CARDELLINO | PARTE PRIMA - CAPITOLO 3 |
Kutkhay era già da tempo accanto al vecchio albero spaccato dal fulmine. Aveva deposto a terra l'arco, le frecce e la preda che aveva preso e attendeva la sua donna. Guardava in direzione del villaggio per vederla arrivare ed esser certo che non giungesse nessun altro. Era nervoso: sentiva che stava per superare una nuova prova non meno importante delle altre per la sua vita futura.
Una cutrettola lanciò il suo richiamo. Kutkhay la imitò e quella rispose. Per un poco il ragazzo si divertì a imitare i trilli dell'uccello, poi la sua attenzione fu attratta da altro: s'udì lontano il bramito di un'alce. D'istinto si tese per capirne la provenienza, valutarne la distanza, ma poi ricordò che doveva aspettare la sua donna e rassegnato prese a scrutare fra gli alberi verso il villaggio: ma perché ancora non arrivava? Forse qualcosa l'aveva trattenuta? Sedette accanto al proprio arco accarezzandone con l'occhio la perfetta forma geometrica. Un nuovo rumore lo mise all'erta: stava avvicinandosi qualcuno. Guardò attentamente e riconobbe la gracile figuretta della sua donna che s'inerpicava verso l'albero. Anche lei lo vide di lontano e gli fece un cenno continuando a salire. Ora Kutkhay era nervoso e teso. Avrebbe saputo compiere bene il proprio dovere? Gli sarebbe piaciuto? E a lei? Toccava a lui spogliarla oppure... La ragazza giunse a tre passi da lui e gli si fermò di fronte: "Eccomi." disse lei semplicemente. Kutkhay s'alzò in piedi impacciato e chiese: "Va bene qui?" "Andiamo là, i cespugli ci copriranno." rispose lei lievemente imbarazzata. Il ragazzo annuì e la seguì. Giunti fra i folti cespugli Kutkhay si rese conto che, una volta stesi al suolo nessuno avrebbe potuto vederli da lontano. Guardò la ragazza e pensò che aveva il seno piccolo. Questa sorrise timida: "Posa l'arco..." Lui eseguì allora lei gli si accostò e gli sciolse il perizoma con un gesto semplice, lasciandolo cadere a terra. Lo guardò e disse: "Sei bello anche lì..." poi si sciolse il grembiule restando nuda di fronte a lui. Kutkhay la guardò da capo a piedi: come donna non era male, aveva un corpo esile ed asciutto, senza troppe curve. Lei si stese sul proprio grembiule e gli disse con semplicità: "Vieni." Kutkhay scese accanto a lei che prese a carezzargli il corpo. A poco a poco una timida erezione si risvegliò nel ragazzo e lei sembrò compiaciuta. Glielo carezzò a lungo con entrambe le mani finché l'ebbe fatto rizzare completamente. Mokoa ci sarebbe riuscito in un attimo pensò il ragazzo. Ma si stese su di lei e tentò di penetrarla. Dapprima con i suoi goffi tentativi sembrava non riuscire, ma alla fine, aiutato da lei, la prese. Lei lanciò un piccolo grido e serrò con forza gli occhi, ma poi lo incoraggiò con un sorriso. Kutkhay compì il proprio dovere con sufficiente onore. Era abbastanza piacevole, anche se meno di quel che avesse pensato. Solo quando chiuse gli occhi e pensò di avere accanto a sé Mokoa invece della ragazza, riuscì a eccitarsi pienamente e a raggiungere l'apice dell'orgasmo. "Ma Mokoa non ha quel seno ingombrante, il suo petto è più bello... e ha un bellissimo membro." pensò confusamente Kutkhay. Si rialzarono e si rivestirono. La ragazza lo ringraziò arrossendo e a lui la cosa sembrò buffa: lui in fondo aveva solo compiuto il proprio dovere. Dopo essersi dati un nuovo appuntamento, si salutarono e si separarono. Il ragazzo riprese la caccia: doveva prendere una preda anche per i genitori della sua donna. Star di nuovo da solo gli dette un senso di liberazione: gli piaceva vagare solo per i boschi. A sera tornò al villaggio carico di prede piccole ma pregiate. Fece il dono rituale ai futuri suoceri e portò il resto a casa. Poi aiutò il fratello maggiore a trasportare le tavole al sito della loro casa nel villaggio estivo. Qui c'era il padre col secondo fratello, e altri uomini stavano già costruendo i tetti. Lavorò sodo con gli altri. Poco lontano altri stavano riparando e sistemando le barche perché presto si sarebbe aperta la stagione della grande pesca. Le donne al villaggio invernale stavano già riparando le reti e i vecchi preparavano le esche, le lenze e gli arpioni per i pesci più grandi. Mokoa lavorava alle barche col padre. Kutkhay ne guardava il bel corpo teso sotto lo sforzo del lavoro. Col perizoma addosso non doveva preoccuparsi dell'effetto che gli faceva guardare l'amico. Gli sarebbe piaciuto lavorare con lui, stargli vicino, ma ognuno aveva un ruolo diverso da svolgere: era così da sempre. Solo i bimbi potevano intrufolarsi dappertutto indisturbati e fare un po' di tutto. Potevano anche assentarsi quando volevano, perché non avevano responsabilità. Ma lui ormai era un adulto e doveva rispettare le regole. A sera tornarono al villaggio cantando il tradizionale canto del ritorno dal lavoro. Era il segnale per le donne che svelte preparavano il pasto. Mokoa gli si avvicinò: "Vieni a fare un bagno, stanotte?" chiese in modo di non farsi sentire dagli altri. "Quando?" chiese Kutkhay accettando subito di buon grado. "Ti farò il segno della civetta, Due, tre, una volta." "Va bene, verrò." rispose il ragazzo riprendendo poi subito a cantare con gli altri. Dopo la cena gli uomini sedettero fuori delle case mettendosi a raccontare i fatti del giorno, a discutere sui lavori del giorno dopo, in interminabili dialoghi. Ogni tanto si formavano nuovi capannelli, qualcuno si alzava e andava a sedere davanti a un'altra casa. Kutkhay per un po' partecipò, ma poi si alzò e si avviò verso il bosco per stare un po' solo. Sentiva le voci indistinte degli uomini, qualche risata ogni tanto. Le case erano illuminate dai fuochi e dalle lanterne e le donne stavano mettendo a letto i piccoli. Poi anch'esse si sarebbero riunite a parlare accanto ai fuochi, nelle case. La notte avanzava rapida e una tiepida brezza spirava dal mare. I fuochi nelle case a poco a poco si spegnevano. Finalmente risuonò lontano il richiamo della civetta: era il segnale convenuto. Kutkhay, evitando il villaggio, raggiunse la spiaggia. Qui giunto si guardò attorno ma non vide nessuno. Stupito si stava chiedendo se si fosse sbagliato quando una voce, dall'acqua, lo chiamò: "Kutkhay, qui..." Aguzzò lo sguardo e intravide l'amico già a bagno. Svelto si sciolse il perizoma, lo fissò a terra con una pietra e corse in mare guazzando felice, poi si tuffò e riemerse accanto all'amico. Per un po' giocarono a spruzzarsi, senza parlare, poi pian piano smisero. L'acqua giungeva fino alle loro ascelle e li cullava dolcemente. "Come stai, fratello?" chiese Mokoa con occhi luminosi. "Bene, con te." "Hai già incontrato la tua donna?" "Sì, oggi." "Com'è?" Kutkhay non seppe cosa rispondere, pensò un attimo, poi disse: "Bah, è una donna." "Ci sa fare?" "Insomma, non mi lamento." "Non sembri entusiasta, fratello." Kutkhay si sentì lievemente imbarazzato e non sapeva che dire. Mokoa aggiunse: "Anch'io ho incontrato la mia donna, ieri." "Ah." "Non vuoi sapere com'è andata?" "Sì, certo." mentì Kutkhay. Mokoa non parlò subito e dopo un po' disse a voce bassa: "Con te mi è piaciuto molto, sai?" Timidamente Kutkhay chiese: "Di più?" e trattenne il respiro. "Forse di più no, perché io e te abbiamo ancora fatto ben poco. Ma potrebbe anche accadere, non credi?" Poi, prima di avere una risposta, aggiunse: "Usciamo dall'acqua?" Risalirono a riva. Mokoa prese il suo perizoma ma non lo cinse, se lo gettò su una spalla con fare indifferente; Kutkhay cercò il proprio e lo imitò. Salirono fra le rocce, fino a un punto riparato e Mokoa si stese su un fianco e disse guardandolo con un sorriso: "Vieni qui, fratello, ho voglia di giocare con te." Kutkhay si stese davanti a lui, i loro corpi paralleli. Per un po' si guardarono in silenzio mentre i loro membri si svegliavano senza bisogno di toccarsi. Poi le loro mani presero a sfiorare il corpo dell'altro delicatamente ma intimamente. I loro occhi brillavano come stelle. I loro corpi si cercarono... Quando tornarono al villaggio erano entrambi felici di una felicità nuova. Kutkhay s'era reso conto di aver ragione, con Mokoa era molto meglio, era molto più bravo e piacevole della sua donna. L'amico gli si era offerto sussurrandogli: "Fammi come all'iniziazione... Prendimi..." Kutkhay gli si era addossato di dietro senza parlare: gli era piaciuto immensamente stringere fra le proprie braccia quel corpo sodo e liscio. All'inizio parve avere qualche difficoltà a penetrarlo, ma l'amico lo guidò con una mano e finalmente riuscì ad affondare in lui. Fu molto bello, per tutti e due. Lo prese con foga mista a dolcezza. Giunti al limite del villaggio Mokoa lo salutò: "Dormi bene, fratello." "Certamente. Anche tu. Ci rivedremo?" "Sì e spero presto. È stato molto bello, con te. Molto... Ma dobbiamo fare molta attenzione: nessuno deve sospettare nulla. Deve essere il nostro segreto." "Il nostro bellissimo segreto, Mokoa, fratello mio." sussurrò il ragazzo sorridendo soddisfatto all'amico. Si separarono e ognuno tornò alla propria casa. Tumchey era ancora seduto fuori della porta con due uomini e parlavano sottovoce. Gli altri si erano già ritirati per dormire. Anche Kutkhay entrò e si stese nel proprio angolo. Non prese subito sonno: ripensava alle due esperienze avute in quella giornata e le paragonava mentalmente. Mokoa era certamente il vincitore. "Peccato che due uomini non possano sposarsi..." pensò il ragazzo mentre il sonno si impadroniva di lui.
Giunse il giorno del trasferimento del villaggio. Dopo la cerimonia di ringraziamento agli spiriti del posto, si trasferirono e fecero una cerimonia di propiziazione agli spiriti del villaggio estivo. Quindi trasferirono tutti gli oggetti delle case facendo più viaggi. Cooperavano tutti, uomini, donne, vecchi e bambini. Ci volle quasi tutta la giornata per terminare il trasloco, escluse le assi delle pareti, così quella notte dormirono sotto il tetto delle case ancora senza pareti. Per fortuna il tempo era buono come aveva predetto lo sciamano. Il giorno seguente smontarono le pareti delle vecchie case e rimontarono le assi nelle case estive. A notte Kutkhay poté finalmente incontrare di nuovo il suo amico. Non potevano più appartarsi sugli scogli: erano troppo vicini al villaggio estivo, così fecero una nuotata al largo fino a un gruppo di pietre affioranti. Girando dal lato del mare aperto, non potevano essere visti dal villaggio neanche se ci fosse stata la luna piena. Tornando avrebbero nuotato in due direzioni opposte in modo di rientrare al villaggio separatamente e in momenti diversi. Giunti al punto prefissato si stesero subito frementi di desiderio e si unirono. A Kutkhay piaceva vedere il bel corpo del suo amico che brillava bagnato ai raggi tenui della luna, sussultare per il piacere mentre lui lo faceva di nuovo suo, prendendolo con passione. Quando si rilassarono appagati, Mokoa gli mormorò: "Kutkhay, tu sei davvero il migliore fra i maschi per fare l'amore, lo sai?" Il ragazzo provò come una fitta: "Già. Tu vai anche con altri, vero?" "Sì, certo, con altri due, ma tu sei quello che preferisco." Questo gli fece piacere e nello stesso tempo ci restò male: "Speravo di essere l'unico con cui..." "No, certo, lo sai no?" "Chi sono gli altri due?" "Non te lo posso dire, ho giurato di mantenere il segreto." "E... di me hai parlato agli altri?" "No, questo è il nostro segreto, ricordi?" Kutkhay, steso sulla schiena, guardava le stelle tremule e si chiese perché Mokoa non voleva essere solo suo. Avrebbe voluto domandarglielo ma sentiva che se avesse preteso... no, Mokoa era di rango superiore al suo, lui non poteva pretendere nulla. Kutkhay si sentì triste. Mokoa si alzò su un gomito e lo guardò attentamente: "Che hai, fratello?" "Nulla. Non ho nulla." "Non è vero, ti si legge in faccia." Allora anche Kutkhay sedette, guardò l'amico e stava per parlare sinceramente, quando qualcosa alle spalle di Mokoa attirò la sua attenzione: in mezzo al mare si vedeva una piccola luce apparire e scomparire. Come se una pallida stellina fosse caduta sulle onde e galleggiasse lieve. Indicando all'amico il punto, la voce rotta dall'emozione, sussurrò: "Guarda, là... cos'è?" Mokoa si girò e guardò nella direzione indicata. Dopo un po' la luce ricomparve e Mokoa sussurrò a sua volta: "Una luce... in mezzo al mare..." Rimasero a spiare quella luce ammiccante in silenzio, a lungo, poi Mokoa disse: "La grande barca?" A Kutkhay si illuminarono gli occhi: "Sì, potrebbe essere... corriamo al villaggio... avvertiamo tutti gli altri..." Dimentichi di ogni prudenza i due ragazzi si tuffarono lesti e tornarono a riva. Qui, cinti i rispettivi perizomi, si precipitarono al villaggio gridando a squarciagola: "La grande barca, la grande barca, venite tutti, venite!" Dopo poco quasi tutto il villaggio era fuori, chi con gli occhi assonnati, chi ancora nudo e fu subito un incrociarsi di domande: "Dove, dove?" I ragazzi indicarono la direzione e tutti si mossero fino in punta al promontorio da dove poterono finalmente vedere la fioca e tremula luce lontana. Lo sciamano allora confermò: "È vero, sono tornati." Subito il capo villaggio dette ordine di accendere un grande fuoco sul punto più alto del promontorio, furono portati i tamburi e si iniziò una specie di grande festa spontanea. Ormai tutto il villaggio era sveglio e l'eccitazione era generale. Qualcuno cominciò a far circolare cibo e bevande e i vecchi cominciarono a raccontare per l'ennesima volta tutto ciò che ricordavano delle precedenti visite dei forestieri che provenivano dall'alto mare. Kutkhay stava in piedi sulla punta del promontorio e guardava commosso quel puntolino di luce che lui per primo aveva scorto. "Quando arriveranno?" si chiese. La notte passò fra canti e danze, racconti dei vecchi e incessanti domande dei giovani. I più piccoli ciondolavano assonnati fra le braccia delle madri o delle sorelle, quando l'alba si annunciò dietro i monti. La luce era svanita, ma ora si intravedeva un trattino scuro sulle onde, laggiù verso ovest. Il fuoco che languiva fu rafforzato e vi fu posta erba verde per far salire al cielo una colonna di fumo. A poco a poco la nave prese a ingrandire e ad avvicinarsi. Kutkhay, nonostante la stanchezza, era rimasto tutta la notte in piedi di vedetta, profondamente emozionato. La nave era ora chiaramente visibile: le sue vele erano gonfie di vento e dirigeva dritta verso la loro baia. Kutkhay era senza fiato: la barca era enorme, molto più di quello che la sua fantasia aveva immaginato. Cominciavano a distinguersi piccole figure che si muovevano sul ponte. Giunta quasi all'imboccatura della baia la nave virò, ammainò le vele e gettò l'ancora. Ora si vedevano chiaramente gli uomini a bordo che si arrampicavano lesti sul sartiame per imbrogliare le vele. Poi furono calate due scialuppe su cui salirono alcuni uomini e queste si diressero nella baia, verso la spiaggia. Tutto il villaggio corse sulla riva. Il capo aveva già fatto portare il proprio seggio ed era circondato dagli anziani, ognuno seduto sul proprio sgabello. Lo sciamano aveva indossato gli abiti della cerimonia come pure il capo e gli anziani. Le barche toccarono la riva e ne scesero gli uomini che le tirarono a secco. Quindi gli stranieri si diressero verso il semicerchio formato dalla gente del villaggio. Un uomo imponente, tutto coperto di panni bianchi e azzurri, con un curioso copricapo ornato di leggerissime piume bianche, s'avvicinò affiancato da un altro uomo e seguito da tutti gli altri che recavano in mano strani bastoni luccicanti tutti uguali. Quello che accompagnava il capo degli stranieri parlò la loro lingua, forte e chiara, anche se con qualche errore e uno strano accento, e porse il saluto rituale al capo del villaggio. Lo sciamano rispose parlando una strana lingua che non era né quella del villaggio né quella segreta degli uomini. Il capo degli stranieri sembrò sorpreso. Dopo un breve dialogo il capo degli stranieri fece un cenno a due suoi uomini che andarono a deporre una cassa davanti al capo del villaggio: era piena di doni bellissimi, lucidi e luccicanti, e un'esclamazione di meraviglia si levò da tutta la gente. Lo sciamano disse ad alta voce che gli stranieri si sarebbero fermati per poco tempo: chiedevano acqua, selvaggina, frutti e verdure per proseguire il loro viaggio. Il capo chiese chi voleva aiutare gli stranieri e Kutkhay fu uno dei primi a offrirsi. Terminate le formalità il capo degli stranieri con l'interprete e due uomini si fermarono a terra, gli altri tornarono sulla nave per prendere i barili per l'acqua. Il capo dette ordine di preparare un grande banchetto per onorare gli stranieri. Quando tornarono gli uomini dalla nave con i primi barili, Kutkhay e gli altri volontari li portarono fino alla sorgente e con i loro recipienti iniziarono a riempirli. Kutkhay mentre lavorava osservava gli stranieri: indossavano strani e grandi abiti che nascondevano quasi interamente i loro corpi: solo le mani e la testa erano visibili. Avevano una pelle chiara anche più della sua e avevano i capelli di colori diversi e chi lisci, chi ondulati, chi ricci a differenza della gente del villaggio che li aveva solo neri e lisci. Kutkhay era l'unica eccezione con i suoi capelli lievemente ondulati. "Anche questa è la mia gente!" pensò con orgoglio. Avrebbe voluto saper parlare con quella gente per chiedere un sacco di cose, visitare la grandissima barca ormeggiata al largo, chiedere se sapevano chi era suo padre, ma non conoscerne la lingua era un ostacolo insormontabile. C'era il loro interprete... Kutkhay avrebbe voluto parlargli, ma non ne aveva il coraggio. Riempito un barile, quattro stranieri lo sollevavano prendendolo per le sbarre fissate ai suoi fianchi e lo trasportavano fino alla barca. Anche la barca era molto bella, grande, fatta con cura e con un'apparenza solida. Vi issarono il barile pieno, ne scaricarono uno vuoto e tornarono alla sorgente. Nel frattempo parecchi uomini del villaggio erano partiti per una battuta di caccia. Le donne stavano accumulando erbe e frutti in grandi cesti. Tutto il villaggio ferveva di attività per gli uomini venuti dal mare e brulicava di gente. Il sole traeva barbagli dorati dalle decorazioni dell'abito del capo degli stranieri, che ora era seduto davanti alla casa del capo villaggio. Kutkhay osservava tutto affascinato. Doveva essere gente potente, quella. Guardava anche con curiosità i bastoni lucenti che alcuni degli uomini avevano sempre con sé, agganciati alle spalle. Un anziano spiegò che erano i bastoni del tuono, che uccidono a distanza con un fulmine. Le donne e le ragazze ridacchiavano quando si sentivano osservate dagli stranieri che sembravano affascinati dai loro seni nudi. Kutkhay si chiedeva perché quelli coprissero in quel modo i loro corpi: erano forse così brutti da vergognarsene? O avevano freddo? È così naturale andare in giro nudi, e a Kutkhay dava persino fastidio indossare il solo perizoma. Eppure dopo poco vide uno dei marinai a torso nudo: aveva un petto ampio e forte, bello, anche se era coperto da una folta peluria in centro. Nessun uomo del villaggio aveva tanti peli sul petto. Tutti gli stranieri erano così pelosi? Il ragazzo cercò con lo sguardo. Un giovane marinaio si stava togliendo gli abiti dalla parte superiore del corpo e aveva un bel petto tutto glabro. Erano così diversi fra di loro questi stranieri, che non sembravano appartenere alla stessa tribù, pensò Kutkhay. Quando il sole fu alto nel cielo il capo del villaggio diede inizio al grande banchetto in onore degli stranieri. Tutti presero posto in base al rango e alle classi di età e si cominciò a mangiare. Un giovane marinaio dall'aria simpatica che sedeva accanto a Kutkhay gli disse qualcosa nella propria lingua. "Non capisco." disse il ragazzo rammaricandosene. L'altro ripeté gli stessi suoni, ma allo sguardo smarrito del ragazzo, gridò qualcosa all'interprete. Questi allora gridò al ragazzo: "Vuole sapere il tuo nome." Il ragazzo annuì poi, guardando il marinaio e indicando se stesso, scandì lentamente: "Io sono Kutkhay." L'altro, storpiandolo un po', ripeté: "Yossonokukkai?" Il ragazzo rise: "No, no, solo Kutkhay!" "Nonnossolokukkai?" Il ragazzo allora si tolse dal collo la bella collana di conchiglie rosate e la mise al collo del marinaio. Questi lo guardò, disse un qualcosa, poi tirò fuori dal suo vestito una piccola scatola lucida e gliela porse. Il ragazzo la guardò: era dello stesso materiale lucente del coltello e dei bastoni tonanti. Aveva incise decorazioni molto belle. La aprì e vide che conteneva due cubetti bianchi con tondi segni neri sopra. Il marinaio, indicandoli, disse qualcosa. Kutkhay cercò di ripeterla, poi richiuse la scatola, la sollevò verso il marinaio per ringraziarlo e la infilò nella fascia del perizoma assieme al suo prezioso coltellino da cui non si separava mai. A sera tornarono i cacciatori con un bel carico di selvaggina che fu subito caricata sulle barche e portata alla nave. Anche la provvista di acqua era stata portata a termine. Più tardi si fece una grande danza in onore degli ospiti poi un secondo banchetto. Kutkhay mostrò il dono ricevuto all'interprete e gli chiese di spiegargli che cosa fosse. Questi ne estrasse i dadi, gli spiegò come leggerne i numeri e come giocarci. Kutkhay felice cercò Mokoa e gli fece vedere il suo nuovo tesoro. Gli spiegò il gioco. Mokoa chiese: "Ma se io faccio i numeri più alti dei tuoi, che cosa succede?" "Hai vinto." "Vinto? Vinto chi?" "Nessuno: hai vinto e basta." "Ma non ha senso non vincere nessuno, è un gioco inutile." Kutkhay ci restò un po' male, ma ritrovò il sorriso quando Mokoa aggiunse: "Comunque è un bell'oggetto, di valore." A tarda notte gli stranieri tornarono nella loro nave per dormire e anche nel villaggio scese la quiete. Il mattino seguente gli stranieri arrivarono di nuovo per caricare sulla nave frutta e verdura e dopo il saluto formale ripartirono. La nave spiegò le vele e maestosamente si allontanò verso nord. Tutto il villaggio era radunato sul promontorio per salutare la nave che si allontanava e si sbracciarono finché questa scomparve lontana. Allora il villaggio riprese il normale ritmo di vita. Ma l'impressione suscitata dalla visita della nave fu grande, specialmente fra i giovani e se ne parlò ancora per molto tempo. Kutkhay andò a trovare lo sciamano e dopo i soliti convenevoli gli disse che avrebbe voluto imparare la lingua degli stranieri. Lo sciamano non rispose subito ma lo guardò a lungo, infine disse: "È il sangue di tuo padre che parla in te: vuole che tu conosca la sua lingua. È naturale." Kutkhay lo guardò stupito: "Ma allora... tu sai?" "Sì, sono l'unico al villaggio a sapere chi è il tuo vero padre, oltre a tua madre." Kutkhay ebbe così conferma di chi fosse la figura mascherata che gli aveva donato il seme degli avi alla cerimonia di iniziazione, ma non disse nulla. Lo sciamano proseguì: "Va bene, t'insegnerò la lingua di tuo padre, ma tu mi porterai doni e devi giurare che non la insegni a nessuno, per nessun motivo, mai." "Come tu vuoi." rispose felice il ragazzo. Certo, avrebbe dovuto intensificare la caccia e il lavoro per tener fede a tutti gli impegni, ma Kutkhay era disposto a qualunque sacrificio pur di ottenere ciò che desiderava. Poi chiese: "Mi parlerai anche di mio padre? Lo conoscevi?" "Sì, ma tu non devi parlarne con nessuno: il marito di tua madre non sa che non sei suo figlio e non lo deve sapere." "Come si chiamava mio padre?" "James." "Che cosa significa?" "Questo non lo so." "E com'era?" "Ne parleremo un'altra volta, quando porterai i doni." Il pomeriggio, mentre era a caccia con Mokoa, gli chiese: "A te non hanno regalato niente gli stranieri?" "Nessun oggetto, però..." rispose l'amico guardandolo con un'espressione maliziosa. "Però?" "Ho giocato in segreto con uno di loro." Kutkhay ci restò male, non solo per un vago senso di gelosia, ma anche perché avrebbe forse desiderato anche lui avere una simile esperienza. Fingendo indifferenza, chiese: "E ti è piaciuto?" "Certo. Hanno un modo diverso di giocare, gli stranieri." "Diverso come?" "Troviamoci un posto sicuro e ti faccio vedere..." Da giorni Kutkhay non aveva avuto l'occasione di star solo con l'amico e il desiderio si riaccese subito in lui. Trovato un angolo tranquillo, Kutkhay riprese il discorso: "Ti sei offerto tu allo straniero?" "No, me l'ha chiesto lui." "Ma come vi siete parlati? Tu non conosci la loro lingua." Mokoa fece un risolino: "Per certe cose non è necessario parlare. Un marinaio giovane che mi piaceva andava da solo nel bosco e allora, incuriosito, l'ho seguito. Come immaginavo, voleva orinare. Nascosto, l'ho guardato mentre apriva gli abiti lì: volevo vedere come sono fatti fra le gambe. Stavo guardando il suo affare dritto quando lui mi ha visto. Io stavo pensando di scappare ma lui m'ha fatto un sorriso e ha fatto cenno d'avvicinarmi. Allora gli sono andato vicino e lui stava lì ritto che si carezzava il coso duro. Mi ha sciolto il perizoma... così. Poi me l'ha preso in mano... così. Quando m'è diventato duro come il suo m'ha stretto a sé... così. Poi ha appoggiato le sue labbra sulle mie così..." Mokoa, che aveva accompagnato il racconto con la dimostrazione pratica di quanto stava dicendo, abbracciò l'amico e lo baciò in bocca. Kutkhay all'inizio trovò strana la cosa, ma poi sentì che gli dava piacere e imitò l'altro. Entrambi erano eccitati. Mokoa si staccò e proseguì: "Poi lui si è accoccolato davanti a me, come faccio io ora, mi ha preso per i fianchi così, e poi..." Kutkhay si lasciò sfuggire un gemito di piacere: "È bello... continua..." Mokoa non si fece pregare, ma dopo un po' si alzò, mentre baciava di nuovo l'amico si sciolse il perizoma, poi gli sussurrò: "Ma adesso fallo anche tu a me." Kutkhay lo imitò prontamente. All'inizio gli sembrò strano, ma poi la sensazione gli piacque molto. Si alternarono alcune volte, baciandosi, poi Mokoa lo fece stendere sull'erba e si stese girato in modo che poterono farlo contemporaneamente. Erano tutti e due molto più eccitati del solito e a un tratto Kutkhay non riuscì a resistere oltre, fece girare l'amico e lo prese con foga. Gli chiese con voce roca: "E anche questo ti ha fatto?" "Siii..." "E ti piaceva, vero?" "Siiii..." "Ma ti piace anche come lo faccio io, vero?!" "Siiiii..." Continuarono così finché entrambi furono appagati. Allora Mokoa si girò e si baciarono ancora, finché i loro sensi si furono calmati e i loro corpi rilassati. Mokoa allora chiese all'amico: "Ti piace come giocano gli stranieri?" "Certo, è molto bello. Noi giocheremo sempre così, vero?" Mokoa annuì con un sorriso luminoso.
Kutkhay cominciava a imparare le prime parole della nuova lingua dallo sciamano. Siccome gli portava spesso selvaggina, le lezioni si susseguivano a ritmo accelerato. Il ragazzo era bravo e imparava in fretta, sì che presto fu in grado di sostenere brevi conversazioni in quella lingua con lo sciamano. Questi gli aveva anche raccontato di suo padre James: era un marinaio alto, con i capelli color del legno, ondulati, e occhi verdi, molto bello. S'era invaghito della madre di Kutkhay e l'aveva seguita nel bosco una volta che l'aveva vista allontanarsi da sola. La donna andava a raccogliere frutti. Le era apparso davanti e lei era rimasta a guardarlo intimorita ma affascinata. James le aveva sfiorato il seno e quando lei aveva emesso un gemito, le aveva sciolto il grembiule e l'aveva accarezzata sapientemente fra le gambe. Lei aveva emesso un altro gemito di piacere e aveva carezzato fra le gambe l'uomo, attraverso i suoi panni. Allora lui si era denudato rapidamente e se l'era messa sotto e l'aveva presa nell'erba alta e avevano giocato a lungo, finché lui le aveva donato il suo seme. I due si rividero altre tre volte nei pochi giorni della sosta della nave. Poi la sua nave era partita e quindi anche James se ne andò. La madre di Kutkhay aveva scoperto di essere incinta e sapeva che non poteva essere il marito. Così era andata dallo sciamano confessandogli la sua colpa e chiedendogli che fare. Lo sciamano le aveva detto semplicemente di fare in modo che il marito la prendesse e di fargli credere che il figlio era suo... E così era stato.
Un giorno finalmente la donna di Tumchey fu gravida e iniziarono i preparativi per le nozze. Le due famiglie si accordarono con lo sciamano sul giorno in cui celebrare il rito. Giunto il giorno prescelto, a sera la famiglia della sposa portò una stuoia su cui si fece sedere la ragazza, a una estremità del terreno dei banchetti, al centro del quale la famiglia di Tumchey aveva preparato quattro grandi falò. La sposa era vestita con abiti speciali ed era circondata da parenti ed amici. All'estremità opposta sedeva Tumchey circondato dalla sua famiglia e dai suoi amici. Tutto il resto del villaggio occupava gli altri due lati del grande quadrato attorno ai falò. Un anziano di una famiglia non imparentata con le due andò in mezzo al terreno e rivolgendosi alla sposa le spiegò, declamando a gran voce in una speciale cantilena, i doveri di una buona moglie. Poi si girò verso lo sposo e fece un discorso analogo. Quindi prese per mano Tumchey e lo portò di fronte alla sposa. Allora tutti gli amici e i parenti della sposa cominciarono a piangere forte mentre Tumchey tendeva la mano alla sua donna facendola alzare e portandola a sedere sulla propria stuoia. Lei lo seguì a testa bassa, facendosi quasi trascinare, per mostrare riluttanza. Giunti alla stuoia l'anziano mise le braccia di lei al collo di lui e viceversa. Allora tutti i presenti sfilarono davanti alla coppia deponendo ai loro piedi doni. Finito il corteo, l'anziano fece sedere la ragazza in grembo a Tumchey. I due si mostravano impacciati, come voleva il costume. Iniziò allora la danza del matrimonio a cui parteciparono tutte le coppie sposate. Durante la danza i compagni del rito di circoncisione di Tumchey, cioè la sua classe di età, sollevarono i due di peso e li trasportarono fin dentro la casa dei genitori di Tumchey, su un letto appositamente preparato e si schierarono sulla porta per impedire a chiunque di entrare o di guardare. Ma a turno, come voleva il rito, guardavano dentro e poi descrivevano quello che accadeva fin nei particolari più intimi, accompagnando la descrizione con commenti salaci. Il tutto mentre le coppie continuavano a danzare e gli altri, a ogni descrizione, lanciavano grida di allegria. Alla fine la coppia uscì dalla capanna, nuda, e corse in mare a fare il bagno rituale, sempre scortata dai compagni dello sposo. Quando uscirono, lo sposo rivestì la sposa e i compagni rivestirono lo sposo quindi li scortarono fino al terreno di danza, dove ebbe inizio il banchetto, per cui si usò una parte dei cibi ricevuti in dono. Finito il banchetto i fratelli dello sposo presero la stuoia con i doni rimasti e, seguendo la nuova coppia, la accompagnarono in casa mentre tutti tornavano nelle proprie case lanciando grida di buon augurio. Così la cerimonia era terminata. Poiché però il tempo era buono, presto si riformarono capannelli, soprattutto di uomini, che si riunirono sulla spiaggia o accanto ai quattro falò languenti a chiacchierare. Kutkhay non aveva voglia di dormire e si aggregò a un gruppo. Presto il discorso cadde sugli stranieri e il ragazzo ascoltava affascinato i racconti. A un tratto si sentì un brontolio lontano. Uno degli anziani guardò il cielo verso sud: "Si sta avvicinando il periodo delle piccole piogge. Gli spiriti ci assistono, quest'anno." "Padre, tra quanti giorni inizieranno?" chiese uno dei giovani. "Presto, figlio mio, non più di tre giorni." Il periodo delle piccole piogge, e ancor più quello delle grandi piogge, interrompeva i lavori all'esterno e se ne profittava per lavorare in casa: fare nuovi attrezzi, contenitori, riparare le mille piccole cose che necessitano di manutenzione. Raramente si usciva di casa. Questo, pensò Kutkhay, avrebbe significato che sarebbe stato più difficile per lui incontrare sia la sua donna, e questo non gli dispiaceva granché, sia Mokoa, e questo gli pesava di più, sia soprattutto dover rallentare le lezioni dallo sciamano perché non avrebbe potuto andare a caccia per pagarlo. Il giorno seguente, dopo la consueta lezione, accennò al problema. Lo sciamano tentennò il capo e disse: "Vedi, io sono sempre solo, a parte il mio apprendista. Potrai venire qui in casa per farmi piccoli lavori. Puoi pagarmi anche facendomi servizi, dandomi sollievo..." Kutkhay ripensò a quel che gli era capitato durante l'iniziazione e immaginò di che parlasse. Allora gli aveva fatto male ma gli era anche piaciuto e poi ci teneva troppo a imparare la lingua di suo padre. Così accettò.
|