CARDELLINO | PARTE TERZA - CAPITOLO 12 |
Il viaggio fu lungo e stancante, come aveva previsto, ma più che per le miglia che avevano macinato, per l'ansia di arrivare presto. Di mano in mano che la meta si avvicinava Patrick sentiva come un'urgenza, una smania indicibile crescere in lui. E trepidazione. Quasi insensibile all'avvicendarsi di paesaggi sconosciuti e spesso affascinanti, per la maggior parte del tempo il giovane uomo era perso in un mare di pensieri, di fantasticherie, di progetti.
A volte si sentiva sicuro: il suo amore era corrisposto, sarebbe finalmente fiorito da quell'incontro: i ricordi e soprattutto la lettera glielo confermavano. A volte invece si sentiva incerto, aveva il timore di essersi illuso. Forse semplicemente il ragazzo era stato meglio al suo servizio che non ora e solo per questo gli aveva scritto... O forse era solo affezionato a lui, riconoscente per avergli salvato la vita. Ma, si diceva, se anche fosse stato così, io sono innamorato di lui, io ho bisogno di lui, perciò devo portarlo via con me ugualmente. E comunque lui me lo chiede. Ma poi si convinceva di nuovo, e dopo poco di nuovo temeva in un alternarsi di speranze e timori, di dolcezza e di inquietudine. Leggeva la lettera, ne analizzava ogni parola, la rigirava lungamente nella propria mente. Cercava di leggere fra le righe, di interpretarla in tutti i possibili modi... Ulisses e Long Jack sentivano solo che il loro padrone era diverso dal solito ma non ne sapevano, non ne capivano la causa. Così, quando erano in sua presenza tacevano, lievemente intimoriti da quel comportamento così diverso, così strano. Finalmente la sera del sesto giorno giunsero a destinazione. Si fermarono in un hotel nel centro della città e Patrick, dopo aver preso una camera ed essersi rinfrescato e cambiato, si informò dalla proprietaria dell'albergo dove fosse la residenza dell'avvocato Hogwood e se si fosse già trasferito. Saputo che era ancora in città, si sentì sollevato. Aveva voglia di correre subito a cercare il suo Cardellino ma era tardi e non sarebbe stato corretto presentarsi a quell'ora, per di più senza farsi annunciare. Vagò un po' intorno alla casa che aveva individuato, nell'ingenua speranza di vedere o di esser visto dal ragazzo. Ma tutte le luci erano già spente. Si rassegnò a tornare in albergo e ad aspettare l'indomani. La mattina seguente, a un'ora conveniente, inviò Long Jack a casa Hogwood con un suo biglietto in cui chiedeva di esser ricevuto con urgenza, senza spiegare il motivo della sua visita, dicendo solo che era per affari importanti. Attese il ritorno del suo servo con impazienza e ogni minuto che passava gli sembrava durare un'eternità. Spiava continuamente il proprio orologio da panciotto, aprendone il coperchio e guardandovi nervosamente l'ora, poi richiudendolo con un secco scatto. Di fronte all'albergo vi era la sede di una banca consociata con quella di proprietà della moglie. Traversò la strada, entrò, chiese del direttore e si presentò mostrandogli le credenziali. Chiese informazioni su Mr. Hogwood. Il direttore gliele diede volentieri: era un buon cliente, corretto, e si diceva che stesse facendo carriera politica. Non era veramente ricco ma non aveva certamente problemi finanziari. Aveva un carattere un po' austero ma era un vero gentiluomo... Patrick tornò verso l'albergo temendo che il suo servo fosse già tornato con la risposta, ma lo vide arrivare dal fondo della strada. Gli andò incontro e Long Jack gli porse un biglietto di risposta. Lo aprì febbrilmente; vi era scritto semplicemente: "Sarò lieto di riceverLa questo pomeriggio alle ore 16, in casa mia, per il tè." Ancora altre sei ore circa... Tornò nella banca e di nuovo parlò con il direttore. Gli espose in breve il motivo della sua visita in quella città, naturalmente senza scendere in particolari, ma chiedendogli consiglio. Il direttore disse che se lo schiavo era stato venduto senza il suo permesso, avrebbe potuto pretenderne la restituzione e lo consigliò di andare dallo sceriffo federale con la copia della denuncia di ricerca e farsi accompagnare da questi. Ma Patrick rifiutò: Mr. Hogwood sicuramente aveva acquistato lo schiavo in buona fede, così lui preferiva semplicemente riacquistarlo. Il direttore gli fece presente che Mr. Hogwood avrebbe potuto rifiutarsi di venderlo. Discussero a lungo ma infine Patrick decise che, prima di tentare le vie legali, avrebbe cercato di riavere il suo schiavo con un gentlemen agreement. Tornò in albergo per pranzo, poi passeggiò un po' per la città aspettando che arrivassero le sedici, cercando di calmare l'agitazione che lo pervadeva. Kutkhay era uscito per fare commissioni ed era anche passato di fronte all'albergo, ma i due non si erano incrociati. Così quando Patrick, puntuale, si presentò alla casa di Mr. Hogwood, il ragazzo era assente. Suonato alla porta, pensò che poteva anche essere il suo Cardellino ad aprirgli e attese con il cuore in gola. Ma era un altro servo. Fu fatto entrare e l'avvocato gli andò incontro. Si presentarono salutandosi formalmente, fu fatto accomodare in salotto dove gli fu presentata Mrs. Hogwood, gli fu offerto il tè. Patrick aveva voglia di venire al sodo ma l'etichetta glielo impediva. Finalmente l'avvocato gli chiese: "Nel biglietto mi diceva che desiderava vedermi con urgenza per importanti affari..." Patrick di colpo si sentì calmo. Mentre stava per parlare, gli venne un'idea che subito mise in pratica: "Sì, Mr. Hogwood. Lei è avvocato e ho bisogno di un suo parere legale per una questione assai delicata." "Mi dica..." "Ecco, vede, avevo uno schiavo a cui tenevo molto. A mia insaputa, durante una mia assenza, mio padre l'ha venduto a un mercante di schiavi. Questi l'ha rivenduto a un gentiluomo, il quale è all'oscuro della vicenda perciò in perfetta buona fede. Ma io voglio riavere il mio schiavo. Che cosa mi consiglia di fare in questo caso?" L'avvocato che si era lievemente proteso verso di lui per ascoltare, si appoggiò allo schienale della poltrona e sorrise: "Il caso è piuttosto semplice: la vendita non è legale in quanto si tratta di un bene che le è stato sottratto a sua insaputa ed è stato alienato contro la sua volontà. Se il suo attuale padrone è, come lei dice, un gentiluomo, capirà il fatto e sarà lieto di rimediare all'illegalità. Al contempo però suo padre dovrebbe risarcire il gentiluomo in questione." Patrick annuì, poi chiese: "Ma se il gentiluomo, per un qualsiasi motivo, non volesse privarsi di questo schiavo?" "Beh, allora si potrebbe intentare una causa civile e se lei ha le prove di quanto asserito, certamente lei la vincerebbe." Patrick allora, guardando dritto negli occhi l'avvocato, con un lieve sorriso quasi volesse scusarsi per il piccolo inganno, disse: "Vede, Mr. Hogwood, il gentiluomo in questione, che fin'ora era all'oscuro del problema, è lei. Si tratta del mio schiavo di pelle chiara nominato Goldie..." L'avvocato per un attimo perse il suo sorriso professionale e guardò dritto negli occhi di Patrick come per sincerarsi che l'altro fosse serio, poi si rilassò con un sorriso appena accennato: "Lei è molto astuto, Mr. De Bruine... comunque, quel che ho detto resta valido." "Mi perdoni per questo mio sotterfugio, ma per me è molto importante riavere quello schiavo. Logicamente sono disposto a ripagarglielo qualsiasi cifra l'abbia pagato." L'avvocato rifletté un attimo: "Certo. Per me è una grossa perdita, poiché il giovane era per me più un segretario che non un comune schiavo: è un elemento prezioso e mi spiace molto perderlo. Ma capisco anche che per la stessa ragione per cui mi piacerebbe poterlo tenere lei voglia riaverlo." "Sono disposto a risarcirla abbondantemente, Mr. Hogwood." "Non è tanto questione di denaro: Goldie mi era stato donato da mio suocero... Comunque mi sta bene. Ora Goldie è fuori per commissioni. Quando tornerà lo avvertirò e lo farò preparare. Potrà mandare a prenderlo questa sera stessa, diciamo alle diciannove se per lei è un'ora appropriata." Patrick si sentì profondamente sollevato per la semplice soluzione del problema: "La ringrazio, lei è veramente un gentiluomo. Riguardo al risarcimento, se lei è d'accordo, le suggerisco di fare così: so che lei si sta per trasferire nella capitale; acquisti il miglior schiavo che potrà trovare, adatto per le incombenze che pensa di affidargli e, qualunque sia il prezzo che dovrà pagare, si rivolga a una filiale o consociata della mia banca e otterrà la somma necessaria. Le lascio un mandato di pagamento e invio subito istruzioni a tal proposito, se per lei va bene. Se invece preferisce, possiamo fissare ora un prezzo e passare alla banca che c'è di fronte al mio albergo..." L'avvocato annuì: "Anche lei è un vero gentiluomo, Mr. De Bruine. Preferisco accettare la prima soluzione da lei prospettata, se non la incomoda." rispose alzandosi in piedi. Anche Patrick si alzò, chiese da scrivere e compilò un mandato fiduciario di pagamento. Quindi, poco prima di accomiatarsi, chiese sorridendo: "E... posso sapere qual è il suo onorario per il consiglio legale che mi ha così cortesemente dato?" Questa volta Mr. Hogwood rise di gusto e fece cenno di lasciar perdere. I due si salutarono e Patrick tornò in albergo sentendosi leggero e felice. Ancora un'ultima attesa, poi finalmente... Era stato molto più facile di quanto avesse previsto.
"Goldie, devi andare subito a preparare il tuo bagaglio, mettici i tuoi abiti e le tue cose: questa sera stessa alle diciannove dovrai esser pronto per partire." "Partiamo già, signore?" chiese stupito il ragazzo. "No, non io, solo tu." "Mi scusi, padrone, non capisco..." disse il ragazzo, poi, diventando improvvisamente teso, chiese a mezza voce, titubante: "Vuol dire che... mi ha venduto, padrone?" "Sì, ti ho venduto a un gentiluomo che ci teneva molto a portarti via con sé." disse l'uomo studiando l'espressione del ragazzo. "Non era contento di me, padrone?" chiese con espressione mortificata il ragazzo. "No, tu mi piaci molto, ragazzo. Ma questo gentiluomo mi ha convinto a cederti a lui. Perché... è il tuo padrone di prima che ti ha perso contro la sua volontà e dice che ti rivuole con lui..." Per un attimo Kutkhay si sentì confuso e una morsa lo afferrò allo stomaco perché pensò che si trattasse del padrone del bordello che era riuscito a rintracciarlo, ma poi una timida speranza si riaccese in lui e con voce tremante chiese: "Padron De Bruine?" "Sì, proprio lui. Vai dunque a prepararti, ti manderà a prendere tra poco." disse l'avvocato guardando l'orologio. "Vado, padrone!" esclamò Kutkhay raggiante e salì svelto in camera sua. Gli tremavano le gambe, si sentiva come sconvolto, tanto era felice, aveva voglia di piangere e di ridere per la gioia e l'emozione: il suo padroncino aveva mandato a riprenderlo finalmente, non si era dimenticato di lui, lo voleva ancora... Fece un pacco con i suoi abiti e i suoi disegni: era tutto ciò che aveva. Lo legò con uno spago e scese. Il grande pendolo dell'ingresso segnava le 18,49. Dopo poco una carrozza si fermò davanti alla porta della casa. Ne scese Long Jack che suonò alla porta. Kutkhay stava per andare ad aprire ma fu preceduto da Sem. Long Jack disse: "Da parte di Mr. De Bruine, vengo a prendere Goldie." "Attendi, chiamo il padrone." rispose Sem. Kutkhay fremeva per l'impazienza ma non si mosse. Mr. Hogwood arrivò e dette il suo consenso. Kutkhay salutò e uscì seguendo lo schiavo mulatto. Appena la sua figura si stagliò sulla porta, dalla portiera aperta del cocchio si affacciò la figura di Patrick: questi guardò con un sorriso commosso il ragazzo e disse semplicemente: "Vieni..." e gli fece cenno di salire con lui. Il ragazzo lo guardò per un attimo restando immobile, poi scese le scale come in trance e salì nella carrozza, ignaro dello sguardo di Sem che osservava la scena, stupito che uno schiavo salisse sulla carrozza di un padrone. Long Jack chiuse la portiera, salì a cassetta e la carrozza ripartì. Il ragazzo non s'era ancora seduto: era rimasto in piedi davanti a Patrick guardandolo con occhi lucidi per la commozione, senza dire una sola parola perché la gola era chiusa da un nodo stretto stretto... Quando la carrozza partì Kutkhay perse l'equilibrio e cadde addosso a Patrick che subito, d'istinto, l'accolse fra le sue braccia e lo strinse a sé. Poi, col viso che sfiorava i capelli del ragazzo, con voce rotta per l'emozione, gli sussurrò: "Finalmente, Cardellino!" e gli posò un lieve bacio sulla fronte. Il ragazzo allora cinse la vita del suo padrone con entrambe le braccia, scivolando in ginocchio fra le sue gambe, appoggiò la testa sul ventre di Patrick e due lagrime gli solcarono le gote. Patrick lo carezzò dolcemente sui capelli e sulla schiena, poi lo tirò su a sé e d'impulso lo baciò dritto sulla bocca. All'inizio le loro labbra si toccarono appena, poi si premettero, poi si schiusero in un bacio intimo, caldo, profondo, dolcissimo. Le carezze di Patrick si fecero più ardite, più insistenti e anche se si ripeteva che non doveva cedere al desiderio che provava per il ragazzo, anche se cercava di trattenersi, una terribile eccitazione si impadronì di lui. Kutkhay sentì il risvegliarsi del desiderio del giovane uomo, ne sentì l'erezione crescere e premere contro di lui attraverso gli abiti e subito rispose allo stesso modo, felice che il suo padrone lo tenesse così. A poco a poco i due si avvicinarono di più, aderirono l'uno all'altro per sentire e far sentire ciò che stavano provando l'uno per l'altro. La carrozza ora aveva abbandonato la città e aveva preso veloce la via del ritorno. A due ore di strada vi era una stazione di posta ove si sarebbero fermati per passare la notte. Patrick e Kutkhay erano ora semisdraiati sul sedile della carrozza, dimentichi di tutto, consci solo della presenza dell'altro e del reciproco desiderio che si stava manifestando a poco a poco, dapprima timidamente, poi in modo sempre più forte, esplicito, chiaro. Ormai le loro mani scorrevano per tutto il corpo dell'altro, cercando, palpando, carezzando incessanti e i loro sensi erano tutti protesi a dire all'altro la gioia di quell'incontro, tutto il desiderio che li stava inondando. "Cardellino, io... io sono innamorato di te!" mormorò Patrick incapace ormai di ogni prudenza, affondando il viso fra la spalla e il collo del ragazzo. Questi ebbe come un singhiozzo, poi rispose con voce rotta per l'emozione: "Oh, Patrick, signore, anche io, anche io sono pazzo di te, ti amo... ti amo da sempre. Sei tornato a riprendermi finalmente: non lasciarmi mai più, ti prego!" "No, te lo giuro... Ci ho messo tanto tempo a capire che ti amo, ma ora lo so, ne sono certo e non voglio perderti mai più, mai più. Specialmente ora che mi hai detto che anche tu mi ami!" Il desiderio reciproco si stava finalmente manifestando senza più esitazioni. Patrick aveva cominciato a sbottonare la giacca del ragazzo, poi la sua camicia e ora carezzava direttamente la pelle del petto e della schiena di Kutkhay che era tutto un fremito di piacere. Allora questi trovò il coraggio di fare ciò che da sempre desiderava: con la mano andò a saggiare la consistenza dell'eccitazione del padrone e ne attese trepidante la reazione. Questi si spinse di più contro di lui e lo baciò di nuovo. Allora Kutkhay non ebbe più incertezze e prese a sbottonare i calzoni di Patrick. A poco a poco i due si aprirono reciprocamente tutti gli abiti finché furono seminudi e i loro corpi poterono toccarsi senza ostacoli. Erano entrambi emozionatissimi, felici, persi in un mare di emozioni dolcissime. Nonostante il desiderio reciproco fosse fortissimo, nonostante fossero ormai avvinti l'uno all'altro e gli abiti non costituissero più un vero ostacolo, nonostante le loro carezze ormai non fossero più controllate ma sempre più intime, i due non giunsero al rapporto completo: quando l'emozione è troppo forte può diventare difficile giungere a una conclusione, forse anche perché si sente confusamente che il consumare rapidamente la passione porta al cessare di quelle dolcissime effusioni. E tutti e due, sia pure inconsciamente, non volevano far cessare quel momento magico della reciproca scoperta, quel momento tanto atteso, sognato, desiderato e ora finalmente reale, tangibile, meraviglioso. Anche se, tre anni prima, i loro corpi si erano toccati, ora era diverso: ora si stavano scoprendo a vicenda, stavano imparando a conoscersi, si esploravano in un'incessante frenesia di piacere. A volte l'eccitazione fisica porta inevitabilmente al punto senza ritorno per cui diventa impossibile controllarsi. Ma quando è una diversa eccitazione a prendere il controllo, quando il reciproco desiderio, pur essendo anche fisico è superato dal desiderio spirituale e affettivo per l'altro, allora non è più neanche questione di autocontrollo, ma è naturale e spontaneo far di tutto per prolungare quei momenti di contatto in cui tutto avviene all'unisono, tutto è armonia e dolcezza. A poco a poco si ricomposero, consci anche che la carrozza stava rallentando e che la prima tappa era vicina. Kutkhay sedette accanto a Patrick e questi gli pose una mano su una guancia e gli sussurrò: "Quanto sono felice di riaverti con me!" "Anche io, signore... Non avevo mai smesso di credere che sareste venuto a riprendermi." Patrick volle che il ragazzo gli raccontasse per filo e per segno tutto quello che gli era accaduto in quei tre anni. Kutkhay aveva appena cominciato che la carrozza si fermò davanti all posta. "Mi racconterai, poi. Adesso scendiamo, mangiamo e ci riposiamo. Il viaggio è ancora lungo. Ma questa volta non c'è fretta." Rifocillatisi e lavatisi sommariamente, Patrick chiese una stanza per loro due mentre Ulisses sistemava i cavalli per la notte. I due amanti salirono in camera. Ancora semivestiti si stesero vicini su uno dei due letti, Patrick cinse il ragazzo e lo attirò a sé e gli chiese di continuare il racconto. Mentre lo ascoltava lo carezzava dolcemente, quasi a compensarlo di tutte le disavventure corse, di tutte le brutte esperienze attraverso cui era passato e di mano in mano che il racconto procedeva e Patrick lo interrompeva con domande, esclamazioni, considerazioni, le loro carezze si facevano via via più intime. Anche Kutkhay ora poteva finalmente carezzare liberamente quel corpo che aveva tanto desiderato. La notte era scesa e solo il lume a petrolio li rischiarava ancora. Il racconto era finito e Patrick aveva cominciato a baciare il suo amato e a poco a poco si denudarono l'un l'altro, per la festa dei loro occhi, delle loro mani e di nuovo le loro eccitazioni sbocciarono vigorose. Ormai non potevano più rimandare, ognuno aveva bisogno dell'altro. Kutkhay non aveva taciuto nulla nel suo racconto, neanche le sue numerose disavventure, o avventure, sessuali. Così Patrick gli sussurrò: "Io... è la prima volta che faccio l'amore con un uomo: dovrai guidarmi tu, Cardellino. Vuoi?" "Con immenso piacere, signore." Patrick gli pose un dito sulle labbra in un tenero gesto di silenzio, gli sorrise dolce e disse: "No, non devi mai più chiamarmi signore, né dovrai mai più chiamare nessuno padrone d'ora in poi: io ti amo e ti voglio avere sempre al mio fianco e voglio che tu mi chiami solo Patrick, come è giusto che avvenga fra due amanti. Me lo prometti?" Kutkhay guardò con occhi luminosi di amore l'altro e mormorò: "Ci proverò... Patrick. Ma io ho sempre pensato a te come il mio unico padrone..." "E allora ti chiamerò anche io padrone!" disse l'uomo sorridendogli e carezzandolo fra le gambe. "Ma no, non è possibile. Non sarebbe giusto... Sono io che mi sono donato a te, là sulla nave, quando mi hai preso con te." "Quando due si amano ognuno appartiene all'altro, completamente, anima e corpo. Io ora mi sto donando a te. Perciò se è vero che io sono il tuo padrone, è anche vero ora che tu sei il mio padrone. Quindi, chiamami Patrick: tra me e te non dovrà esserci più nessuna differenza, se è vero che ci amiamo." Si baciarono e i loro corpi si intrecciarono strettamente, dando e ricevendo reciproco piacere, finché Kutkhay attirò a sé l'amante, offrendoglisi, guidandolo e lo implorò con la voce resa roca per l'eccitazione: "Prendimi... ti prego." Patrick si lasciò guidare e quando Kutkhay vide l'espressione di intenso piacere dipingersi sul bel volto dell'uomo che amava, si sentì in paradiso. Ma dopo poco Patrick si staccò da lui, e a sua volta gli si offrì sussurrando emozionato ed eccitato: "Ora sarai tu a prendere me, amore..." Kutkhay colse la verginità del suo amante e amato spiandone l'espressione del volto: quando lo vide aprirsi in un sorriso pieno di gioia, lo prese con genuino entusiasmo. Quando finalmente giacquero, ansanti, appagati, Patrick carezzando il suo amante gli disse: "Sai, è bellissimo fare l'amore con te. È la prima volta che provo emozioni così belle, così intense, così complete. Non ha niente a che vedere con i rapporti che ho avuto con mia moglie, questo sì che è far l'amore. Perché ora c'è veramente anche l'amore." Kutkhay si irrigidì per un attimo, teso. Patrick lo sentì e gli chiese, preoccupato: "Che c'è, amore mio?" "Sei... sposato?" "Sì, ma non cambia nulla. Io amo te e voglio vivere con te." "Ma... e tua moglie?" "A lei non piace il rapporto fisico. Credo che sia frigida. Tu sarai sempre il mio unico e vero e solo amante e vivrai sempre al mio fianco, non ti preoccupare." "Ma lei lo accetterà?" "Gliene parlerò e se lo vuole divorzierò." "Ma io non voglio crearti problemi. Io..." "Taci, amore. Tu non sei, non sarai mai un problema." Parlarono ancora a lungo. Avevano mille cose da dirsi, da raccontarsi, da chiedersi e ognuno voleva sapere tutto dell'altro, perché quando ci si ama si desidera conoscere tutto, anche i più piccoli particolari, i più piccoli pensieri, ogni cosa. Il mattino si svegliò per primo Patrick, che ammirò il corpo dell'amante a lungo, alla luce del giorno: era maturato in quei tre anni, era bello più che mai. Pensò che poche ore prima lui aveva conosciuto intimamente quel corpo, l'aveva posseduto, goduto. Pensò con piacere che aveva accolto in sé quel bel membro che ora giaceva languido fra le cosce ben tornite, che si era donato a lui... Carezzò il bellissimo corpo di Kutkhay vi depose piccoli baci pieni di tenerezza fino a svegliarlo. "È ora di alzarci, amato mio." gli bisbigliò. Kutkhay lo guardò con occhi colmi di gioia: "Ma allora non ho solamente sognato!" disse allegro. "No, certo: è tutto vero, reale: siamo finalmente assieme, siamo finalmente uniti." Si alzarono e si rivestirono. Patrick lo osservava. "Stai bene vestito così. Compreremo un bel guardaroba anche per te. Non dovrai sfigurare. Voglio che tu sia sempre elegante, tutti devono ammirare la tua bellezza." gli disse carezzandolo. Ripresero il viaggio. Patrick aveva detto a Ulisses che non c'era fretta. Voleva godersi il viaggio di ritorno. In carrozza continuavano a parlare e a carezzarsi l'un l'altro, a baciarsi e tutti e due erano in estasi per la vicinanza dell'altro. Si fermarono all'attraversamento di un torrente di acqua fresca e pura e scesero per bagnarsi. Entrarono in acqua completamente nudi e presero a risalire la corrente giocando a spruzzarsi ridendo felici come due monelli spensierati. A un certo momento Patrick si rese conto che si erano allontanati abbastanza dal punto in cui s'era fermata la carrozza e i due servi li aspettavano: dove erano ora nessuno li poteva scorgere. Allora disse timidamente a Kutkhay: "Sai, ho voglia di fare di nuovo l'amore con te..." "Sì, vieni..." "Qui nell'acqua?" "Perché no? Non ci capiterà spesso di poterlo fare così. Vieni..." insisté il ragazzo con un caldo sorriso invitante. Per Patrick l'amore era tutto un mondo nuovo, inesplorato, in cui si avventurava per la prima volta, ma senza esitazioni anzi con entusiasmo, sicuro della guida del suo amato. Il freddo dell'acqua rese più lunghi i tempi della loro unione, ma la corrente che lambiva i loro corpi ardenti di desiderio aumentava la sensualità delle loro carezze. Kutkhay fece provare nuovamente all'amante l'intenso piacere del rapporto che consumarono con entusiasmo. Per il momento appagati, anche se non sazi, tornarono indietro felici. A riva si asciugarono e si rivestirono, poi ripresero il viaggio. Finalmente, dopo non pochi giorni e varie soste, dopo giorni e notti di intenso amore, arrivarono alla villa dei De Bruine. Henrietta non era in casa. Patrick per prima cosa dette ordine di preparare la sua vecchia stanza da scapolo, che era di fronte alla sua attuale camera da letto, per il ragazzo. Poi radunò tutta la servitù e presentò loro Kutkhay. Una parte dei servi già lo conosceva, ma non tutti. "D'ora in poi Goldie è uno della mia famiglia: obbedirete a tutti i suoi ordini come se fossi io stesso a darveli, è chiaro? Finché Goldie non si sceglierà un cameriere personale, Long Jack lo servirà come serve me."
"Devo parlarvi, Henrietta. Sedete." La donna guardò lievemente sorpresa il marito e studiò la sua espressione insolitamente grave, ma non disse nulla e sedette con composta grazia di fronte a lui. Patrick radunò le proprie idee, raccolse tutte le proprie forze e cominciò: "Quanto sto per dirvi è molto delicato e importante, perciò vi prego di ascoltarmi senza interrompermi. Alla fine, se vorrete, mi farete tutte le domande che vorrete e mi direte quello che pensate. "Ebbene, Henrietta, avete di fronte a voi un uomo finalmente innamorato. Ma non di voi, purtroppo. Per voi ho sempre provato simpatia, affetto, rispetto ma, lo sapete, mai amore. Il nostro matrimonio è stato voluto dalle nostre famiglie e se anche io non mi sono mai opposto, non l'ho neppure mai desiderato. Sia ben chiaro: in tutto quello che vi sto dicendo non vi è la benché minima volontà di accusa o di recriminazione nei vostri confronti. Siete sempre stata gentile e corretta nei miei riguardi e di questo vi ringrazio. Ma ora io mi sono innamorato di un'altra persona e... è difficile dirvi quello che vi devo dire. Forse non potrete capirmi, né posso chiedervi semplicemente di accettare. Perciò se lo vorrete, se lo riterrete giusto, vi concederò il divorzio o la separazione come voi deciderete..." La moglie, credendo che Patrick avesse finito, intervenne: "Marito mio, siete sempre stato schietto e ve ne ringrazio. Anche voi vi siete sempre comportato bene con me e quel che più conta, con nostro figlio. Siete sempre stato un marito premuroso e un padre affettuoso e nulla vi si può rimproverare. È vero, il nostro matrimonio è nato e si è consolidato senza che noi ci si amasse. Non è colpa vostra né mia. "Riguardo al fatto che ora siate innamorato di un'altra donna, la cosa non mi sorprende anzi, in fondo mi aspettavo che prima o poi sarebbe accaduto. Non posso biasimarvi certo per questo, visto che io non sono stata mai capace di darvi amore. Come voi, vi ammiro, vi rispetto, vi stimo, vi sono affezionata, ma non vi amo. Anzi, sono lieta che voi abbiate la fortuna di aver conosciuto il vero amore. Io, non solo non ho saputo mai darvi amore ma a poco a poco vi ho allontanato da me, poiché non ho mai partecipato... non ho mai mostrato entusiasmo o... piacere..." La donna arrossì lievemente e abbassò un attimo lo sguardo, poi riprese: "... beh, mi avete capito. Anche qui non è vostra la colpa, ma a me non ha mai dato piacere il rapporto fisico... ho cercato di fare il mio dovere di moglie come è giusto, ma non sono mai riuscita a fingere quello che assolutamente non provavo. Accanto a voi sono sempre stata molto bene, sempre, eccetto in quei momenti. Credo che ve ne siate reso conto e vi ringrazio di non avermelo mai rinfacciato, di non aver mai insistito e preteso quanto vi sarebbe spettato di diritto, essendo mio marito. Perciò, se voi volete il divorzio per poter sposare l'altra donna, vi capisco e non farò nulla per rendervelo difficile..." "No, Henrietta, non ho intenzione di risposarmi, non potrei neanche se lo desiderassi, se lo volessi. Non è qui il problema. E anche io sto bene accanto a voi..." "Non capisco, allora: se il problema non è nel fatto che si continui a vivere sotto lo stesso tetto..." "Perdonatemi, Henrietta, vi avevo chiesto di non interrompermi perché mi è difficile dirvi... Può darsi che voi possiate accettare l'idea che io abbia un'amante pur continuando a vivere assieme, se non altro per nostro figlio. La nostra società ce ne presenta non pochi esempi. Ma che direste se sapeste che la persona che amo vive sotto lo stesso vostro tetto?" Henrietta lo guardò un attimo sorpresa, poi chiese titubante: "È una delle nostre schiave? No, scusate, chi sia non mi riguarda. L'unica cosa che potrei temere è lo scandalo. Ma se l'amate veramente... se non lo si sapesse, se voi foste molto discreto..." "No. Il problema è... il problema è diverso. Il fatto è... non so come dirvelo..." "Suvvia, mi pare che ormai abbiate detto il più." gli disse Henrietta con dolcezza. "No, il più, come dite voi, devo ancora dirvelo. Il fatto è che io sono innamorato... di un ragazzo, di un maschio. Ed egli da oggi vivrà qui e per me è importante che egli sia considerato da tutti un mio pari. Ecco, l'ho detto. Ora ho finito. Potete dire quello che decidete di fare." Henrietta lo guardò seria, aggrottando lievemente le sopracciglia. Dopo un lungo silenzio, a mezza voce, disse: "Bene, ora tocca a voi ascoltarmi senza interrompere. Avevo un cugino di nome George, figlio del fratello di mio padre. Eravamo figli unici ed eravamo molto affezionati, siamo cresciuti si può dire assieme, eravamo più che fratelli. Ci confidavamo sempre tutti i nostri segreti. "Quando avevo diciassette anni, un giorno George mi confidò che si era innamorato. Si era innamorato di un suo compagno di scuola ed era molto turbato per la cosa. Mi disse che aveva fatto di tutto per non cedere a questo impulso che la società condanna, ma anche l'altro era innamorato di lui e insisteva perché quello che era accaduto fra loro una sola volta in un momento di debolezza, continuasse. Era confuso, triste e mi chiese consiglio. Io lo amavo, vi ho detto, come un fratello e vedere come e quanto soffriva per quella situazione, per non poter seguire la propria inclinazione, faceva soffrire anche me. Allora gli dissi che, se il loro era vero amore, dovevano non dar peso a quello che dice la nostra società di persone per bene, gli dissi che l'amore vero è sempre una cosa stupenda e che doveva perciò amare e lasciarsi amare. George dapprima era incerto, combattuto, ma infine seguì il mio consiglio. Lo rividi tornare allegro, rifiorire, ed ero sinceramente felice per lui. Passò un periodo di più mesi in questa felicità. Conobbi il suo amante: era un ragazzo dolcissimo, molto buono e molto innamorato. Era un piacere vederli assieme. "Ma un malaugurato giorno il padre del suo amico li sorprese in atteggiamento intimo, inequivocabile, e fu il finimondo. Andò a parlare con il padre di George rivelandogli tutto. I due furono separati e mio zio fu molto severo con George. Ma lui si ribellò, gli disse che non avrebbe mai rinunciato alla propria vita solo per l'ipocrisia della gente. Fu un periodo terribile. Neanche io potevo più vedere George, ma ci scambiavamo biglietti con la complicità di una schiava e lui mi raccontava della sua determinazione. "L'amante di mio cugino, però, non sopportando più di essere separato da George e non sopportando il disprezzo del padre, si suicidò. Mio cugino, angosciato, ne rinfacciò la morte al padre e vi fu una lite furibonda. Mio zio cacciò di casa George e lo diseredò. Mio cugino venne a salutarmi di nascosto: aveva deciso di emigrare in Europa e di cambiar nome. Lo pregai di restare, ma ormai aveva deciso: non sopportava più l'idea di restare. Da allora non ho mai più saputo nulla di lui, neanche dopo che mio zio morì. "Ecco, vedete... non stupitevi perciò se vi capisco. Solo una cosa voglio dirvi: la società è cattiva, anzi perfida. Siate accorto, fate in modo che nessuno sappia delle vostre scelte, difendete il vostro amore... Se voi volete che io me ne vada, me ne andrò. Ma forse, se la cosa non vi pesa troppo, sarebbe meglio che io restassi comunque accanto a voi, in questa casa al vostro fianco, per difendervi anche solo con la mia presenza. Inoltre anche per il nostro piccolo Mike sarebbe meglio continuare ad avere accanto a sé entrambi i genitori, non credete? Mike vi ama molto, ha bisogno di voi, del vostro amore, delle vostre cure. Quindi, che il vostro amico viva sotto questo tetto a me non crea assolutamente nessun problema. L'unico problema potrebbe sorgere per questioni di carattere, fra me e lui, ma credo che se siamo due persone civili, adulte, ci sapremo adattare l'uno alla presenza dell'altro. Io posso solo promettervi che farò del mio meglio affinché non sorgano problemi. "Se non amore, ho affetto per voi: vorrei che almeno voi foste felice, che non dobbiate mai passare ciò che ha distrutto la vita di mio cugino George..."
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