PRETE PER SEMPRE CAPITOLO 1 - ROCCASELLA

Marco Deregibus era entrato in seminario perché aveva sentito forte la vocazione di dedicarsi ai più diseredati della terra. Aveva studiato con impegno, passato brillantemente gli esami, era stimato dai superiori. Ma avvicinandosi al momento dell'ordinazione chiese udienza al cardinale, perché sentiva che doveva parlargli di un suo grave problema.

Quando fu solo con il porporato, gli si inginocchiò davanti e gli chiese di confessarlo.

"Eminenza, ho un grave problema di coscienza."

"Dimmi, figliolo."

"Io... io sono entrato in seminario perché voglio mettermi al servizio del Signore."

"Sì, certo. E sei uno dei migliori seminaristi che abbiamo mai avuto."

"Credevo di poter emettere senza problemi il voto di castità: non mi ero mai sentito interessato al sesso, attratto dalle ragazze..."

"Già, ora invece, le ragazze..." disse il cardinale con un sorriso comprensivo.

"No... non esattamente... Il fatto è che, mi sono accorto, proprio in questo periodo al seminario... mi sono sentito sempre più attratto da alcuni compagni, sempre più fortemente tentato."

"E... hai ceduto a questa tentazione?"

"No, Eminenza, non ancora, ma..."

"Ma temi che venga il giorno in cui non saprai più tener fede al voto emesso, esatto?"

"Sì, Eminenza."

Il cardinale annuì: "Ma senti sempre forte la vocazione a donarti ai figli di dio, ai più bisognosi?"

"Sì, Eminenza, la sento, con forza. Ma, mi chiedo, quale delle due sarà più forte?"

"E chi può saperlo, ragazzo mio? L'uomo è debole. Ma d'altronde, sarebbe un vero peccato perdere un elemento valido e prezioso come te. E onesto come te. Se tu me lo chiedi, posso dispensarti dai voti e ridurti allo stato laicale, ma... È davvero questo che chiedi?"

"Chiedo il vostro consiglio, Eminenza: io sono troppo confuso per decidere da solo."

Il cardinale rifletté, gli pose alcune domande, poi disse: "Ragazzo, prosegui per la tua strada. Ti ordinerò sacerdote e pregherò per te il Signore che ti dia forza. Se un giorno tu non dovessi più farcela, vieni da me, parlami a cuore aperto, e io vedrò di aiutarti in tutto quello che posso. Ma abbiamo bisogno di buoni sacerdoti e so che tu lo sarai." gli disse e gli diede l'assoluzione.

Così, a ventiquattro anni, il cardinale Perri lo ordinò sacerdote. Tornato a casa per la prima messa, salutati i genitori, gli amici, era andato dal cardinale per avere la sua prima missione. Il cardinale l'aveva ricevuto nel suo studio privato.

"Don Marco, ho bisogno del tuo aiuto."

"Dite, Eminenza, in che cosa posso esservi utile?"

"La parrocchia di Roccasella: il parroco è vecchio, non sta bene. Don Sergio Caselli è un sant'uomo, degno di tutta la stima e il rispetto, ma è vecchio. La situazione è difficile. C'è, a Roccasella, l'abbazia di San Martino: l'abate è un uomo ambizioso, forte, capace. Poi c'è il castello, e il conte Federico: anche lui è un uomo ambizioso, difficile, potente. E la zona è percorsa da banditi che vessano la popolazione che l'esercito imperiale non riesce a difendere. La parrocchia è allo sbando: i poveri non hanno protezione, i piccoli sono lasciati a sé stessi. C'è bisogno di te, della tua energia, del tuo coraggio. Te la senti di prendere questo onere?"

"Quello che vostra Eminenza crede bene..."

"Grazie. Speravo di poter contare su di te. Là a Roccasella vive un maestro di musica, un mio lontano parente. Potrai appoggiarti a lui, fidarti di lui, che conosce bene il paese. Preparati dunque a partire il più presto possibile." gli disse il cardinale benedicendolo.

Don Marco, preso il cavallo e poco bagaglio, partì alla volta di Roccasella: doveva presentarsi innanzitutto al parroco, poi a Dom Cesare, l'abate, e infine al Conte. Era inizio primavera e i campi erano in fiore, l'aria dolce e fine man mano che saliva alla volta di Roccasella. Vide prima il castello, severo e antico, poi la piccola abbazia romanica e, più basso, il paese dominato dalla chiesa parrocchiale.

Giunto davanti alla chiesa, legò il cavallo e chiese a un passante di dove si entrasse nella canonica. L'uomo gli indicò una porta. Don Marco suonò la campanella. Dopo poco venne ad aprire una donna anziana:

"Reverendo... siete il nuovo vicario?"

"Sì, mi chiamo don Marco Deregibus. C'è don Sergio?"

"Certo, non si muove più che per la messa, povero vecchio. Meno male che si sono decisi a mandare qualcuno per aiutarlo."

"Voi siete la perpetua?"

"No, una parrocchiana che cerca di aiutarlo. Ma ora che ci siete voi, posso finalmente tornare alla mia famiglia. Questa parrocchia non ha abbastanza soldi per pagare una perpetua. Don Sergio appena ha quattro soldi, li dà tutti ai poveri, lui!" disse la donna con aria di riprovazione.

Don Marco si presentò al vecchio parroco. Questi lo accolse con un sorriso.

"Dio sia benedetto, il cardinale ha avuto pietà di questo povero vecchio! Finalmente il paese avrà un nuovo parroco!"

"No, il parroco siete sempre voi, io sono solo il vostro vicario."

"Troppo buono, troppo buono... Di fatto, ragazzo mio, sarai tu il parroco. Io ormai non sono che d'impiccio."

"Impiccio? Al contrario: senza di voi non saprei da che parte iniziare. Voi avete esperienza e inoltre conoscete bene il paese..."

"Bah, questo sì..." disse il vecchio con un sorriso bonario. "Siedi qui, allora, comincio a spiegarti un po' di cose..." gli disse indicandogli la sedia accanto alla sua. "Dunque, Roccasella è composta di 726 famiglie, che, essendo numerose, porta la popolazione a 4653 anime, se nel frattempo non è nato o morto qualcuno. Oltre i monaci, che sono 37 e la gente del castello, che fra i signori, servi e soldati sono 231. Le terre appartengono per metà al conte e per metà all'abbazia; la parrocchia ne ha poche che rendono a malapena quel che serve per mantenerla nel decoro. Anche le case del paese, a parte poche che appartengono agli abitanti, sono per due terzi del conte e per un terzo dell'abbazia. La parrocchia possiede, oltre alla chiesa e la casa canonica, due piccole case in rovina: una volta in una abitava il sacrestano e nell'altra c'era una piccola scuola parrocchiale. Il conte rappresenta il potere giudiziario, militare e finanziario nonché quello civile ed è assistito per questo dai soldati. Il conte è un uomo d'armi, forte e ambizioso e vorrebbe il controllo su tutte le terre. L'abate è un uomo dotto, abile, deciso e anche lui vorrebbe il controllo su tutte le terre. Sono così simili che sono nemici irriducibili; con reciproco ossequio e sorrisi, si capisce: anche l'abate viene da una famiglia di antica nobiltà. Che dirti, altro?"

"E la chiesa? Le liturgie?"

"Una volta... ormai vengono solo poche donne anziane e bambini piccoli. Alla gente piacevano molto le processioni, ma da qualche anno, lo confesso, non avendo più la forza di farle... e poi, c'è il problema dei banditi..."

"I banditi?"

"Sì. Qui non fanno grandi danni, sono più un problema per i viaggiatori. Ma quando hanno fame, rubano e saccheggiano anche nelle case della gente. Specialmente ai bordi del paese."

"Ma, il conte non li contrasta?"

"Sì, certo, ma sono più furbi delle volpi. Li comanda Giannotto, un uomo astuto. Era un mercante, un tempo."

"E come mai si è dato al banditismo?"

"Mah... si dice che abbia subito un torto, qualcosa che ha a che fare col suo commercio, un prestito, non so bene, le voci sono tante."

"Ma che cosa c'entrano i banditi con le attività della chiesa?"

"Le processioni che si svolgevano fuori dal paese, per i campi... Hanno cominciato ad assalirle, a disperderle, per divertirsi... Per non far fare del male alla gente, all'inizio le ho limitate dentro il paese, poi, mancandomi le forze..."

Il quadro era desolante. Don Marco pensò semplicemente che c'era da rimboccarsi le maniche.

"Dovrò andare a ossequiare l'abate e il conte, poi dovrò andare a trovare il parente di sua Eminenza..."

"Sì, il maestro Perri, una degna persona, forse l'unico uomo che ancora viene a messa. Beh, a Natale e Pasqua molti altri uomini si vedono in chiesa, ma..."

Don Marco, assicuratosi che il parroco non avesse bisogno di nulla, salì fino all'abbazia. Fu ricevuto dall'abate Dom Cesare nel suo studio privato, una grande e luminosa stanza in stile gotico, con una grande scrivania e librerie alle spalle. Il prelato era un uomo alto e magro, segaligno, con una croce di ferro che gli pendeva da una catena anche di ferro, che luccicava tenue sull'ampia tonaca nera.

"Vi attendevo, don..."

"Marco Deregibus..."

"Don Marco. Mi stupisco che sua Eminenza voglia continuare a rifiutare la nostra offerta di prenderci cura della parrocchia. E che in una situazione così difficile abbia mandato un sacerdote giovane e perciò inesperto come voi. Comunque, vi do il benvenuto don Marco. Aspettiamo che il povero don Sergio muoia in pace poi... vedremo."

"Spero che viva a lungo, ora che mi prenderò cura di lui. E che la parrocchia torni al suo antico splendore."

"Ah, al suo antico splendore... E sareste voi forse a riportarvela?"

"Con l'aiuto del Signore."

"Già, con l'aiuto del Signore. Bene, don Marco, che il Signore vi aiuti, dunque. Vi benedico." disse l'abate e il sacerdote capì che quello era un congedo.

Non aveva avuto una buona impressione dell'abate, del suo sguardo freddo come il ferro della sua croce. Un uomo che non aveva sorriso neppure una volta durante il loro colloquio. Un volto che, se fosse stato più dolce, poteva essere ascetico, ma così faceva piuttosto pensare a quello di una faina che ha fiutato l'odore di un pollaio.

Salì ancora, fino al castello. Si presentò al conte Federico che lo ricevette in un elegante salotto.

"Sicché, voi sareste il nuovo parroco del nostro paese."

"Non esattamente, sono solo il vicario."

"Bah, non mi intendo di queste sottigliezze. Non sono un uomo di chiesa, io. Non ho tempo per queste cose da donne e da bambini. Ho abbastanza da fare per raccogliere le tasse e mandare la quota annua all'imperatore."

"È un vero peccato, signor conte, che non abbiate tempo per la vostra anima."

"Eh? Come? Ah, la mia anima. Già, voi ancora ci credete a queste cose, è il vostro mestiere. Beh, voi fate il vostro lavoro e io faccio il mio."

"Il vostro è anche amministrare la giustizia, signor conte."

"Sì, certo, anche."

"Ma non vi può essere giustizia senza amore, signor conte. E l'amore..."

"Nei codici delle leggi la parola amore non è contemplata. Ama il prossimo tuo come te stesso? Io credo di più alla filosofia dell'homo homini lupus."

"Thomas Hobbes... povero uomo..."

"Non avete un'alta opinione dei filosofi."

"Non di tutti, certo. Tendo a fidarmi di più della Sacra Scrittura, sapete? Chiamatela deformazione professionale."

Il conte rise: "Per lo meno, siete spiritoso. Dote che manca alla maggioranza degli uomini di chiesa. Come all'abate. Uomo tanto dotto da credere di capire tutto solo lui."

"Un male comune, nella nostra società. Anche fra i laici."

"Touché. Ma siete sempre così schietto, voi?"

"Non ho nulla da nascondere, nulla di personale da difendere."

"Siete molto pericoloso, perciò."

Don Marco rise scuotendo il capo ma non rispose.

"Bene, don Marco, se non vi spiace, ora..."

"Certo, tolgo il disturbo, signor conte."

"Sarete sempre il benvenuto, se avrete qualche problema che riguarda l'amministrazione imperiale." disse il conte alzandosi.

Un modo elegante per dire: meno vi fate vedere, più sarò contento. Il giovane sacerdote scese di nuovo verso il paese ripensando ai due particolari uomini che aveva incontrato.

Passò dalla canonica a vedere se don Sergio stava bene e se avesse bisogno di qualcosa, quindi andò a trovare il maestro Riccardo Perri. Questi viveva in una vecchia casa poco lontana dalla chiesa. Lo accolse con simpatia, presentandogli la moglie e il figlio.

"Così, vi manda qui sua Eminenza. Sta bene?"

"Sì, grazie al Signore. Vi manda tanti saluti. E mi ha detto che posso fare riferimento alla vostra bontà se avessi qualche problema: voi conoscete bene il paese."

"Vi sono nato. Sono andato via quand'ero ragazzino per studiare musica. Vi sono tornato circa dieci anni fa, quando mi sono ritirato dall'incarico di maestro di cappella del principe Colonna. È cambiato, il paese. Finché don Sergio era ancora in forze faceva per il paese quello che poteva, era l'unico a interessarsene veramente."

"Ma... e il conte?"

"Per il conte il paese è solo una vacca da mungere. Quello che gli interessa è poter riscuotere più tasse possibile. E far rendere le sue terre. E riuscire a prendere le terre dell'abbazia, ma nell'abate ha un avversario tenace, che non si contenta di difendere le terre dell'abbazia, ma cerca di ottenere le terre del conte. E in mezzo, i contadini che ne fanno le spese."

"E... i banditi."

"Ah, quelli. Giannotto è un povero diavolo. Non è certo lui a far del male alla gente, anche se a volte rubacchia qualche gallina o una botte di vino a chi ne ha più del necessario."

"Un bandito buono dunque?"

"Un bravaccio. Che sopravvive assieme a qualche ricercato dalla giustizia imperiale, povera gente che non ha pagato le tasse, che ha fatto troppi debiti, che ha rubato per sopravvivere."

"Maestro Perri! Voi un difensore dei banditi?"

"Cerco solo di capire, di giustificare: non sta a me giudicare. Dove sta il bene, dove il male? Solo Dio lo sa, solo lui ha il diritto di giudicarlo."

"Certo, ma noi dobbiamo giudicare le buone e le cattive azioni."

"Sì... ma non confondere mai l'uomo con l'azione che compie."

"È la lezione dei Vangeli."

"Esatto, una lezione difficile, ma che non dobbiamo mai dimenticare. E anche nel giudicare le azioni, dobbiamo andarci con i piedi di piombo."

"Il conte non sarebbe d'accordo con voi."

"Immagino proprio di no. Ma ditemi, quali sono i vostri progetti?"

"Non ne ho. Devo prima rendermi conto della situazione, e poi... che il Signore mi assista."

"Assiste sempre, e quando meno ce lo aspettiamo. E qualche volta, anche in modo del tutto diverso da quello che ci aspettiamo, a dire il vero." concluse l'uomo con un sorriso dolce.

A don Marco il maestro Riccardo piaceva molto. Era un uomo intelligente e buono, pieno di umanità e di fede. Si ripromise di andare a trovarlo spesso, di chiedergli pareri, consigli. Aveva avuto ragione il cardinale ad avergli raccomandato di andarlo a trovare. Sentiva che in lui avrebbe avuto un valido sostegno. Uscito dalla casa del maestro, si informò dove fossero le due case della chiesa. La casetta del sacrestano, a un piano, aveva solo le pareti ancora in piedi: il tetto era crollato e cespugli ed erbacce vi crescevano all'interno. La scuola, a due piani, era in condizioni appena migliori: mancava di tutti gli infissi, ma il tetto pareva ancora solido, a parte qualche buco, e le scale erano ancora salde, anche se mancavano alcuni tratti di ringhiera.

Quindi entrò in chiesa e si inginocchiò all'ultimo banco: guardò il grande crocifisso sull'altar maggiore e, dentro di sé, disse:

"Scusami, Signore, se sono venuto a trovarti per ultimo, ma so che tu sei paziente più degli uomini, e che non ti fai problemi, così ne ho approfittato. Ma l'ho fatto apposta, sai? Tu sei il più umile dei potenti e il più potente degli umili, perciò prima sono andato a trovare i potenti e ora, dopo averti salutato, posso cominciare a occuparmi degli umili. Beh, se non è una scusa ben trovata questa... Comunque, Signore, guidami tu per favore. Tu la sai lunga, io non ne so proprio niente. Ma ora vado, don Sergio potrebbe avere bisogno di me. In nomine Patris et Tui et Spiritui sancti. Amen."


"Don Marco, oggi è venerdì: vi spiacerebbe andare ad ascoltare le confessioni? Di solito si facevano di venerdì, prima che mi ammalassi. Tre tocchi di campana per avvertire la gente. Verranno solo le solite comari a confessare i peccati delle vicine. Ci vuole pazienza. Ma è l'occasione per dire una parola buona, e così... E poi, comunque, vi darà un po' il polso della situazione."

"Certo, don Sergio, vado subito. Avete bisogno di qualcosa, prima che scenda in chiesa?"

"Sì, per favore, potreste portarmi il settimo tomo della Summa? Almeno passerò un po' di tempo leggendo qualcosa di buono e di interessante."

"Certo, subito." disse don Marco e, assieme al libro richiesto, gli portò una caraffa di acqua, una di vino e un cestino di pane che mise accanto alla poltrona del vecchio. Gli rincalzò le coperte attorno alle gambe e scese in chiesa. Entrò nel confessionale.

"In nomine Patris et Filii et Spiritui Sancti."

"Amen."

"Quanto tempo è che non vi confessate?"

"Eh, da quando don Sergio si è ammalato: ha detto che poteva salire in canonica solo chi aveva peccati gravi e io, alla mia età, peccati gravi non posso certo più farne."

"Perché, quanti anni avete?"

"Sessantotto, reverendo."

"Ah, credevo aveste meno di dieci anni: dopo è difficile non poter più fare peccati mortali."

"Mah, che volete, sono vedova, perciò..."

"Solo le donne sposate possono fare peccati mortali?" chiese don Marco cercando di celare l'ironia della sua domanda.

"Beh, sapete, peccati di sesso..."

"Capisco. E peccati di mancanza di amore verso il prossimo?"

"Cioè? Non capisco: non ho rubato, non ho detto falsa testimonianza..."

"Bene, brava. Ma sapete che nel Vangelo è scritto: se dirai 'possa tu crepare' a una persona, sarai colpevole di assassinio?"

"Eh via, reverendo, non esagerate, ora!" disse la donna.

"Non sono io che esagero, sono parole di Nostro Signore, non ci posso fare niente. L'avete mai detto o pensato di qualcuno?"

"Beh... sapete, a volte mi fanno arrabbiare. Perché io sono una donna buona, ma certe persone di mia conoscenza... Per esempio, proprio l'altra settimana, la moglie di mio fratello..."

"Quando verrà a confessarsi, la moglie di vostro fratello dirà i propri peccati, penso. Avete pensato dentro di voi qualcosa di male nei suoi confronti?"

"Beh, non se ne può fare a meno, certe volte. Anzi, piuttosto spesso."

"Capisco. Ma anche del pentimento di averlo fatto, non si deve poterne fare a meno. Vi dispiace di aver pensato male di lei?"

"No, certo!"

"Mi dispiace, allora: non posso darvi l'assoluzione se non provate pentimento."

"Eh? Come? Ma voi siete qui per dare l'assoluzione, se no, che ci state a fare?" chiese scandalizzata e battagliera la donna.

"Io potrei anche pronunciare le parole, ma Nostro Signore temo che la penserebbe diversamente: io sono qui dietro per dare l'assoluzione a chi è pentito degli errori che ha fatto. Non posso fare diversamente. Perciò, sapete che vi dico? Pensateci sopra e, se sarete pentita, tornate da me. Potete venire anche in canonica, se non volete farvi vedere tornare in chiesa a confessarvi due volte. Con una scusa qualsiasi. Sarò a vostra disposizione, in qualsiasi momento."

Le altre confessioni non si scostarono molto da questa, anche se spesso don Marco, nel dubbio della buona fede dell'altro, pronunciò la formula di assoluzione. Quando finalmente tornò in canonica, don Sergio lo accolse con un sorrisetto divertito.

"Avete sollevato un vespaio. Ho ricevuto ben tre visite, mentre confessavate, di tre buone parrocchiane che sono venute a informarsi sulla mia salute."

"Bene." disse don Marco studiando l'espressione del vecchio prete.

"Eh, dicono che siete troppo duro."

"Mi dispiace."

"Ma io ho detto loro che forse, invece, ero stato troppo molle io, e che perciò pensassero bene a quanto avevate detto loro... qualsiasi cosa abbiate detto loro." disse don Sergio.

"Non posso certo parlare di quanto ho udito in confessione... Ma, dite, don Sergio, posso dare l'assoluzione a chi non riconosce i propri peccati? Voglio dire, se una persona per esempio mi dicesse: ho ucciso, e lo rifarei, perché ammazzare certe persone odiose non è un peccato; potrei assolverla?"

"Certamente no."

"Grazie, don Sergio."

"Non preoccupatevi troppo dei vespai che sollevate, finché sono per il bene delle anime. Avete già deciso su che cosa predicherete domenica alla messa delle sette e a quella delle dieci?"

"Non ancora..."

"Potreste parlare del perdono, allora. Dio perdona chi sa perdonare... qualcosa del genere, se volete."


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