PRETE PER SEMPRE CAPITOLO 8 - TRASFERIMENTO

Don Marco, il giorno dopo, affidata la parrocchia al suo vice, prese il cavallo e andò dal cardinale. Questi non poté riceverlo subito, lo ricevette la sera.

"Allora, il nostro caro don Marco! Mi dispiace di averti fatto attendere. Stai a cena con me?"

"Se vostra Eminenza ha la bontà di ascoltarmi, ora."

"Certo. È cosa grave?"

"Temo di sì, Eminenza."

Il cardinale lesse negli occhi del giovane sacerdote qualcosa, perciò gli disse: "Preferisci confessarti, forse?"

"Sì, anche, dopo. Ora ho bisogno del vostro consiglio, poi anche della confessione, certo. Quello che devo dirvi... non voglio nasconderlo sotto il segreto confessionale."

"Bene, don Marco, come desideri. Vieni nel mio studiolo privato, là nessuno ci disturberà." disse il porporato guidandolo attraverso le ampie sale fino a una piccola stanza semplice e raccolta. Sedette e lo fece sedere accanto a sé: "Allora, ti ascolto."

"Eminenza, sapete quale fosse il mio problema, ve ne avevo parlato prima che mi ordinaste sacerdote."

"Sì, certo."

"Ecco, quello che temevo... è accaduto. Ho cercato di resistere, credevo di riuscire e invece... Ho pregato, mi sono tuffato nelle attività parrocchiali, ho fatto del mio meglio, ma... invano. Ieri è accaduto."

"Capisco. Ma, se non ti dispiace vorrei che mi spiegasti meglio. Se non ti è troppo difficile parlarmene."

"No, Eminenza, per questo sono corso da voi." disse don Marco e raccontò tutto, dal suo primo incontro con Beniamino fino al giorno prima.

"Cosicché ora hai detto al ragazzo che non puoi, non vuoi che la cosa si ripeta."

"Sì, certo, ma... come vi ho detto, Eminenza, io amo quel ragazzo. Lo amo sinceramente, profondamente. Perciò vi chiedo la grazia di trasferirmi a un altro incarico."

"Vuoi lasciare Roccasella?"

"Non credete sia la cosa migliore da fare?"

"Stai facendo un lavoro splendido là. La gente ti ama, ti ascolta, ti segue. C'è ancora bisogno di te. Non ti dispiace lasciare tutto?"

"Eminenza, sì, mi dispiace, e mi dispiace anche non poter vedere più Beniamino. Ma non credete che sia meglio? Se io restassi là, non so se e fino a quando resisterei, perché lo amo e lui mi ama. E se la cosa dovesse ripetersi, capite, alla fine mi troverei costretto a mettere in dubbio la mia capacità di mantener fede al voto fatto e dovrei chiedervi di sciogliermi dal voto e il risultato sarebbe comunque dover lasciare l'incarico di parroco di Roccasella e il sacerdozio."

"Già. Sembri molto convinto del tuo... amore per quel ragazzo."

"Almeno quando del mio desiderio di restare fedele al voto fatto, Eminenza."

"Bene, don Marco, ora andiamo a cena. Lasciami il tempo di riflettere sulla cosa, ora andiamo a cenare e poi dormiamoci su. Domattina ti darò la mia risposta. Ma intanto, ti voglio dare la mia assoluzione: questa è stata una vera confessione, in regola, a cuore aperto, deinde ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patri et Filii et Spiritui Sancti."

"Amen."

"E per penitenza, don Marco, entro quest'anno andrai in pellegrinaggio a Padova, e pregherai sulla tomba di Sant'Antonio."

"Grazie, Eminenza."

Il giorno dopo, il cardinale gli chiese se se la sentiva di restare ancora un mese nella parrocchia di Roccasella per fare in modo che il passaggio delle consegne avvenisse nel modo migliore. Frattanto avrebbe mandato un altro sacerdote che restasse là con il suo vice dopo la sua partenza e avrebbe pensato alla sua nuova destinazione. Don Marco, grato, accettò. E tornò al paese.

Per alcuni giorni non vide Beniamino. Provò la tentazione di andare in osteria anche solo per vederlo, o di andare a cercarlo al vecchio mulino, ma prudentemente non lo fece. Andò invece dal maestro e, chiedendogli di tenere ancora il segreto, gli comunicò di aver chiesto il trasferimento e di averlo ottenuto. L'anziano uomo ne sembrò addolorato.

"Perché andate via, don Marco? Non vi trovavate bene qui con noi?"

"Al contrario, benissimo. Ma voi avete intuito quello che provo per Beniamino. Per questo ho chiesto di essere allontanato da qui."

"Ah, capisco... sì, capisco la vostra scelta. Ma ci mancherete moltissimo, mi mancherete moltissimo. Il paese stava rifiorendo con voi e in voi avevo trovato un amico."

"Continuerà a fiorire, se quello che ho seminato è buono. E la parrocchia sarà in mano a due buoni sacerdoti."

"Eh, per sostituire voi, sua Eminenza ha capito che un solo sacerdote non bastava." disse l'uomo con un sorriso mesto.

"Non dite così, o mi farete montare in superbia!" ribatté scherzoso il giovane sacerdote.

"Una delle cose che mi è sempre piaciuta in voi è la vostra umiltà sorridente. La vera umiltà dovrebbe essere sempre sorridente."

"Non continuate a cantare le mie lodi, maestro Riccardo oppure finirò col crederci. Piuttosto, posso chiedervi un favore?"

"Ma certamente, tutto ciò che posso."

"Beniamino... Vegliate su quel ragazzo, ve ne prego. È un buon ragazzo."

"Non datevi pena, lo farò. Ma lo saluterete, prima di andare via, no?"

"Sì, certo... Mi mancherà..."

"Lo immagino. Anche per questo vi ammiro molto. Io, al vostro posto non so se sarei riuscito a tanto. Per mia fortuna non mi sono mai trovato a dover affrontare simili problemi."

"Siete un uomo con la testa sulle spalle, voi."

"Chiunque, in certe condizioni, può perdere la testa, credetemi. Nessuno può dire onestamente: non capiterebbe a me."


Trascorse il mese. Don Marco aveva incontrato alcune volte Beniamino, ma sempre in presenza di altri, perciò non si erano scambiati più di un sorriso o di frasi banali. Ma quando arrivò il momento di comunicare alla comunità il suo trasferimento, don Marco volle prima dirlo a Beniamino: non voleva che lo venisse a sapere da altri. Perciò, la sera, andò in osteria.

"Oh, don Marco, benvenuto! Ultimamente non vi si vedeva più. Credevamo che ci aveste preso in uggia..." disse l'oste con allegria.

"Tutt'altro, sono solo stato un po' più occupato del solito. Anche questa sera, in realtà sono un po' di fretta, ma... il tempo per un bicchiere l'ho trovato."

"Benone, allora offro io!" disse uno degli uomini.

Beniamino gli portò il vino.

Don Marco, allora, gli disse: "Ti vorrei parlare: puoi venire un attimo fuori, quando esco?"

"Sì, certo." rispose il ragazzo con un sorriso luminoso.

Don Marco scambiò due parole con diversi avventori, quindi salutò e uscì.

Un attimo dopo arrivò Beniamino: "Eccomi!" disse allegro.

"Ti va di fare due passi?"

"Certo."

"Volevo che tu lo sapessi prima degli altri."

"Che cosa?"

"Domenica prossima, dopo la messa, andrò via. Lascerò Roccasella. Per sempre. Domani lo comunicherò a tutti, in chiesa..."

"Te ne vai? Per sempre?" chiese Beniamino fermandosi di colpo e guardandolo con occhi spalancati, poi aggiunse a voce più bassa: "Per colpa mia, vero?"

"No, non per colpa tua... ma per causa di ciò che c'è stato. Non hai colpe, tu."

"Per colpa mia. Perché?"

"Lo sai. Io, se restassi qui, non saprei restare fedele alle scelte che ho fatto. Farei soffrire te, soffrirei io. È meglio così."

"Perché tu mi ami? Non è così?"

"Perché io ti amo e perché tu mi ami."

"E tu vuoi restare fedele a Lui. Ha tutte le fortune, Lui! La vita... la mia vita tornerà a essere grigia, senza te. Grazie, comunque, d'aver voluto che fossi io il primo a saperlo."

"Per me sei e resti la persona più importante su questa terra, credimi."

"Difficile da credere dal momento che quello che fai è per non vedermi più. Eppure ti credo perché so che tu sei incapace di mentire. Ma anche con questa scelta fai soffrire me e soffri anche tu, no?"

"Sì, ma... cerca di capire, Beniamino."

"Cerco di capire... sì, cerco di capire..."

La mattina seguente, durante la messa delle sette, don Marco annunciò la sua partenza. La notizia si diffuse in un baleno. Fu una processione di gente in canonica, che lo pregava di restare. Anche uomini che mai o raramente mettevano piede in chiesa, andarono. Poi, spontaneamente, la gente andò dal maestro Perri a chiedergli di organizzare, per la domenica seguente, una festa d'addio a don Marco.

Quando il sacerdote entrò in chiesa, ebbe un tuffo al cuore: c'era tutto il paese, sì che non c'erano più neppure posti in piedi e la gente si affollava all'uscita, fin sul sagrato. Disse messa commosso e predicò per l'ultima volta. Terminò ringraziando tutti.

"Siete venuti a salutarmi e vi ringrazio: vi porterò tutti nel cuore, tutti. Non ho mai visto la chiesa così piena. Ebbene, se volete farmi un regalo, una cosa sola vi chiedo: continuate a venire a messa, numerosi come oggi, ogni domenica e pregate per me. Io, a ogni messa pregherò per voi, ve lo prometto. E amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi, anzi, di più, come Lui vi ama. Amen."

"Amen!" rispose la folla commossa.

Terminata la messa, don Marco andò a togliersi i paramenti, salì in canonica, salutò i due confratelli, mise il mantello, prese la bisaccia, uscì nel cortile, salì a cavallo e uscì. Fuori c'erano due ali di folla, compatta, silenziosa, schierata lungo tutta la via con fiori in mano e, man mano che il cavallo procedeva al passo verso la Porta di Valle, gettavano i fiori sulla via, in silenzio. Molti avevano il volto rigato di lagrime. Sulla porta, il coro dei bambini, intonò un inno al suo passaggio. Don Marco, profondamente commosso, passava benedicendo.

Ma, mentre in chiesa, durante la messa aveva intravisto Beniamino ritto accanto a una colonna, ora ne cercava invano il volto fra la folla. Pensò: non avrà avuto la forza di vedermi partire, povero ragazzo. Traversata la porta, accompagnato dalle voci bianche del coro, don Marco scese verso valle, finché le voci svanirono lontane. Si girò: da quel punto si vedevano solo i tetti dell'abbazia e, più su, il castello. Addio! pensò e spronato il cavallo, scese lungo la tortuosa strada polverosa.

Improvvisa una figura sbucò in mezzo alla strada: la riconobbe subito, era Beniamino. Don Marco fermò il cavallo e scese.

"Beniamino!"

"Marco..."

"Sei venuto a salutarmi, dunque?"

"Credevi il contrario? Ma volevo salutarti da solo e sapevo che in paese sarebbe stato impossibile, così..."

"Come hai fatto ad arrivare fin qui? Sei stato a messa fino all'ultimo momento."

"Ho corso come un matto, per le scorciatoie."

Erano ritti uno davanti all'altro a un palmo uno dall'altro. Beniamino ansava lievemente.

"Posso abbracciarti, prima che tu te ne vada?" chiese il ragazzo incerto.

Don Marco allargò le braccia e il ragazzo vi si rifugiò. Si strinsero con forza. Quando il sacerdote lasciò il ragazzo e questi si staccò da lui, vide che lagrime rigavano il suo volto. Le asciugò con le dita, in una carezza lieve.

Beniamino gli prese la mano e la baciò: "Non lasciarmi!"

"Non posso."

"Lo so, ma dovevo chiedertelo. Ti amo, Marco!"

"Ti amo, Beniamino."

"Ti amerò sempre e per sempre..."

"Anche io. Ma tu... troverai un compagno che sappia amarti, renderti felice."

"No, impossibile."

"Lo troverai, credi a me."

"Quando?"

"La prossima primavera."

"E come lo riconoscerò?"

"Ti donerà un castello." disse don Marco e, mentre lo diceva, si chiese perché mai avesse detto una cosa così stupida.

Beniamino sorrise, lieto come un bimbo che sente una bella favola, e disse: "Bene, lo aspetterò."

"Ora devo andare."

"Lo so. Buona strada, Marco..."

"Addio."

"Arrivederci..." disse il ragazzo mentre il sacerdote risaliva in sella e partiva al galoppo. "Non addio, Marco... arrivederci." mormorò il ragazzo guardandolo allontanarsi velocemente in una nuvola di polvere.

Don Marco aveva il cuore in tumulto. Sentiva i chilometri, che aumentavano velocemente separandolo dal ragazzo, come una spina lacerante nel cuore.

"Signore... oh Signore... Proteggi Beniamino, assistilo, aiutalo, veglia su di lui. Signore!" pregava in cuor suo incessantemente, con l'immagine del triste sorriso con cui il ragazzo l'aveva salutato ancora negli occhi.

Appena giunto in città si presentò subito al cardinal Perri.

"Bene, don Marco Deregibus. Ho pensato molto a te, in questi giorni e ho pregato il Signore di illuminarmi. Le tue prediche, come ebbe occasione di dirmi il buon don Sergio Caselli, brillano per carità e dottrina e sanno toccare il cuore della gente. Perciò, per te, ho previsto un doppio lavoro: ti insedierò come parroco nella parrocchia dell'Università, qui vicino, e inoltre, ogni venerdì, predicherai in seminario."

"Ma... e mi mette in mezzo ai giovani?" chiese stupito don Marco, incredulo.

"Perché quella faccia stupita: ci sai fare con i giovani, tu, e non hanno ancora il cuore indurito: chi meglio di te..."

"Col mio problema, Eminenza..."

"Hai fatto la tua scelta, con coraggio. Sei sempre stato onesto con te stesso, con me e, quel che più conta, con il Signore. Mi fido di te ciecamente. Fidati anche tu, un po', no?"

"Per essermi troppo fidato, sono caduto, Eminenza."

"Sbagliando si impara, non è vero?"

"Eminenza, perdonatemi, vorrei che ci pensate ancora."

"Ci ho pensato più che bene. E ora, te lo chiedo per obbedienza." disse con un sorriso il porporato.

"Fiat voluntas domini." rispose umilmente don Marco.


Don Marco iniziò il suo nuovo incarico: per prima cosa si informò su tutti gli studenti dell'Università, le loro condizioni personali, di famiglia, dove abitavano e iniziò ad andarli a trovare, a frequentare i luoghi che frequentavano. Lo stesso fece con gli altri parrocchiani. Tutto il giorno era in giro, a parte per le confessioni e le messe. La notte la dedicava in gran parte per studiare e per preparare le prediche per il seminario e per la messa domenicale. Era infaticabile e nonostante dormisse solo quattro ore per notte, era sempre pieno di energie e di serenità. Ogni sera prima di addormentarsi, ogni mattina durante la messa, pregava per Beniamino, che portava sempre con sé nel cuore.

Non diceva mai a nessuno: vieni in chiesa, ma il suo fascino era tale che a poco a poco la chiesa si riempì anche di studenti universitari. Questi, dopo la messa, iniziarono ad andare in sacrestia per discutere con lui il contenuto delle prediche o delle letture, e a poco a poco aumentarono, sì che alla fine, dopo la messa, toltisi i paramenti, don Marco doveva tornare in chiesa dove studenti sempre più numerosi lo aspettavano e la chiesa si trasformava in aula di dibattito, di lezione, di approfondimento.

La fama di queste lezioni informali si sparse e anche docenti iniziarono ad andare. Don Marco era molto preparato, ma in più leggeva, studiava, approfondiva gli argomenti, si aggiornava continuamente. Dopo poco il rettore del seminario, che era andato per alcune domeniche ad ascoltare quei particolari dopo-messa, decise che tutti i seminaristi che volevano potessero partecipare.

Nel giro di pochi mesi, la chiesa era piena. Don Marco accettava qualsiasi domanda, purché fosse direttamente pertinente alle letture della domenica e alla predica, in cui comunque spiegava le letture. Per ogni altra domanda, recisamente rispondeva: "Di questo, se vi interessa, ne parleremo in altra sede."

Una volta arrivò anche il cardinale. Quando lo vide, don Marco lo invitò a presiedere la riunione.

"No, sono solo un passante. Non preoccupatevi di me. " rispose il porporato sedendo in uno dei banchi fra la gente.

Non intervenne mai. Solo alla fine, quando, come di consueto, al tocco dell'una, don Marco invitava tutti a tornare a casa per il pranzo, il cardinale gli si avvicinò.

"Mi dispiace di non avere più tempo, di non poter venire spesso... È stato affascinante ascoltarvi. Continuate così don Marco, state svolgendo un'opera bella, preziosa. Che dio vi benedica."

Don Marco continuò la sua opera: moltissimi universitari si riavvicinarono alla chiesa, lo vollero come direttore spirituale. Sì che il cardinale, per alleviargli un po' il lavoro, dovette farlo affiancare da un altro sacerdote che si occupasse della normale amministrazione della parrocchia.


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