ORO, INCENSO E MIRRA | CAPITOLO 4 - ... INCENSO... |
Rocco aveva ventinove anni e faceva il poliziotto da dieci. Spesso s'era chiesto perché avesse deciso di fare quel mestiere. Molti ragazzi del sud facevano quella scelta, specialmente al suo paese. Guardie o ladri, come da piccoli. Un eterno gioco che continua per tutta la vita. Lui aveva scelto la parte delle guardie. Non perché lui fosse migliore di quelli che avevano scelto la parte opposta. E poi era un gran brutto lavoro, quello del poliziotto; ma lui non ne sapeva fare un altro.
Mentre stava seduto al bar e sorseggiava la sua birra, pensava che era strano: per la prima volta gli pesava la sola idea di tornare a casa da solo, in quella casa vuota, e inconsciamente tirava a far tardi. Pensò che poteva andarsi a cercare una marchetta da portarsi a casa per quella notte. Anche gratis se avesse incontrato uno dei ragazzi che sapevano che lui era un poliziotto. In quell'anno e mezzo gli era capitato diverse volte. Specialmente quel bel ragazzo brasiliano: gli era piaciuto molto, con i suoi occhi da cerbiatto e il suo modo appassionato di fare l'amore. Ed era anche ben dotato, come piacevano a lui. Non ne ricordava il nome ma lo avrebbe riconosciuto e sapeva dove batteva. Solo a pensarlo si era eccitato. Decise di andare a cercarlo. Guidò fino al parco e percorse lentamente su e giù il viale. Riconobbe due o tre ragazzi, ma del brasiliano neppure l'ombra. Uno dei ragazzi gli fece un cenno. Fermò. "Ciao Rocco," disse il ragazzo chinandosi al finestrino, "... fammi entrare che fuori fa freddo." Rocco aprì la portiera e il ragazzo sedette accanto a lui: "Non passa nessuno, con questo freddo." si lamentò il ragazzo, poi aggiunse: "Ti va di portarmi da te, stanotte?" "Cercavo il brasiliano." "Chi, Giuma? Non l'ho ancora visto. Vai spesso con Giuma, tu. Ti piace?" "Sì, certo, mi piace." "Anche a lui piaci, viene sempre volentieri con te. Dice che sei uno stallone, tu. Perché non lo fai con me, una volta. Gratis, si capisce." "Sei simpatico ma non sei il mio tipo. Lo sai che a me piace chi lo prende e lo mette, no? Tu sei solo passivo, invece, no?" rispose Rocco divertito, poi guardò l'orologio: "Sono già le 23,47. Strano che Giuma non si sia visto. Sei sicuro che non è venuto?" "Forse non l'ho visto io. Puoi fare un giro che forse lo trovi. Ma mi lasci stare ancora un po' in macchina così mi scaldo un po'?" "Sì, certo." rispose Rocco mettendo la prima. "Certo che un poliziotto gay! Pensa se ti mettessero nella Buoncostume. Almeno noi marchette potremmo stare tranquilli." disse il ragazzo ridacchiando. "Mica tanto. Quando si esce in pattuglia non potrei fare niente per voi, dovrei applicare la legge anche se non mi piace. Per questo non andrei mai nella Buoncostume." "Preferisci la Criminale?" "Sì, certo." "Ma è molto più pericolosa." "Pazienza. Qualcuno deve farlo. E almeno io non lascerei una vedova o degli orfani." disse il poliziotto ridacchiando. "Un bell'uomo come te, è strano che non hai un ragazzo fisso. E poi dicono che fai l'amore da dio." "Quando trovo la persona giusta..." "Ti piacerebbe metterti con Giuma?" "Se smettesse di fare marchette, forse." "Se glielo chiedi tu, scommetto che smette." "Guadagna più lui di me. Che cosa potrei offrirgli, io?" "I soldi mica sono tutto nella vita, no? E poi tu puoi aiutarlo a avere il permesso di soggiorno, e un lavoro, con tutti gli amici che hai in questura." "Non lo conosco ancora tanto da... non abbastanza. Beh, pare che non ci sia, torno a casa." "Proprio non ti va di portarmi a casa con te?" insistette il ragazzo poggiandogli una mano fra le gambe e palpandolo provocatorio. "No, senza offesa. Lascia perdere." rispose Rocco togliendogli la mano con un sorriso. "Peccato. Beh, allora quando lo vedo dico a Giuma che sei passato a cercarlo." "Come vuoi. Ciao." disse Rocco e prese la strada verso casa guidando ancora lentamente nella speranza di vedere arrivare il ragazzo brasiliano. Ne aveva davvero voglia. Quando uscì dal parco invece di accelerare continuò a guidare lentamente verso casa propria ripensando al giovane brasiliano. Sì, forse gli sarebbe piaciuto averlo come ragazzo fisso. Ma questo avrebbe significato rinunciare psicologicamente a Luigi e lui non si sentiva ancora pronto. Sperava ancora che tornasse. Luigi, di tanti con cui aveva fatto l'amore, era stato senz'altro il migliore. L'aveva conosciuto in servizio: lui occupava la facoltà. Quando l'aveva rincorso su per le scale dell'Università Luigi s'era nascosto in uno sgabuzzino. L'aveva trovato. Avevano lottato, lui per arrestarlo, l'altro per sfuggirgli. L'aveva immobilizzato sul pavimento, gli stava sopra... ed avevano finito con l'accorgersi che erano tutti e due eccitati... lui allora l'aveva baciato... Luigi aveva risposto al bacio con fuoco... e avevano fatto l'amore. Da incoscienti, specialmente lui. Ma così era iniziata la loro storia: una storia favolosa, per quattro anni, tanto era durata.
Finalmente Massimo parlò, con tono arrabbiato: "Perché?" chiese. "Dovrei chiedertelo io il perché. Quanti anni hai?" "Che te ne frega?" rispose duro Massimo. Rocco ebbe un sorriso fugace: gli piaceva quel ragazzo duro, deciso; gli piaceva anche fisicamente. Lasciando in parte la presa, infilò una mano in tasca e tirò fuori il tesserino della polizia: "Ecco che me ne frega. Lo sai che il suicidio è un reato? Mostrami i documenti, ora." Massimo, seccato, tirò fuori la carta d'identità e la porse a Rocco mentre si rialzavano. Rocco la guardò e la intascò: "Bene, Massimo Sellari, adesso ti offro due scelte: o ti porto in Questura e ti affido a loro, o vieni a casa da me e parliamo un po' assieme. Che preferisci?" Massimo lo guardava accigliato, seccato; chiese: "Lei cosa preferisce?" "Portarti da me, è chiaro." "Chiaro? Perché chiaro?" "Se no decidevo io, non ti facevo scegliere." "Perché non mi lascia semplicemente in pace?" "Perché non posso lasciarti buttar via la vita così." "Ma che cavolo, uno non è neanche libero di fare quello che vuole?" "Nell'ambito delle leggi, sì." rispose quasi automaticamente Rocco e la sua risposta gli sembrò quasi stupida, comunque inadeguata. "Perché non mi porta semplicemente in Questura, allora?" "Ti va di essere chiuso in cella, di dover parlare con uno, o due o tre psichiatri, di dover rendere conto a chissà chi e chissà quante volte del perché e del percome del tuo gesto? Non è più semplice farlo con me, davanti a un buon bicchiere di birra?" chiese Rocco guardandolo con un mezzo sorriso. Massimo riflettuto un attimo disse: "Va bene, vengo con lei, allora." Rocco annuì soddisfatto fece bloccare a Massimo la bici a una palina, lo fece salire in auto e lo portò a casa sua. Lungo la strada Massimo gli chiese: "Dopo mi riporta a prendere la mia bici, no?" "Certo." Arrivati nell'appartamento del poliziotto, Rocco lo fece sedere su una poltrona, gli mise in mano un bicchiere di birra, gli sedette di fronte e disse: "Bene, dimmi perché hai deciso di ammazzarti, adesso." "Perché la vita è uno schifo, ormai." "Non è una risposta. Dimmi cosa ti è successo." Massimo iniziò a raccontare la sua storia, scendendo sempre più nei particolari e nei dettagli man mano che Rocco faceva domande o voleva chiarimenti. All'inizio ebbe un po' di titubanza a dire di essere gay, ma poi rifletté che in fondo non gliene importava niente del giudizio dell'altro, tanto era uno sconosciuto e comunque, appena l'altro l'avesse lasciato andare, si sarebbe ucciso. Rocco lo ascoltava attento; alla fine disse: "Capisco la tua disperazione di questo momento. Ma è solo un momento. Tutto passa, se solo hai la pazienza di aspettare, Ma dimmi una cosa, se fossi morto tu invece di lui, saresti contento che lui si uccidesse?" "Se io fossi morto, non potrei essere né contento né scontento, no? Sarei morto, non ci sarei più." "No, sbagliato: ci sarebbe la tua anima vicino a lui. E la tua anima vedrebbe, anche se non può intervenire. Sarebbe contenta la tua anima a vederlo morire?" "La mia anima? Lei ci crede all'anima?" "Sì, certo e credo anche che la sua anima sia qui e ti veda e ti segua e continui ad amarti. Il suo corpo ti desiderava, ma ad amarti era la sua anima." "Sì, ma l'anima, se c'è, muore col corpo." "Palle! Se è anima, è spirituale e non può morire col corpo. L'anima ci sopravvive. Allora, saresti contento di vederlo ammazzarsi?" Massimo era pensieroso ma non rispose e Rocco non insisté. Dopo un po' disse: "Bene, è tardi, ormai. Andiamo a dormire. Riprenderemo il discorso domani." "Adesso che ho spiegato i miei motivi, perché non mi lascia andare?" chiese Massimo con voce stanca. "No, non ancora. M'hai detto che il ragazzino arabo t'aveva chiesto quarantotto ore della tua vita. Bene, ne voglio quarantotto anche io, ora." Massimo lo guardò un po' sorpreso: "Ma a che serve? Solo a ritardare la mia decisione." "Può servire solo a quello, può darsi. Ma la speranza è l'ultima a morire, no?" rispose Rocco mentre s'alzava. Aprì un divano letto: "Ho solo questo per dormire, ma è a due piazze, ci staremo tutti e due senza problemi." "Non ti secca dormire con un frocio?" chiese Massimo passando al tu senza pensarci. "No. Sono frocio anche io." "Tu? Un poliziotto frocio?" "E perché? Anche i poliziotti sono esseri umani." "I tuoi superiori non lo sospettano, penso." "Certo che no." Si spogliarono e si misero a letto. Rocco, nel vedere il corpo seminudo di Massimo si era eccitato. Sentiva il calore del corpo dell'altro accanto a sé e aveva voglia di allungare una mano e di toccarlo, ma si trattenne. Capiva il dolore di Massimo, nel suo racconto aveva sentito quanto era stato intenso l'amore che aveva legato i due giovani e voleva rispettarlo. Ma gli sembrava ingiusto che, per quanto cocente il dolore, Massimo potesse davvero pensare al suicidio. Eppure ci aveva provato per due volte. Come fare a dissuaderlo? Come fare a fargli capire che, nonostante tutto, valeva la pena di vivere? Dal respiro regolare e profondo dell'altro Rocco capì che si era già addormentato. Che strana situazione, pensò, ho un gran bel pezzo di ragazzo, gay dichiarato, nel mio letto e non oso toccarlo anche se lo desidero. È uno sconosciuto eppure lo sento così vicino. Rocco rifletté a lungo prima di addormentarsi. Alla lieve luce della strada che filtrava dalla finestra, intravedeva il volto di Massimo. Era un bel viso, anche se contratto in un'espressione intensa e triste. Quello sconosciuto era entrato nella sua vita, o lui in quella dello sconosciuto, e ora ne avrebbe condiviso alcune ore. Non sapeva se sarebbe riuscito a dissuaderlo dai suoi propositi, ma avrebbe fatto del proprio meglio. Quando Rocco aprì gli occhi vide che Massimo era già sveglio e lo stava guardando. "È molto che ti sei svegliato?" "Pochi minuti." "Perché non m'hai chiamato?" "Aspettavo che ti svegliassi da solo." "Hai dormito bene?" "Bah!" "Hai sognato?" "No." "A che pensavi mentre aspettavi che mi svegliassi?" "Mi chiedevo se mi avevi portato qui per scopare." "Tu che ne dici?" "Non lo so. Stanotte non mi hai neppure toccato." "Ti dispiace?" "No." "Allora sei contento?" "No." "Cioè?" "Non mi importa." "È un invito?" "No. È che davvero non m'importa." "Tu mi piaci molto, ti desidero, certo; ma non è per questo che t'ho portato qui da me: non sapevo neanche che eri gay." "Se mi desideri, perché non ci hai neppure provato?" "Pensavo che avrebbe potuto darti fastidio, nella condizione in cui sei." disse Rocco. "Non m'importa di nulla, te l'ho detto." "Il tuo corpo è molto bello, ma che me ne faccio di un corpo senza anima?" rispose Rocco. "Non hai detto che ogni corpo ha un'anima?" "La tua ora s'è ritirata nel fondo del tuo cuore e non vuole ascoltare parole di speranza." "Speranza? In cosa?" "Non in cosa, ma in chi." "In chi?" "In dio." "Dio? Quale dio?" "Nel dio che ha creato la vita. Se l'ha creata deve avere un senso, qualunque cosa succeda. Anche se noi tante volte non lo capiamo." "Tu credi in dio? quale?" "Non lo so esattamente. Ma è un dio d'amore, questo lo so. E chiunque sia, comunque si chiami, io ho fede in lui e ho speranza. Io non so perché ma è lui che m'ha messo sulla tua strada. Non avrei dovuto essere là a quell'ora, e invece... O forse non è stato dio, ma il tuo ragazzo." "Se dio esiste, ce l'ha con me. Non mi ha lasciato vivere come volevo, non mi lascia morire come voglio." "Forse vuole solo farti riflettere. Ma poi ti lascia libero di fare quello che vuoi. Forse vuole che tu incontri qualcuno che ha bisogno di te, prima di lasciarti morire." "Tu?" "Non necessariamente. Chissà chi, ma forse c'è e ti aspetta." Rocco si alzò, andò al tavolo, estrasse da una scatola un conetto d'incenso che accese e posò su un piattino. Un tenue filo di fumo profumato si librò nell'aria mentre Rocco tornava sul letto accanto a Massimo. "Vedi? È come la nostra vita: si consuma nel fuoco dell'amore e spande profumo, che s'alza verso il cielo, verso dio, simbolo della nostra speranza in lui. Se lo spengo, sembra un pezzo di materia inutile e inerte, non manda profumo. A meno che non lo si accenda di nuovo, con l'amore. Se però lo distruggo, se lo pesto sotto il piede e ne spargo la polvere, è davvero materia inutile, inerte, sprecata." disse Rocco guardandolo negli occhi e gli sfiorò in una pensosa carezza una guancia. "Inerte." fece eco Massimo: sì si sentiva del tutto inerte. Quella lieve carezza non lo infastidiva ma neppure suscitava in lui nulla. Quello sguardo era caldo, ma non riscaldava nulla in lui. In fondo, pensò, lui era già morto. Rocco era un gran bel giovanotto, ne era cosciente, e stava cercando di dargli qualcosa: una speranza. Quell'uomo credeva nella forza della speranza e quando lui si fosse ucciso, avrebbe pensato che era anche colpa sua, perché non aveva saputo suscitare il desiderio di vivere in Massimo, e col desiderio, la speranza, la speranza in una vita che valesse la pena di vivere. "Massimo, lo so che non c'è una risposta al dolore che provi. Ma la vita continua. Vedi, come quel cono di incenso indiano, che spande odore col suo fumo lieve. Vorrei che te lo ricordassi, quando mi lascerai. Perciò, ecco, prendi questo cono d'incenso: sta a te accenderlo o frantumarlo sotto il piede e sprecarlo. È un piccolo regalo da nulla, ma vorrei che tu lo portassi con te. Poi, farai quello che vorrai, d'accordo?" disse Rocco ponendogli un conetto d'incenso sul palmo della mano. Massimo allora prese lo scatolino d'oro, ve lo ripose dentro e lo rimise in tasca, senza dire nulla. Rocco aveva l'impressione di non essere riuscito a scalfire la disperazione del giovane. Passarono la giornata in casa. Rocco cercò di interessare il giovane parlandogli di varie cose: della propria vita, dei propri interessi, delle proprie idee. Il giovane ascoltava, serio, più con cortesia che con reale partecipazione. Ma di tanto in tanto Rocco riusciva a coinvolgerlo nella conversazione per alcuni istanti. Notò però che non riusciva a strappargli neanche un'ombra di sorriso. Cercò allora di farlo parlare ancora della sua relazione con Diego. Massimo rispondeva alle sue domande, ma senza mai lasciarsi andare veramente. Quando parlava del suo amante morto, lo faceva sempre con un accento di disperato dolore, anche quando parlava dei momenti più belli della loro relazione. Eppure, persino in questo disperato dolore, Massimo sembrava conservare una specie di distacco, quasi narrasse fatti di un caro amico più che propri. Dopo cena, e dopo aver parlato ancora a lungo con Massimo, Rocco riaprì il divano letto e i due si stesero per dormire. Rocco lo cinse in un lieve abbraccio e gli disse: "Abbiamo ancora poco più di ventiquattro ore da passare assieme. Ti dispiace essere qui con me?" "No." "Ma non ne sei neppure contento, vero?" "No, neanche." "A che pensi?" "Che voglio morire." "Ti spaventa tanto la vita?" "No, affatto. Non mi interessa più, semplicemente. Che vivo a fare?" "Per realizzarti. Hai ancora mille strade aperte." "Ma per chi? Per cosa?" "Per te stesso e per qualcuno che forse ti sta aspettando..." "L'unico che mi aspetta, se davvero c'è una vita dopo la morte, è Diego." "E che ne sai tu? Magari c'è un altro che ti sta aspettando?" "Chi?" "Non lo so. Qualcuno." "Idee. Non può aspettarmi se non mi conosce. E comunque a me non interessa." "Perché non lo conosci ancora. Magari tutto questo è solo per condurti a lui." "Ma io sono già morto, ormai." "No, tu sei vivo, e sei qui con me." "Solo il mio corpo è vivo, e per sbaglio." "Dopo la notte torna il giorno." "Per gli altri, forse." "Anche per te, dopo il buio torna la luce e la vedrai, se non terrai ostinatamente gli occhi chiusi." "No, non per me." rispose con tono piatto Massimo. Rocco sentiva tutta la disperazione dell'altro e era triste, perché si sentiva impotente ad alleviarla. Istintivamente lo carezzò con tenerezza finché entrambi si addormentarono. Il mattino seguente Rocco si alzò e lasciò dormire Massimo che si svegliò solo poco prima dell'ora di pranzo. Rocco aveva sperato che il lungo sonno avesse avuto il potere di rigenerare almeno in parte il giovane, ma quando guardò gli occhi di Massimo, vi lesse immutata tutta la tristezza e il dolore del giorno prima e provò una fitta al cuore. Lo guardò alzarsi e rivestirsi. Chiuse il divano letto e apparecchiò per il pranzo. Mangiarono in silenzio. Dopo il pranzo Rocco propose a Massimo di uscire e, in macchina, lo portò a fare un giro fuori città fino ai laghi, approfittando della giornata di sole. Massimo lo seguiva, come un automa. Rocco gli raccontò di sé, di Luigi. Poi anche di Giuma. "Vedi, forse dovrei rassegnarmi all'idea di aver perso Luigi e mettermi con Giuma. Ma ancora non gliela faccio. Ancora mi illudo che forse un giorno Luigi ritorni con me." "Tu puoi sperarlo, è vivo, almeno." "Eppure so che è una speranza infondata." "Ma lui è vivo." ribadì Massimo tetro. "E non credi che, in un certo senso, sia peggio? È vivo, mi vuole bene, ma non vuole più condividere la sua vita con me. Io, così come sono, non gli vado bene. Il mio amore non gli basta. Non credi che sia, se non peggio, almeno altrettanto terribile? Diverso, certo, ma terribile?" "Non lo so." "Certo, sei immerso nel tuo dolore, non puoi capire quello degli altri." disse con un velo di rimprovero nella voce Rocco. "E tu? Tu puoi capire il mio? Se tu lo capissi, capiresti anche perché io mi voglio ammazzare, no?" disse con voce stanca Massimo. "Dici?" chiese Rocco inarcando le sopracciglia. "Comunque stai sprecando il tuo tempo." disse dopo un breve silenzio Massimo. "Questo lo dici tu." rispose tranquillo Rocco. Poi aggiunse: "Credo che ti farebbe bene fare per un po' il poliziotto." "E per cosa?" "Forse capiresti il senso della speranza. Proprio vedendo attorno a te tanto male, tanta disperazione, tanta miseria morale e materiale. Se non ci fosse la speranza, dovremmo ammazzarci tutti. O ammazzarli tutti." "Chi?" "Tutti." rispose Rocco. E cominciò a raccontargli episodi del suo lavoro nella criminale e mentre raccontava si chiedeva che senso avesse stare lì a dire quelle cose a qualcuno che voleva soltanto uccidersi. A sera, tornati in città, gli offrì una buona cena in un ristorante tipico. Massimo lo lasciava fare, accettava tutte le decisioni di Rocco. Uscirono dal ristorante che era notte tarda. Allora Massimo guardò l'orologio: "È quasi mezzanotte. Mi riporti alla mia bicicletta?" "Perché non vieni di nuovo a casa mia? Dammi ancora ventiquattro ore, dai! Io ho ancora un giorno di ferie." "No. M'hai promesso di riportarmi là. Io ho mantenuto la mia promessa, ora tu mantieni la tua." "Io vorrei... vorrei fare l'amore con te." "No, davvero, non potrei; riportami alla mia bicicletta, ora." Rocco capì che sarebbe stato inutile insistere. "Bene. A mezzanotte precisa ti riporto là, mantengo la promessa. Ma ancora non è mezzanotte." disse testardo. "Va bene." rispose amorfo Massimo. Rocco guidò. Avrebbe voluto dire mille cose, ma tacque perché tutto gli sembrava inutile, inadeguato. A mezzanotte lo riportò accanto al cavalcavia. "Non seguirmi, per favore. Lasciami andare per la mia strada." disse Massimo scendendo. "Come vuoi tu." Anche Rocco scese dall'auto ma restò accanto alla portiera. Lo guardò accostarsi alla bicicletta, aprirne la catena, inforcarla e allontanarsi. Sperò che Massimo si girasse almeno per un ultimo cenno di saluto, ma lo vide scomparire oltre la curva del corso. Allora, rientrato nell'auto, rimise in moto e si avviò tristemente verso casa...
|