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una storia originale di Andrej Koymasky


LA STRANA COPPIA CAPITOLO 1 - RITORNO

Si guardò attorno. Tutto pareva esattamente come l'aveva lasciato, eppure diverso. Riconosceva la fuga di arcate, le sobrie facciate delle case, la vaga collina là in fondo alla prospettiva, persino molti dei negozi. Ma i tram erano diversi, in forma e colore. Non più verdi ma di un incongruo arancione. Guardò dentro la vecchia cartoleria dalle vetrine immutate che mostravano sempre le stesse vecchie stampe Alinari, le stesse vecchie fotografie... e rivide la stessa vecchia proprietaria...

Vent'anni dopo era sempre lì, come se il tempo si fosse fermato.

Emozionato, entrò.

"Bundì!" disse la vecchia asciutta.

Lui la ricordava bene: settantenne vent'anni prima, settantenne ora. Con la stessa grigia mantellina di lana fatta all'uncinetto.

"Desidera?" chiese la vecchia al distinto ed elegante cliente.

"Ha ancora la riproduzione dell'uomo di Leonardo? Sa, quello in un quadrato e un cerchio..."

"Sì, aspetti che ce la tiro giù." disse la vecchia e, con insospettata agilità, salì su uno sgabello e tirò giù dall'antico scaffale una cartellina di similpelle nera chiusa da tre laccetti annodati a fiocco. L'aprì sul bancone e iniziò a sfogliare le seppie.

"È questa qui, no?" disse porgendogliene una. Stefano sorrise. Ne aveva comprata una, identica, circa venticinque anni prima. Lì, in quella cartoleria, da quella stessa donna.

"Sì, certo. La prendo."

"Costa 12.000 lire..."

"Va bene."

"Vuole che ci faccio un rotolino o la preferisce così, piatta?"

"Piatta, grazie. La metto nella ventiquattrore."

Stefano avrebbe voluto chiedere alla vecchia: "Si ricorda di me?" ma capì che sarebbe stata una domanda assurda. Pagò e uscì. Quell'acquisto, lo percepì chiaramente, era un patetico quanto inutile tentativo di riallacciare fili spezzati più di vent'anni prima. Inutile perché troppe cose cambiano in venti anni. Anche lui era profondamente cambiato. Aveva lasciato la città, giovane neolaureato, per poter vivere la sua vita con Carlo...

Al pensiero di Carlo sentì che gli occhi gli si stavano inumidendo. Era tornato a Torino non perché amasse particolarmente la città ma perché non sopportava più Bologna ora che Carlo non c'era più. Ogni angolo della città gli gridava il nome di Carlo, gli proiettava l'immagine di Carlo. Non aveva resistito, era fuggito. Era tornato a Torino dove almeno c'erano solo vaghi ricordi di gioventù. Dove aveva incontrato Carlo giovane e bello e vivo, oh quanto vivo, mentre ormai Bologna gli ricordava solo la lenta agonia del suo amante.

Passò davanti all'Università. Le stesse bancarelle di libri usati, gli stessi giovani che entravano e uscivano dal cancello di ferro battuto. Provò l'impulso di entrare nel cortile. Era diventato un parcheggio. Ne fu disturbato. Alzò gli occhi e guardò le arcate del loggiato del primo piano, cercò con gli occhi i busti marmorei di esimi docenti del passato. Quelli, almeno, erano come sempre. Traversò il cortile e uscì dal portone del lato opposto. La vecchia via sembrava intatta. Anche il selciato a sassi. No, c'era anche lì qualcosa di nuovo: il fianco del Teatro Regio finalmente ricostruito. Moderno ma non stridente col resto delle architetture. Risalì la via fino alla piazza... Anche qui tutto era rimasto uguale eppure vagamente diverso.

Si specchiò sulla vetrina di un negozio. Forse era soprattutto lui ad essere diverso. Non solo fisicamente. I suoi occhi... Avevano perso la luce di anni prima. Erano velati, tristi, spenti. Carlo, perdendo la propria vita, aveva portato con sé nella tomba gran parte della vita, della vitalità di Stefano.

Emise un lungo, tremulo sospiro. Girò attorno alla piazza, sotto i portici ininterrotti, fino alla stazione dei taxi. Ne prese uno. Dette l'indirizzo.


Salì al quarto piano della vecchia casa. Tirò fuori le chiavi ed entrò. Il piccolo appartamento vuoto riverberò i suoi passi. Ecco, avrebbe ricominciato da qui. Aveva scelto questo alloggio non solo perché il costo era contenuto ma soprattutto perché era lontano sia dalla sua vecchia casa che da quella di Carlo. Chissà se i parenti del suo povero amante vivevano ancora là... Quando Carlo aveva rotto con la propria famiglia per difendere il suo amore per Stefano, non aveva più avuto contatti con i suoi. Ebrei ortodossi, il padre l'aveva ripudiato. Stefano non aveva avuto questi problemi. Era solo dall'età di diciannove anni. Solo... come ora. Ma con quasi trent'anni in più sulle spalle e un gran vuoto nel cuore.

L'impresa di pulizie aveva fatto un buon lavoro. Le pareti candide, gli infissi neri, i pavimenti in cotto lucidi e senza una sola macchiolina di vernice. Guardò l'orologio. La ditta dei traslochi avrebbe portato su le sue cose alle 5 del pomeriggio. Per sicurezza aveva dato loro l'altro mazzo di chiavi. Ma comunque sarebbe tornato per le cinque. Lasciò aperte le finestre per attenuare il forte odore di vernice e uscì. Chissà chi viveva negli altri appartamenti? In realtà non gli interessava. Alla campanelliere, sotto, invece dei nomi c'erano numeri. Un modo per conservare un certo anonimato. Lui era il numero 11.

Percorse la via fino a Corso S. Martino. Andò a mangiare al ristorante cinese. C'erano pochi avventori. Si chiese se gli convenisse lasciare subito l'albergo o tenere la camera ancora per un giorno. Forse era meglio, forse non avrebbe fatto in tempo a prepararsi il letto già per quella notte. Doveva aprire tutti gli scatoloni, sistemare tutte le cose...

Uscì dal ristorante. Entrò in tabaccheria e comprò un pacchetto di Merit 100. Uscì sotto i portici e se ne accese una.

"Ma tu... tu sei Steu!" sentì una voce dire con un tono di sorpresa.

Si girò: un uomo di una decina di anni più vecchio di lui, radi capelli sale e pepe, un po' pienotto ma non grasso, ben vestito, lo guardava con un sorriso, attendendo di essere riconosciuto. Stefano azzardò:

"Piergiorgio?"

"Sì, vecchio mio! Questa sì che è una bella sorpresa!"

Si strinsero calorosamente la mano.

"Di passaggio o tornato all'ovile?" gli chiese Piergiorgio.

"Di ritorno, Piggì."

"Ah, ma sai che non sei cambiato affatto? Come fai a mantenerti così giovane?"

"Anche tu stai bene..." disse Stefano.

"Macché, perdo capelli e acquisto chili. Un brutto scambio! L'età. Ma la salute, grazie a dio, c'è. Ma... sei solo? E Carlo?"

"Carlo? Non c'è più."

"Oh, vi siete lasciati?"

"In un certo senso."

"Tutti i grandi amori finiscono, purtroppo. Tanto che non siete più insieme?"

"Da quest'estate."

"Cazzo! Dopo più di vent'anni! Ti ha lasciato lui?"

"Sì... è morto."

L'altro si fermò e lo guardò spalancando gli occhi:

"Oh cazzo... mi dispiace... Oh quanto mi dispiace. Scusami, non immaginavo... Era più giovane di me... Dio, se mi dispiace! Ma... come?"

"Cancro." disse con un lieve, triste sorriso Stefano.

"Buon Dio! Ha sofferto molto..."

"Specialmente l'ultimo anno... Ma parliamo d'altro, ti dispiace?"

"Certo certo, scusami..."

"Tu che fai, Piggì?"

"Io? Gestisco un pub."

"Il tuo solito bar?"

"No no, l'ho lasciato. Poi mi sono messo a fare il rappresentante di bibite e... Ma la nostalgia del bar era troppo forte. Così ho preso in gestione una birreria e pian piano l'ho trasformata in un pub gay. Buona clientela, buoni affari. Devi venire a vederlo. C'è anche qualcuno dei vecchi amici, sai? Ma anche tanta bella gioventù, che fa bene al cuore e agli occhi vedere. Oggi, grazie al cielo, i gay non devono più nascondersi come ai nostri tempi..."

"E... la tua vita sentimentale?"

Piergiorgio rise: "Quella? Qualche storia un po' più lunga, molte avventure... ma sempre meno. Oh dio, non mi lamento. È passato il tempo in cui ai giovani piacevano solo i giovani. Buon per me."

"Qualcosa di bello in corso?"

"No. Libero come l'aria, per ora. C'è uno al pub che mi fa gli occhi dolci, ma è un po' troppo checchina. Che ci posso fare assieme? L'uncinetto..." rise l'uomo. Stefano sorrise. L'altro continuò: "Ma tu, dove vivi ora?"

Stefano gli diede l'indirizzo.

"Ah, due passi da qui. Telefono?"

"Non ancora. Lo metterò, forse."

"Devi venire a trovarmi, magari al pub. Ecco, questo è l'indirizzo." disse l'uomo porgendogli un cartoncino colorato. "Verrai?"

"Certo, appena mi sarò sistemato."

"Promesso?"

"Promesso."

"Ci terrei a riallacciare l'amicizia."

"Grazie. Anch'io."

Parlarono ancora un po' poi si lasciarono. Stefano lo guardò allontanarsi. Piggì era un brav'uomo. Buono, dolce. S'erano conosciuti al cinema, quando lui aveva diciotto anni e Piggì ventinove. Avevano avuto una breve storia che era finita presto, traformandosi però in amicizia. Sì, era contento di aver incontrato Piggì. Guardò il cartoncino del pub. Si chiamava "Taboo". C'erano gli orari: dalle 19 alle 3 di mattina, chiuso il martedì.


Lo mise in tasca. Sì, ci sarebbe andato, magari domani stesso. Guardò l'orologio. Aveva ancora circa tre ore davanti, prima che arrivassero quelli del trasloco. Che fare? Come ingannare l'attesa? Si accese un'altra sigaretta. Faceva già piuttosto freddo. Si ricordò che lì vicino, sull'altro lato del corso, ci doveva essere una sauna gay. Traversò e la cercò: c'era ancora. Entrò. Si spogliò e, cinto ai fianchi il lungo asciugamano in dotazione, girò per i locali per vedere com'era organizzato. C'erano solo due altri clienti. Due uomini di mezz'età che chiacchieravano sottovoce fra loro seduti in uno dei salottini e che lo misurarono con gli occhi mentre passava. Individuate le docce vi entrò. Si lavò a lungo, finché sentì che il suo corpo stava assorbendo il piacevole tepore dell'acqua. Si sentì rinfrancato. Si asciugò e andò fino alla vasta cabina della sauna, passando di nuovo davanti ai due che stavano ancora chiacchierando. Si stese sulla panca di legno, su in alto, usando l'asciugamano per stendersi. Rimase lì a lungo. I suoi pensieri vagavano pigramente. Si rilassò. Il suo corpo cominciò a coprirsi di minute goccioline di sudore che presto iniziarono a ruscellare giù per il corpo, procurandogli una lievissima sensazione di solletico sulla pelle, gradevole.

Era più di un anno che nessuno toccava più la sua pelle nuda, da quando Carlo era dovuto entrare in ospedale per uscirne solo in una cassa di legno. Lacrime silenziose gli rigarono le gote mescolandosi al sudore.


"Non lasciarmi, Carlo..." l'aveva implorato pochi giorni prima della fine.

"Non ti lascerò mai, anche se muoio. Faccio parte di te, ormai..." gli aveva risposto il suo amante, stringendogli lieve la mano.

Le infermiere sapevano di loro due: i loro sguardi, i loro gesti di affetto, per quanto contenuti, parlavano chiaro. Ma nessuna di loro aveva mai fatto neppure un sorrisetto di scherno. Anzi, quando Carlo aveva cessato di respirare, l'infermiera di turno che era lì, gli aveva stretto una spalla con la mano in un gesto di solidarietà e di conforto e gli aveva sussurrato: "Ha smesso di soffrire, pover'uomo."

"Sì..." aveva risposto con voce strozzata Stefano.

"Ora cerchi di non soffrire troppo lei, professore..." aveva detto con dolcezza la donna.


La porta della sauna si aprì. Entrò un giovanotto. Lo guardò, si tolse l'asciugamano e sedette sulla panca di fronte alla sua, le gambe leggermente divaricate, i morbidi genitali bene in vista. Stefano pensò confusamente che il sudore doveva mascherare le sue lacrime. Sentì che l'altro lo osservava, che il suo sguardo correva lento lungo tutto il suo corpo nudo, soffermandosi soprattutto sui suoi genitali e sul suo volto. Non gli dava fastidio, non gli dava piacere. Con la coda dell'occhio vide l'altro alzarsi, andare verso di lui. Ora gli era di fianco, in piedi sulla panca più bassa, e lo guardava con un lieve sorriso. Stefano lo guardò con espressione vuota.

Il giovanotto gli disse: "Hai un bel corpo..." e una sua mano gli scivolò lieve sulla pelle sudata.

Stefano lasciò fare, inerte. Il tocco della mano era gradevole, eppure Stefano non si eccitò. A differenza dell'altro, la cui erezione stava sorgendo palpitante, a vista d'occhio. L'altro gli carezzò il membro, che restò morbidamente appoggiato sulla coscia nonostante la prolungata carezza.

Il giovanotto, dopo un po', gli chiese quasi stupito: "Ti do fastidio?"

Stefano scosse appena la testa.

"Non ti ecciti... non sono il tuo tipo?"

Stefano lo guardò poi disse: "Non è quello... hai un gran bel corpo... ma non mi sento. Mi dispiace..."

L'altro annuì ma continuò a carezzarlo spostando la mano sul ventre, sul petto dell'uomo.

"Sembri triste..." disse il giovanotto guardandolo negli occhi.

"Lo sono. Terribilmente..."

"Vuoi parlarne?"

"No... non so."

Il giovanotto sedette accanto a lui: "Se vuoi che ti lasci in pace, dimmelo..."

"No, non mi dai fastidio. Solo che non mi sento..."

"Sì, lo capisco. Capita. Non ti ho mai visto qui. Sei di passaggio?"

"No, mi sono appena trasferito."

Il giovanotto annuì. Poi gli disse: "Sei propio un bell'uomo..."

Stefano sorrise amaro e disse: "Vent'anni fa, forse. Ho quarantotto anni."

"Ma va! Te ne davo almeno dieci di meno. Fai molto sport?"

"Ne facevo. Molto tennis... col mio amante."

"Sei in coppia?"

"Non più... solo."

"Per questo sei triste?"

Stefano annuì e sentì un nodo alla gola.

L'altro intuì la sua emozione e disse dolce: "È recente, vero? Fa male, vero?"

Stefano annuì di nuovo.

"Vuoi parlarne? Fa bene, sai? Uno non può tenere tutto dentro... Se vuoi..."

Stefano sentì calore nella voce di quello sconosciuto e parlò. Mentre raccontava l'altro riprese a carezzarlo lieve e Stefano sentì che quella carezza non era più erotica, ma amichevole, e gliene fu grato. Aveva bisogno di un po' di affetto, anche se da uno sconosciuto.


Quando ebbe finito il suo racconto, l'altro gli disse: "Usciamo di qui, vuoi? Facciamo una doccia, poi ti offro qualcosa al bar..."

Stefano annuì. E in cuor suo gli fu grato per non avergli detto parole di conforto.

Sotto la doccia ammirò in silenzio il corpo asciutto dell'altro.

"Io mi chiamo Stefano. E tu?" gli chiese mentre si asciugavano fuori dalla doccia.

"Ugo. Piacere." rispose l'altro con un lieve sorriso.

Andarono a sedere. Ugo gli chiese che cosa gli andasse di bere, quindi citofonò al servizio bar. Dopo poco arrivò il cameriere con le bevande.

"Mettile sul mio conto." disse Ugo all'uomo.

"Tu sei solo?" gli chiese Stefano.

"No..." rispose Ugo con un lieve accento di imbarazzo nella voce. "Sto con un ragazzo di ventisei anni. Si chiama Gillo. Ora è fuori città e... volevo approfittarne per..."

"Ti è andata male, con me." disse Stefano guardandolo.

"No. E poi non ne ho veramente bisogno. Con Gillo sto bene. Solo che, a volte... Io non sono capace di essere veramente fedele."

"È molto che state assieme?"

"Cinque anni. Io l'ho tradito cinque o sei volte, fino a ora... Lui mai, credo. Se sapesse.... gli farei male. Lui si fida di me. Non lo merito."

"Forse la fedeltà non è una cosa solamente fisica." gli disse Stefano.

"Voi due, in vent'anni, siete sempre stati fedeli?"

"Sì. Anche se ci sentivamo tutti e due liberi di avere un'avventura. Forse proprio perché ci sentivamo liberi... chissà... non ne abbiamo mai approfittato..."

"È bello. Io, dopo, mi pento di averlo fatto. Però ci ricasco..."

"Beh, una volta l'anno... non è grave..."

"Se Gillo lo sapesse ne soffrirebbe, lo so."

"Ma non lo sa."

"Lo so io."

"Perché non ne parli con lui? Io e Carlo ci si diceva sempre tutto."

"Credo che Gillo non potrebbe capire. Per lui esisto solo io..."

"Vivete assieme?"

"Sì, da due anni."

"Ti pesa?"

"No, per niente, anzi. Quando siamo assieme non mi viene neppure in mente di tradirlo. Veniamo in sauna assieme, due o tre volte alla settimana, abbiamo l'abbonamento. Si chiacchiera con gli amici, ci si rilassa."

"Non hai paura che gli amici, qui in sauna, vedentoti con un altro, lo dicano al tuo ragazzo?"

"Sei il primo con cui ci provo in sauna. E oggi non c'è nessuno che mi conosca, qui dentro. E poi non è successo niente fra noi due... grazie a te."

"In un altro momento, molto probabilmente, t'avrei detto di sì..." disse Stefano con un sorriso schivo.

"Allora forse è meglio così..." rispose l'altro.


Entrarono altri due clienti: erano amici di Ugo. Un ragazzo sui venticinque anni di nome Fred e il suo amichetto di diciannove anni di nome Paolo. Formavano una strana coppia. Fred era il tipo macho, tutto muscoli pur del tipo non esasperato da culturista. Paolo era esile, lievemente effeminato. Parlarono un po' tutti e quattro, dopo che Ugo ebbe fatto le presentazioni. Poi la coppia entrò nel locale sauna.

Ugo gli spiegò: "Vengono a fare l'amore qui: vivono tutti e due ancora in famiglia. Paolo prima faceva marchette. Ha smesso da un anno, da quando ha conosciuto Fred. Fred è molto geloso, possessivo e a Paolo questo piace. Faceva marchette di rado, non per necessità. I suoi hanno soldi. Credo che lo facesse per una specie di sfida al perbenismo dei suoi, ma non so. È un bravo ragazzo. Aveva bisogno di incontrare un tipo forte e protettivo come Fred."

"Sembrano innamorati..." commentò Stefano.

"Sì, lo sono. Si completano a vicenda. Fred gli dà sicurezza, Paolo gli dà tenerezza. Anche Fred è migliorato da quando sta con Paolo, è più equilibrato... sente la responsabilità del suo ragazzo, credo."

Li vide uscire dalla sauna ed entrare in un box. Fred guidava l'amico tenendolo per mano. A Paolo brillavano gli occhi. Stefano ripensò a Carlo, quando, quasi con lo stesso atteggiamento, lo prendeva per mano e lo portava fino al loro letto per fare l'amore.

"Beati loro..." mormorò Stefano indicando con un cenno del capo verso il box in cui erano entrati i due amanti.

Ugo annuì sorridendo. Poi gli disse: "Mi piaci molto, Stefano... No, non ti sto proponendo di fare l'amore. Ma mi piacerebbe che tu diventassi nostro amico, mio e di Gillo. Sono convinto che piaceresti molto anche a Gillo. Se torni qui lunedì, verso le diciotto, ci sarà anche lui."

"Volentieri, ma... come dirai al tuo ragazzo che ci siamo conosciuti? Non sospetterà qualcosa?"

"No. Quando lo vedrò gli dirò che ti ho conosciuto qui in sauna, semplicemente. È la verità, d'altronde. Poi, lui non è malizioso. Si fida di me... povero Gillo!"

"Non farti troppi complessi di colpa. Tu lo ami, no?"

"Certo. Ma non come lui ama me."

"Crescerai..." disse semplicemente Stefano.

"Già. Mi hai dato dell'immaturo e non hai affatto torto."

"Siamo tutti immaturi. Non si smette mai di crescere. E in due... è più facile, più bello..." concluse Stefano con triste dolcezza.


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