EPISTOLARIO | PARTE QUINTA | |
Roma, 25/1/87 Sebastiano,oggi ho trovato nella buca delle lettere la tua lettera del 19 c.m. È arrivata finalmente. Ma troppo tardi. È una lettera dura, ma chiara. Se l'avessi ricevuta prima non sarebbe successo quello che è successo. Però, mi chiedo, cosa t'avrei scritto, cosa t'avrei detto se l'avessi ricevuta prima? T'avrei detto di non venire a casa mia? Temo di no. In fondo in fondo io non speravo forse di essere toccato da te, nel mio subconscio, non speravo forse di essere... violentato? Violentato, sì, così sarebbe stata colpa tua e non mia, però lo facevamo... Non ci capisco più niente, ma temo proprio che sia così. Stanotte ho dormito poco e male. Nel mio letto ripensavo a quella prima notte, quando è cominciato tutto, quando t'avevo abbracciato per consolarti della notizia della morte di tua madre. E ripensavo a come c'eravamo, per la prima volta, eccitati, a come c'eravamo toccati, carezzati anche lì, fra le gambe. A come l'impeto d'affetto dell'amicizia s'era impercettibilmente, gradualmente ma inequivocabilmente trasformato in desiderio fisico. È stato bello, è vero. Onestamente, è stato bello. Ma io non potevo accettarlo, non ne ero in grado (e non lo sono ancora) perché mi hanno insegnato così, ormai ce l'ho dentro, fa parte di me, è una mia seconda natura. Eppure, pensavo, devono averlo insegnato anche a te, eppure tu hai saputo accettarlo tranquillamente, quasi come bere un bicchiere d'acqua fresca. A me invece è andata per traverso. Sono stronzo io, come dici tu? Sei sbagliato tu? È chiaro: tutti e due non possiamo avere ragione. Sì, è vero, ognuno è fatto a modo suo, ognuno ha diritto di pensare e di vivere come vuole, eccetera. Ma sento che qui non vale. Non riesco a fregarmene di te. Io non sono mai stato razzista contro i gay, li ho sempre rispettati, almeno mi pareva, anche se non capivo cosa ci potessero trovare di tanto interessante in uno del proprio sesso. Ma quando il problema ha toccato me, tutta la mia apertura mentale è andata a farsi benedire. Sono andato in tilt come un flipper scosso troppo forte e non funziono più. E non lo dico tanto per dire. Da sei giorni non combino più niente neppure al lavoro e mi chiedo come non se ne sono ancora accorti. Ieri sera ha suonato Stefania, è salita. Le ho detto che non stavo tanto bene, mi sentivo stanco e depresso e l'ho mandata via. La sua presenza mi dava fastidio. Non fisicamente ma psicologicamente. L'ho sentita fredda, lontana, vuota, indifferente, inutile... Non ha neanche cercato di capire che cosa avessi. Ma anche se ci avesse provato, probabilmente, m'avrebbe dato fastidio, irritato. Forse sono stato ingiusto con lei. Forse sono anche ingiusto con te. Penso solo ai miei problemi. Ho voglia di piangere, ho voglia di rompere tutto, ho voglia di scomparire, ho voglia di dormire ma non so se ci riuscirò. Forse non avremmo mai dovuto incontrarci io e te: sarebbe stato meglio per tutti e due. NO! Ho scritto una grossa bestialità. Scusami. Ma non straccio la lettera, questa volta. Sto imparando da te. Ho le idee confuse, mi sento a pezzi. Tu, come ti senti? In tutta questa lettera non ho fatto che parlare di me, di me, di me... Quanto male ti ho fatto? Ti voglio bene, Sebastiano. Perché non sono capace di volerti bene come vorresti tu? Ciao, povero amico mio. Mi scriverai? Anche di questa ne faccio due copie, non so dove sei. Aspetto. Federico P.S. Ho riletto questa lettera e mi sono chiesto perché, quella prima volta, mentre accadeva, ero contento. Non lo so, ma forse perché ho provato di nuovo quelle emozioni che mi aveva fatto provare il mio compagno di scuola e che io credevo sepolte, vinte, dimenticate? In quel momento ero forse innamorato di te e questo m'ha poi spaventato? Perché è così difficile capire se stessi? Perché è tutto così complicato?
Roma, 25/1/87 Caro Sebastiano,stamattina ho dato la mia lettera di ieri al custode che dice che hai preso quella precedente. Dunque sei ancora a Roma. Ho chiesto all'ufficio pubblicità: ti hanno visto ma non hai lasciato nessun recapito e loro credevano che tu stessi ancora a casa mia. Mi eviti, non mi scrivi. Forse sei più saggio di me. Il custode m'ha guardato con aria strana, forse è stupito che mando delle lettere a te che pure lavori qui. Dopo gli darò pure questa, poi ne scriverò ancora, sempre nella speranza che mi scrivi... Magari solo un biglietto con solo una parola. Anche un insulto. Ma dimmi che non m'hai escluso, che non m'hai cacciato dai tuoi pensieri. Chiedo troppo, forse? Sei ancora offeso, ferito per quello che ti ho detto? Rileggo la tua ultima lettera. Non c'era odio nella mia voce, non volevo ferirti, c'era solo disperazione, ero terribilmente spaventato, credimi. Srivimi di nuovo, Sebastiano, ti prego. Mandami di nuovo una delle tue belle buste. Non ti chiedo altro. Non ti chiedo di vederci, non ti voglio fare ancora del male, credimi. Non ti ho cercato qui al lavoro per non creare una situazione imbarazzante davanti ai colleghi. Ma se non mi scrivi, girerò per tutti gli alberghi di Roma finché non riesco a trovarti. Sì, l'ultima volta che ci siamo visti, appena sei riuscito a tirarmelo fuori sono venuto. Sì, solo sfiorarti, solo essere sfiorato da te mi fa eccitare. Sì tu mi attiri, mi sento attratto da te. Sì, ho paura di essere un ricchione, come dici tu. Sì, sono una testa di cazzo. Sì, sono spaventato da quello che provo per te. Sì, sono condizionato da mio padre, da mia madre, dai preti, dalla morale borghese, dalla fallocrazia, dal perbenismo, da quello che vuoi! Ma scrivimi. Se ancora mi vuoi bene, se non ti ho portato ad odiarmi, scrivimi. Ti prego, Sebastiano, ti prego, scrivimi presto Federico martedì 27 gennaio
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Roma, 28/1/87 Caro Sebastiano,grazie. Grazie per la bellissima busta. Grazie per il "ciao". Grazie. Finalmente un raggio di luce: tu non sai quanto m'ha fatto bene, che regalo m'hai fatto, come mi sento meno disperato, meno solo. Al lavoro non combino più niente perché penso notte e giorno a te, a me, a noi due. In testa ho come una folla di pensieri, pensieri disordinati in cui fatico a raccapezzarmi. Non riesco neanche a scriverti tutto quello che penso e che vorrei: mentre scrivo una cosa ci sono altre mille che vorrei sciverti, non faccio neanche in tempo a fissarle nella memoria. Il pensiero va molto più veloce della penna, della scrittura. Così alla fine si scrivono solo le bolle che affiorano alla superficie dello specchio d'acqua sconfinato delle idee che mi affollano il cervello. Mi sento stanco, terribilmente stanco. Mi manchi Sebastiano, sì, mi manchi tanto. Non ti sto chiedendo di venire qui da me, non sono ancora pronto e temo che forse non lo sarò mai. Vorrei essere meno complicato, avere almeno un po' della tua bella semplicità, della tua forza, della tua... invece mi sento debole e sperso e solo e... non sto piangendo attaccato alle sottane di mamma, credimi, sto cercando di capire, di capire, di CAPIRE! Perché non so accettare quello che mi offri? Ah, se fossi io una femmina! È stupido, vero? Anche io non ho mai desiderato esserlo. Anch'io, come dici tu, sono un maschio, ho un arnese che funziona... e che mi si rizza appena tu lo sfiori. E che mi si sta svegliando anche adesso. E vorrei che tu fossi qui a toccarmi. E non è vero, salterei in aria di nuovo come l'altra volta. Non lo so, non mi capisco. Mi sento come diviso in due, come uno schizofrenico. In me, comincio a rendermene conto, c'è un Federico che vorrebbe essere spogliato da te, toccato da te, fare cose turche con te e un Federico che non vuole, non vuole, non vuole... Quale dei due è quello giusto? Chi sono io? Cosa sono? Come sono fatto? Hai ragione tu, quel mio "esperimento" a Bologna è stato patetico. Tu sei lo stesso Sebastiano di sempre, io non so più che cosa sono. Io non voglio Stefania, voglio te. Ma non ti so accettare perché in realtà non mi so accettare. Tu mi scrivi che vuoi succhiarmelo e penetrarmi e che vuoi che io te lo succhi e ti penetri. Anch'io, forse. Probabilmente ne gioirei anche fisicamente, ma la mia testa lo rifiuterebbe e mi farebbe sentire in colpa. Ho provato ad immaginarmi noi due che facevano un sessantanove: l'idea mi dà vagamente fastidio, mi imbarazza, ma a pensarci, a figurarmi la scena, mi è venuto duro. Allora ho provato ad immaginare me e Marco o me e Luca (sai, il bel ragazzo dell'archivio) mentre si fa un sessantanove: l'idea mi dà fastidio e non mi sono eccitato per nulla. L'unica differenza, dunque, sei tu. Sì, tu per me sei sempre stato, e continui ad essere, speciale, diverso da tutti gli altri. Io ti voglio bene, io provo desiderio fisico per te, ormai lo devo ammettere. Tu dici che allora c'è tutto, che è completo... tanto più che è reciproco. Ma io non riesco a conciliarlo, ad accettarlo... Hai ragione tu, non posso accettarti solo a metà: o ti accetto come amante o ti perdo come amico. Il fatto è che, forse, non mi sono mai accettato neppure io, se non a metà. Come si fa ad accettarsi totalmente? Aiutami, Sebastiano, ti prego. Non mi abbandonare. Voglio uscir fuori da questa situazione. Se non mi aiuti tu, chi può aiutarmi? Chi? Stefania con la sua aridità e vuota eleganza? No certo. Mamma e papà? M'hanno già aiutato quando avevo quattordici anni e forse m'hanno aiutato solo a distorcermi pensando di drizzarmi. Non voglio farne una colpa a loro, erano certi di fare il mio bene. Mi sa che l'unica è che vada da uno psichiatra. Almeno, se sono matto, mi fa rinchiudere. Federico sabato 31 gennaio Che aiuto vuoi? Gli psichiatri fanno solo spendere soldi. Devi uscirne tu.Io voglio te, sono parte in causa. Temo che invece di aiutarti tirerei acqua al mio mulino. Io ti amo. Ancora. Forse sono egoista. Vorrei aiutarti, davvero. A volte penso che se ti voglio bene l'unico vero aiuto sarebbe sparire. Lasciarti in pace. Ma... forse sono egoista. S. Roma, 2/2/87 Carissimo Sebastiano,no, non sparire, ti prego. Non lasciarmi, non ancora per favore. Non sparire. L'altro ieri sera sono uscito, ho camminato per quasi due ore: qui in casa mi pareva di impazzire. Ho cercato di mettere a fuoco il problema. Sì, in fondo credo che il mio problema sia tutto lì: la mia paura di essere un anormale, un gay. Tu dici che non ti senti gay solo perché mi desideri, solo perché desideri un maschio. Tu dici che non desideri un maschio (non un maschio qualsiasi, cioè) ma me. Per me però le due cose coincidono. Perciò desiderare te (come ti desidero, ormai è chiaro) è desiderare un maschio e desiderare un maschio è essere gay. E io ho paura ad accettare di essere gay. Io non voglio essere gay. Tutto lì il problema. Se io mi accettassi come gay, non ci sarebbe più nessun problema per me. E allora, cosa devo fare? Uno può accettarsi così? Dopo anni in cui, in fondo, ho sempre fatto almeno un sorrisino (di disprezzo? di superiorità? di compatimento?) nei confronti dei gay? All'Accademia avevo un compagno di corso, un certo Massimo, un gay dichiarato. Mica una checca, no. A vederlo era appena un poco meno "maschio" degli altri, nel senso che era un po' più raffinato. Nessuno lo prendeva in giro, io neppure. Ma avevamo tutti un senso di superiorità nei suoi confronti, adesso me ne rendo conto: a noi altri piacevano le femmine! W la fica! Adesso vorrei ritrovare Massimo, parlargli, capirlo e forse riuscirei a capire anche me stesso. Lui aveva il suo ragazzo che lo veniva ad aspettare fuori dall'Accademia. Noi sorridevamo, io sorridevo. Mica lo prendevamo in giro, no, noi artisti siamo moderni e tolleranti, ma anche io sorridevo. Mi sentivo superiore. Posso cambiare all'improvviso, ora? Posso di colpo dire: "sono finocchio, che bellezza!" dopo anni in cui ho fatto sorrisetti di superiorità? A me piace l'uccello! W l'uccello? Sì sì, è facile dirlo, scriverlo, ma dentro ci sto male, non lo accetto, non voglio. Eppure ci sei tu a smentirmi clamorosamente. E mica solo con le parole, basta la tua presenza. Anzi, da un po' basta persino che ti penso. E non posso non pensarti, ormai ci sei, sei qui, dentro di me, giorno e notte, anche se tu scomparissi. E non è giusto non pensarci, non devo fare lo struzzo, come dici tu, non devo nascondere la testa sotto la sabbia, no? Massimo era fiero del suo ragazzo. Ne parlava, a volte, con naturalezza: "Il mio ragazzo dice che..." così come uno può dire: "La mia donna dice che..." Sì, mi piacerebbe saper dire: "Il mio Sebastiano dice che..." ma non ne sono capace. Basta volerlo? Federico giovedì 5 febbraio Sebastiano Questa perciò te la imbuco a casa tua. Tu lascia la lettera al portiere dell'albergo. Ma non mi cercare ancora, per favore.
Roma, 6/2/87 Carissimo Sebastiano,d'accordo, non ti cerco. Grazie comunque. Le tue buste sono bellissime e mi dicono tutto quello che non mi scrivi nelle tue ultime lettere. Anch'io ti amo, anche se non sono ancora capace di dimostrartelo. Ti amo e ti desidero e non riesco ad armonizzarlo: sono proprio schizofrenico. Mi rendo conto che in fondo sto facendo l'amore con te per lettera, capisci quello che voglio dire? Una lettera è più sicura di un preservativo: separa molto di più. È più asettica. Sono uno stronzo, doppio, triplo, centuplo. Ho rotto con Stefania: la nostra relazione non aveva più senso. Niente ha più senso, al di fuori di te. Era tempo, era ora. Forse mi ero attaccato a lei solo per nascondere meglio a me stesso i miei veri desideri. Mi chiedo come ho fatto a sprecare tutto questo tempo con una così: finalmente è finita e mi sento meglio. Ma questo non risolve ancora il mio vero problema. Tu in una tua lettera dicevi che non ti senti gay. Che è solo un'etichetta. E che comunque te ne freghi. Forse ci arriverò anch'io, ma per arrivarci, prima, devo riuscire ad appiccicarmela quella etichetta, non fosse altro che per annullare quell'altra etichetta che ancora porto: "non gay" che porto appiccicata addosso da troppi anni. Non ridere di me, ti prego, ma come a Bologna ho cercato i finocchi per dimostrare a me stesso che non lo ero, adesso devo cercarli per dimostrare a me stesso che posso esserlo. Forse sono infantile, ma credo che devo farlo, devo passarci. Tu mi scrivi che devo uscirne io, con le mie forze, e per ora non mi è venuto in mente niente di meglio per uscirne. So che esiste una discoteca gay che si chiama l'Alibi. Domani sera ci andrò. Non lo so cosa farò. Forse aggancerò qualcuno, forse me lo porterò a letto o mi ci porterà lui. Forse mi farò penetrare o lo penetrerò io. Forse ce lo succhieremo. Forse. Che ne dici? Sono matto o faccio bene? Temo che la tua risposta arriverà dopo, se mai vorrai darmela. Ma qualcosa devo fare. Per me, ma anche per te. Buona notte, Sebastiano. Ti abbraccio Federico Roma, 7/2/87 Caro Sebastiano,per quanto tempo m'hai aspettato lì davanti all'Alibi? Quando sono arrivato e t'ho visto, mi ha preso un colpo. Tutto pensavo meno che incontrare te. Hai visto quant'ero emozionato? Poi tu mi sei venuto incontro, m'hai preso per mano e m'hai detto: "Torna a casa, matto!" e io sono rimasto lì come un imbecille a guardarti e sapessi quanta fatica ho fatto per chiederti se ci venivi anche tu. E tu hai scosso la testa e hai sorriso e hai detto: "Torna a casa, dai. Domani ti scrivo." Ma mi hai sorriso. Così, eccomi a casa. Perché non hai voluto che entrassi lì? Ti pareva così sbagliata la mia idea? Non vedo l'ora che arrivi domani, scenderò a guardare nella cassetta delle lettere, chissà quante volte, aspettando la tua busta variopinta. Cosa mi dirai? Che sono scemo? Che ti faccio pena? Stanotte a letto mi masturberò pensando a te. Dio quant'era bello il sorriso che m'hai fatto! Così dolce, tenero, indescrivibile! Quant'era bello quando m'hai preso per mano. In quel momento avresti potuto condurmi dove volevi tu. Come il pifferaio magico: t'avrei seguito ovunque. Sebastiano, io mi arrendo: fai di me tutto quello che vuoi. Anche fisicamente, voglio dire. Voglio diventare tuo, anima e corpo. Non so se sarà facile, se ci riuscirò subito, se saprò accettare tutto con serenità, ma ci voglio almeno provare. Rinuncio a lottare contro me stesso. Non ha davvero senso. Ma tu dammi quella tua dolcezza, guardami con quegli occhi, fammi quel sorriso, toccami con quella mano e sarò tuo. Adesso mi ubriaco e vado a dormire. Buona notte Sebastiano. Voglio amarti. tuo F. sabato 7 febbraio ma che ci andavi a fare lì? Un agnellino in mezzo ai lupi. Quanto sei ingenuo. Lì ci andrai, se vuoi ci andremo. Ma quando sarai un po' più sicuro di te. Federico, quanto ti amo! Bene, tu sei gay. Bene, io sono un maschio. Ai gay piacciono i maschi. Però appena ti tocco o scappi o mi cacci. Punto e daccapo. Il problema non è lì. Il problema non è se e chi è gay. Il problema è solo io e tu. Vuoi dar vita al tuo amore per me col tuo corpo? Dici che mi vuoi bene. Ti credo. Fino al punto di dimostrarmelo col tuo corpo senza bloccarti, senza vergognarti? Al punto di essere felice di unire il tuo corpo col mio? Di sentirne il bisogno, l'esigenza? Se sì, fammi un fischio. Se no, te lo dico io cosa succede: o ti reprimi del tutto. E allora addio. o esplodi. E allora addio. In tutti e due i casi non sarai più il Federico di cui io mi sono innamorato. Quel Federico che s'entusiasmava come un bambino. Quel Federico pieno di fantasia. Quel Federico che va in sollucchero per una busta variopinta. Quel Federico che immagina un cane di nome Rodolfo. Con un ragazzino amico che abbiamo battezzato Theo, con l'acca, così theoso! Tutto finito. Forse parlo così solo perché ti desidero. Forse non sono obiettivo. È difficile essere obiettivi quando si è cotti, lo capisci. Ma io le cose le vedo così. Ti amo, Federico, finché non muori dentro. Ti amo. Abbiti cura. Non morire, per favore tuo (spero) S. Roma, 8/2/87 Mio caro Sebastiano,vieni ti prego, ti aspetto. Domani mattina telefono al lavoro e chiedo una settimana di permesso, sarò a casa tutti i giorni, ti aspetto, vieni. Le nostre nove settimane e mezzo. Devo provarci, voglio provarci. Tu toccherai il mio corpo, tu mi accarezzerai, tu mi risveglierai tutto, mi farai tutto quello che vorrai, finché vorrai, come vorrai. Vieni, ti prego F.
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