese fra loro. Kutkhay era distrutto.

Subito Jack disse: "Darei la mia vita per Patrick. Tutti noi la daremmo. Dobbiamo salvarlo, costi quel che costi."

Tutti assentirono vigorosamente. Allora Barney disse: "Propongo che in assenza di Patrick sia Hugo a dirigere la casa e nessuno di noi prenderà iniziative senza il suo consenso. Siete tutti d'accordo?"

Di nuovo tutti furono d'accordo. Hugo allora cominciò a chiedere a ognuno di esporre il proprio parere sulla situazione. Dopo una lunga discussione avevano formulato tre ipotesi verosimili: o era un rapimento per estorsione, o era opera di un gruppo di schiavisti oppure infine era un qualche concorrente in affari che voleva togliere di torno un concorrente troppo forte quale era Patrick. Nessuno di loro pensò a Clement. Decisero di aspettare la prossima lettera per potersi meglio orientare. Ma accettarono l'idea di Jimmy: erano centinaia gli ex schiavi che dovevano la propria libertà a loro; bisognava passare parola in tutta segretezza che tenessero gli occhi e le orecchie ben aperti, in modo di segnalare qualsiasi cosa strana o inusuale che notassero. Gli ex schiavi accettarono subito con genuino entusiasmo quanto loro richiesto. Si passarono parola e le istruzioni sul modo di agire: non fare nulla, non prendere nessuna iniziativa ma solo fare attenzione e dare informazioni. Soprattutto non parlarne mai per nessun motivo con nessun bianco a parte quelli della casa: infatti era evidente che nessun negro poteva aver architettato quella cosa infame e orribile.

Passarono altri due giorni e arrivò una seconda lettera, sempre infilata sotto la porta del giornale durante la notte.

Questa aveva una sola breve frase:

"Se volete rivedere Patrick vivo date fuoco alla sua villa domenica notte: voglio un bel falò, non avvertite i pompieri."

La cosa sembrò a tutti assurda. Che senso aveva? Sembrava l'idea di un pazzo. Chi ne avrebbe ricavato beneficio? Questo eliminava il rapimento per chiedere un riscatto. Avevano solo due giorni per ubbidire all'ordine. Hugo fece subito sgombrare la villa e tutti si trasferirono nel palazzo degli uffici della De Bruine & Co. Dette ordine che la porta del giornale non fosse mai persa di vista, giorno e notte. Proprio di fronte vi era una casetta abitata da una famiglia di ex schiavi, così dietro la tenda della finestra si alternarono persone per tener d'occhio la strada e sorprendere eventualmente il "postino" delle lettere ricattatorie.

La domenica notte il cielo rosseggiò per l'incendio della villa e quando i pompieri arrivarono, era troppo tardi. Kutkhay era sconvolto a quella scena e dovettero portarlo via quasi di peso. Hugo si era rivolto a un detective privato chiedendogli di fare indagini nel modo più discreto possibile. Passarono altri tre giorni dopo l'incendio: il mercoledì il pastore portò una lettera indirizzata a Goldie che aveva trovato nella cassetta delle offerte in chiesa. Come pensarono subito era la terza missiva dei rapitori:

"Bravi, vedo che siete saggi. Ora caro George Van Kleft, tocca a te: devi andare a vendere al mercato degli schiavi di Abilene il tuo amichetto Jimmy entro sette giorni da oggi. E attenzione, niente false vendite, lo deve comprare qualcuno del posto, non un amico o... sapete già che cosa succederà al vostro bel culattone di Patrick."

Jimmy si disse subito pronto ma Hugo chiese silenzio:

"Qui c'è qualcosa di molto strano: se è qualcuno che vuole fare del male a Patrick, l'avrebbe già fatto visto che l'ha in suo potere. Fargli del male colpendo Jimmy non ha senso. Il suo obiettivo è Goldie: ha rapito il suo... padrone? liberatore? amante? poi ha fatto distruggere la sua casa, e ora vuole costringerlo a vendere schiavo l'amico che ha liberato. Mi sembra evidente. Ma chi può essere? Se anche vendessimo Jimmy vedrete che continuerà a colpire finché Goldie sarà distrutto. Dobbiamo assolutamente scoprire chi c'è dietro a questa storia e soprattutto dove è tenuto nascosto Patrick. Non possiamo continuare a obbedire all'infinito."

Discussero a lungo ma non trovarono nessun elemento. Jimmy insisteva che lo vendessero per salvare Patrick ma gli altri non erano d'accordo.

A un certo punto Henrietta chiese: "Ma perché proprio ad Abilene ed entro sette giorni? Evidentemente il mostro conosce qualcuno laggiù. Può controllare chi comprerà Jimmy... forse lo comprerà lui stesso o qualcuno per lui: avrà dei complici..."

Hugo annuì pensosamente: "Hai perfettamente ragione, Henrietta. È lì che dobbiamo indagare. Propongo che Goldie vada a vendere Jimmy: tanto poi andremo a liberarlo. Ma dobbiamo prendere contatto con il nostro gruppo segreto di Abilene e informare il detective... Chi abbiamo laggiù?"

Barney controllò subito lo schedario: "Due bianchi, il dottor Smallet e il figlio del colonnello Jackson. Cinque neri: il pastore Coole, il maggiordomo dei Brill, la governante dei Mason, il cameriere dei Lewis e la cuoca degli Swanson."

"Bene, dobbiamo avvertirli tutti: dovranno tener d'occhio Jimmy e vedere chi lo compra, con chi parla, dove lo porta. Frattanto vediamo anche se ad Abilene ci fosse qualche nostro concorrente, cliente... Chi dirige il gruppo schiavista locale... Tutto quello che può essere utile sapere... e il tutto prima che Jimmy sia venduto: abbiamo pochissimo tempo. Anche i nostri detective dovranno andar subito là e vedere che cosa ne ricavano."

Tutti si misero in moto. Jimmy cercava di consolare Kutkhay, dicendogli di non preoccuparsi, che tutto sarebbe finito bene. Ma questi era sempre più depresso: possibile che esistesse gente così perfida, così spietata, così cattiva? Neanche Stevens sarebbe stato così... Ma aveva appena detto questo che Barney saltò su:

"Nessuno di noi aveva pensato a lui! E se invece fosse proprio opera sua?"

"Ma è ancora in prigione..." disse Kutkhay.

"Ne siamo sicuri? In che prigione è? Questa potrebbe essere un'altra pista. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato." esclamò Barney con vigore.

Corse a chiamare gli altri ed espose il suo sospetto: tutti di dissero d'accordo. Allora chiesero al detective di iniziare ricerche anche su quel punto.


DIETRO - AVANTI