CARDELLINO | PARTE TERZA - CAPITOLO 13 |
Patrick era stato ad ascoltare in silenzio e di mano in mano che il racconto della moglie procedeva, il suo cuore si stava riempiendo di una sorta di felicità stupefatta.
Quando lei tacque e lo guardò sorridendo appena, Patrick esclamò: "Grazie Henrietta. Voi state facendo di me l'uomo più felice di questa terra. Non immaginate quanto vi sia grato. E davvero voi sareste disposta a continuare a convivere con me?" "Se voi siete d'accordo, certo." "Sì, Henrietta. Siete straordinaria. Ho davvero avuto fortuna nello sposare voi. Ancora grazie." "Sono stata fortunata anch'io ad aver sposato voi, Patrick. Ma ora, volete presentarmi al vostro amico?" Patrick fece chiamare Kutkhay che stava aspettando nella sua stanza. Il ragazzo scese, trepidante. I due furono presentati e subito provarono un'istintiva simpatia. All'inizio l'atmosfera era un po' imbarazzata ma a poco a poco si sgelò e i tre conversarono assieme serenamente e piacevolmente. "Benvenuto dunque in casa vostra, Goldie." disse Henrietta poco prima di lasciar soli i due amanti. "Grazie, signora." rispose Kutkhay con un ampio sorriso.
Quando Patrick, un giorno, le raccontò per sommi capi tutta la storia di Kutkhay e il modo in cui lui aveva scoperto di esserne innamorato, la moglie disse: "Stavo pensando che può sembrare strana la presenza di Goldie e la sua intimità nel nostro ménage... perciò, se voi siete d'accordo, ho escogitato uno strattagemma che potrebbe sistemare tutto agli occhi del mondo..." "Dite, vi ascolto." "Ecco, vedete, se la gente vede sempre assieme voi due o noi due o tutti e tre, potrebbe mormorare: anche se voi lo presentaste come vostro segretario, dovrebbe tenere le distanze con me... e inoltre anche con voi dovrebbe avere un atteggiamento piuttosto formale... E poi rischiamo che, più che sospettare che sia il vostro amante, alla lunga si sospetti che sia il mio amante... Così ho pensato che forse la migliore soluzione sarebbe quella di presentarlo a tutti come mio cugino George Van Kleft: nessuno può sospettare che Goldie non sia un bianco e la cosa può risolvere molti problemi." Patrick la guardò sorpreso: "Voi mi stupite sempre più, Henrietta. Ma i servi sanno che è un ex schiavo e la vostra famiglia non si presterebbe certo a questa sostituzione di persona e neppure gli amici della vostra famiglia. Qualcuno inoltre potrebbe ricordarsi del mio cameriere personale... non credo che sarebbe così semplice. Ma vi ringrazio per questa generosa proposta..." "No, non sottovalutatemi. Ho pensato bene alla cosa. Ascoltate: mia madre è vecchia e quasi cieca, come sapete. E mio cugino manca ormai da sette anni e avrebbe poco più della sua età. Della famiglia di mio cugino non sopravvive più nessuno a parte mia madre e me. Lo sapete, quando mio zio morì, avendo diseredato il figlio, la sua eredità passò tutta a mio padre. "I nostri servi taceranno, sanno che è meglio per loro, comunque sono servi fidati e fedeli. Quanto ai vostri amici, non credo che ricordino il periodo in cui Goldie serviva in questa casa: sono passati tre anni e per loro Goldie era solo uno dei tanti schiavi. E il ragazzo è cresciuto. Comunque al massimo noteranno una certa somiglianza... nulla di più. Nessuno potrebbe pensare che uno schiavo possa essere fatto passare per mio cugino, è troppo inverosimile la cosa. Inoltre il ragazzo ha una discreta cultura che potrebbe comunque approfondire, perciò può benissimo passare per un Van Kleft. "Andremo assieme all'estero, ci faremo rilasciare documenti con la scusa che gli sono stati rubati e io e voi testimonieremo che è mio cugino George, quindi torneremo e avrà i documenti che certificheranno che è George Van Kleft. Riguardo all'eredità, non vedo niente di male che voi gliela facciate avere, se ciò vi sembra opportuno: comunque la gestirete sempre voi e un giorno sarà tutto ugualmente di Mike e solo questo per me è importante. "Ma se Goldie è creduto da tutti mio cugino, è logico che vi sia fra noi familiarità, e anche che voi lo trattiate con la familiarità e l'affetto con cui si tratta un parente, sia pure d'acquisto. Inoltre un Van Kleft è sempre ben accolto in società, alla pari, come voi desiderate che sia trattato il vostro amico..." Patrick la abbracciò e le diede un bacio in fronte: "Siete davvero straordinaria, Henrietta. Ma perché fate tanto per il mio Goldie?" "Perché voi lo amate e perché è un caro ragazzo, dolce e buono, mi piace. E perché in lui, in un certo senso, vedo un po' mio cugino. Proprio questo mi ha dato l'idea." "Ma se un giorno vostro cugino tornasse e pretendesse di riprendere il posto che gli spetta?" "No, non credo proprio. È passato molto tempo ormai. Inoltre sono certa che capirebbe e che starebbe al gioco: lo conosco bene e credo che, col suo carattere, la cosa gli piacerebbe e lo divertirebbe molto. Allora, che ne dite? Se vi va la mia idea dobbiamo muoverci subito, prima che il ragazzo cominci a uscire e sia presentato in società, altrimenti poi sì che il tutto diventerebbe difficile." "Bene, lasciatemici riflettere. Vi dirò presto qualcosa. Comunque, per ora, grazie di cuore." Patrick ci pensò e ne parlò anche con Kutkhay. Questi era deliziato all'idea che Henrietta si preoccupasse tanto di loro, ma al tempo stesso preoccupato. Discutendo fra di loro della cosa sorsero infatti alcuni problemi. "Ma se mi chiedono dove sono stato in tutti questi anni, se mi chiedono di descrivere i posti, le usanze, io non saprei che rispondere e tutto crollerebbe e sarebbe anche peggio, no?" "Già, ma a questo si può rimediare: puoi sempre dire di aver viaggiato lungo la costa nord-ovest, cioè puoi raccontare della tua gente. Penso anzi che i tuoi racconti risulterebbero particolarmente interessanti e comunque nessuno li potrebbe smentire. Anzi, sai che ti dico: potresti scrivere un libro sugli usi e costumi della tua gente." "Io scrivere un libro? Ma non ho la cultura..." "Al contrario, ne hai e puoi sempre aumentarla, come ha suggerito Henrietta. Ti ricordi di Rodney? Possiamo chiederlo a lui, che sono certo ti aiuterebbe e saprebbe mantenere il segreto." Kutkhay guardò Patrick: "Rodney? Sai quel che c'è stato fra noi due. Non ne sei geloso?" "No, perché mi fido di te. Che ne dici?" "Ma... e i ricordi dell'infanzia di George?" "C'è Henrietta che ti aiuterebbe per questo..." Discussero ancora, anche con Henrietta, infine decisero che dovevano farlo. Patrick sistemò i suoi affari in modo di potersi assentare per un paio di mesi, poi andò a cercare Rodney. Avevano deciso di metterlo subito al corrente di tutto e, se accettava di collaborare, di portarlo con loro. Il ragazzo aveva terminato gli studi da poco e lavorava come archivista nel giornale locale. Patrick gli raccontò di Kutkhay e di sé. Il giovane ascoltava stupito quelle confidenze: "Mi scusi, Mr. De Bruine, ma perché mi racconta cose tanto personali?" chiese a un certo punto. "Perché so quel che c'è stato fra te e Goldie quando gli facevi da insegnante e perché ora abbiamo bisogno del tuo aiuto e perché ci fidiamo di te." Rodney arrossì ma Patrick subito gli disse: "Non hai motivo di arrossire, non con me. Tu allora gli hai dato quello di cui Goldie aveva bisogno e che io non avevo ancora capito. Allora, puoi aiutarci? Vuoi? Se accetti ti offrirò un posto fisso con una paga più alta di quella che prendi ora... Che ne dici?" Il giovane accettò contento. Si licenziò e tornò a casa a preparare i bagagli per il viaggio. Ma prima, prese tutte le copie degli articoli che, fino a sette anni prima, parlavano della famiglia di George Van Kleft dagli archivi del giornale. Rodney e Kutkhay, quando si incontrarono, furono felici di rivedersi e cominciarono a parlare fitto fitto, raccontandosi un sacco di cose. Patrick fece preparare la carrozza e partirono tutti e quattro. Arrivati al porto si imbarcarono su una delle navi di Patrick che salpava per il Messico. In questo modo Kutkhay poteva arrivare dall'estero senza problemi. Già sulla nave Rodney iniziò a lavorare con Kutkhay all'idea del libro, alternando il lavoro con lezioni di cultura generale. Anche Henrietta e Patrick parlavano spesso con Kutkhay di argomenti vari col preciso proposito di allargare le sue conoscenze. Henrietta gli parlava anche spesso dell'infanzia di George, delle loro famiglie. Gli insegnarono poi l'etichetta seguita dall'élite in modo che non dovesse mai sfigurare. Per Kutkhay fu un lavoro intenso ma vi si assoggettava con buona grazia perché capiva che tutti stavano collaborando per garantirgli un futuro sereno accanto al suo uomo. Sbarcarono in Messico senza problemi: Il signor e la signora De Bruine con il loro segretario e il loro schiavo... Restarono in Messico per cinquanta giorni, visitando diverse città, e infine si presentarono tutti e quattro all'Ambasciata Americana denunciando il furto dei documenti di Kutkhay e gli altri tre testimoniarono che era George Van Kleft. L'Ambasciatore non fece nessuna difficoltà, i De Bruine ed i Van Kleft erano ben conosciuti, e subito rilasciò a Kutkhay un nuovo passaporto: ora Kutkhay era ufficialmente e legalmente il cugino di Henrietta. Tornarono via terra, noleggiando una carrozza. Appena tornati Henrietta volle subito portare Kutkhay dalla madre: era una specie di prova del fuoco. Kutkhay era teso, temeva di non riuscire. "Maman, una sorpresa: indovinate chi è ritornato?" La vecchia cercò di mettere a fuoco la figura del ragazzo: "Lo sai che la mia vista è debole. Chi c'è con te, cara?" Henrietta sospinse Kutkhay. Questi si chinò verso la donna: "Zia Betty, non mi riconoscete? È vero che sono già passati sette anni..." La vecchia si illuminò: "George! Sei George! Vieni qui, ragazzo!" esclamò e lo abbracciò stringendolo a sé. Kutkhay provava un po' di rimorso nell'ingannare così la vecchia ma doveva stare al gioco. La madre di Henrietta gli pose mille domande, volle sapere dove fosse stato in tutti quegli anni, che cosa avesse fatto, si fece raccontare... Quando Henrietta vide che le cose stavano andando bene, si assentò un attimo, scusandosi con i due, per andare a salutare la vecchia governante. Appena furono soli, la madre prese per un braccio Kutkhay e gli sussurrò: "Hai messo la testa a posto, ragazzo? Tuo padre ne ha sofferto molto, sai? Io non voglio rivangare il passato, eri un ragazzo e a un ragazzo si può perdonare molto. Ma ora, hai una ragazza?" Kutkhay si sentì imbarazzatissimo: non sapeva che la vecchia fosse al corrente del problema del vero George e non era preparato a quelle domande. Ma subito si riprese e le rispose: "Certo, cara zia. Cinque anni fa mi sono sposato. Potete stare tranquilla." La vecchia sorrise soddisfatta: "Bene. E dov'è tua moglie?" Di nuovo Kutkhay ebbe un attimo di panico e si morse la lingua. Ma poi disse con voce mesta: "È morta, l'anno scorso... Una malattia incurabile..." "Oh, povero ragazzo. Scusami, non avrei dovuto..." Tornò Henrietta e la conversazione tornò su un terreno più sicuro. Quando finalmente se ne andarono, Kutkhay raccontò a Henrietta l'incidente. Questa sorrise "Non sapevo che la mamma fosse al corrente. Comunque te la sei cavata bene." "Sì, signo... oh, scusa, sì cugina cara." Henrietta sorrise divertita: "Devi abituarti in fretta a chiamarmi cugina cara, cugina Henrietta, cara cugina... chiaro, cugino George?" "Scusami, ma non puoi chiamarmi Goldie? Mi piace quel nome. Non che non mi piaccia George, ma..." "Certo, sì. E d'altronde Goldie potrebbe benissimo essere il nomignolo di George, no?" Giunti alla villa seppero che nel frattempo Patrick aveva dato istruzioni: d'ora in poi Goldie doveva essere per tutti Mr. George Van Kleft. I servi accettarono tranquillamente questo nuovo cambiamento senza neppure chiedersene il perché. Così Kutkhay iniziò la sua nuova vita. Fu presentato in società con un gran party organizzato nella villa De Bruine: Patrick e Henrietta De Bruine erano lieti di presentare il loro cugino George Van Kleft, tornato da un lungo viaggio, loro socio d'affari, che avrebbe vissuto con loro a Villa De Bruine. Al party intervenne tutto il bel mondo. Qualcuno aveva conosciuto bene il padre di George e aveva anche un vago ricordo del ragazzo, ma nessuno mostrò di sospettare nulla. Gli amici di infanzia di George, pochi, iniziarono a ricordare aneddoti di parecchi anni prima e Kutkhay si dimostrava all'altezza del suo nuovo ruolo: quando gli raccontavano qualcosa di cui non era a conoscenza, diceva con candore e buona grazia: "Non ricordo: vi dispiace rinfrescarmi la memoria?" o qualcosa di simile e tutto andava bene. Il party fu un successo. Quando finalmente gli ospiti furono andati via e furono finalmente soli, Kutkhay si abbandonò esausto fra le braccia dell'amante: "Patrick, che fatica!" "Non ne vale la pena?" chiese l'altro carezzandolo. "Pur di poter stare qui con te, vale la pena di fare qualsiasi cosa, amore mio." sussurrò Kutkhay abbracciandolo.
Rodney, pur abitando sempre nella sua casetta con la madre, era ormai di casa dai De Bruine. Oltre a continuare ad insegnare a Kutkhay era stato assunto da Patrick come segretario e aveva così un ottimo stipendio. Rodney, su richiesta di Kutkhay, era andato a cercare Jimmy e Barney e li aveva comprati dal loro padrone, pagandoli cari ma sottraendoli al loro destino. I due erano diventati amanti da quasi un anno, perciò nella villa fu loro data la vecchia cameretta confinante con la stanza di Kutkhay, in cui fu aggiunto un lettino: Jimmy infatti faceva il cameriere a Kutkhay e Barney a Patrick, che aveva destinato Long Jack ad altri compiti. Jimmy e Barney erano felici: ora potevano amarsi senza sotterfugi e senza essere costretti a far usare i propri corpi a estranei e dimostravano tutta la propria gratitudine a Patrick e Kutkhay servendoli con dedizione piena. Kutkhay era felice. Anche il suo libro stava prendendo forma ed aveva avuto l'idea di illustrarlo con i propri disegni che erano molto belli. Circa un anno dopo il suo "ritorno", fu pubblicato il libro di George Van Kleft, cioè di Kutkhay. La prima copia la mandò in dono a Lee perché capisse che lui finalmente stava con l'uomo che amava. Fra Patrick e il ragazzo le cose andavano sempre meglio: erano sempre più uniti e sempre più felici di stare assieme. Il ragazzo, a poco a poco, prese a collaborare con Patrick nel suo lavoro e imparò presto a svolgerlo bene. Non aveva il senso degli affari di Patrick, ma aveva uno speciale talento nel trattare la gente, perciò si occupò sempre più delle pubbliche relazioni. Ma per entrambi il momento più bello era la sera, quando potevano ritirarsi tranquilli nella loro stanza. Ora che avevano come camerieri personali Jimmy e Barney, non avevano neppure più bisogno di fingere di dormire in camere diverse. Patrick aveva anche fatto costruire al primo piano una stanza da bagno, con vasca fissa e una stufa scalda-acqua. A tutti e due piaceva moltissimo fare il bagno assieme, lavarsi l'un l'altro. E ogni volta finivano anche per farci l'amore.
"Ehi, chi si rivede! Il mondo è veramente piccolo. Come mai sei vestito così bene ora? Chi è il tuo nuovo padrone che manda in giro i suoi schiavi vestiti come veri e propri damerini?" Kutkhay però ebbe presenza di spirito e, scostandosi con aria altera da quell'uomo che suscitava in lui solo ribrezzo e spiacevoli ricordi, con voce tagliente disse: "Non so chi siate né di che parliate. Io sono George Van Kleft." L'altro lo guardò, incerto per un attimo, ma poi rise: "No, non me la dai a bere, ti conosco piuttosto... intimamente io. Allora, chi è il tuo nuovo padrone?" Kutkhay non rispose e fece per andarsene, ma l'altro lo bloccò prendendolo per un braccio. Allora Kutkhay esclamò: "Mi tolga le mani di dosso, immediatamente!" Lo disse con tale determinazione e nobile alterigia che l'altro sembrò incerto e lo lasciò. Kutkhay allora si allontanò riprendendo a camminare al suo solito passo svelto, ma faticando a non mettersi a correre. Stevens lo osservò allontanarsi e scosse la testa: "Eppure quello è lo schiavetto con cui mi sono divertito e che poi ho venduto..." si disse incredulo. Avendo visto che entrava in banca lo seguì, entrò e si guardò attorno ma non lo vide. Allora si avvicinò a un impiegato e chiese: "Poco fa è entrato qui un giovane alto così, capelli castano scuri appena mossi, vestito con una redingote color crema e calzoni marrone. Sapete chi sia?" "Sì, certo, è il padrone, Mr. Van Kleft. Ora è con il direttore. Volete parlargli?" "No no, non importa. Sapreste solo dirmi dove abita?" "A villa De Bruine." Stevens tornò nell'albergo in cui alloggiava e chiese altre informazioni. Tutto coincideva eppure... lui era sicuro di non sbagliarsi, era sempre stato un ottimo fisionomista. Allora si recò a villa De Bruine. Restò a lungo nei dintorni osservando attentamente chi entrava e usciva. Dopo un paio d'ore riconobbe Jimmy. Lo seguì facendo bene attenzione a non farsi vedere e, quando gli sembrò il momento opportuno, affrontò lo schiavo: "Ehi tu! Ti ricordi di me, non è vero?" Jimmy lo riconobbe subito, poiché era un cliente abituale del bordello e aveva dovuto soddisfarlo spesso: "Masta Stevens!" "Oh, meno male, almeno tu mi riconosci. Ti hanno comprato i De Bruine, ora?" "Sì, Masta." "E scommetto che anche Goldie è lì, vero? Siete gli schiavi da letto del vostro nuovo padrone?" Il ragazzo mulatto tremava. Non sapeva che dire e per cavarsi d'impaccio disse: "Io non sono autorizzato a parlare delle cose della casa. Andate a chiederlo al padrone, se volete." Stevens sorrise biecamente: "Sì, mi informerò, voglio andare a fondo di questa faccenda. Risentirete parlare di me: qui c'è qualcosa che non mi convince davvero... Goldie che si fa passare per un bianco..." Jimmy, invece di andare a fare le sue commissioni, si recò velocemente agli uffici della Compagnia dove chiese dei padroni. Kutkhay era tornato da poco e stava parlando preoccupato con Patrick dello spiacevole incontro avuto quando fu loro detto che Jimmy chiedeva urgentemente di essere ricevuto. Introdotto nell'ufficio, anche questi raccontò del suo incontro. Patrick, che in un primo momento stava cercando di tranquillizzare l'amante, ora iniziò a preoccuparsi a sua volta. Quell'uomo poteva essere pericoloso. Ma come fare a neutralizzarlo? Qualunque azione contro di lui poteva costituire una prova che vi era qualcosa da nascondere. Ma nello stesso tempo non far nulla poteva essere altrettanto pericoloso. Inoltre Patrick, sapendo il male che l'uomo aveva fatto al suo Cardellino, ora che l'aveva a portata di mano, provava fortissima la tentazione di fargliela pagare. Decisero di tornare subito a casa e di riunire il consiglio di famiglia, compreso Rod, Barney e Jimmy. Discussero a lungo valutando il pro e contro di ogni idea che veniva loro in mente. La questione era complessa e delicata. Non riuscendo per ora a trovare una soluzione decisero di restare sul chi vive e di attendere gli sviluppi della situazione. Per prima cosa Kutkhay non sarebbe mai più uscito da solo ma sempre e solo con Patrick, Henrietta o Rod. Quanto a Jimmy e Barney, dovevano non uscire di casa per un certo periodo. Infine Patrick ingaggiò un famoso detective privato incaricandolo di indagare su Stevens, senza badare a spese, in modo di avere più elementi in mano se si fosse fatto vivo e avesse tentato un ricatto. Stevens, dopo aver fatto alcune indagini, tornò alla propria città avendo trovato ben pochi elementi sul ragazzo: tutti affermavano senza mostrare alcun dubbio che era il cugino di Henrietta Van Kleft, moglie di Patrick De Bruine, tornato da circa un anno da un lungo viaggio di esplorazioni, autore di un libro, comproprietario di banche... Eppure Stevens era sicuro di non sbagliarsi: quel giovane era lo schiavo fuggitivo dal bordello, che lui aveva ripreso, con cui s'era divertito e che aveva rivenduto. E se era vero che non si sbagliava doveva trovarne le prove e avrebbe potuto arricchirsi ricattandolo. Inoltre era una ben strana coincidenza che Jimmy, che era anche stato uno schiavo del bordello assieme a Goldie, ora fosse schiavo di questi: ciò non faceva che confermargli che non si sbagliava. Doveva capire come aveva fatto Goldie a spacciarsi per Van Kleft ingannando tutti, persino la cugina. Stevens però non si era accorto di avere alle calcagna detective privati che indagavano su di lui. Tornato a casa, perciò, continuò tranquillamente le sue indagini su Kutkhay. Vi avrebbe investito soldi e tempo, perché sentiva che ne valeva la pena. Per prima cosa tornò al bordello e chiese al suo amico di Jimmy: seppe che un inviato dei De Bruine era arrivato circa un anno prima chiedendo esplicitamente di Jimmy e Barney e che li aveva comprati, pagandoli salati senza batter ciglio, e li aveva portati via con sé. Poi Stevens riuscì a rintracciare il mercante a cui aveva venduto Goldie. Questi cercò nei suoi registri e gli disse chi aveva comprato lo schiavo. Stevens ci mise quasi sette mesi, ma riuscì a ricostruire tutti i movimenti del ragazzo fino a sapere che era stato regalato a Mr. Hogwood e che questi l'aveva venduto a Mr. De Bruine! Il cerchio s'era chiuso. Nel frattempo anche i detective avevano svolto un ottimo lavoro. Non solo avevano mandato costanti relazioni sugli spostamenti di Stevens ma avevano scavato nella sua vita e scoperto diverse cose compromettenti su di lui. Stevens era ricercato in almeno tre Stati per truffa aggravata e aveva cambiato più volte nome per sfuggire alle ricerche degli sceriffi federali: il suo vero nome era Clement, poi si era fatto chiamare Shannon, poi Riesley, infine Stevens. Quando ebbe tutta la documentazione in mano, Patrick si sentì più tranquillo. Non passò molto tempo che l'uomo si fece vivo. Come avevano immaginato chiese a Patrick un incontro e gli comunicò di avere le prove sulla vera identità di Goldie e gli chiese una forte somma per tacere. Patrick, come avevano progettato, finse di cedere alla richiesta. Disse all'uomo di tornare due giorni dopo per ritirare il denaro. Poi andò dallo sceriffo federale portandogli la documentazione su Stevens e le sue varie identità e in che albergo s'era fermato: l'uomo fu subito arrestato. Stevens-Clement quando fu preso capì chi poteva avergli giocato quel tiro, così "vuotò il sacco" parlando della vera identità di Kutkhay. Ma non ebbe altro risultato che passare per un pazzo mitomane, anche perché quando chiese un avvocato e lo incaricò di andare nella sua stanza d'albergo a prendere le prove sulla vera identità del ragazzo, l'avvocato non trovò nulla: i detective infatti, appena l'uomo era stato arrestato, erano riusciti a introdursi nella stanza, l'avevano perquisita a fondo e avevano trovato i documenti e le dichiarazioni raccolte dal malvivente, sottraendole e consegnandole a Patrick. L'avvocato ricusò la difesa dell'uomo. Clement fu portato via per essere giudicato negli Stati in cui era ricercato e tutti tirarono un grosso sospiro di sollievo. Certamente per parecchi anni sarebbe restato in carcere e sarebbe perciò stato innocuo.
"Vi chiedo scusa, signora, io sono Andrey Kotnich, pittore. Ho avuto piacere di leggere questo libro e ho riconosciuto i disegni del vostro schiavo Goldie al quale avevo insegnato a disegnare. Ecco, vede, ero affezionato al ragazzo che allora era al servizio di Mr. Hogwood e, se lei permette, avrei piacere di rivederlo..." Henrietta si sentì quasi svenire ma si controllò perfettamente: "Mi spiace, Mr. Kotnich, ma in questo momento mio cugino Van Kleft non è in casa e io non saprei che cosa rispondervi..." "Ma almeno posso vedere Goldie?" insisté il pittore. "Anche lui non è in casa, ora, mi spiace. Se lei potesse ripassare domani..." Il pittore chiese scusa per il disturbo, assicurò che sarebbe tornato il giorno dopo e salutò. Allora Henrietta fece subito preparare il calessino chiuso, anche se gli uffici erano abbastanza vicini per essere raggiunti a piedi, e vi si recò in fretta. Di nuovo si riunirono tutti e Henrietta li mise al corrente del nuovo imprevisto. Kutkhay scosse il capo sorridendo: "Ma no, Andrey è diverso, non vuole di sicuro ricattare nessuno. La cosa migliore è che io lo incontri e lo metta al corrente di tutto. Sono certo che non farà niente di male." Gli altri cercarono di sconsigliarlo ma Kutkhay era sicuro del fatto suo. Così il giorno seguente si fece trovare alla villa. Si divertì molto nel vedere l'espressione stupita di Andrey quando lo riconobbe e lo vide non più sotto le spoglie di schiavo ma di gentiluomo. Kutkhay gli spiegò tutto poi lo invitò a fermarsi come ospite per cena: voleva fargli conoscere la sua nuova famiglia. Andrey accettò con piacere. Dopo cena, prima di andarsene, il pittore li rassicurò di nuovo che avrebbe mantenuto gelosamente il segreto, poi disse a Kutkhay che lo aveva accompagnato alla porta: "Sono lieto per questa tua sistemazione. Capisco perché tu fossi tanto innamorato del tuo Patrick: hai ragione, è una persona incantevole, affascinante e si vede quanto sia forte l'amore che vi lega. Ti auguro un futuro felice con la tua nuova famiglia." "Se passerai di qui, sarai sempre un ospite gradito, ricordalo." gli disse Kutkhay salutandolo con uno stretto abbraccio. Quella sera a letto Patrick disse a Kutkhay: "Così, a poco a poco, conosco tutti i tuoi ex amanti..." "No, tu sei il solo, unico, vero mio amante. Con gli altri ho fatto l'amore, è vero, ma erano solo cari amici, nulla di più. Nessuno può sostenere il confronto con te, lo sai." Patrick lo abbracciò: "Non lo saprei se non lo leggessi continuamente nei tuoi occhi. Sono stato veramente fortunato ad avere incontrato te quel giorno sulla nave e di aver deciso di tenerti con me: tu hai riempito e dato un senso alla mia vita." "Il fortunato sono stato io, sulla nave: mi hai salvato la vita. Ma io ti avevo già notato a terra e mi ero subito invaghito di te, sai?" "Io invece, hai visto quanto ci ho messo a innamorarmi di te?" "No, ci hai solo messo un po' di tempo a renderti conto di essere innamorato di me. Ma credo che qualcosa sia scattato subito, quando hai deciso non solo di non farmi buttare a mare, probabilmente l'avresti fatto anche se fossi stato brutto o vecchio, ma quando hai deciso di prendermi con te, di occuparti di me. Che cosa sarei ora se non ci fossi tu? Solo un piccolo selvaggio..." "Ma tu sei il mio piccolo selvaggio..." lo celiò Patrick stringendolo forte forte a sé e baciandolo. Kutkhay rispose con passione al bacio e la notte passò anche troppo veloce per i due innamorati. Ogni volta che si univano provavano entrambi un'emozione indicibile, quasi pari a quella della prima volta quando avevano lasciato da parte il timore che l'altro non corrispondesse e si erano avvicinati l'uno all'altro nella carrozza. Anzi, più il tempo passava, più si conoscevano bene, più riuscivano a compiacersi a vicenda in ogni piccola cosa durante la giornata o quando facevano l'amore. Kutkhay prendeva sempre più confidenza e sicurezza in se stesso e il loro rapporto stava davvero diventando alla pari. Il ragazzo dimostrava tutta la propria forza e personalità ora, pur senza perdere nulla della propria dolcezza e spontaneità. Un'abitudine che Kutkhay non aveva perso, comunque, era quella di mettersi nudo appena poteva. E presto anche Patrick aveva imparato a imitarlo: non solo in camera loro, ma anche in mezzo alla natura, quando era possibile. Avevano scoperto un laghetto fra i boschi a due ore di cavallo dalla città, fuori dalle vie di comunicazione: un angolo di paradiso. Quando avevano tempo vi si recavano assieme, si liberavano in fretta di tutti gli abiti e correvano nei prati, si arrampicavano sugli alberi, si rincorrevano e giocavano, si tuffavano nell'acqua cristallina e nuotavano, si stendevano a prendere il sole, lottavano scherzosamente sull'erba e si univano in lunghissimi e dolcissimi amplessi: era bello poter guardare il corpo nudo dell'altro, farlo vibrare di piacere, svegliarne il desiderio e poi far l'amore sotto il sole, in piena libertà, in mezzo alla natura. Un'altra cosa che amavano molto entrambi era passare tutti e due assieme un po' del loro tempo libero con Mike. Il piccolo cresceva forte e allegro. Ormai aveva quattro anni. Si era affezionato moltissimo a Kutkhay tanto da preferirlo spesso al padre e persino alla madre. Henrietta, oltre a svolgere il suo ruolo di moglie ufficiale, continuava a occuparsi delle sue attività culturali e caritative. Proprio a questo proposito un giorno, parlando con Kutkhay, il discorso cadde sul concetto di schiavitù. Da quel giorno, specialmente quando erano a tavola, il discorso tornava spesso su quel concetto. Rod sosteneva che la schiavitù era una cosa vergognosa, che si sarebbe dovuta abolire. Kutkhay sosteneva che comunque è orribile essere comprati e venduti come merce, senza avere voce in capitolo, dover sempre solo obbedire, subire... e in fondo conveniva con Rod. A poco a poco anche Patrick e Henrietta giunsero a convenirne. Fu a quel punto che Henrietta disse: "Ma che possiamo fare, noi?" "Cominciare a liberare i vostri schiavi e dar loro un salario. Dar loro la libertà di decidere." rispose pronto Rod. "Ma liberare solo i nostri non risolve il problema. Dobbiamo cercare di convincere altri a seguire il nostro esempio, dobbiamo far sì che cambi il costume, le leggi... È un compito immane, ma bisogna pure che qualcuno cominci!" disse Patrick infervorato. Allora Kutkhay disse: "Fra gli schiavi esiste già un movimento che cerca almeno di salvare gli schiavi più maltrattati favorendone la fuga in Canada o in Messico, nascondendoli, proteggendoli. Ci sono già persone che hanno fatto questa scelta. Per esempio il pastore che aiutò me. Possiamo dar loro fondi, oltre a un sostegno morale; aiutarli concretamente... Barney ne sa qualcosa, potrebbe aiutarci." L'idea prese corpo. Allora, chiamato Barney gli proposero di ridargli la libertà e gli chiesero se avrebbe accettato di lavorare con loro per impostare, sorreggere e organizzare non solo la fuga degli schiavi, ma una campagna contro lo schiavismo. Il giovane si illuminò in un ampio sorriso: "Se accetto? Potete contare su me completamente, anche più che su uno schiavo fedele: io vi devo tutto e farò sempre quello che mi chiederete, sempre, senza discutere." Rod sorrise: "Eh, no. Se sei una persona libera devi fare sempre e solo quello che ti sembra giusto, non quello che ti viene chiesto di fare." "Sì, il discorso fila. Ma ci sono due cose di cui lei non ha tenuto conto, Masta Rupert: uno è che la gratitudine diventa un legame ancor più stretto di quello della schiavitù, perché la schiavitù non la scegli tu ma la gratitudine sì; e l'altro è che per voi tutti io ho un'ammirazione sconfinata, perché ormai vi conosco e so che siete persone uniche: perciò mi fido di voi e non avrebbe senso discutere le vostre decisioni. E poi, c'è un'ultima cosa: io sono nato schiavo, sono cresciuto schiavo, mi ci vorrà un po' di tempo ad abituarmi a pensare da essere libero." "Ti aiuteremo a perdere la mentalità di schiavo Barney, se tu ci aiuterai a perdere quella da padroni. D'accordo?" chiese Patrick. "Certo signore. Solo una cosa vorrei chiedere: come uomo libero potrò continuare ad usare il cognome De Bruine? Ci terrei davvero moltissimo." "È naturale. Ma se conservi il nome dei De Bruine, ricordalo, significa che non solo sarai un uomo libero ma entrerai in qualche modo a far parte della famiglia. Perciò ti assumerai anche la tua fetta di responsabilità per la nuova famiglia. Intesi?" "Oh, sì certo. E anche Jimmy potrà restare un De Bruine?" "Se lo vuole, sì." "Che bellezza: avremo così lo stesso cognome come due persone sposate! Non è bellissimo Jimmy?" esclamò Barney e giratosi verso il suo amante lo baciò con affetto. Questi, lievemente imbarazzato per quelle effusioni, disse: "Ma siamo già De Bruine, come schiavi di Masta Patrick. Non cambia nulla..." "No, prima cambiando padrone si cambiava nome. Ora questo nome sarà nostro fino alla morte, su tutte le carte. Non è un regalo meraviglioso? Non capisci: d'ora in poi la nostra vita è completamente diversa: non dobbiamo più temere di essere separati, mai." "Ma Masta Patrick e Masta George e Missus Henrietta non ci avrebbero mai separati, no?" ribatté Jimmy guardandoli in cerca di una conferma. "No, certo. Ma se, metti, per disgrazia avessimo debiti, o morissimo, come schiavi potreste essere venduti e separati, come uomini liberi no..." disse Patrick. Jimmy annuì gravemente ed espresse i propri sentimenti con un'unica parola, carica di emozione: "Grazie!"
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