ORO, INCENSO E MIRRA | CAPITOLO 6 - QUALCUNO DIETRO L'ANGOLO |
Non si accorse che stava arrivando qualcuno: non vedeva e non sentiva nulla. Era un giovanotto poco più alto di lui, che indossava un paio di jeans neri e un piumino lilla chiaro e che aveva una chitarra appesa dietro le spalle. Questi lo sentì piangere e si fermò poco lontano, sorpreso e indeciso: non sapeva se girare a largo senza farsi vedere per lasciare quello sconosciuto al suo dolore, o se accostarglisi e chiedergli perché piangesse così. Non aveva mai visto nessuno piangere tanto accoratamente. Nessuno dell'età di Massimo, per lo meno. E per di più così, in piena notte, seduto sulla panchina di un giardino pubblico. Stava per cambiare strada, quasi per un senso di pudore, quando qualcosa dentro di lui gli fece cambiare idea. Prese la chitarra che gli pendeva alle spalle e, senza avvicinarsi, si appoggiò a un albero e iniziò a suonarla pian piano guardando verso l'altro. Massimo sembrava non accorgersi di non essere più solo e continuava nel suo singhiozzare sconsolato. L'altro allora gli si avvicinò lentamente, continuando a suonare una melodia dolce e lieve. Gli era vicino quando Massimo alzò gli occhi pieni di lacrime e lo guardò. L'altro continuò a suonare. "Vorrei morire." mormorò Massimo allo sconosciuto che intravedeva appena attraverso le lacrime. "Capita a tutti." rispose dolce l'altro continuando a suonare. "Sono stanco... stanco..." "Sì, ti capisco. A volte anch'io mi sento stanco dentro, stanco di lottare, stanco di vivere. Ma..." disse, e non concluse. "Perché?" chiese Massimo. L'altro non rispose: quel perché, lo sentiva, non era una domanda fatta a lui, ma a se stesso. Continuando a suonare lieve, sedette accanto a Massimo. Questi si portò le mani al volto, coprendoselo e cercando di asciugarsi le lacrime. L'altro allora gli disse dolce: "No, piangi tranquillo, non ti curare di me. Piangi, se ne hai bisogno." "Chi sei, tu?" "Uno qualsiasi." Massimo era ancora scosso di tanto in tanto da un forte singhiozzo ma aveva smesso di piangere. "Che cosa suoni?" "Al chiaro di luna." "È bello." "Sono contento che ti piaccia, lo speravo." "Lo speravi? Lo suoni per me?" "La musica spesso lenisce il dolore, e tu devi avere un dolore enorme, per piangere così, vero?" "Sì." "Vuoi parlarne?" "Non lo so, mi fa male." "Certo, ma..." E Massimo si mise a raccontare anche allo sconosciuto il motivo del proprio dolore. Ma, a differenza delle volte precedenti, il suo racconto ora era pieno di emozione, spesso interrotto dal pianto. Raccontò tutto, anche la sua voglia di morire, i suoi tre tentativi... e la storia dei tre re magi e gli mostrò i regali: "E ora, ora non so neppure più nemmeno se avrei il coraggio di provarci ancora." "Non ci vuole coraggio per morire. O per lo meno, ce ne vuole molto di più per vivere." "Forse. Forse è come dici tu, non lo so. Ma ormai sono completamente solo." "Anch'io sono completamente solo. Perché non vieni con me? Forse, se proviamo a condividere le nostre solitudini..." "Non mi conosci neppure." "Neanche tu. Anzi, io ora conosco qualcosa di te. Visto che non hai un posto dove andare, puoi venire da me. Stavo giusto tornando a casa. Abito qua vicino, da solo. Non è grande né bello, ma... Vieni con me, dai!" "Non ti dà fastidio che sono gay?" "No, proprio per niente." "Sei gay anche tu, per caso?" "Non mi sono mai posto il problema." "Che vuoi dire?" "Che finora ho avuto esperienze diverse, anche se non molte." "Vuoi portarmi con te per..." "No, non ci pensavo. Ti offro un letto, non necessariamente il mio letto. Ce ne sono due, su da me. Ti offro solo un letto e la mia amicizia. D'altronde, non ho molto altro da offrirti. Vieni?" "Sì, vengo." "Io mi chiamo Gilberto." "Massimo." "Bene, Massimo, prendi la tua bici e andiamo, allora." Gilberto portò Massimo su da lui. Viveva in una stanza a mansarda in cui c'erano due lettini, un angolo con un fornello e l'acquaio. Il gabinetto era in comune con altre mansarde e non c'era bagno. Nella stanza, oltre a un tavolo con tre sedie spaiate, c'era un vecchio guardaroba, uno scaffale con uno stereo, colmo di dischi e di CD e una stufetta. La stanza era spoglia, solo alcuni coloratissimi poster alle pareti la rendevano un po' meno squallida. "Ho venduto quasi tutto, non resta granché, come vedi." disse Gilberto facendo un sorriso quasi di scusa, quando furono entrati. Poi proseguì: "Ecco, tu puoi dormire là. Quello, invece, è il mio letto. Vuoi che accenda la stufa?" "No, grazie, non serve." "Ti basteranno le coperte?" "Credo di sì, non fa molto freddo." "Vuoi andare a dormire subito?" "Come vuoi tu." "Beh, prima magari scaldo un po' di latte. Io, di solito, prima di andare a letto bevo sempre un bel bicchiere di latte caldo. Ne vuoi anche tu? O vuoi un caffè, un tè? Non ho liquori né birra, purtroppo." "No grazie. Latte caldo va bene." "Non ho più neppure il televisore da farti guardare. L'ho venduto. Metto su un po' di musica? Cosa ti piace?" "Quello che vuoi tu." disse Massimo sedendo al tavolo. Gilberto mise su un CD, poi accese il gas e mise a scaldare il latte. Mentre lo sorseggiavano parlarono, soprattutto Gilberto. Gilberto Marelli aveva ventisei anni. Era figlio di un professore di greco. Ma fin da ragazzo aveva mostrato più interesse per la musica moderna che per le materie umanistiche, così a diciotto anni, cioè appena maggiorenne, aveva lasciato la casa dei genitori ed era andato a vivere per conto proprio. Aveva trovato quasi subito lavoro come assistente di un bravo DJ in una discoteca e aveva imparato da lui quel lavoro. A diciannove anni aveva avuto la sua prima esperienza sessuale completa. Era stato con una giovane coppia. Era stata lei, una sera in discoteca, che gli aveva proposto di fare l'amore in tre, visto che al marito piacevano anche i ragazzi. Gli era piaciuto molto e così per circa tre anni aveva continuato ad andare spesso a casa dei due per farci l'amore. Ma poi si era innamorato di una ragazza e li aveva lasciati. Lui e la ragazza avevano vissuto assieme. Mentre stava con lei, aveva trovato il suo primo lavoro come DJ in una nuova discoteca di periferia. Qui un barista gli aveva fatto la corte. Era un gran bel ragazzo, simpatico, e gli piaceva parecchio, ma lui era innamorato della sua donna, perciò gli disse di no. Gilberto era un tipo fedele. Una sera nella sua discoteca ci fu una retata e la polizia trovò che lì avveniva spaccio di spinelli, perciò chiuse la discoteca per tre mesi. Gilberto tornò a casa molto prima del solito. Lui non aveva avuto problemi, era pulito. Arrivato a casa, trovò la porta chiusa dall'interno. Suonò. Quando lei venne ad aprire, dopo diverse volte che suonava, vide che con la sua donna c'era un altro. Gilberto non fece scenate. Parlò con lei, cercò di capire. L'avrebbe anche perdonata, ma lei volle andarsene: evidentemente preferiva l'altro a lui. Così, restato solo, quando tornò a lavorare in discoteca, fu lui a far la corte a quel cameriere e divennero amanti. Il ragazzo si trasferì da lui. Gli piaceva molto far l'amore con quel ragazzo. Ma rimasero assieme solo per due anni. Quando Gilberto aveva venticinque anni, il cameriere lo lasciò per un altro uomo, uno della Milano bene, pieno di soldi. Dopo di allora, a parte poche avventurette senza seguito, era rimasto solo. Otto mesi prima la discoteca in cui lavorava era stata incendiata dal racket e aveva dovuto chiudere, così Gilberto era rimasto senza lavoro. Era sopravvissuto un po' grazie a qualche risparmio, poi vendendo oggetti che aveva per casa e anche un po' suonando per le vie o nelle stazioni della metro. Quella notte Gilberto stava appunto tornando a casa dopo aver suonato in una stazione della metro. Nonostante Massimo fosse ancora immerso nel suo dolore che gli pulsava dentro sordo, aveva ascoltato Gilberto con piacere: quel giovanotto aveva una freschezza, un modo di parlare e di ragionare semplice e assieme profondo che lo affascinava. Andarono a dormire e Gilberto spense la luce. Dopo poco Massimo chiese sottovoce: "Dormi?" "No, non ancora." "Ti va di parlare ancora un po'?" "Sì, certo." "Io... perché mi hai proposto di venire qui da te?" "Te l'ho detto: forse due solitudini si possono compensare e poi... non lo so... ma sento che mi sei simpatico." "Non mi conosci." "Questo l'hai già detto. Ci conosceremo un po' per volta. E finché ci va a tutti e due, possiamo stare assieme." "Se ti stancherai di me me lo dirai, vero?" "Certo." "Io non voglio crearti problemi con la mia tristezza." "Passerà prima o poi, non ti preoccupare." "Può darsi." "In due tutto è più semplice." disse Gilberto. Massimo sentiva istintivamente il calore che c'era nelle parole e nell'atteggiamento dell'altro e gliene fu grato. Ripensò ai tre che aveva incontrato in quell'inizio d'anno, prima di Gilberto. Tutti e tre, i suoi tre re, gli avevano dato qualcosa, oltre ai doni veri e propri che conservava. Ma sentiva che ora Gilberto gli stava dando qualcosa di più. "Gilberto?" "Sì?" "Grazie." "Di cosa?" "Di esistere." rispose Massimo quasi vergognandosi per quelle parole. Gilberto non rispose subito, ma dopo un breve silenzio disse: "Non lo potremmo dire tutti, l'uno all'altro? Solo che di rado ce ne rendiamo conto. E ancora più di rado abbiamo il coraggio di dirlo." "Coraggio?" "Sì, perché ringraziare l'altro di esistere vuol dire ammettere che si ha bisogno dell'altro per riconoscere la propria esistenza." "Io... sì, forse ho proprio bisogno di te per accettare in qualche modo la mia esistenza." "Vuoi dire che..." "Non sono più tanto sicuro, ora, di voler morire." "È un primo passo." "Primo?" "Sì, l'altro è aver voglia di vivere." "Già." rispose Massimo pensieroso. "Un passo alla volta." disse Gilberto con dolcezza, poi aggiunse: "E ora forse è meglio se dormiamo." Massimo però non riusciva ad addormentarsi. Finalmente riusciva a pensare senza più sentire quella confusione in testa che lo aveva accompagnato per tanti e tanti giorni. Anzi, ora pensava con lucida chiarezza. Il dolore per la perdita di Diego non lo aveva affatto abbandonato, ma non gli offuscava più la mente. E di nuovo pianse, silenziosamente, quasi con dolcezza: la dolcezza che per cinque anni l'amore di Diego gli aveva donato. E sentì che Diego era vivo in lui, proprio perché ormai era parte di lui e quella presenza nulla e nessuno gliela poteva togliere, neppure la morte. Pianse a lungo, ma senza disperazione. Provava dolore, certo, ma ora era un dolore quasi quieto. Si addormentò così, piangendo con una specie di serena accettazione la perdita del suo Diego, sentendo ancora nelle orecchie il dolce suono della chitarra di Gilberto là nel giardino, che era come una carezza. Si svegliò sentendo lievi rumori. Aprì gli occhi: Gilberto stava preparando la colazione. "Ciao." disse Massimo. "Ciao, ben svegliato, amico." gli disse allora Gilberto sorridente. "Come fai tu per lavarti?" chiese il ragazzo scendendo dal letto. "Faccia e denti, qui nel lavello. Poi nel pomeriggio aprono i bagni pubblici e se ti va possiamo andarci." "Io... sono senza una lira." "Ah, non preoccuparti. Il proprietario è un mio amico, mi fa sempre fare la doccia gratis. Ti va di venire a fare la doccia con me?" "Assieme?" "Beh, non intendevo... ma se vuoi, anche assieme." "Ma quello non penserà che è strano?" "No, lui è gay. Non ci fa certo caso." "Tu e lui..." "No, solo una volta, la prima volta. Ma senza seguito. Siamo solo amici, ora. Io vado a farmi la doccia ogni due giorni e oggi pensavo di andarci." "Va bene." Quando fu ora, Gilberto gli disse: "Avrai voglia di cambiarti, penso." "Non ho niente." "Puoi usare i miei vestiti, per ora. Dovrebbero andarti bene. Scegli nell'armadio. Così poi laviamo quello che hai indosso." "Grazie." Col ricambio in un borsone, andarono ai bagni pubblici. Quando entrarono, il proprietario salutò Gilberto. "Oh, Gil, puntuale come un Longines." "Ciao Marco. Ci dai una cabina per me e il mio amico?" "Oh, ti sei fatto un nuovo amichetto? Carino! La doccia insieme, che teneri! Andate alla 7, allora, è un po' più grande delle altre, starete comodi." "È solo un amico, Marco, non pensare subito male." rispose allegro Gilberto prendendo la chiave e le bustine di sapone. "No, io pensavo bene, non male. Due bei ragazzi così, assieme, nudi, sotto la doccia... Beh, a più tardi, ragazzi. Fate con comodo." Entrarono nella cabina. Cominciarono a spogliarsi, e si guardavano senza falsi pudori. "Hai un gran bel corpo, Massimo." "Anche tu." Cominciarono a lavarsi. A volte si sfioravano senza farlo apposta, senza malizia. E continuavano ad ammirare l'uno il corpo dell'altro. Si sciacquarono, si asciugarono, si rivestirono. A Massimo, avere indosso la biancheria e gli abiti dell'altro, dette una sensazione piacevole: come se l'altro lo stesse carezzando. Gli stavano leggermente abbondanti, ma non male. Uscirono e tornarono alla cassa a rendere la chiave. "Come, avete già finito, ragazzi? Ma allora vi siete proprio solo lavati! Che peccato!" disse il proprietario. Gilberto ridacchiò senza ribattere. Uscirono. Mentre tornavano a casa, Massimo gli chiese: "Davvero ti piace il mio corpo?" "Eh? Sì, certo, sei molto ben fatto." "Non ci hai provato, però." "Beh, mica uno salta addosso a un altro solo perché gli piace, no? E poi neanche tu." "Però mi piaceva parecchio guardarti." "Anche a me. Massimo, se fra noi due dovrà esserci qualcosa, verrà da solo." "Io, forse, non sono ancora pronto." "Certo, lo capisco. Non c'è nessuna fretta, comunque. Se dovrà accadere, accadrà." "Mi piaci, comunque." "Anche a me, per quel che ti conosco. E non parlo solo del corpo." "Vuoi davvero che mi fermi da te?" "Certo." "Devo cercarmi un lavoro, penso." "Non lavoravi in un grande magazzino di elettrodomestici? Puoi ripresentarti là, no?" "No, ritroverei gli amici di un tempo. Io, sarà stupido, ma non mi va di ritrovarli, almeno per ora. Non mi va di sopportare la loro pietà." "Come credi." "Cercherò altro. Spero di riuscirci." "Non è un momento facile, questo. Io cerco da otto mesi, ma senza fortuna. Però, finché c'è vita c'è speranza, no?" "Già." "E comunque ce la caveremo." "Non mi va di pesare su di te. Non è che tu abbia tutti questi soldi, poi." "È vero, ma a me va bene. Non ti preoccupare, per ora. In qualche modo ce la caveremo. Io, in due, mi sento più forte."
Questi lo guardò di sotto in su e, con un sorriso, gli chiese: "Che c'è?" "Vieni." disse semplicemente Massimo guardandolo dritto negli occhi. Gilberto capì. Si alzò lentamente e prese Massimo fra le braccia. "Credo... credo che mi sto affezionando terribilmente a te." disse Massimo appoggiando la testa su una spalla dell'altro. "Anche io. Sto molto bene con te." rispose Gilberto carezzandogli la nuca. Massimo sollevò il volto verso l'amico, che chinò il suo e le loro labbra si incontrarono e si schiusero in un lungo bacio intimo e profondo. "Mi porti nel tuo letto?" "Ne sei proprio sicuro?" chiese con dolcezza Gilberto. "Sì. Non mi vuoi, tu?" "Certo che ti voglio, non lo senti?" "Sì, lo sento. E anche io ti voglio." "Bene. Vieni, allora." Allacciati, i due si spostarono fino al letto di Gilberto. Questi si mise a sbottonare gli abiti dell'altro che subito lo imitò. Fremevano tutti e due e, man mano che scoprivano il corpo dell'altro, lo carezzavano e lo palpavano in preda a un desiderio crescente, finché entrambi furono nudi. "Mi piaci tanto, Massimo." "Anche tu, sei bellissimo. Voglio farti felice." "E io te, Massimo. Vienimi sopra, dai." Massimo stese il suo corpo nudo su quello dell'altro, facendo aderire il petto al petto, il ventre al ventre, le gambe alle gambe e le braccia alle braccia. Si baciarono di nuovo. "Ti desidero, Gil." "Prendimi, allora." "Sì, ma dopo tu prendi me, vero?" "Certo. Dio, Max, mi sembri più bello che mai. Non vedo l'ora di sentirti in me, di entrare in te." "Gil, io credo di amarti, forse, un po'..." "Sssst! ne parleremo dopo, a mente fresca. Ora siamo troppo emozionati." "Non voglio solo scopare, io." "Neanche io, Max, neanche io. Ma un passo alla volta. Per ora facciamo l'amore. Non pensare troppo, lasciati andare. Prendimi, dai." disse Gilberto sorridendogli dolce e incoraggiante. Queste parole mormorate con voce roca di passione, eccitarono terribilmente il giovane che ce la mise tutta per dare piacere all'amico. Questi gli si offrì con un sorriso dolce e Massimo affondò in lui con un senso di grato piacere. Quindi cominciò a muoverglisi dentro sentendosi accettato, accolto, e chiuse gli occhi per assaporare meglio quelle emozioni, mentre l'altro gli sfregava i capezzoli e gli carezzava tutto il corpo. Quando si sentì prossimo all'orgasmo, si bloccò. "Che c'è?" chiese dolce l'altro. "Non voglio ancora. Prendimi tu, ora, ma non venire: non voglio che finisca subito." "Neanche io." assentì con un sorriso luminoso l'altro. Si scambiarono le posizioni e Massimo si accinse ad accogliere in sé l'altro. Lo sentì premere, conquistarlo a poco a poco. "Oh, Gil! Così!" lo incoraggiò Massimo rilassandosi contento e assecondando le spinte dell'altro. Gilberto, mentre lo prendeva, lo contemplava con occhi sognanti: "Dio quanto sei bello, Max. Mi piaci: sei virile anche ora che ti stai dando a me. Mi piaci tanto, sai?" "Davvero ti piaccio?" "Non lo senti?" "Sì. Ti piace prendermi?" "Mi piace tutto di te." "Tutto?" "Tutto." Continuarono a far l'amore, dandosi il cambio infaticabili, sempre più eccitati, finché Gilberto, con un lungo tremito intenso, venne nell'amico; lo strinse a sé, carezzandolo con passione. Quindi si rilassò: "Dai, Max vieni tu ora, godimi dentro." gli sussurrò offrendoglisi ancora. L'amico rientrò in lui con acuto piacere e riprese a farci l'amore. E finalmente anche lui venne, profondamente immerso nell'altro. Dopo, restarono per un po' allacciati, rilassandosi. "Ti è piaciuto?" "Sì, Gil. E a te?" "Molto. E tu mi piaci molto. Sono contento di averti incontrato, che tu sia qui." "Io... quello che ti ho detto prima... vorrei parlarne." "Sì?" "Io forse ti amo, almeno un po'; ma sono ancora innamorato di Diego, onestamente." "E forse lo sarai per sempre, è naturale." "Non ti dispiace?" "Dovrebbe? Lui ormai fa parte di te. Non posso, né voglio, certo sostituirlo." "Si possono amare due persone?" "Sì, certo." "Allora, forse..." "Non ti preoccupare di etichettare tutto. Stai bene con me?" "Sì." "E vuoi restare con me?" "Se mi vuoi, sì." "Tanto basta, allora. Io sarei felice se tu restassi qui con me, se potessi essere il tuo ragazzo e tu il mio."
Tornò l'inverno e si avvicinava il Natale. Massimo avrebbe voluto fare un bel regalo a Gilberto, ma non sapeva come fare. Sapeva bene che cosa gli sarebbe piaciuto regalargli: una bella custodia di cuoio per la sua amata chitarra e un assortimento di spartiti di nuove canzoni. Il problema era come pagare quei regali. Non poteva certo usare i pochi soldi che mettevano in comune. Però... In fondo, si disse, non è un grande sacrificio; e poi lui se lo merita. È vero che è un regalo di Diego, ma in fondo non è che un oggetto: io Diego ce l'ho comunque nel mio cuore. E poi ho anche l'anellino d'argento di Diego. Eh? che ne dici tu Diego? Non credo che ti dispiaccia, no? Lo sai che per me è un sacrificio. Così, l'antivigilia di Natale, andò a vendere la sua bicicletta. Ci fece un po' meno di quello che sperava, ma comunque abbastanza soldi per comprare il regalo per Gilberto. Tornò a casa felice: gli avrebbe fatto una bella sorpresa. Nascose il grosso pacco sopra il guardaroba e si assicurò che non fosse visibile, quindi aspettò la notte della vigilia, il momento dei regali. Raccogliendo rami di abete scartati dai rivenditori, erano riusciti persino a farsi una specie di albero di Natale. Poi l'avevano decorato con pezzetti di carta policroma ritagliati: era venuto bene. Massimo avrebbe anche voluto avere un presepio, soprattutto con i tre re magi: perché ora capiva che quei tre, in fondo, l'avevano proprio aiutato a superare la sua disperazione e a trovare Gilberto. Ma si accontentò di mettere sotto l'albero la scatoletta d'oro aperta, con dentro il conetto di incenso e i grani di mirra: erano Rasim, Rocco, Roger. Già, non ci aveva mai pensato prima, ma il nome di tutti e tre iniziava con una R, come Re. E finalmente venne la notte della vigilia. Quella notte Gilberto aveva detto che non sarebbe uscito a suonare la sua chitarra, perché voleva passarla tutta con Massimo. Cenarono. Non era una cena diversa dalle altre: povera e frugale come sempre, ma Gilberto da qualche parte era riuscito a trovare una candela che accesero in mezzo al tavolo. Dopo cena, Gilberto a un certo punto disse: "Max, ho una sorpresa per te." "Una sorpresa? E cosa?" "Il regalo di Natale." "Ah sì? E dov'è?" "Sotto al letto. Non sapevo dove nasconderlo in modo che tu non lo trovassi prima. Cercalo, dai!" "Ah, bene. E allora tu cerca il regalo di Natale che ti ho fatto io." "Anche tu? E dove l'hai nascosto, tu?" "Sopra il guardaroba." rispose allegro Massimo. I due giovani si alzarono da tavola: Massimo si chinò sotto il letto e Gilberto salì su una sedia; dopo poco tutti e due avevano trovato il pacco. "È grosso, il mio!" esclamò Gilberto appoggiandolo sul tavolo. Poiché la custodia era in una scatola, non poteva ancora capire di che si trattasse. "Anche il mio!" esclamò Massimo mettendo il suo pacco su una sedia. "Indovina cos'è?" disse Gilberto con un sorriso da ragazzino. "E tu indovina il tuo." rispose Massimo bloccando l'amico che aveva iniziato a scartare il proprio regalo. Cominciarono a farsi domande a vicenda, ridendo per le risposte strampalate che l'altro forniva. Il primo a capire che fosse il regalo per lui fu Massimo e, quando lo capì, restò a bocca aperta e per un po' non disse nulla. "Cos'è? Non sei contento Max? Sapendo quanto ci tieni alla tua bici, mi era sembrato il regalo giusto. Oltretutto, col cestino davanti e le borse dietro, quando andiamo in gita, possiamo portarci comodamente più cose. Apri, dai. Le ho prese tutte verdi come la tua bici." "Gil! è un pensiero davvero bello, sei un tesoro." disse Massimo chiedendosi come fare a dirgli che lui non aveva più la bicicletta. "Non sembri contento, però." "No, al contrario, sono commosso. Ma ti saranno costate parecchio: come hai fatto a comprarle?" "Beh, te lo spiego dopo. Ma io devo ancora indovinare il mio di regalo." Lo indovinò quasi subito e, quando Massimo gli disse che era giusto, scoppiò a ridere. "Beh? Ti fa ridere il mio regalo?" "No, è che... è che... beh, adesso non ci rimanere male, ma... ecco... io ho venduto la mia chitarra per comprarti il regalo." "Eh? Che? Oh dio! Anche tu!" "Come anch'io? Vorrai mica dire che... Vuoi dire che tu ti sei venduto... Nooo! Ma perché? Era la cosa più cara che avevi. Perché hai fatto una cosa del genere? Non dovevi." "E tu allora? Anche tu ci tenevi tanto. Oh Gil! E che facciamo ora? Tu hai la custodia e gli spartiti e non hai più la chitarra e io ho le borse e il cesto ma non ho più la bici." "Ma perché hai venduto la bici?" "Perché ho pensato che tu sei molto più importante della mia bici. Perché ti amo, Gil." "Anche io ti amo, Max. Ti amo più che mai. La custodia che m'hai regalato vale molto più della chitarra che avevo, perché è il segno del tuo amore. Ti amo, Max, come non ho mai amato nessuno!" "Io... io ti amo moltissimo. Non posso dire più di quello che ho amato Diego, ma non meno, questo è certo. E credo di essere pronto ormai per unirmi completamente a te" Gilberto capì subito che cosa Massimo volesse dire con quelle parole, poiché ricordava quello che l'amico gli aveva detto quando gli raccontava della sua relazione con Diego. E questo, unito al grande sacrificio che l'altro aveva fatto per fargli il regalo, lo commossero profondamente. "Max, oh Max!" mormorò allargando le braccia in un gesto di invito. Questi ci si rifugiò e si strinsero in un abbraccio, baciandosi appassionatamente. Si carezzarono a lungo, spogliandosi l'un l'altro senza fretta, gustando ognuno la crescente eccitazione dell'altro come un dono prezioso. E quando finalmente si furono liberati di tutti i vestiti, si stesero sul loro letto che li aveva visti fare l'amore tante volte, ma su cui quella notte avrebbero finalmente celebrato l'inizio di un'unione più intima, più totale che mai. Non avevano fretta, ma procedevano calmi e sicuri verso quel magico momento. Quando sentì che stava per avvenire, Gilberto chiese con estrema dolcezza: "Sei sicuro, Max?" "Certo, lo voglio con tutto me stesso." "Per me va bene anche se..." "Sssst! Gil, ho sete di te." "E io di te, Max, amato mio!" Non avevano mai bevuto l'uno il seme dell'altro, proprio perché Massimo aveva spiegato all'amico il significato speciale che aveva avuto quell'atto nella sua relazione con Diego. E Gilberto aveva sempre rispettato l'amore di Massimo per Diego. E Gilberto capiva che ora, con questo gesto, Massimo lo metteva davvero allo stesso livello del suo grande amore. Si unirono con dedizione, ognuno teso a dare all'altro il massimo del piacere, ognuno pregustando il sapore dell'altro che presto avrebbe finalmente conosciuto. Le loro eccitazioni si stavano rafforzando a vicenda in un crescendo di deliziose sensazioni, in una generosa gara a dare all'altro il meglio di se stesso. E finalmente si ubriacarono l'uno dell'altro, sentendosi felici come mai erano stati, grati all'altro del dono che gli stava facendo. Infine si abbracciarono e giacquero sentendosi davvero inebriati. "Grazie, Max, amore." "Grazie a te, Gil." "Sei delizioso, sai?" "Anche tu, amore mio." "Io ho ancora voglia di fare l'amore, però." "Anche io. Abbiamo tutta la notte per noi." rispose Massimo e ripresero a fare dolcemente l'amore con immutato trasporto. Quando finalmente si abbandonarono al sonno, senza saperlo stavano pensando tutti e due più o meno alla stessa cosa: io sono la persona più ricca del mondo e la mia ricchezza è il suo amore.
Ma finalmente sembrò che le cose si mettessero lievemente al meglio: Marco, il proprietario del bagno pubblico, offrì a Gilberto un lavoro part time, in nero, per pulire i locali la mattina prima dell'apertura. Non è che pagasse molto, ma i due ragazzi poterono tirare il fiato. Massimo, in quei mesi, aveva anche tentato, dopo parecchie esitazioni a ripresentarsi al suo vecchio posto di lavoro, ma l'accoglienza fu piuttosto fredda: non gli perdonavano di essere scomparso senza dire nulla. E comunque il suo posto era stato preso da un altro, quindi non c'era un lavoro per lui. Massimo fece qualche lavoretto estemporaneo, come consegnare le guide del telefono o mettere volantini pubblicitari nelle buche delle lettere. Insomma, fra tutti e due, riuscivano, se pure con molta attenzione e diversi sacrifici, a sbarcare il lunario. Massimo era diventato bravissimo a rammendare i panni che portavano, visto che comunque era fuori discussione comprarne dei nuovi. Un mese in cui i soldi erano meno del solito, Gilberto si risolse a vendere anche il suo stereo e la stufa. Eppure i due giovani erano sereni, e traevano forza proprio dal reciproco amore. A volte Massimo aveva provato a paragonare il suo amore per Diego con quello per Gilberto. Onestamente non riusciva a decidere quale fosse più grande. Semplicemente erano i suoi due grandi amori. Erano diversi, eppure da ognuno aveva tutto ciò di cui poteva aver bisogno, anzi di più. Diego e Gilberto erano molto diversi fisicamente e piuttosto diversi pure come carattere. Anche il loro modo di fare l'amore era diverso. Ma non avrebbe saputo o potuto scegliere fra i due. Gilberto non aveva sostituito Diego, né aveva mai provato a farlo e di questo Massimo gli era grato. Semplicemente Gilberto accettava che nel cuore di Massimo il suo posto fosse accanto al ricordo di Diego, e non ne era geloso. Non solo perché Diego era morto: sapeva bene come per Massimo fosse ancora presente in lui. Ma Gilberto amava Massimo così come era, quindi anche col suo amore immutato per Diego. Un giorno, mentre parlavano di Diego, Gilberto esclamò: "Mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Credo che mi sarei innamorato di lui, anzi, attraverso le tue parole mi pare di conoscerlo e di esserne innamorato." Massimo lo guardò con un'espressione felice e gli disse sottovoce: "Credo che anche lui si sarebbe innamorato di te se ti avesse conosciuto. Credo che sareste stati una bella coppia." "E non credi che avremmo anche potuto amarci in tre?" "No, perché tutti e tre siamo dei tipi estremamente fedeli, quindi i due che avessero iniziato ad amarsi, non avrebbero mai accettato un terzo con loro. Non ci avrebbero neppure pensato. Non credi?" "Già, credo che tu abbia ragione Max. Ma comunque, adesso lui è con noi, no?" "Sì, e se esiste una vita oltre la vita, credo che adesso lui ti stia amando per l'amore che mi dai e che ci stia proteggendo."
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