IL PRIMO "NO" DI FABRIZIO | QUARTO |
Fabrizio, nei giorni seguenti, tornò più volte dove aveva incontrato il bel pescatore, ma non lo rivide, né rivide mai la sua barca. Non ne sapeva che il nome, inciso sulla targhetta della catenina in caratteri greci: "Nikos" ma gli restavano le fotografie che aveva scattato. Era stato come un bel sogno, durato l'arco di un pomeriggio assolato. Ma Fabrizio si disse che non l'avrebbe mai dimenticato. Non ebbe altre avventure, sull'isola. Tornarono a casa. Ricominciarono le lezioni. Ora Fabrizio era all'ultimo anno. Ritrovò Bertrand e ripresero a vedersi quasi tutti i giorni e a fare l'amore. Certo, Bertrand non era il bel pescatore greco, ma Fabrizio ci stava bene assieme. Si avvicinava il Natale. Bertrand era stato invitato a cena da un suo amico e propose a Fabrizio di andarci assieme: "È anziano, ma è una persona molto interessante. Penso che ti piacerà conoscerlo. Gli ho chiesto se potevo portare un mio amico e mi ha detto di sì. Ci vieni?" "Quando?" "Il ventitré dicembre. Poi io vado in Francia per una settimana..." "È gay anche lui?" "Sì. Ha un appartamento interessante: ha viaggiato molto ed è pieno di cose che ha portato dai più diversi paesi." "Che lavoro fa?" "Qualcosa come il consulente agrario per la Fao. Allora, ci vieni?" "Mi hai incuriosito. Devo prima parlarne con mamma, ma penso di sì. Come si chiama?" "Guglielmo. Guglielmo Bertone. Dammi una risposta per domani, così posso telefonargli per tempo." "Ci saremo solo noi?" "No, anche altri due amici, li conosci, Piero e Enzo. Guglielmo sa cucinare molto bene, ed è una persona affascinante: vedrai che ti divertirai. Cerca di venire." La madre, poiché era per il 23, non ebbe obiezioni quando Fabrizio le disse che avrebbe voluto andare a una cena con amici. Così il 23 sera, assieme a Bertrand, andò a cena a casa di Guglielmo. Quando suonarono alla porta, venne ad aprire un uomo di mezza età che li accolse con un ampio sorriso: "Oh, Bertrand, è questo il tuo amico? Non mi avevi detto che era così giovane e così... bello! Entrate, entrate. Benvenuto, io mi chiamo Guglielmo." disse l'uomo porgendo la mano al ragazzo. "Piacere, io sono Fabrizio." Si strinsero la mano e Fabrizio notò che la stretta era solida, piacevole. Anche gli occhi dell'altro lo incantavano: vi leggeva calore, amicizia, attenzione, curiosità, allegria. Erano occhi estremamente giovani, vivaci, come la sua stretta di mano. Entrarono in un ampio corridoio completamente bianco, con una parete tutta a sportelli e, lungo l'altra, una fila di porte di bianca opalina: Fabrizio ne contò sei. Fra una porta e l'altra e alle due estremità del corridoio, illuminati da faretti appesi alla parete, c'erano oggetti interessanti provenienti chiaramente da paesi e civiltà diverse. Il padrone di casa li portò in un ampio soggiorno con un tavolo già apparecchiato verso la parete finestrata e su un sofà già sedevano Piero ed Enzo. "Accomodatevi. La cena è quasi pronta. Vi va un aperitivo?" "Sì, grazie." rispose Bertrand. Sedettero. Mentre stavano sorseggiando l'aperitivo, Guglielmo, che si era seduto davanti a Fabrizio, iniziò a fargli domande: "Quanti anni hai?" "Diciassette." "Studente, immagino. Di cosa?" "Liceo artistico. Ultimo anno." "Ah, interessante. Creativo. Tutto ciò che è creativo è decisamente interessante, no? Senza creatività, la vita stessa non è possibile. Non una vita umana, voglio dire. Ti piace quello che stai studiando, immagino." "Sì, molto. Ma anche il suo lavoro deve essere piuttosto interessante per quello che mi ha detto Bertrand." "Sì, a me piace. Anche nel mio lavoro c'è una parte di creatività, in un certo senso. Ma... dammi del tu: è vero che per te ormai sono un vecchio, ma spero che si possa diventare amici." "Un vecchio? No, non ne ha affatto... non ne hai affatto l'aspetto, davvero!" disse Fabrizio convinto. "Grazie, sei gentile. Ma i miei quarantasette anni li ho tutti, uno sull'altro, e ne sono fiero. Tra poco, mezzo secolo, ci pensi? Dieci lustri." "Ne dimostri di meno: te ne davo una quarantina, non di più. Se dicessi quaranta, ti crederebbero tutti." "Ma non ne vedo il motivo. Non c'è nulla di male ad avere quarantasette anni, no?" disse sorridendo l'uomo. "Il fatto è che Guglielmo è veramente giovane di cuore e di mente. Si sta molto bene con lui." disse Piero. "Ma l'età c'è. I capelli iniziano a diradarsi, il corpo sta perdendo la sua elasticità, e anche la mente. Beh, è la vita: quello che sto perdendo fisicamente, lo sto acquistando in esperienza e perciò non ho davvero motivo di lamentarmi." "Vorrei essere anche io come te, alla tua età!" disse Enzo. "Beh... grazie. Ma ora, se mi perdonate un attimo, vado a prendere gli antipasti." disse l'uomo alzandosi. "Vuoi una mano?" gli chiese Bertrand. "No no, grazie, è già tutto organizzato, pronto sul carrello e posso fare da solo. Mettetevi a tavola, frattanto. In ogni posto c'è il nome, ma se volete cambiare..." Quando l'uomo fu uscito dalla stanza, mentre si mettevano a tavola, Fabrizio disse sottovoce a Bertrand: "È davvero un uomo affascinante." "Sì, te l'avevo detto. Non ci si annoia in sua compagnia, mai. Sa un sacco di cose e ne sa parlare in modo davvero piacevole." Fabrizio annuì. Ma il fascino di cui lui parlava, almeno per ora, era fisico. I capelli castano scuro appena brizzolati, lisci e morbidi, incorniciavano un volto ovale, maschio e perfetto, con un naso dritto e forte, due occhi profondi e vivacissimi, labbra piegate in un sorriso dolce e schietto. Di corporatura era un normolineo, alto, giudicò Fabrizio, sul metro e 75 circa. Aveva mani ampie e forti con dita affusolate, quasi da pianista. E il modo di muoversi era elegante, sensuale. Il ragazzo ne era completamente affascinato. Inoltre aveva la sensazione che anche l'uomo lo guardasse con un certo interesse e questo gli faceva piacere. Mentre Guglielmo parlava, aveva quasi l'impressione che stesse parlando solo per lui. Guglielmo tornò e iniziarono a mangiare. Il pasto era ottimo e la conversazione piacevole. Guglielmo sedeva sul lato contiguo a quello di Fabrizio, alla sua destra, sì che i due erano fianco a fianco ma a novanta gradi e potevano guardarsi quasi senza girare il capo. Alla sua sinistra, sullo stesso lato del tavolo, sedeva Bertrand, poi, di fronte a Giacomo, Enzo e di fronte a loro due Piero. L'impressione di Fabrizio che l'uomo parlasse soprattutto per lui si rafforzò durante la cena, ma più ancora dopo, quando Giacomo iniziò a raccontargli dei suoi viaggi, delle genti che aveva conosciuto, degli usi e costumi con cui era venuto in contatto. "... e fu proprio là in Perù che ho perso il mio amante..." stava dicendo Guglielmo. "È morto?" chiese sorpreso Fabrizio. "No, oh no, per fortuna. Semplicemente si è innamorato di un peruviano e così mi ha lasciato. Vive ancora in Perù, ormai da cinque anni e sembra felice." "Ma... non hai detto che eravate assieme da sette anni?" chiese stupito il ragazzo. "Sì... forse per quello si era stancato di me. E poi, un bell'indio, illustre studioso di civiltà precolombiane, è certo più interessante di un attempato esperto agrario. Certo, per me, che ne ero profondamente innamorato, fu un po' un trauma. Ma proprio perché lo amavo, proprio perché volevo la sua felicità, non ho fatto nulla per trattenerlo... e penso di aver fatto bene. Ci scriviamo ancora, spesso. Siamo rimasti buoni amici, ci confidiamo a vicenda, se pure per lettera, le nostre cose più intime." "Ma tu lo ami ancora?" gli chiese Piero. "No, gli voglio un gran bene, però." "Devi averne sofferto molto." disse Fabrizio. "Beh, sai, chi ha le spalle più larghe, nella vita, deve sopportare i pesi più grossi, si dice. E io, per mia sfortuna, o fortuna, non saprei dirti, pare che abbia le spalle particolarmente larghe." disse con un sorriso dolce l'uomo. "E dopo non hai più avuto un amante?" gli chiese Bertrand. "No. Diverse avventure, devo ammetterlo, ma ogni volta, inevitabilmente, facevo il paragone col mio Dino e... E non me la sentivo di legarmi con un altro. Non che io cerchi un altro Dino, è chiaro. Beh, in realtà, forse semplicemente non cerco." "Un uomo come te, non dovrebbe avere nessuna difficoltà a trovare un buon partner, no?" disse Enzo. "Mah, sai, pare che oggi i giovani cerchino solo coetanei, per un legame serio. E purtroppo a me i miei coetanei non mi attraggono affatto. Non dico fisicamente: ce ne sono di più che desiderabili. Ma hanno tutti, almeno quelli che ho conosciuto fino a ora, una mentalità... seduta. Stanca. Sanno tutto, hanno capito tutto, più nulla li incuriosisce, più nulla li stupisce. No, non potrei mai vivere accanto a uno così. Preferisco restare solo. Certo, più gli anni passano, più il problema si acuisce, ma che ci posso fare? Non mi va l'idea di legarmi a uno che sta già in pantofole. Sono fatto male, forse." "Qual è il tuo tipo ideale?" gli chiese Piero. "Non ho un tipo ideale. Beh, che non sia troppo grasso né troppo magro, non troppo brutto, ma soprattutto che abbia voglia di vivere, di scoprire, di stupirsi assieme a me delle mille cose che la vita riserva a chi sa guardare, cercare. Anche la cultura, a livello di pezzo di carta, non mi interessa, purché abbia cultura interiore, non so se mi spiego. L'età... beh, fisicamente non conta, come ho detto, ma mentalmente... diciamo fra i diciotto e i ventiquattro, anno più o anno meno, s'intende." Queste ultime parole, Fabrizio ebbe l'impressione che fossero state dette a suo beneficio: dicendo diciotto, l'avrebbe escluso e non voleva escluderlo, pensò il ragazzo. Ma poi si scosse: non confondere l'attrazione che senti con quello che veramente prova lui, si disse. Fabrizio era attratto, affascinato da quell'uomo. E non solo fisicamente, ora. La serata avanzava gradevolmente e Fabrizio pendeva letteralmente dalle sue labbra. Ora non parlavano più della vita sentimentale di Guglielmo, quella era stata una breve parentesi, e neppure più dei suoi viaggi, ma di volontariato. "... se uno non vive per gli altri, che vive a fare? Anche l'amore, non è che il culmine del vivere per gli altri, no?" diceva Guglielmo col suo sorriso accattivante. "In che senso?" chiese Bertrand. "Amare una persona, significa che l'altro viene prima di te stesso: la tua vita si svolge in funzione della sua: per la sua gioia, la sua serenità, la sua evoluzione, il suo bene. Vivi per lui. E vivi grazie a lui, al suo amore." "Se fosse davvero così, due che si amano, non dovrebbero giungere mai alla separazione." disse Enzo. "Infatti." "Eppure... accade." insisté Enzo. "Sì: o perché uno dei due non amava veramente, o perché non ha protetto il proprio amore. L'amore è proprio come una pianticella: va inaffiato, concimato, anche potato a volte, protetto da vento, gelo, insetti. L'amore non è un diamante che piove dal cielo, che arriva e resta immutabile. È un seme: va piantato in terra buona e coltivato con cura. Dimenticarsi questo, vuol dire farlo morire." "È una visione ideale, la tua." disse Bertrand. "Al contrario, è terribilmente realistica. Senza fatica, senza attenzione, senza competenza... muore. O addirittura non nasce. Amare, a volte, vuol dire anche dimenticare se stessi per l'altro e questo è tutt'altro che facile. Abbiamo tutti, chi più chi meno, una buona dose di egoismo. Vincerlo, non è certo facile. Ma è possibile. Ed è bello, molto bello." Fabrizio non aveva mai ascoltato discorsi come quelli e non perdeva una sola parola. Quell'uomo era un saggio! Era forse il primo vero saggio che avesse mai conosciuto. Eppure, non stava pontificando, esponendo verità universali, ma solo il proprio punto di vista, con semplicità, umiltà e per questo era affascinante. E la luce nei suoi occhi, la dolcezza del suo sorriso, il viso così mobile, espressivo, non facevano che aumentarne il fascino. Quando Enzo fece notare che s'era fatto tardi e che era meglio salutarsi e andare, Fabrizio provò un acuto senso di rammarico. Quando tutti furono pronti per uscire, Guglielmo porse a ognuno un pacchetto, tutti e quattro diversi per forma, confezione, colore, dicendo che erano i suoi auguri di Natale. Poi si salutarono. In strada, Bertrand chiese a Fabrizio: "Allora? Contento di essere venuto? di averlo conosciuto?" "È un uomo eccezionale. E molto simpatico. Le ore sono volate via anche troppo in fretta." "È sempre così, con lui. Mi piace molto, Guglielmo." "Tu... ci hai fatto l'amore?" chiese con voce incerta Fabrizio guardandone l'espressione. "No, siamo solo amici. È troppo vecchio, per me, per attrarmi. Enzo so che ha avuto una breve storia con lui." "Deve essere eccezionale anche come amante." disse allora Fabrizio quasi più a se stesso che al compagno. "Non so. Enzo dice che ha smesso di farci l'amore perché si sentiva troppo a disagio con lui, ma non ha mai voluto spiegare che cosa volesse dire con questo, se era una cosa fisica o no, questo disagio. Ho avuto come l'impressione che Guglielmo pretendesse troppo da lui, ma forse mi sbaglio." "Pretendere? Dai suoi discorsi, ho avuto più l'impressione che sia uno che dà più che chiedere." "Ma a volte il dare troppo diventa peggio che pretendere, no? Ti senti obbligato a rispondere, a dare altrettanto e magari tu non sei capace e allora te la prendi con l'altro. Ma sono solo illazioni, le mie. Magari semplicemente non si combinavano sul piano di quello che gli piaceva fare a letto, non so." Fabrizio non ci credeva. Guglielmo gli era sembrato così eccezionale che si chiedeva come fosse possibile, se si aveva il suo amore, poterne fare a meno. Un amore come quello che aveva descritto Guglielmo, non era forse qualcosa di incredibilmente bello, prezioso? Fabrizio non aveva mai riflettuto, prima, sull'amore. Lui, fino a ora, aveva solo sperimentato il sesso, e solo con quattro persone in tutto. Ma l'amore... Il ragazzo, tornato a casa, aprì il pacchetto. Conteneva un piccolo presepio messicano, di creta policroma, di stile naif, molto grazioso. Lo dispose sulla sua scrivania, sotto la lampada da tavolo. Poi andò a letto. Mentre si addormentava non faceva che ripensare a Guglielmo. E anche quando si svegliò, la vigilia di Natale, i suoi pensieri si affollarono della presenza di Guglielmo. Si chiese se l'uomo fosse in casa. Cercò nel taschino della giacca il biglietto da visita che l'uomo aveva messo nel pacchetto assieme al regalo: pensò di telefonargli per ringraziarlo per la sera prima e per fargli gli auguri di Natale. Forse era meglio aspettare fin verso le dieci, per non rischiare di svegliarlo. Alle dieci in punto, prese il telefono e fece il numero di Guglielmo... "Pronto? Qui Guglielmo Bertone, con chi parlo?" "Pronto? Sono Fabrizio." "Oh, Fabrizio! Che bella sorpresa." "Spero di non disturbarti." "No, affatto. Al contrario..." "Volevo ringraziarti per la splendida serata e per il regalo di Natale." "Non ti conoscevo ancora, non sapevo che cosa avrebbe potuto farti piacere." "Lo trovo delizioso, grazie. Ieri dicevi che speravi che si diventasse amici: beh, lo spero anche io." "Davvero? Bene, ne sono felice." "Mi piacerebbe incontrarti ancora... presto..." "Non so se te l'ha detto, ma per il 28 ho invitato Piero per andare assieme a vedere uno spettacolo di danze folkloristiche africane, della Nigeria. Perché non vieni anche tu? Conosco bene il coreografo e credo che possa darmi un altro biglietto di invito per te, se la cosa ti interessa." "Mi farebbe molto piacere." "Senti, richiamami fra un'oretta... anzi, no, se mi dai il tuo numero di telefono, ti richiamo io per confermartelo." Il tono di voce allegro e caldo di Guglielmo dette una sensazione di profondo piacere a Fabrizio. Gli dettò il numero, si salutarono. Più tardi Guglielmo lo richiamò, gli disse che tutto era sistemato e gli dette l'appuntamento per trovarsi prima dello spettacolo. Fabrizio era contento: fra tre giorni, l'avrebbe rivisto, avrebbe potuto parlargli, ascoltarlo. Passò la giornata di Natale con la madre. Poi, il giorno di Santo Stefano, aveva un appuntamento con un compagno di classe per andare a vedere il film "Caravaggio" che dicevano fosse molto bello. Arrivò davanti alla sala cinematografica, al suo solito, con dieci minuti di anticipo. Aspettò per oltre mezz'ora ma il compagno non si vedeva. Non era il tipo da fare ritardi e tanto meno di dare bidoni. Perciò Fabrizio andò in un bar a telefonargli. Rispose l'amico: si scusò, ma gli era venuta la febbre e non poteva andare. Gli aveva telefonato a casa ma lui era già uscito. Fabrizio decise di andare a vedere il film da solo. Pagò il biglietto ed entrò. Lo spettacolo era già cominciato. Al buio cercò di individuare un posto vuoto. Ce n'era uno accanto al passaggio. Ci si infilò e sedette. E si immerse nella visione del film. Passarono pochi minuti, quando sentì una mano posarglisi su una gamba. Sorpreso, guardò il vicino: alla luce riflessa dallo schermo, vide che era un uomo sulla quarantina, un tipo comune, e che quello guardava ostentatamente verso lo schermo. Eppure, la mano era posata sulla sua coscia, ferma, calda. Ingenuamente, Fabrizio pensò che l'altro non si fosse reso conto di aver posato la mano sulla sua coscia e, se pure lievemente imbarazzato per la situazione, si rimise a guardare il film. Ma quasi subito, la mano parve animarsi, gli palpò lieve la coscia, quindi prese a risalire verso l'alto, lenta, sicura. Fabrizio capì, ora, che l'altro non s'era affatto sbagliato. Capì che quella mano mirava a giungere fra le sue gambe, a toccarlo lì. Emozionato ed eccitato, il respiro rattenuto, Fabrizio attese. La mano saliva con esasperante lentezza, ma via via palpava più ardita, più esplicitamente. L'assenza di una sua reazione, stava dando coraggio all'uomo, al suo desiderio. Fabrizio poteva quasi palpare il desiderio dell'altro e, pur non sentendosi particolarmente attratto dal vicino, non sapeva sottrarvisi. Non aveva mai saputo sottrarsi al desiderio dell'altro, in realtà. Forse non ne sarebbe mai stato capace. La mano giunse sulla sua patta e sembrò esultare quando si impadronì del suo membro già turgido attraverso la tela dei calzoni. Fabrizio, istintivamente, allargò un po' le gambe e guardò in tralice il profilo dell'altro. Questi continuava a guardare lo schermo, ma ora le sue labbra erano piegate in un lieve sorriso di trionfo, mentre la sua mano palpava decisa i genitali del ragazzo, sottolineandone la pienezza delle forme attraverso la tela. Fabrizio si sentiva, al tempo stesso, tanto imbarazzato quanto eccitato. Si guardò intorno ma ebbe l'impressione che nessuno si rendesse conto, né potesse rendersi conto, di che cosa gli stava accadendo. La mano, ora, fattasi più ardita, stava trafficando per sbottonargli la patta dei calzoni. Fabrizio, arrossendo, si posò il giaccone in grembo, per coprire quello che stava accadendo. Poi, sentendosi tremare per l'imbarazzo, si girò verso l'altro e sussurrò: "No, per favore." "Perché?" chiese l'altro in un sussurro, senza smettere di fare quello che stava facendo. "Non qui, per favore." "Allora, vieni, usciamo!" disse l'altro deciso, allontanando la mano; si alzò e fece cenno a Fabrizio di alzarsi. Questi aveva pensato di non andare, ma si alzò: in corridoio gli avrebbe detto che lui voleva finire a vedere il film, che lui non aveva voglia. Precedette l'uomo fin oltre la tenda della sala. Giunto in corridoio si girò per parlargli e se lo trovò di fronte, a un palmo da sé. L'altro lo afferrò con un sorriso soddisfatto per le braccia e gli disse con voce bassa: "Sei bello. Vieni con me, ci divertiamo." "Ma, io..." protestò debolmente Fabrizio. "Dai, non far storie. Ho sentito che ti tira. Vedrai, ti farò godere. Mi piaci troppo." "Ma non ho ancora visto il film." "Ti ripago il biglietto, dopo ci torni. Ma adesso vieni con me. Ho una gran voglia di scopare. Anche tu, no?" "Ma dove possiamo andare?" chiese incerto Fabrizio e l'altro allora sorrise con aria di trionfo, interpretando quelle parole come una vera e propria capitolazione. "Ho la macchina, qui fuori, vieni." disse tenendolo per un braccio e guidandolo fuori. Fabrizio lo seguì docile, incapace di opporsi oltre. Quando salirono in macchina, il ragazzo disse: "Non so neppure come si chiama, lei." L'altro rise: "E che importanza ha. Puoi chiamarmi Matteo, se ti va." disse mettendo in moto. "Dove mi porta? A casa sua?" "No, c'è mia moglie e i miei figli. Ti porto in un alberghetto verso l'autostrada. Poi ti riaccompagno in centro, si capisce." "Ma... in albergo..." "Pago io, stai tranquillo. È un albergo a ore, ci sono già stato altre volte. Non fanno domande, non badano se sono due maschi. Va tutto bene, è collaudato. Là possiamo scopare tranquilli e al caldo. Non vedo l'ora, sai? È già un paio di settimane che non scopo con un maschio, ne ho proprio voglia. Ma, di' un po', tu lo prendi in bocca, no?" Fabrizio arrossì ma annuì. L'altro sorrise soddisfatto: "Bene. E anche in culo, no?" Fabrizio annuì di nuovo. "Ottimo. Senti, mentre guido, perché non cominci a palparmelo un po'? Sentilo come è già duro. Da quando ti sei seduto vicino a me. Dai, senti..." gli disse prendendogli un polso e guidandogli la mano fra le proprie gambe, "... è di tuo gusto?" Fabrizio palpò lieve: sentì la dura consistenza dell'asta dell'uomo che palpitò. "Più forte, dai, non aver paura, non mi fai male." lo incoraggiò l'uomo premendogli la mano sul proprio pacco gonfio. Fabrizio era sempre più imbarazzato. L'uomo sembrava invece completamente a proprio agio o forse addirittura eccitato proprio per l'evidente imbarazzo del ragazzo. "Eccoci arrivati. Scendiamo. Tu non dire niente, aspettami accanto all'ascensore. Pago la camera, prendo la chiave e saliamo." Entrarono nella camera. L'uomo chiuse la porta dall'interno con il cricco, quindi iniziò a denudarsi veloce: "Dai, spogliati. Ho pagato per due ore, non perdiamo tempo." Fabrizio obbedì. L'uomo aveva un corpo massiccio e un po' peloso e un membro non grosso, ma lungo, che s'ergeva perpendicolare al suo ventre, con sotto il grosso sacco dei testicoli. "Sali sul letto, svelto." gli disse, mentre frugava nella sua borsa. Ne trasse un tubetto di crema lubrificante e un pacchetto di preservativi, quindi salì anche lui sul letto. "Prima ce lo succhiamo un po', poi tu inculi me, poi io inculo te, va bene?" disse deciso, mettendosi in posizione per fare un sessantanove. Fabrizio era eccitato, nonostante si sentisse incerto. La sicurezza dell'altro, in parte, lo spaventava quasi. E anche la mancanza di qualsiasi dolcezza. Pareva che si trattasse di fare un esercizio puramente fisico, quasi un esercizio di ginnastica, più che fare l'amore. Non è che il ragazzo avesse molta esperienza, ma non aveva mai immaginato che si potesse fare l'amore in quel modo. Eppure, il desiderio dell'altro, in qualche modo, lo contagiava. Si succhiarono a lungo. L'altro mugolava contento e ci dava dentro: Fabrizio pensò che pareva quasi un vitello che poppa dalla vacca, più che uno che faceva l'amore. Ma le sensazioni fisiche erano piacevoli, forti. Ogni tanto l'altro smetteva di succhiare per esclamare con voce roca: "Dio che bel cazzo hai! Anche il mio, ti piace, eh? Fattelo scivolare fino in gola, dai, fammi godere. Dai, pompamelo dentro!" o qualcosa del genere. Quando l'uomo sentì che Fabrizio era pienamente eccitato, smise di succhiarlo e di farsi succhiare. Aprì una bustina di preservativo e lo infilò sul membro del ragazzo. "Adesso me lo ficchi in culo, eh? Ti piace il mio culo? Peccato che non ce l'hai più grosso, mi sarebbe piaciuto di più, ma... non hai neppure bisogno di lubrificante: sbattimelo dentro, dai, chiavami!" disse mettendosi a quattro zampe e offrendosi al ragazzo. Fabrizio non aveva mai penetrato nessuno. Si addossò alle terga dell'uomo, gli puntò il membro sull'ano tenendolo in posizione con una mano e spinse: gli scivolò dentro liscio liscio, come una mano nel suo guanto. Tolse la mano e spinse ancora finché il suo pube aderì alle natiche dell'uomo. Questi fece palpitare l'ano: "Dai, stallone, fammi sentire di cosa sei capace! Sbattimi, dai! Chiavami..." disse l'uomo eccitato dimenando il sedere. Fabrizio lo afferrò per le anche e iniziò: era piacevole scivolargli dentro e fuori: sentiva il tepore del canale dell'altro avvolgergli il membro, carezzarglielo, massaggiarglielo. "Più forte, dai! Ficcamelo tutto dentro, spingi! Dai, sfondami! Così, bravo... più forte..." lo incitava l'altro eccitato. Fabrizio pensò che c'era poco da sfondare, ma si dette da fare per accontentarlo. Più dava i colpi con veemenza, più l'uomo pareva gradirli. E in breve, non seppe resistere all'intensità del piacere che provava e si scaricò mugolando, mentre l'altro stringeva lo sfintere e gli si premeva con forza contro il pube. "Dio, sei venuto presto! Proprio quando cominciava a piacermi." disse mentre Fabrizio si sfilava. "Mi dispiace, non sono riuscito a trattenermi." si scusò il ragazzo arrossendo. "Poco male..." disse l'uomo sfilando il preservativo dal membro ancora teso del ragazzo e gettandolo in un cestino accanto al letto, "... adesso mi prendo io la rivincita. Visto che tu ci sei stato poco, io posso starci di più. Mettiti in posizione, dai!" gli disse mentre si infilava a sua volta il preservativo. Fabrizio si mise a quattro zampe. Sentì che l'uomo gli lubrificava l'ano. "Bene, ragazzo, preparati che adesso ti chiavo io! Sta attento, che te lo farò uscire dalla bocca! Impara come si chiava un culo... mi piace il tuo culetto..." diceva l'uomo infilandogli dentro un dito per lubrificarlo bene e prepararlo. Quindi lo prese per i fianchi, gli puntò il membro, spinse. Fabrizio lo sentì entrare, penetrarlo con una serie di colpi decisi, centimetro dopo centimetro, mentre a ogni colpo, con voce roca, gli diceva: "Ecco... lo senti? ...ti piace? ...che bel... culo... hai! Ah... sì... stretto... caldo... così... aaaah!" concluse con un ultimo vigoroso affondo. Quindi iniziò a battergli dentro a ritmo sostenuto. Fabrizio pensò che così sarebbe venuto subito, ma si sbagliava. Per più di un'ora l'uomo continuò a dargli dentro, senza stancarsi, e Fabrizio a poco a poco si eccitò di nuovo nel sentirsi prendere in quel modo, rude ma decisamente piacevole. Era solo sesso, solo piacere fisico, ma che piacere! Quell'uomo non era granché, eppure il ragazzo stava godendo quella monta interminabile. E, dopo che ebbe raggiunto l'orgasmo in lui, l'uomo, vedendolo eccitato, senza togliergli il membro ancora duro da dentro, lo masturbò facendolo venire di nuovo.
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