IL PRIMO "NO" DI FABRIZIO | OTTAVO |
Quando tornò a casa, Fabrizio si sentiva frastornato. Si sentiva anche sporco. Si era dato a tanti, a tutti, davvero come una puttana. Forse era quello il suo destino, essere il ragazzo di tutti. No, non poteva essere il ragazzo di Guglielmo, pensò, e gli venne da piangere. E neppure di Bertrand. Fece una lunga doccia, ma gli sembrava di continuare a essere sporco: non poteva lavare con l'acqua quel tipo di sporcizia che si sentiva addosso. Andò a letto. Non riusciva a dormire. La testa gli faceva ancora male. Anche il sedere... Gustavo gli aveva raccontato... Di colpo s'era ricordato anche del tizio che l'aveva portato in albergo. Dunque, se non ne aveva dimenticato nessuno, s'era dato a sette maschi in meno di dodici ore. Davvero, una puttana. Perché gli era anche piaciuto. Gustavo l'aveva fottuto a lungo, quella mattina, con gusto reciproco. Gli aveva chiesto di rivederlo, ma Fabrizio non aveva risposto. Poi gli aveva offerto di accompagnarlo, ma lui aveva preferito tornare a casa da solo. La madre non c'era, per fortuna. Chissà cosa avrebbe detto, pensato, se avesse immaginato come aveva passato quelle ultime ore. Forse l'avrebbe cacciato di casa. Non riusciva proprio a dormire. Sì, doveva lasciare Bertrand e anche Guglielmo, quando sarebbe tornato dal Venezuela. Anzi, doveva scrivergli dicendoglielo: non se la sentiva di incontrarlo, di reggerne lo sguardo, di dirgli... Pianse ancora, silenziosamente. Telefonò la madre: voleva sapere se era tornato. Gli diceva che lei sarebbe tornata per cena. Più tardi gli telefonò Bertrand. Voleva vederlo. "Non mi sento." disse il ragazzo. "Dai, ti ho cercato ieri sera, ma tua madre mi ha detto che non rientravi. Dove sei stato?" "In giro..." "Vieni, dai, ti aspetto." "Bertrand, io..." iniziò il ragazzo confuso. "Ho voglia. Vieni dai. Ti aspetto. Poi pranziamo assieme." insisté il giovane francese. Fabrizio cedette. Si rivestì e andò dall'amico. Appena entrato, questi lo abbracciò e fece per baciarlo in bocca, pieno di desiderio. Fabrizio stava per rispondere, istintivamente, ma si bloccò, si irrigidì. "Che hai?" chiese stupito Bertrand. "Io... io non posso più fare l'amore con te." disse quasi precipitosamente il ragazzo. "Eh? Perché? Non capisco..." "Ti devo parlare..." disse con espressione seria e tesa. "Cosa è successo? Dio, che faccia! Che c'è?" Fabrizio, senza il coraggio di guardarlo in viso, iniziò a raccontare. Di Daniele e Valerio, del tizio dell'albergo, dell'orgia con i quattro sconosciuti, della scopata finale con Gustavo. "Vedi? io non sono il tuo ragazzo, vado con tutti..." "Ma... non stavi bene con me? Credevo che..." "Sì, tu mi piaci, ma io non so dire di no... basta che uno mi dica che ha voglia di me... io ci sto. Io sono una puttana, Bertrand. Cercati un ragazzo più serio..." "Tu... perché l'hai fatto?" "Non lo so. Perché non potevo fare altro. Se tu adesso mi vuoi scopare io non saprei dirti di no, ma neanche a nessun altro." "No... non ho più voglia, ora, dopo quello che mi hai detto. Mi fai pena, Fabrizio. Credevo che tu fossi un ragazzo a posto e invece... tu sei malato nella testa." "Appunto..." disse abbattuto il ragazzo senza avere il coraggio di guardarlo in viso. "Mi dispiace. Credo che sia davvero meglio che non ci vediamo più. Non mi va di condividerti con mezza città." "Certo. Addio, allora." disse Fabrizio avviandosi verso l'uscita. Sperava che l'altro lo chiamasse, anche solo per salutarlo con un po' di calore, di dolcezza. Ma Bertrand non disse nulla, non fece nulla, e Fabrizio uscì da casa sua, mesto e abbacchiato. Tornato a casa, si mise subito a scrivere una lettera a Guglielmo. Vi scrisse più o meno le stesse cose che aveva detto a Bertrand, gli chiedeva scusa, gli diceva di non cercarlo più. Per tutta quella settimana Fabrizio fu tutto scuola e casa. Non volle vedere nessuno. La madre notò subito l'umore nero del figlio e gli chiese che cosa avesse. Lui rispose che non aveva nulla: si sentiva solo molto stanco e poco in salute: forse stava covando un'influenza. La madre sembrò credergli. Arrivarono due lettere di Guglielmo, che non aveva ancora ricevuto la sua. Fabrizio le lesse piangendo sconsolato: le espressioni di amore dell'uomo lo colmarono di tristezza. No, lui non era il ragazzo che Guglielmo credeva di amare. No. Il sabato pomeriggio arrivò una telefonata. "Fabri, è Guglielmo, dal Venezuela." lo chiamò la madre. "Digli che non ci sono." rispose il ragazzo. "Gli ho già detto che ci sei. Vai, sta aspettando." disse la madre stupita per l'atteggiamento del figlio. Fabrizio, a malincuore, col cuore che gli batteva come una grancassa, andò a rispondere. "Pronto..." "Fabri? ho ricevuto la tua lettera..." "Ah..." "Torno presto. Ne parleremo a voce. Ma io, volevo dirtelo subito, io ti amo, non dimenticarlo." "No..." gemette quasi il ragazzo. "Sì. Per me non è cambiato niente, chiaro? Io amo te così come sei, capisci?" "Non è giusto..." "Non dire sciocchezze. Aspettami. Io ti amo, Fabrizio, non dimenticarlo mai. Io ti amo." "Non è possibile... non è possibile..." "Questo lo dici tu!" "Non lo merito..." "Anche questo, lo dici tu. A presto, amore. Ne parleremo a voce. Ma io ti amo, non dimenticarlo." Il click della linea che cadeva scosse Fabrizio. Posò il ricevitore. Vide che la madre lo guardava con aria intenta. "Che è successo, Fabri? Hai una faccia! Guglielmo... mica ti ha lasciato, per caso?" "No..." "Allora, che cosa c'è?" "Niente, mamma. Niente..." "Non hai voglia di parlarmene." "Non me la sento, ma niente di grave, stai tranquilla." "È una settimana che sei strano. L'influenza... solo una scusa, no? Se tu volessi parlarmene..." "Devo uscirne da solo, mamma, davvero. Ma non stare in pensiero, passerà. Vado a studiare, ora." La donna non insistette. Capiva che il figlio, ormai quasi maggiorenne, voleva camminare con le sue gambe: lei non gli era più necessaria, era cresciuto. Fabrizio tornò in camera. Aveva voglia di piangere, ma non ci riusciva. Le parole di Guglielmo ancora risuonavano nella sua testa: "Io ti amo..." Ma come poteva amarlo, dopo che lui gli aveva detto la verità, chi era veramente? Si poteva amare uno come lui? Uno senza carattere, senza spina dorsale, che diceva di sì al primo che lo sfiorava, che aveva voglia di lui? Pensò di tornare di nuovo al bar gay, di ubriacarsi di nuovo, di farsi portare di nuovo in un letto, in mille letti: prendetemi, io sono di tutti. Chi mi vuole? Basta alzare la mano: prendete il numero e mettetevi in coda, ce n'è per tutti. Indossò gli abiti più provocanti che aveva, attillati, colorati, vistosi. Da vera puttana, pensò. Quindi andò al bar, dopo aver detto alla madre che molto probabilmente avrebbe passato fuori anche quella notte. Sedette al tavolinetto del sabato precedente. Era presto, c'erano ancora pochi clienti. Sorseggiò lentamente il suo solito gin fitz, guardandosi attorno e chiedendosi chi sarebbe stato il primo ad abbordarlo. Avrebbe detto di sì a chiunque, lo sapeva. Erano gli altri a non saperlo, se no l'avrebbero già agganciato. Verso le dieci entrò un gran bell'uomo. Elegante, sulla quarantina, snello e alto. Si guardò intorno, vide Fabrizio e andò dritto verso il suo tavolo. "Salve." disse con voce bassa e calda. "Salve." rispose Fabrizio cercando di assumere un'aria spavalda, sfrontata. "Posso sedermi con te?" "Certo." "Io mi chiamo Carlo." "Fabrizio." "Bel nome... per un bel ragazzo." disse l'altro facendogli un sorriso accattivante, poi chiese: "Aspetti qualcuno?" "No, sono libero, stasera." "Ma... sei una marchetta, per caso?" chiese l'altro studiandolo. "No, lo faccio gratis, io. Hai un posto?" L'uomo sembrò colpito da quell'approccio così diretto. Con tono incerto rispose: "Sì, ho un posto. Cosa ti piace fare?" "Lo succhio e lo prendo in culo." rispose sfrontatamente il ragazzo, guardandolo dritto negli occhi. "Ah, capisco. Sei un tipo che va per le spicce, tu... quanti anni hai?" "Diciannove." mentì prontamente il ragazzo pensando che se l'altro avesse saputo che era ancora minorenne forse si sarebbe tirato indietro. "Mi piaci. Davvero vuoi che andiamo?" "Sì, certo." "Allora..." disse l'uomo alzandosi. Fabrizio lo seguì. Carlo aveva l'auto parcheggiata poco lontano. Per la strada, e in auto, non parlarono. L'uomo lo portò in casa. "Vuoi qualcosa da bere?" gli offrì. "No... dov'è la camera da letto?" "Io... di solito non mi va di fare le cose in fretta. Tu mi piaci, ma... fai sempre così, tu?" "Così... come? Non ti va di scoparmi?" "Sì, mi andrebbe di fare l'amore con un bel ragazzo come te, ma... Ci siamo appena incontrati e... Fare l'amore non è solo scopare." "Io... io non so fare l'amore, so solo farmi scopare." disse con voce bassa e triste Fabrizio, "Come una marchetta, solo che io lo faccio gratis." "Non ci credo. Fai lo spavaldo, ma sembri un cucciolo impaurito, smarrito. Vorrei capire." "Capire? Cosa? Io sono fatto così: chi mi vuole, ha solo da prendermi. Tu, mi vuoi o no?" "Non solo il tuo corpo, nonostante tutto..." "Non ho altro da offrire." disse amaro Fabrizio. "Non ti credo. Anche in un incontro casuale, c'è sempre un po' di sogno, di speranza, di calore umano. Tu non sei una bambola di gomma con due buchi." "No, di carne, e con due buchi da riempire. A piacere." "Senza sogni, senza desideri, senza speranze?" "Non io." "Perché?" "Perché non... perché io... non so essere fedele all'uomo che amo. Non ne sono capace." "C'è dunque un uomo che ami. C'è dunque una speranza." "Che mi ama, piuttosto. Se io l'amassi davvero, saprei essergli fedele, no? Non sarei qui con te, no?" "E tu vorresti essergli fedele, c'è quindi un sogno." "Ma non ne sono capace. Fottimi, dai." "Se lui fosse qui, ora, con noi due, mi chiederesti di prenderti davanti a lui?" chiese con dolcezza l'uomo. "No, certo che no." "E lui... non è come se fosse qui, se ti ama? Se lo ami?" "Ma non c'è..." "C'è, invece. Come si chiama?" "Guglielmo..." sussurrò con un filo di voce il ragazzo. "Non lo senti che è qui?" Fabrizio non rispose. Tremava. L'uomo gli carezzò lieve il dorso di una mano: "Tu stai cercando di fare il cinico con te stesso, ma non ci riesci... di' la verità..." disse dolce. "Io..." "Perché non mi dici qual è il tuo problema?" "A che serve?" "Serve sempre parlarne con qualcuno che abbia voglia di ascoltare. Ci si chiarisce le cose." "E tu... hai voglia di ascoltare? Non volevi scoparmi?" "Mi piaci, certo. Fisicamente mi piaci. Ma mi interessi di più come persona. Ti sembra tanto strano?" Fabrizio lo guardò e vide un sorriso dolce. E allora iniziò a parlare, lentamente. L'uomo gli stringeva la mano, quasi a incoraggiarlo, mentre lui metteva a nudo la propria anima. Parlò a lungo, raccontò tutta la propria vita, le proprie esperienze. Infine tacque, esausto, tremante. "Bene. Adesso calati i calzoni. Ho voglia di incularti." disse con improvvisa durezza l'uomo. Fabrizio lo guardò con gli occhi spalancati e disse: "No... non puoi farmi questo, ora..." "Sei venuto qui per questo, no?" "Ma ora... no, non posso... non con te..." disse smarrito il ragazzo, "Non così..." L'uomo sorrise con dolcezza: "Bene, vedi che sei capace di dire di no?" "Io..." "Era quello che speravo. Che pensavo. Forse devi imparare a conoscerti meglio, prima di dare giudizi avventati su te stesso." Fabrizio sembrò sollevato, ma disse: "È solo perché tu mi hai fatto parlare, se no saremmo già nel tuo letto." "Puoi sempre venirci, no? Io continuo a desiderarti, anzi, ora che ti conosco meglio, anche più di prima." "Non ci riuscirei, ora." "Che cosa è cambiato?" "Non lo so, non lo capisco..." "Ma qualcosa è cambiato, no? Forse il fatto che abbiamo parlato senza veli, senza bugie. Forse il fatto che non hai più visto in me un maschio arrapato, ma un amico che voleva ascoltarti, capirti, aiutarti." "Sì, forse." "E allora, perché non cerchi di capirti, di ascoltarti, di aiutarti tu? Devi essere tu il tuo migliore amico. A te piace fare l'amore, e fin qui niente di strano. Ti piace sentirti desiderato e anche questo è naturale, direi. Ti eccita l'eccitazione dell'altro, dici, e anche questo è naturale... Ma, l'hai visto, sai anche dire di no... Spesso si deve dire di no, per salvare i sì precedenti. Da come tu mi hai parlato di quel Guglielmo, tu lo ami." "Sì, ma non so amarlo..." "Non ci credo. Devi solo pensare che l'amore che provi per lui è la cosa più importante della tua vita, più di ogni altra cosa. Si deve imparare ad amare... E a volte costa, ma ne vale la pena..." "Lo diceva anche Guglielmo..." "Affidati a lui, ora che gli hai scritto, che sa. Lui dice che ti ama come prima, e gli crederei, se fossi in te. Allora chiedi il suo aiuto, la forza del suo amore." "Perché non mi hai scopato subito? Non era questo che desideravi? Non ti capisco..." "Perché mi attraevi tu come persona, non solo il tuo corpo, per quanto bello. Certo, la prima cosa che attrae è l'aspetto fisico, esteriore, ma... Ma ciò che veramente fa scattare la molla, è, bene o male, quello che c'è dentro..." "Quei sette... non pare che la pensassero così: avevano solo voglia di scoparmi, di usarmi, di divertirsi." "Non siamo tutti uguali, certo. Ma tu non sei così... Anche se hai provato a esserlo, stasera, con me. E io l'ho sentito, se no t'avrei certo portato subito nel mio letto. Ma anche quelli, forse, in altre situazioni, si sarebbero comportati diversamente, chi sa. Nessun uomo è mai solo a una dimensione, e neppure a due: siamo tutti a tre dimensioni, cioè complessi, se non a volte complicati." "Mi dispiace di averti fatto perdere tanto tempo... tu cercavi un'avventura, e ti sei trovato a fare... il confessore." "A me non dispiace affatto. Avventure, se ne trovano facilmente. Poter aiutare qualcuno, è più raro. Non sento di aver perso tempo. Sono contento di averti conosciuto." "Ma magari, ora torno là e... mi ritrovo nel letto di qualcun altro. Non credo di essere cambiato così facilmente." "Bene, perché non ci provi? Se vuoi, ti riaccompagno al bar. Adesso dovrebbe essere pieno, è quasi mezzanotte." "Non lo so..." "Andiamo..." insisté Carlo con un sorriso, alzandosi. Tornarono al bar. Fabrizio sedette a un tavolo ma Carlo non volle sedere con lui: "Almeno sei libero di lasciarti agganciare..." gli disse a mo' di scusa. Due, tre tizi provarono ad agganciare Fabrizio, ma tutti, dopo aver parlato un po' con lui, lo lasciarono solo. Il ragazzo si alzò e andò a sedere accanto a Carlo. "Allora?" chiese questi. "Non potevo dire di sì: tu mi guardavi." "Comunque, hai detto di no, lo vedi?" "Ma forse, se tu non c'eri..." "Io ora torno a casa... vedi un po' tu..." "No, non andare, ti prego..." "Sì. Auguri, Fabrizio." "Mi lasci il tuo numero di telefono? Vorrei poterti incontrare ancora." "Anche a me farebbe piacere, se diventassimo amici. Ecco, te lo scrivo qui. Chiamami quando vuoi, Fabrizio." "Grazie..." rispose il ragazzo infilandosi il foglietto nel portafogli. Carlo gli fece un sorriso e uscì dal bar. Dopo neanche mezz'ora, un giovanotto sedette al tavolo di Fabrizio: "Ciao; solo?" "Sì..." "Ti osservavo da un po'. È il tuo uomo quello che è andato via poco fa, seduto qui?" "No, solo un amico." "Mi piacerebbe essere tuo amico." "Grazie." "Sei un bellissimo ragazzo. Non so se io sono il tuo tipo, tu sei il mio, comunque." disse l'altro con un sorriso. "Anche tu sei bello. Non hai un ragazzo?" "No, ma mi piacerebbe uno come te, per esempio." disse l'altro mettendogli una mano su una coscia e carezzandolo. Fabrizio fremette: quel contatto gli piaceva, lo stava eccitando: "Ma io ho già il mio uomo." disse però. "Ah... è qui?" "No, ora è all'estero." "Allora, ora sei libero, no?" insinuò l'altro spingendo la sua carezza su su per la coscia del ragazzo. "No, non sono libero... non in questo senso..." disse Fabrizio bloccando, con gentilezza ma deciso, la mano dell'altro che stava per sfiorare l'erezione che gli era venuta. "Perché no? Possiamo divertirci, per una volta, io e te. Tu mi piaci parecchio, sai?" "Anche tu mi piaci, ma... Io ho già il mio uomo." ripeté deciso e si sentì di colpo libero, felice, sollevato. "Peccato... Beh, buona serata, allora..." disse l'altro alzandosi e lasciandolo. Più tardi arrivò un altro all'arrembaggio. Questo adottò una tecnica diversa. Sedette al suo tavolo e lo guardò a lungo, senza dire niente. Fabrizio pensò che quella sera i più bei maschi della città si fossero dati appuntamento lì, per lui. L'altro gli sorrise e, istintivamente, Fabrizio rispose al sorriso. E si eccitò. "Ciao, mi chiamo Ernesto..." "Fabrizio, piacere." "Bella gente, stasera, vero? Ti ho visto qui un paio di volte. Vieni spesso a ballare?" "Non molto..." "Ogni volta con uno diverso... Non hai il ragazzo, tu?" "Sì, ce l'ho..." "Ma... ogni tanto ti sei concesso una scappatella, allora." "Già, ogni tanto." "E stasera?" "Stasera no..." "No? Come mai? Non ti andrebbe di divertirti un po' con me? Non sono il tuo tipo, forse?" "No, al contrario... Sei molto sexy... Però..." "Ah, grazie. Anche tu lo sei... Senti, ti andrebbe di venire a ballare con me? Qui vicino..." "Perché no?" Andarono. All'inizio ballarono uno di fronte all'altro. Lo sguardo dell'altro, il modo in cui si muoveva, lo eccitarono. Poi ci furono dei lenti. L'altro allora lo strinse a sé e gli fece sentire la propria erezione, sfregandogliela contro e sentendo così anche quella di Fabrizio. Gli sorrise e gli baciò il collo: "Mi piaci un sacco..." "Sì, lo sento... ma ti ho detto, io ho il mio uomo..." "Mica te lo porto via, no? Ma almeno per stanotte, non potresti dimenticartelo? Mi piaci un sacco..." ripeté carezzandogli il sedere e tirandolo più stretto contro di sé. A Fabrizio piaceva quel contatto, molto. Sentiva il membro dell'altro premergli contro, forte, duro, esigente... "Vieni con me... non te ne pentirai... ti farò godere." gli mormorò all'orecchio con voce calda. "No... Andiamo a sederci..." "Dai... anche tu sei eccitato, lo sento..." "Beh, certo... mi piaci..." "E allora?" "Io ho già il mio uomo, te l'ho detto..." "Ho voglia di te... Per una sola volta... mica deve saperlo, lui, no? Un amico mi ha prestato la sua mansarda... Io e te, soli." "No, davvero..." mormorò Fabrizio sentendosi però terribilmente tentato. Si staccò dall'altro: "Andiamo a sederci, ora." L'altro lo seguì. Gli sedette accanto e gli cinse una spalla col braccio. Per un po' non parlarono, poi l'altro gli disse: "Mi piaci da matti... ti voglio..." "Sei arrivato tardi. Bastava che ti avessi conosciuto poche ore fa... Lascia perdere, dai." "Ah, hai già fatto l'amore poco fa, per questo..." "No, solo che... Ormai è tardi." "Sono solo le due. Se dovevi rientrare, saresti già rientrato. A quest'ora fanno tutti l'alba. La mansarda è qui vicino, a due passi. Vieni?" "No." "Anche solo per parlare..." disse l'altro. "Parlare? Si può parlare qui..." L'altro cercò di carezzarlo di nuovo in modo intimo, ma Fabrizio lo bloccò. Sapeva che non doveva lasciarlo fare: si sentiva ancora troppo debole, sapeva che avrebbe potuto cedere anche troppo facilmente, perché l'altro gli piaceva e perché ne sentiva chiaramente l'eccitazione e anche lui era eccitato. Ma Fabrizio vinse la sua battaglia. L'altro alla fine si arrese. Così, più tardi, Fabrizio tornò a casa. Non era fiero di sé: sapeva che non sarebbe stato facile. Ma aveva cominciato, e con successo a dire di no. Non tanto all'altro, quanto a se stesso. Forse, allora, poteva ancora sperare di meritare l'amore di Guglielmo? "Io ti amo!" gli aveva detto, dopo aver letto la sua lettera. Dopo che aveva saputo tutto di lui. Si addormentò, per la prima volta dopo tanto tempo, sereno.
"Fabrizio, ora prendo un taxi e vado a casa. Vorrei tanto vederti, subito... puoi venire?" "Sì..." disse il ragazzo col cuore che gli batteva veloce e forte, "Certo..." "Ci metterò un'oretta, forse meno... Ora sono le sedici e quindici... per le diciassette, le diciassette e trenta, forse, dovrei essere a casa. Ti aspetto, va bene Fabrizio?" "Certo..." "Non vedo l'ora di vederti... ti amo tanto..." "Perché?" chiese il ragazzo, ma sentendosi felice. "Perché sei Fabrizio, no?" rispose l'altro teneramente. Il ragazzo era felice e trepido. Avrebbe finalmente rivisto l'uomo della sua vita. E, forse, ora avrebbe anche potuto dirgli che anche lui lo amava, nonostante tutto. Da casa sua a casa di Guglielmo ci volevano al massimo venti minuti. Fabrizio controllava continuamente l'orologio. Alle sedici e trenta non seppe più resistere, e anche se probabilmente era troppo presto, uscì di casa avviandosi verso casa di Guglielmo. Man mano che si avvicinava, si sentiva sempre più emozionato e trepido. Ma una cosa, ora, gli dava speranza: non aveva assolutamente più nulla da nascondere all'altro. Poteva dirgli tutto, tutto di sé, senza veli, senza timori, senza esitazioni. Arrivò sotto casa di Guglielmo alle sedici e quarantacinque: decisamente troppo presto. Attese, camminando su e giù lungo il marciapiede, consultando continuamente l'orologio e guardando se arrivava un taxi. Alle diciassette e sei minuti, vide il taxi arrivare e, come sperava, fermarsi accanto a lui. Guglielmo ne scese. Il tassista scese per scaricare i bagagli dal cofano. "Fabrizio!" disse l'uomo con un ampio sorriso. "Ti aiuto a portare le valige..." disse il ragazzo radioso. "Grazie... Non vedevo l'ora di arrivare..." "Hai fatto presto." "C'era poco traffico, per fortuna..." Salirono in casa. Appena posate le valige nel corridoio, Guglielmo prese fra le braccia Fabrizio: "Amore... che gioia rivederti..." "Mi vuoi ancora?" chiese il ragazzo con un filo di voce. "Sciocco! Sarei tornato prima, se non fosse così? Mi avevano chiesto di restare ancora due settimane, ma io non potevo..." "Sei tornato prima per me?" "Certo, per te. Tu sei la cosa più importante al mondo, per me, non lo sai? E poi, siamo stati anche troppo tempo lontani, separati. Vieni, amore... Ho tanta voglia di te..." "Prima... non è bene che parliamo?" chiese incerto il ragazzo che però sentiva in sé altrettanto desiderio quanto quello che gli dimostrava l'uomo. "No, per quello abbiamo tempo dopo. Io ti amo, lo sai..." "Anche io credo di amarti... Anche se non so se ne sono davvero capace come vorrei..." "Ne parleremo dopo. Adesso vieni, amore mio... Ho tanto bisogno di te, Fabrizio..." "Anche io ho tanto bisogno di te..." Guglielmo lo prese fra le braccia, lo baciò a lungo nella bocca, poi lo sollevò di peso e lo trasportò fino alla camera, dove lo depose delicatamente sul letto. Si guardavano con occhi luminosi. Quindi iniziò a sbottonargli gli abiti, carezzandolo e baciandolo, mentre anche Fabrizio, con mani febbrili, toglieva gli abiti di dosso all'uomo che lo amava nonostante tutto. E si fusero finalmente, senza più incertezze.
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