PRETE PER SEMPRE CAPITOLO 9 - MONSIGNORE

Da Roma, un giorno, giunse al cardinale la richiesta di fare delle proposte per la nomina di un nuovo vescovo. Il porporato pensò subito a don Marco, poi si ricordò della profezia di don Sergio. Allora, quasi per mettere alla prova quella profezia, inviò a Roma i tre nomi richiesti, senza inserirvi quello di don Marco. Aveva comunque tre ottimi nomi da proporre e, pensò, don Marco era ancora troppo giovane: aveva solo ventisette anni... anche se la profezia diceva che esattamente a ventisette anni sarebbe stato fatto vescovo.

Il cardinale aveva appena spedito la missiva per Roma, quando giunse improvvisa la notizia che era scoppiata la guerra. Il cardinale ne fu impressionato. Fu una guerra breve, che causò molti danni e che non ebbe in realtà né veri vincitori né vinti e che modificò solo in parte le preesistenti frontiere. Da Roma giunse un'altra missiva: la risposta del Cardinale non era mai giunta, probabilmente a causa della guerra, quindi si aspettava un'altra lettera con la rosa dei tre nomi. Il cardinale inviò una seconda lettera, con gli stessi tre nomi di prima.

Da Roma giunse un inviato del pontefice: avevano ricevuto, dai quattro vescovi delle diocesi confinanti, altre rose di nomi, ma in tutte e quattro compariva il nome di un certo don Matteo Deregibus, che risultava essere un sacerdote della diocesi del Cardinale: la cosa era piuttosto inusuale, sicché si voleva sapere perché il cardinale non avesse inserito nel suo elenco il nome di quel suo sacerdote: pensava che non fosse un sacerdote degno?

Il cardinale rispose che, a parer suo, era sicuramente uno dei sacerdoti più degni ma che, dato che la sua opera era tanto preziosa, non aveva pensato bene inserirlo nella rosa dei nomi da lui proposti. Pregava quindi l'inviato del papa di voler lasciare don Deregibus nella sua diocesi. Il prelato decise di svolgere un'indagine. Prima si recò a Roccasella, poi all'università, infine in parrocchia a conoscere personalmente don Marco, senza però svelargli il vero motivo della sua visita.

Quindi tornò a Roma. Dopo un mese il cardinale ricevette la notizia che Sua Santità, uditi i risultati dell'indagine, aveva deciso di far consacrare vescovo don Marco Deregibus e ne dava incarico al cardinale stesso e ai quattro vescovi che l'avevano presentato. Il cardinale era commosso: la profezia di don Sergio Caselli si era avverata. Si recò allora personalmente in canonica e chiese di don Marco. Questi stava preparando una predica sul Vangelo dell'adultera.

"Eminenza, entrate, accomodatevi." disse sorpreso per l'imprevista visita del porporato.

"Come state, don Marco?"

"Grazie a Dio, bene."

"Siete forte? Non siete troppo stanco?"

"Un poco, ma non troppo, Eminenza."

"Perché devo darvi una notizia che, se vi conosco bene, vi scuoterà piuttosto."

"Dite..." disse il sacerdote leggermente teso.

"Ebbene, ho ricevuto una lettera da Roma: il Santo Padre mi incarica di comunicarvi che siete stato prescelto per essere consacrato vescovo."

"Eh? Chi, io? Scherzate!" disse allegro il sacerdote, poi, vedendo il plico che gli tendeva il cardinale col sigillo pontificio, e il suo volto serio, ammutolì: "Non... non scherzavate, dunque?"

"Ma vi pare, alla mia età e con la porpora che porto indosso?" gli disse bonariamente il cardinale mentre don Marco apriva il plico e leggeva la bolla di nomina sgranando gli occhi.

"Signore mio... oh Signore!" esclamò agitato, poi si prostrò a terra, completamente steso, e disse: "Io non sono degno. Voi lo sapete bene. Io non ne sono degno."

"Alzatevi, don Marco. Sua Santità vi crede degno, quattro vescovi vi credono degno, io vi credo degno... e anche il buon don Sergio Caselli, poco prima di morire, mi aveva profetizzato, fra altre cose che si sono rivelate esatte, che voi, a ventisette anni, sareste stato consacrato vescovo: che volete di più?"

"Stravedeva per me... vi siete lasciato influenzare da lui..." gemette don Marco.

"Al contrario: io, pur pensando che foste il sacerdote più degno della mia diocesi, proprio per non lasciarmi influenzare da quella profezia, non ho fatto il vostro nome a Roma, ma invano. Dovete accettare, don Marco. Ve lo chiedo con tutto il cuore: abbiamo bisogno di vescovi come voi."

"Io vescovo? Ma, Eminenza... io? Proprio voi che sapete quale sia il mio..."

"Sssst! Zitto, basta. Io so, il Signore sa. E il Signore vi vuole fra i suoi apostoli. Il Signore, col suo dito, ha scritto il vostro nome..."

"Col suo dito..." mormorò don Marco mentre il cardinale lo faceva rialzare a forza da terra. Prese i fogli che stava scrivendo e li porse al cardinale, con le lagrime agli occhi: "Non è buffo? Leggete che cosa stavo scrivendo..." Il cardinale lesse la predica e sorrise:

"Che ne dite se, con poche modifiche, faceste questa predica nel giorno della vostra consacrazione? Pare fatta apposta."

"Ma io non ne sono degno..." protestò ancora debolmente don Marco.

"Se lo chiedeste a Sua Santità il papa, credete che lui si senta degno? No, ne sono certo. Né io. Né voi, perciò. Ma Nostro Signore, fra chi ha scelto i suoi apostoli? Fra gente indegna: uno zuccone, un incredulo, gente litigiosa, meschina, impaurita, che l'ha rinnegato, venduto, che l'ha abbandonato... finché Egli non ha mandato loro il suo spirito. E lo manderà anche a voi, con la consacrazione. E so, so per certo, che voi l'accoglierete in voi. Perciò, per quanto indegno vi sentiate, dovete accettare. Non uscirò di qui finché non avrete accettato."

Don Marco sorrise: "Mi fate venir voglia di non accettare per costringervi a restare qui... Scusate, non volevo mancarvi di rispetto." disse poi serio.

"Siete un bello spirito. E vi credo capace di farlo! Ma vi prego di non farlo. Conservate sempre il vostro buon umore e la vostra semplicità. Allora?"

"Che dire? Ho paura, ma... con l'aiuto del Signore: fiat voluntas Domini!"


Don Marco quella notte non dormì. Eppure, lui ancora amava Beniamino... ma forse, proprio quell'amore lo aveva difeso da altri innamoramenti, da altre tentazioni...

"Tu, Signore, sai trarre il bene anche dai nostri errori. E ora, la tua chiesa, mi vuole tuo vescovo. Dio, Dio mio! Ma ci hai pensato bene? Mica per mancarti di rispetto, lo sai, ma... che scherzi sono questi? Se tu mi vuoi vescovo, fai in modo che sia un buon vescovo. Io ce la metterò tutta ma dove non arrivo io... mettici una toppa tu, per favore."

Alla cerimonia della consacrazione, in cattedrale, c'erano tutte le autorità civili, tutto il senato accademico in toga e tocco, gli studenti universitari, gente comune, una folta rappresentanza di Roccasella, il seminario al gran completo. Don Marco non vide però Beniamino. Non sapeva neppure lui se fosse meglio così o no. Dopo la consacrazione, vi fu una festa nel palazzo del cardinale.

Qui il maestro Riccardo lo salutò: "Eccellenza, che piacere rivedervi."

"Mi fa così strano sentirmi chiamare eccellenza... questa tonaca viola, la croce al collo... Come state, maestro?"

"Bene..."

"Che notizie dal paese?"

"La vostra opera continua bene, ma ci siete mancato."

"E... Beniamino?"

"Non è più in paese, è andato via la primavera scorsa. Stava bene, l'ultima volta che l'ho visto, allegro, sereno. Ma non so dove sia andato. Non posso più mantenere la promessa che vi avevo fatto."

"Ormai ha diciannove, quasi vent'anni. Saprà badare a sé stesso. Grazie, comunque."

Monsignor Marco fu insediato nella sua nuova diocesi: gli piaceva, una piccola diocesi fra le colline, fra gente semplice, e nella città sede dell'episcopato c'era anche una piccola ma antica università. Solo che ora, tra i suoi "primi parrocchiani", come amava chiamarli scherzosamente, c'erano i sacerdoti. Col suo solito stile Monsignor Marco li andava a trovare spesso, oltre a occuparsi di persona dell'Università e interessarsi attivamente al seminario.

All'inizio, a causa della sua giovane età, ebbe qualche difficoltà, ma presto il suo fascino, la sua semplicità, la sua schiettezza, la sua profonda fede e dottrina e soprattutto la carica di amore che emanava da lui, gli attirarono la simpatia e la stima di tutto il clero e della gente. E le sue prediche, semplici e profonde, continuavano ad attirare sempre più persone, dalla gente più umile e semplice agli intellettuali.

Ogni sera quando andava a letto pregava per Beniamino e ogni mattina quando celebrava la messa, pregava per il ragazzo oltre che per la gente di Roccasella come aveva promesso.


Era nella sua diocesi da poco più di un anno, quando una sera tardi il segretario gli disse che il cappellano dell'Università gli chiedeva udienza.

"Certo, certo, lo faccia entrare..." disse Monsignore lieto di rivedere il giovane don Matteo. Quando questi entrò gli andò incontro accogliendolo con un grande sorriso: "Allora, don Matteo, che cosa vi porta da me in quest'ora così tarda?"

"Monsignore, vi chiedo perdono, ma... non potevo aspettare domani."

"È cosa così grave?" chiese facendolo sedere e sedendogli di fronte.

"Sì. Non so da dove cominciare, ma..."

"Beh, ditemi, vi ascolto. Che cosa vi turba?"

"Io, Monsignore... io... io ho peccato! Gravemente!"

"Chi è senza peccato?" disse con un sorriso il vescovo.

"Monsignore, ma io..."

"Volete confessarvi da me?" gli chiese con dolcezza il vescovo.

"Sì, forse, anche. Ma non voglio suggellare la vostra decisione sotto il segreto confessionale."

Marco ricordò una sua frase simile detta al cardinale e provò simpatia per il giovane prete visibilmente scosso.

"Bene, come credete: vi ascolto, ma vorrei che sapeste che non vi ascolto come vostro superiore ma come padre, anche se pochi anni ci dividono, come fratello, come amico e che ho per voi stima e rispetto."

"L'avrete ancora, quando saprete? Ma è inutile che io meni il can per l'aia... io... io ho peccato gravemente con un giovane universitario, con un ragazzo..."

"Capisco. Avete cioè avuto un rapporto sessuale con questo ragazzo."

"Sì."

"E che cosa è per voi questo ragazzo, e voi per lui?"

"Noi... forse non potrete capirlo, Monsignore, forse non potrete mai ammetterlo, ma noi... noi ci amiamo."

"Vi amate."

"Sì Monsignore."

"Ne siete sicuri?"

"Sì, Monsignore."

"Capisco. Da molto?"

"Da nove mesi e mezzo. Ma solo oggi, per la prima volta... abbiamo avuto un rapporto fisico."

"E... è stato bello?" chiese con dolcezza il vescovo.

Don Matteo alzò lo sguardo, che fino ad allora aveva tenuto fisso sulle mani strettamente allacciate in grembo, e lo guardò sorpreso: "Bello?"

"Sì, bello. Lo rifareste, se fosse possibile?" chiese con tenera trepidazione il vescovo.

"Oh Monsignore... vorrei dirvi di no, ma... lo rifarei. So che è peccato, eppure lo rifarei, capite? Con lui, lo rifarei. Non riesco, non posso rifiutare il suo amore né quello che provo per lui. Dio mio! Perdonatemi, ma..."

"Mi hai semplicemente detto ciò che provi, ciò che senti... no, don Matteo?"

"Sì, Monsignore..."

"Prima di innamorarti di lui hai provato attrazione per altri?"

"No, mai. Ero tranquillo. Ma quando ho conosciuto lui... è successo a poco a poco, reciprocamente. Quando ci siamo resi conto, abbiamo onestamente cercato di non cedere, tutti e due, però..."

"Sì, ti capisco. Ed ora, che pensi di fare? Tu hai fatto un voto."

"Che ho violato. E per di più, con un uomo."

"Che hai violato. Se tu sei pentito, lo sai, il Signore è pronto a perdonarti. Se tu vuoi impegnarti a cercare, bada bene, dico cercare, non riuscire, di evitare di ricaderci. Però devi fare una scelta, fra il tuo voto e lui: che cosa è più importante per te? per la tua vita? Sei in grado di capirlo?"

"Monsignore... io... io non voglio rinunciare a lui, non posso... ci amiamo davvero, enormemente."

"Perciò chiedi di essere sciolto dal tuo voto? Vuoi abbandonare il sacerdozio?"

"Con dolore, ma... sì, Monsignore. Non posso tenere i piedi in due staffe..."

"Ti capisco. Hai ragione. Però, vorrei che tu ci riflettessi, prima. La cosa è appena accaduta, sei ancora scosso. Pensaci bene, poi torna da me e dimmi che cosa veramente vuoi..."

"Monsignore, lui mi sta aspettando giù in strada... capite che cosa questo vuol dire?"

"Certo che lo capisco. Pensateci bene, allora..."

"Io e lui?"

"Tu e lui, certo: se lo ami tanto da dubitare di poter mantener fede al voto che hai fatto, devi prendere la tua decisione con lui. Se invece tu fossi sicuro di voler mantenere fede al voto fatto, ti chiederei di decidere da solo, dopo averci pensato bene, comunque. Perché tu, dandogli il tuo amore, anche fisico, sei responsabile nei suoi confronti."

"Monsignore, ma se anche io vi chiedessi di essere dispensato dai voti, vivendo con lui, sarei sempre in peccato mortale."

"Don Matteo, se sapesse il Santo Uffizio quello che sto per dirvi, forse chiederebbe al Santo Padre di scomunicarmi, non lo so, ma, vedete... io sono convinto che l'amore, l'amore vero, profondo, totale, senza egoismi, non possa mai, mai, capite, essere occasione di peccato mortale."

"Cioè... voi dite che..."

"Perciò, riflettete su questo vostro amore: se è amore di donazione, ama et fa quod vis, se è solo amore di concupiscenza, cercate di correggervi..."

"Quod vis... anche se lui è del mio stesso sesso?" chiese stupito il giovane prete.

"Questo è il mio parere, in coscienza. E se sbaglio, ne ricada su di me la responsabilità. Cercate di pensarci serenamente, poi tornate a dirmi che cosa avete deciso. E ora, senza bisogno che ripetiate tutto, se volete che la consideriamo una confessione..."

Don Matteo tornò una settimana dopo e chiese la dispensa dai voti e la riduzione allo stato laicale: lui e il ragazzo avevano deciso che si sarebbero trasferiti altrove, assieme, che avrebbero cercato un lavoro assieme, che avrebbero continuato a darsi reciproco amore. Il vescovo accettò, volle conoscere lo studente universitario e, dopo aver ridotto allo stato laicale il prete, dette loro la sua benedizione.

"Che Dio vi assista e vi accompagni sempre, figlioli. Vi benedico, Matteo e Ugo."

Quando i due giovani, commossi, furono usciti, Monsignor Marco andò nella cappella privata, si prostrò davanti al crocefisso e pregò.

"Signore, spero di aver fatto bene... credo di aver fatto bene. E se ho sbagliato, che il loro peccato ricada su di me, non su di loro. Tu sai che amo Beniamino, anche se ho scelto te. Matteo ha preferito Ugo, è vero, ma... non perché non ti amasse, lo sai bene. Ma perché la vita deve essere così difficile, perché non si può amare te e al tempo stesso un altro? Perché hai istituito il matrimonio solo per persone di diverso sesso? Perché l'amore nasce nel cuore di due persone dello stesso sesso se fosse male? Perché la tua Chiesa insegna questo? Non lo capisco, Signore, in coscienza, non lo capisco. Sì, sì, conosco perfettamente le teorie dei teologi, ma non mi convincono. Verrà il giorno in cui la tua Chiesa sarà pronta ad accogliere fra i suoi santi chiunque ama, senza distinzione di sesso, come diceva Paolo? O io non ho davvero capito niente? Eppure, vorrei capire. Certo, non mi azzardo a predicare contro al tua Chiesa, non voglio dare scandalo, non voglio turbare anime semplici. Ma non posso non dire quello che credo giusto, in coscienza, alle anime in pena. Signore, se quanto dico e dirò in simili casi fosse errato, fammelo capire, te ne scongiuro, o richiamami a te, piuttosto..."


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