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una storia originale di Andrej Koymasky


LA VITA INIZIA
A VENTICINQUE ANNI
CAPITOLO 2
SOGNI PROIBITI

Jacques guardava nel suo telescopio. La costruzione era arrivata al tetto. Operai vi si affaccendavano giorno dopo giorno. Lui guardava il suo ragazzo, quello che nel suo racconto faceva l'amore con l'arabo e che aveva chiamato Yves. Essendo estate, ora lavorava in calzoncini corti: aveva gambe solide, snelle, belle. E i calzoncini, piuttosto attillati, mettevano in risalto il suo sedere piccolo e tondo e il piacevole rigonfio sotto la patta. Avrebbe voluto averlo lì, per baciarlo, aprirgli i calzoncini e farglieli calare sulle caviglie, inginocchiarglisi davanti, prenderglielo in bocca e farlo godere. A volte il ragazzo si infilava una mano nei calzoni, dal ventre sotto la cintura, e se lo sistemava. E Jacques fremeva di desiderio. Desiderava tanto vederlo nudo. Gli sembrava il maschio più desiderabile che avesse mai visto.

Ecco, doveva descrivere una scena in cui Karim lo prendeva lì, sul tetto, al sole, abbassandogli i calzoncini e aprendosi la patta, sicuri di non essere sorpresi dagli altri perché erano nella pausa di pranzo ed erano tutti giù. Per sicurezza avevano tolto la scaletta di ferro che collegava il tetto al piano inferiore. Karim era sceso dalla gru ed era salito fin lassù proprio per prenderlo, perché ormai aveva capito che anche il ragazzo lo desiderava anche se non si erano mai detti niente. Ma il ragazzo nei giorni precedenti si era palpato più volte, provocatorio, fra le gambe mentre sapeva che Karim lo stava guardando dalla cabina, e allora l'arabo si era carezzato il petto, sfregandosi i piccoli capezzoli scuri e duri e si erano guardati negli occhi.

Quando Yves aveva visto arrivare Karim e questi aveva tolto la scala, gli aveva sorriso. Karim, senza dire nulla, lo aveva preso per un braccio, lo aveva fatto girare di schiena e gli si era addossato sfregandogli con forza il pube col palo duro sul piccolo sedere, a fargli sentire l'intensità del suo desiderio. Frattanto, gli apriva la cintura, i bottoni della patta, e, afferrati calzoncini e mutande con le due mani ai fianchi, glieli abbassava con un un unico gesto secco. Poi si apriva la patta, se lo tirava fuori e mentre Yves spingeva indietro il sedere offrendoglisi, lo prendeva per le anche e lo penetrava con un solo colpo deciso quindi iniziava a cavalcarlo con forza e con passione virile. Yves si godeva quella silenziosa e vigorosa scopata, premendo la schiena contro il petto dell'uomo che con le mani gli titillava il petto e lo masturbava a ritmo dei colpi con cui lo stava prendendo. Yves girava in dietro il capo e Karim lo baciava profondamente in bocca continuando a martellargli dentro con trasporto. Le parole di amore sarebbero arrivate dopo: ora parlavano solo i loro corpi affamati l'uno dell'altro.

Jacques, guardando il giovane muratore lavorare immaginava questa scena ed era eccitatissimo. Pensava che l'avrebbe inserita nel racconto, al posto del passaggio in cui aveva detto, senza scendere in dettagli, che per la prima volta Karim l'aveva preso. Continuando a guardare il bel corpo illuminato dal sole, e fantasticando sulla scena di Karim che per la prima volta fotte il ragazzo, si aprì i calzoni e si masturbò, immaginando di provare le emozioni dei protagonisti della sua storia. E lui si sentiva un po' Karim e un po' Yves e venne, nella sua fantasia, assieme a loro sul tetto assolato.

Non si accorse, Jacques, che sua madre era comparsa in silenzio sul vano della porta, che aveva intuito dai movimenti rapidi ciò che il figlio stava facendo e che s'era allontanata, ancor più silenziosa, per non metterlo in imbarazzo. Povero figlio, mio, pensava la donna piena di compassione, amasse almeno le donne, chissà, forse un giorno potrebbe trovare una brava ragazza disposta a sposarlo e a stargli vicino quando io non ci sarò più. Ma così, che ne sarà di lui quando io sarò morta?

Non era la prima volta che la madre intuiva le pratiche solitarie del figlio. Sapendo che era gay aveva persino pensato più di una volta di andargli a cercare un ragazzo che per soldi salisse dal figlio a dargli un po' di sollievo, ma non aveva mai avuto il coraggio di andarne a cercare uno. Sapeva che c'erano ragazzi che si vendevano per sesso con i maschi, ma si sarebbe vergognata troppo. Si sarebbe anche vergognata a cercargli una puttana, se a lui fossero piaciute le donne. Figurarsi un ragazzo! Avesse almeno avuto un amico, degli amici come lui, potevano pensarci questi. Ma non aveva amici, di nessun genere. Certo, un ragazzo che non può andare a ballare, alla partita, al bar da solo, come faceva a farsi amici? E a chi andava di avere un amico immobilizzato su una sedia a rotelle? La madre di Jacques era profondamente triste per quel suo povero figlio. Ma non sapeva proprio che fare.

Jacques non sospettava neanche che la madre avesse di questi pensieri. Perché tra madre e figlio non si parla di sesso. Tra genitori e figli non si parla di sesso. O, se se ne parla, lo si fa per allusioni, girandoci intorno e senza mai dire niente di reale, di concreto, di vero, di serio. E d'altronde, che poteva dire Jacques alla madre? Che desiderava quel giovane muratore sulle impalcature perché aveva un corpo erotico? Se anche gliel'avesse potuto dire, che cosa gli poteva rispondere la madre se non: povero figlio mio!? e soffrire ancora di più per lui. No, non erano possibili certi discorsi con sua madre.


Durante tutta l'estate Jacques e la madre restarono in città perché non avevano i soldi per fare le ferie, neppure modeste. Jacques continuava il suo lavoro, limava il racconto su Yves, guardava il procedere dei lavori nella casa lontana, dall'altra parte del parco. I muratori avevano finito, e il suo bel muratore, il suo immaginario Yves, non c'era più. Uomini stavano arredando le stanze, altri stavano trasformando il grande terrazzo sul tetto in un giardino. Alberi, cespugli, fiori. La finestra di Jacques era proprio all'altezza del giardino, un piano più alta dell'ultimo piano di stanze della casa. Di fronte alla sua c'era una stanza con tutta una parete a vetri. Pensò che sembrava un acquario. Chissà chi ci sarebbe andato ad abitare? Un pittore, pensò. Stavano portando i mobili: era una camera da letto. Ma anche studio: una scrivania, librerie. Ci avrebbe abitato un ragazzo o una ragazza, forse.

Speriamo che sia un bel ragazzo, pensò fra sé e sé Jacques. Magari invece è un vecchio celibe, si disse poi. Certo non era la camera di una coppia: il letto era a una piazza e mezzo. Mobili di fine ottocento, piuttosto belli, semplici. No, non doveva essere giovane, il suo nuovo dirimpettaio. O dirimpettaia. Una vecchia zitella magari. Di quelle che passano ore a truccarsi nell'illusione di poter mostrare una giovinezza perduta da tempo, di poter restaurare un'avvenenza impietosamente sfiorita. Ma non c'era fra i mobili una toeletta. Poteva vedere chiaramente l'intera stanza, grazie alla vetrata che andava da terra al soffitto e da parete a parete. Montarono le tende: bianchi pannelli scorrevoli, tesi, moderni, di trenta centimetri per tutta l'altezza. Contò che c'erano sedici pannelli, mentre l'operaio ne controllava lo scorrimento. Potevano ruotare di 90 gradi ed essere addossati alle pareti, metà a destra e metà a sinistra. Come li avrebbe tenuti, il nuovo inquilino?

Il letto era addossato alla vetrata, come pure la scrivania. Sulla parete di fondo c'erano tre porte: quella d'ingresso, una doccia ed il wc: lo sapeva perché aveva visto quando vi portavano dentro e vi installavano i sanitari. Fra la porta d'ingresso e quella della doccia, un mobile basso con un televisore. Sopra al televisore ripiani vuoti. Sul lato destro della stanza una grande libreria che prendeva tutta la parete, con uno stereo incorporato. Ancora nulla che facesse capire a Jacques chi potesse essere l'abitante di quella curiosa stanza-acquario.

Finì l'estate. E finalmente vide gente nuova nella casa. La prima volta li vide sul giardino del tetto: erano evidentemente i nuovi inquilini di quella casa di lusso. Li studiò attentamente col suo telescopio. Padre, madre, tre figli. Il più grande doveva avere diciannove-venti anni, ed era bello! Indossava jeans attillati che fasciavano gambe muscolose, una T shirt celeste che mostrava un petto ampio, e un volto sorridente, abbronzato, coronato da capelli dorati come un campo di grano maturo. Jacques trattenne il respiro.

Li vide gironzolare, poi scomparire. Dopo poco erano tutti e cinque nella stanza-acquario. Poi tutti e cinque uscirono. Attese ancora. Dopo circa un'oretta, si aprì la porta della stanza ed entrò lui, il ragazzo di diciannove anni, le braccia cariche di un grosso scatolone. Lo posò davanti al mobile del televisore ed iniziò a estrarne trofei sportivi che sistemò sullo scaffale. Jacques si sentiva esultare. Giovane, bello, sportivo.

Lo vide entrare e uscire più volte dalla stanza, sistemare le sue cose. Poi arrivò una donna di mezza età che non aveva visto prima, si affacciò sulla porta e disse qualcosa al ragazzo. Questi si girò a risponderle. Poi andò via e la stanza restò vuota.

La madre lo chiamò per la cena. Jacques si staccò malvolentieri dal suo telescopio, dalla sua finestra e, spingendo le ruote della propria carrozzella, andò in cucina. La madre servì a tavola e cominciò a parlargli del mal di fegato del professore del secondo piano, del cane di quello dell'ultimo che aveva partorito, della figlia del barista che fumava spinelli e il padre l'aveva riempita di botte. Jacques annuiva, diceva qualche parola ogni tanto, ma la sua testa era là, che pensava al ragazzo che gli avrebbe tenuto compagnia d'ora in poi.

"Jacques, ma mi stai a sentire?"

"Certo mamma, mi stavi dicendo che Babette s'è innamorata di un uomo sposato, no?"

"Sì, appunto. E pensa che lui ha due figli. Logicamente mia sorella è contrariata e vorrebbe che lo lasciasse, ma sai com'è tua cugina quando s'intesta. Già da piccola, d'altronde. Allora..."

Jacques pensava che non gli importava niente dei pruriti e degli amori della cugina Babette. Quella, purché vedesse un paio di pantaloni, perdeva la testa... D'altronde, anche lui non era da meno, pensò divertito con autoironia. Proprio poco prima aveva visto un paio di pantaloni e non faceva che pensare ad altro, cioè al loro contenuto. Ma almeno sua cugina poteva anche avere la possibilità di aprire i calzoni che la attraevano per goderne a pieno il contenuto. Non lui...

Finita la cena, tornò subito al suo posto di osservazione. Ormai stava iniziando a fare buio. La stanza sembrava ancora deserta. Forse lui era ancora a cena. Ma prima o poi sarebbe risalito e, soprattutto, sarebbe andato a letto e allora lo avrebbe visto almeno in mutande. Ma sapeva già che era bello. A poco a poco la casa stava diventando una silhouette indistinta. Anche la vetrata non si vedeva più. Ma sarebbe tornato, avrebbe acceso la luce; purché non avesse tirato la tenda. Magari poco prima di spogliarsi, magari proprio la metà davanti al letto...

Non poteva che aspettare e sperare nella sua buona stella. Guardò l'orologio, le 21,38. Magari stava a guardare la TV con la famiglia. Ma Jacques aveva pazienza: quella era davvero una virtù che non gli faceva difetto.

"Non accendi la luce?" chiese la madre dalla cucina.

"Non ancora. Si sta bene così." disse di rimando Jacques.

"Non fa troppo caldo, stasera, vero?"

"No, si sta bene. Che fai stasera, lavori?"

"Sì. Mireille m'aveva invitato per giocare a carte, ma..."

"E perché non ci vai? Sai che la fai contenta e tu ci stai bene assieme. Vacci, no?"

"Non ti dispiace?"

"Ma no, mamma, quante volte te lo devo dire?"

"Mah, allora quasi quasi vado. Non farò tardi."

"Fai tardi quanto vuoi, mamma. Io tanto a una certa ora mi metto a letto."

"Da solo?"

"Ma sì, lo sai che ci riesco, no? Fammi il santo favore di non preoccuparti più del necessario. Vai e stacci finché ne hai voglia."

"Va bene. Ciao, allora. Se hai bisogno di qualcosa, hai il numero di Mireille, no?"

"Certo mamma. Ciao. Divertiti."

Finalmente solo. Non che cambiasse molto, ma si sentiva bene, qualche volta, a starsene solo. Specialmente stasera.

E finalmente la luce si accese. Di notte, quel rettangolo di luce nel buio, pareva ancor più un acquario, pensò. Si mise al telescopio. Certo, era lui. S'era seduto alla scrivania e pareva che stesse riordinando alcune carte.

Girò le manovelle spostando le lenti, rimise a fuoco e ottenne un bel primo piano del busto del ragazzo: dio quant'era bello! Non riusciva a distinguerne il colore degli occhi, ma il naso dritto e fine, le labbra morbide e con gli angoli appena girati in su, il volto regolare, il casco di capelli soffici, le belle sopracciglia dritte, ben disegnate, tutto era perfetto.

"Ti bacerei..." mormorò Jacques emozionato, ammirandolo.

Si distrasse un attimo per accendersi una sigaretta. Quando si rimise all'oculare, lui non era più seduto alla scrivania. Allargò di nuovo il campo e rimise a fuoco: non era neppure più nella stanza. Ma la luce era accesa, perciò sarebbe tornato presto. Di lì a poco, infatti, emerse dal gabinetto. Aveva i calzoni slacciati. Si avvicinò al letto e inziò a spogliarsi. Jacques lo osservò trattenendo il fiato pregustando la visione che stava per avere.

Il ragazzo si chinò forse per sfilarsi le scarpe, quindi si calò i jeans, che si tolse e ripiegò mettendoli sulla spalliera della sedia. Incrociò le braccia, si prese la T shirt ai fianchi e se la sfilò da sopra la testa. Jacques emise un sospiro: dio che torso perfetto. Poi il ragazzo si calò le mutande e Jacques emise un singhiozzo: anche lì era perfetto! E ora era nudo, completamente nudo, e si offriva ignaro al suo sguardo. D'altronde, per il ragazzo, là di fronte c'era solo il parco buio, e lui era sopra la chioma degli alberi, le case di là dal parco lontane e non poteva immaginare che un telescopio modificato fosse puntato proprio sulla sua splendida nudità. Jacques tratteneva il respiro.

Il ragazzo si girò: anche di spalle era bellissimo. Entrò nella doccia e scomparve dalla sua vista. Jacques modificò rapidamente l'assetto delle lenti e rimise a fuoco sulla porta della doccia in modo di avere una visione più ravvicinata del corpo del ragazzo quando questi fosse uscito. Attese una ventina di minuti. La porta si riaprì e lui uscì nella stanza sfregandosi vigorosamente il corpo con un piccolo asciugamano arancione, a lungo, fermo davanti alla porta aperta della doccia. Jacques lo ammirò a proprio agio, eccitato. Soprattutto il membro morbido e dolce, aureolato da un folto ciuffo di pelo biondo che formava come un pentagono largo e basso, e il sacco dei testicoli che s'intravedeva pieno e sodo dietro l'asta a riposo eppure di buone dimensioni.

L'unico membro che aveva potuto ammirare, e anche avere, fino ad allora, a parte quelli da ragazzino che quasi non ricordava e quelli delle fotografie, era quello di quel ragazzo che aveva risposto alla sua inserzione qualche anno prima, ma questo di questo ragazzo, gli sembrava bellissimo. Chissà come sarebbe stato, eretto? Chissà quante ragazzine avevano avuto il privilegio di poterlo assaggiare in un modo o nell'altro? Un fusto come quello doveva averle tutte ai suoi piedi, pronte a soddisfare qualsiasi suo desiderio.

Il ragazzo si girò e lanciò l'asciugamano nella doccia, ne chiuse la porta con un piede, quindi andò verso il letto. Questi due semplicissimi gesti, pensò emozionato Jacques, avevano tutta la grazia di una lieve trascuratezza virile. Lui tolse il lenzuolo che ripiegò in fondo al letto e si stese, senza mettersi un pigiama, senza coprirsi col lenzuolo e senza tirare la tenda. Solo ora Jacques si rese conto di una cosa: l'abbronzatura del corpo del ragazzo era integrale, non c'era la minima traccia del biancore dovuto agli slip da bagno. Quel ragazzo quindi, per la gioia di Jacques, doveva amare la nudità. Lo ammirò ancora un poco, finché lo vide stendere un braccio verso il muro e la luce si spense.

Jacques emise un lungo sospiro.

Quindi andò alla scrivania, accese la lampada, avviò il computer e iniziò un nuovo file: "Il-mio-ragazzo-01" e si mise a scrivere veloce, prima che le emozioni si attenuassero e si confondessero in lui.

"Chiunque, quando deve descrivere il proprio ragazzo, dice che è bellissimo: gli occhi dell'amore, o del desiderio, trasfigurano infatti la realtà. Ma lui è davvero quanto di più bello io abbia mai visto. È alto un metro e ottanta circa, pratica molto sport, ne fan fede i suoi trofei e coppe, ma soprattutto la sua muscolatura armoniosa e forte, non da body builder, ma da vero sportsman. I suoi capelli, come i ciuffetti sotto le ascelle e l'aureola sul suo pube, sono del caldo biondo che l'estate ci regala nei campi di grano maturo. Soffici, sericei, per la gioia di polpastrelli sognanti.

Lui, nudo, è splendido. Non so se ne sia cosciente, non pare un narciso ma deve comunque amare la sua nudità, perché completamente nudo si espone al sole e totalmente nudo ama dormire. Forse ama la libertà di cui la nudità è simbolo. Dico forse perché lui non sa neppure che io esista. Eppure, dalla prima volta che ho visto il suo sorriso, una mattina in giardino, mentre parlava con altri, l'ho amato ed è perciò il mio ragazzo.

Certo, non posso continuare a chiamarlo lui, perciò gli darò un nome. Lo chiamerò Paul. Perché Paul vuol dire piccolo e lui, anche se non lo sa, è il mio piccolo. Che vorrei stringere fra le mie braccia, cullare, a cui vorrei dare tutto il mio amore accumulato in anni di attesa.

Attesa di lui, di Paul. I miei occhi, colmi di meraviglia, hanno ammirato le sue forme, e anche il mio cuore, come in un'eco, si è riempito di meraviglia. Che potesse davvero esistere al mondo una tale perfezione. E che si fosse rivelata proprio a me. Vorrei essere un poeta, per saper cantare appropriatamente la sua bellezza. Bellezza che trascende quella fisica. Ma sono solo un povero scribacchino e non so trovare le parole per comunicare ciò che la sua visione ha significato per me.

Lo desidero, e forse il desiderio è reso più acuto dal fatto che lui non sa né saprà mai di essere desiderato. Non da me, comunque. Ora dorme, steso senza veli sul suo letto ampio, il corpo offerto alla notte come su un altare. Invidio la notte che lo può abbracciare, invidio il sole che lo può carezzare. Vorrei essere notte, vorrei essere sole. Ma forse è bene che io non sia né l'una né l'altro o l'umanità, per colpa del mio amore, si troverebbe immersa in una notte eterna o in un giorno senza fine, perché non vorrei lasciare il mio amato neppure per un istante. Invece sono solo un uomo, e devo accontentarmi di rimanere solo col mio povero amore che non potrà mai esprimersi, rivelarsi. E lui può dormire tranquillo, vivere sereno.

Paul mio Paul, che cosa starai sognando, ora? Vorrei sapere tutto di te. Così come ho scrutato attentamente le luminose forme della tua nudità preziosa, vorrei scrutare dentro alla tua anima che non può che essere altrettanto bella. Così come i tuoi muscoli giovani, freschi, vigorosi, hanno incantato il mio sguardo, vorrei capire che cosa sta incantando la mia anima. Sei uomo o angelo? Realtà o visione? O forse l'uno e l'altro a un tempo? Le carezze dolci e intime che le mie mani non ti potranno mai dare, te le danno la mia fantasia..."

Jacques scriveva veloce e sicuro. Passava a descrivere il corpo che aveva tanto ammirato, con accenti di verismo e di lirismo a un tempo in un testo pieno di erotica bellezza. Scrisse pagine su pagine, inarrestabile. Finché sentì che gli stava per scoppiare il cuore per l'emozione troppo intensa. Registrò il testo, spense il computer e andò a letto. Siamo stesi entrambi, i nostri corpi paralleli, sul letto: solo un enorme, buio parco, ci divide... pensò Jacques con dolce nostalgia per quelle forme che aveva spiato, ammirato fino a poco prima.

Sentì la madre rientrare, molto tardi. La donna lo chiamò sottovoce ma lui finse di dormire e non rispose. La sentì andare a dormire. Ma la sua mente era là, nell'acquario, adagiata accanto a quel corpo che adorava.

Si addormentò molte ore dopo, quando già il cielo stava schiarendo. Si svegliò che era ora di pranzo, chiamato dalla madre. Si alzò, andò in bagno a lavarsi. Guardando il proprio corpo reso molle da anni di scarsa attività fisica, si disse che era una fortuna che quel ragazzo non sapesse neppure della sua esistenza. Quel suo povero corpo troppo bianco: si sarebbe vergognato terribilmente di farlo vedere a lui, per timore di leggere nei suoi occhi, se non disprezzo, pietà. Ma, pensò, non correva certo quel pericolo. Prima dell'incidente stava crescendo bene, sarebbe potuto diventare un bel ragazzo, e invece... Ma in fondo, che importanza aveva? Anche fosse stato un adone, in quelle condizioni, sarebbe stata una bellezza sprecata.

La vita di Jacques aveva avuto una svolta, quel giorno. La madre non se ne era neppure resa conto. Continuava a parlare al figlio del prezzo delle carote, del cancro del verduriere, del servizio di nettezza urbana che lasciava a desiderare e frattanto confezionava collane di vetro e metallo placcato, fiori di plastica o scatole di pennarelli per la ditta per cui lavorava da anni. L'uomo che veniva a prendere e portare gli scatoloni si fermava quasi sempre a bere un caffè e a parlare con la madre per un'oretta. Allora i due parlavano di politica, dei programmi alla TV o dell'ultima vincita favolosa di uno sconosciuto alla lotteria. Tutto sembrava continuare esattamente come prima, ma per Jacques più nulla era come prima.

Era riuscito, un giorno, a convincere la madre a spingere la sua carrozzella fin dall'altra parte del parco, traversandolo tutto. Mentre si avvicinava aveva avuto conferma di ciò che pensava: dal parco le finestre della casa erano assolutamente invisibili, anche l'acquario. Perciò il suo "Paul" non si preoccupava di tirare le tende, per sua fortuna. E infine aveva visto la facciata della casa di "Paul" con la grande palestra a pianterreno "American Fitness One". Forse proprio lì si allenava "Paul"? Aveva sperato di vederlo, ma non aveva avuto quella fortuna. E al tempo stesso era stato contento: non voleva che il ragazzo potesse vedere quel povero invalido in una carrozzella spinta dalla madre un po' sciatta e chiacchierona.

La costruzione era molto bella, moderna, elegante. La famiglia di Paul doveva essere ricca. Aveva avuto la tentazione di chiedere alla madre di guardare che nome ci fosse alla porta di quella palazzina, ma poi non ne fece nulla: preferiva che il suo ragazzo rimanesse Paul e niente altro. Come nelle favole: Hansel e Gretel non hanno mai avuto un cognome, no?

"Torniamo a casa, mamma?"

"Come vuoi. Abbiamo fatto davvero un bel giro, oggi, eh? Dovremmo farne più spesso." disse soddisfatta la donna riprendendo a sospingere la carrozzella per la via del ritorno e cicalando allegra col figlio che l'ascoltava solo con un orecchio.


Jacques continuava, giorno dopo giorno, a guardare il suo Paul nel telescopio. La mattina quando lo vedeva alzarsi, la sera quando lo vedeva andare a letto dopo l'immancabile doccia, poteva anche gustarne la allettante nudità a proprio agio. E continuava a scrivere al computer i suoi pensieri, le sue sensazioni, le sue fantasie, il suo segreto amore per quello splendido ragazzo.

Una sera, vide Paul sedere nudo sul letto, girato verso la vetrata, con un album, che sfogliava lentamente, appoggiato sul materasso. Vide sorgere fra le sue gambe un'erezione bellissima: il membro del ragazzo s'ergeva retto, quasi parallelo al ventre. Osservò con emozione il ragazzo carezzarsi il corpo, poi scendere a prendere nella mano la propria asta e iniziare a masturbarsi lentamente mentre continuava a sfogliare l'album. Jacques allora lo imitò, sognando a occhi aperti di avere nella propria mano il membro dell'altro e che fosse l'altro a masturbare lui. Lo vide rovesciarsi sul letto, vide il bel corpo tendersi, e infine vide chiaramente gli schizzi di bianco liquore volteggiare alti e poi ricadere e spargersi sul petto e sul ventre del ragazzo mentre il suo corpo si inarcava negli spasimi del godimento. E anche Jacques venne, con lui.

Lo osservò restare immobile per lunghi istanti, il corpo languidamente abbandonato, l'ampio petto che si sollevava in un ritmo lento mentre si rilassava, poi lo vide come riscuotersi, quindi alzarsi, snello e prestante ed entrare nella doccia. Jacques si accorse di essere tutto sudato per la tensione erotica. Aver assistito al godimento solitario del ragazzo l'aveva quasi spossato. Era stata una scena troppo bella, troppo eccitante.

Non era riuscito a vedere l'album, poteva solo intuire che conteneva foto erotiche. Dunque anche il suo ragazzo si masturbava. Era molto bello, mentre raggiungeva l'acme del piacere. D'altronde, un ragazzo di diciannove anni con una sessualità normale, era logico che lo facesse. La seducente scena si ripeté per circa dieci giorni, quasi tutte le sere. Poi, come aveva cominciato, cessò. Jacques cercava di spiegarsi quell'improvvisa esplosione di sessualità seguita da un nuovo periodo di calma assoluta. Ma non riusciva a trovare una spiegazione logica. O per meglio dire, ne aveva trovate troppe per capire quale potesse essere quella giusta. Non che avesse molta importanza.

Comunque descrisse la scena nei più minuti dettagli al suo computer, alternandola con le proprie sensazioni, i propri desideri, i propri pensieri:

"... e vorrei essere io a suggerti i piccoli capezzoli scuri, sentirli inturgidirsi fra le mie labbra come gustose e piccole more di bosco, mentre le mie mani carezzano altri tuoi turgori, per darti il piacere che stai inseguendo e per comunicarti, più col mio corpo che con le parole, l'amore struggente che ho per te. Sentirti tendere mentre le tue dita artigliano le lenzuola, sentirti trattenere il respiro, vedere il tuo bel corpo inarcarsi come l'arco che sta per scoccare la freccia, spiare l'approssimarsi dell'esplosione e infine accogliere fra le mie labbra la collana di perle luminescenti che mi narra il tuo godere. Accarezzarti mentre ti rilassi, lievemente ansante ma appagato e sul tuo volto si dipinge la beatitudine del piacere raggiunto e sapere che la fonte di quel tuo piacere sono stato io, proprio io..."


Jacques non sapeva che quella che lui aveva chiamato "esplosione" era causata dal fatto che Alain aveva lasciato il suo compagno dell'estate ed era durata finché non aveva trovato un nuovo amico. Il ragazzo attendeva perciò con ansia di poter godere di nuovo del godimento di Alain. Ma per il momento Alain era appagato dalle visite che faceva a casa del suo nuovo amico, perciò non aveva più la necessità di indulgere nell'autosoddisfazione.

Jacques riordinò le pagine che aveva scritto sul "suo ragazzo" le corresse, le perfezionò: era un testo troppo lungo per essere un racconto, troppo breve per essere un romanzo. Attese perciò di avere altro materiale. Poi avrebbe provato a farlo pubblicare come romanzo, sullo stile delle confessioni.


Alain aveva trovato un nuovo amante proprio nella palestra sotto casa. Era un ragazzo di ventisette anni, un indossatore di moda decisamente bello. Un po' troppo conscio forse della propria bellezza, ma tutto sommato sembrava abbastanza simpatico ed era decisamente sexy.

Era stato Alain ad agganciarlo, perché dopo aver troncato col suo compagno, che voleva instaurare con lui una relazione fissa, aveva sentito la mancanza di un partenaire. E il piacere solitario non era certo il suo passatempo preferito. Dominique l'aveva subito colpito. Era andato a vedere nello schedario: il giovanotto voleva fare esercizi leggeri tanto da mantenersi in perfetta forma per il suo lavoro. Lo seguiva Ben, l'istruttore americano. Ne studiò gli orari e fece in modo di trovarsi nella sauna con lui, e iniziò a corteggiarlo. Non gli ci volle molto, visto che anche Dominique aveva voglia di un compagno e che Alain era decisamente un buon boccone. La terza volta che si trovarono in sauna, quando furono finalmente soli, Alain stava per togliersi l'asciugamano dai fianchi ma Dominique lo precedette. Si alzò dalla panca, si lasciò scivolar via l'asciugamano.

Con un sorriso alla volta dell'altro, disse con voce bassa e calda: "Non capisco perché c'è quello stupido regolamento alla porta che in sauna e nelle docce si deve restare coperti."

"Quasi nessuno lo osserva. Solo quelli che si vergognano a far vedere come li ha dotati madre natura." disse Alain scoprendosi a sua volta, ma restando seduto.

Dominique lo guardò fra le gambe e gli disse tranquillo: "A te, madre natura, come dici tu, t'ha dotato bene."

"Mi pare che anche tu non abbia da lamentarti."

"Beh, no, certo." disse Dominique avvicinandosi sorridente a lui e fermandoglisi davanti a portata di mano.

Alain lo guardò e vide che il giovanotto stava iniziando ad avere un'erezione.

"Tu fai il modello, vero?"

"Sì." rispose l'altro incurante del turgore che gli spuntava fra le gambe, continuando a guardare Alain con un sorriso.

"Posi anche nudo?" gli chiese il ragazzo senza staccare gli occhi dalla vistosa erezione.

"A volte, per riviste per donne come Playgirl."

"E ti piace?"

"È sempre molto gradevole essere ammirati, no? Come ora, da te." rispose l'altro sorridendogli tentatore.

"È anche bello essere desiderati." suggerì Alain.

"Certo, da chiunque."

"Mi piacerebbe conoscerti meglio, proseguire questa conversazione magari a quattr'occhi."

"Bene, perché non fai un salto da me, ora?"

"Volentieri." rispose Alain e finalmente tese una mano a saggiare la consistenza del membro ora pienamente eretto dell'altro.

Questi accentuò il suo sorriso e scese a titillare i capezzoli del ragazzo:

"Dai, andiamo a farci la doccia. Ho l'auto qui fuori. In un attimo siamo nel mio pied à terre. Poi ti riaccompagno, se vuoi."

Alain lo seguì nelle docce, si lavarono, si vestirono e andò con lui. Appena entrati nell'appartamentino da scapolo, ancora nel corridoio, Dominique lo prese fra le braccia.

Gli chiese, con voce roca di desiderio: "Ehi, vero che hai voglia di fottermi?"

"Certo, mi piaci." rispose Alain iniziando ad aprirgli i calzoni.

Si spogliarono l'un l'altro andando verso il letto alla turca di Dominique arrivandovi nudi, eccitati, lasciandosi dietro una scia di vestiti. Dominique si stese sulla schiena e sollevò le gambe sul petto spalancandole in un eloquente invito. Alain aveva davvero una gran voglia, gli si inginocchiò davanti e lo sollevò.

"Aspetta, mettiti il preservativo lubrificato." disse il giovanotto porgendogli una bustina.

Alain l'aprì e se lo infilò, quindi si chinò su quel bel corpo e, con calma e metodo, lo penetrò.

Dominique emise un lieve gemito di piacere:

"Aaaah, che bello! Hai proprio la dimensione giusta: fottimi dai, fammi godere! Ficcamelo tutto dentro... tutto... così..."

Alain gli iniziò a stantuffare dentro. Gli piaceva, però gli sarebbe piaciuto di più se ci fossero stati più preliminari. Ma non si può aver tutto dalla vita, pensò con filosofia mentre cavalcava quel bel gran pezzo di giovanotto. Comunque ci sapeva fare, quel Dominique: agitava leggermente il bacino, faceva palpitare l'ano, aumentando così il piacere di Alain. Sì, mille volte meglio in due che da soli, pensava il ragazzo continuando a pompargli dentro con vero gusto.

"Oh, così! Dai, fottimi, fammelo sentire bene. Spingilo fino in fondo. Dio che maschio scatenato! Ti piace il mio culo, di'?"

"Sì, certo." rispose Alain lievemente infastidito da quel linguaggio, ma comunque compiaciuto da quel corpo che gli si dava con tanto entusiasmo.

Dominique continuava nel suo soliloquio.

"Oh che bel cazzo hai! E come lo usi bene! Fottimi forte, fammi sentire che sei tu il maschio. Dai, montone, spingimelo dentro, fammelo uscire dalla bocca. Inculami forte, così, sì. Dimmi che sono il tuo schiavo. Dimmi che sono tuo e che mi riempi di sborra."

Alain, con tutta la buona volontà, non riusciva a dire quelle parole, ma all'altro pareva bastare dirle a lui.

L'altro continuava, sotto i colpi decisi e forti del ragazzo.

"Oooh, fottimi, chiavami, inculami, fammi sentire il bastone del comando. Oooh, così, sì, bravo. Sbattimi, dai! Sei un toro in calore, tu, sì..."

E finalmente, vennero.


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