PRETE PER SEMPRE | CAPITOLO 4 - CONGIURE |
Beniamino si sentiva sempre più attratto da don Marco. Aveva sentito dire che stava nei campi ad aiutare e pensò di andarlo a trovare per parlarci un po'. Camminava giù per la strada quando vide arrivare la carrozza dell'abate. Si scostò, ma la carrozza si fermò accanto a lui. L'abate aprì la portiera e gli fece cenno di salire. "Si fa audace, il signor abate." mormorò il ragazzo salendo. L'abate lo fece sedere di fronte a lui: "Cercavo proprio te, Beniamino." "Ah sì? Volete farvi una sveltina qui in carrozza?" chiese il ragazzo con ironia. "Taci! No. Ho saputo che tu lo fai anche col conte." "Ah sì? Avete le vostre spie?" "Dunque è vero." "Credevate di essere l'unico a divertirvi con me?" "Taci, figlio del demonio!" "Sì, papà!" rispose allegro il ragazzo. L'abate fece per schiaffeggiarlo, ma Beniamino gli bloccò al volo il braccio: "Eh no, non fate così. Che vi prende? Non siete in vena oggi?" "Tu devi firmarmi una carta." "Una carta? Che carta?" "Una denuncia all'inquisizione nei confronti del conte, per sodomia." "Che? Siete matto? Che vi prende, davvero!? Perché mai dovrei farlo? Per farmi mandare al rogo con lui?" "No, tu sei solo un ragazzo, la vittima. Tu non rischi nulla e ti farò avere parecchio oro." "Ma neanche per sogno! Proprio voi mi fate questa richiesta? Voi che per primo avete goduto di me e che mi scopate spesso e volentieri? Mi fate schifo!" "Beniamino, se l'abbazia può prendere le terre del conte, farò di te un uomo ricco." "Ah, è questo dunque ciò a cui mirate! L'uomo di dio, che mi scopa e vuol rapinare le terre degli altri, mandando sul rogo uno colpevole almeno quanto lui! Siete un essere spregevole. Giannotto è più onesto di voi." "Firma, Beniamino, o te ne pentirai!" "No! E che volete farmi? Denunciare me per sodomia? Con voi? Credete che l'oste non sappia perché devo essere sempre io a portarvi il libro dei conti? Volete scoparmi? Bene, scopatemi, uno più uno meno, non fa molta differenza per me. Ma non chiedetemi più una cosa del genere, Mai più!" disse avvicinandoglisi e cercando di toccarlo fra le gambe. L'abate lo respinse violentemente e Beniamino sbatté sulla portiera che si aprì e cadde fuori rotolando. L'abate chiuse con rabbia e gridò al cocchiere: "All'abbazia!" e la carrozza si allontanò velocemente. Beniamino si rialzò e si scosse di dosso la polvere, sputò con disprezzo verso la carrozza e riprese la strada per cercare don Marco: ora più di prima aveva bisogno del suo sorriso, della sua vicinanza. Don Marco era la persona più splendida che avesse mai conosciuto, pensò con un senso di affetto il ragazzo. Lo vide di lontano: era a torso nudo, che aiutava la vedova Martina e i due figli adolescenti. Lo guardò: l'aveva sempre visto in tonaca, per la prima volta lo vedeva così: sentì una fitta di piacere: era bello! Provò il desiderio di passare le mani sul petto ampio, sul ventre piatto e senza peli, di passarci le labbra, di farci l'amore lì, sotto il caldo sole di giugno. Lo ammirò a lungo, con occhi pieni di amore e di desiderio, prima di farsi scorgere. Era davvero un uomo splendido, sotto tutti i punti di vista. Si avvicinò e quando don Marco lo scorse, gli fece un ampio gesto di saluto, poi si asciugò il sudore. Appoggiato alla zappa, gli disse: "Ehi, Beniamino, sei venuto ad aiutarci?" "A dire il vero no, ma se vuoi..." "Allora togliti la casacca e vieni qui." disse il giovane sacerdote con il suo ampio sorriso. Beniamino non esitò. Anche lui a torso nudo, si accostò all'altro: "Che devo fare?" Don Marco glielo disse. Lavorarono fianco a fianco in silenzio. Beniamino era sempre più attratto dal giovane uomo. "Sei pensieroso." gli disse don Marco durante una sosta, "Qualche problema?" "Sì, qualche problema." "Posso aiutarti?" "No, non puoi." "Come credi. Se avessi bisogno di me, comunque, sai dove trovarmi." "Posso venire a trovarti in canonica?" "Certo, quando vuoi. È aperta a tutti." "Anche a chi non viene mai in chiesa?" "Certo... e magari quello è il primo passo per andare una volta in chiesa." "Nooo! Che ci andrei a fare, io, in chiesa? Sono figlio del demonio, dice uno che se ne intende." "Chi ti ha detto una cosa del genere è un grande sciocco. Tu, come tutti, sei figlio di dio." "Troppi padri! Sono un orfano, questa è la realtà. Non ho né padre né madre, né patria né amici... né dio." "Amici sì... io ti sono amico, Beniamino. Io ti voglio bene." Il ragazzo lo guardò sorpreso, poi, visto il sorriso dolce del sacerdote, disse: "Tu vuoi bene a tutti, non è così?" "Sì, cerco di volere bene a tutti." "Non è difficile, a volte?" "Certo che lo è. Ma sono proprio le cose difficili quelle in cui vale la pena di mettersi d'impegno, no? Quelle facili... vengono da sole." "Ma come si può voler bene a certa gente perfida, corrotta, avida, che sa solo odiare?" "Forse proprio quelli hanno più bisogno di qualcuno che voglia loro bene, no?" "Sarà. Ma tu sei speciale." "Io? Non dire sciocchezze: io sono come te, come tutti. Ho le mie debolezze, i miei problemi, le mie pene, i miei limiti. Come tutti." "Ma sei forte, forte nonostante la tua dolcezza. O, forse, proprio con la tua dolcezza. Sei un uomo strano, don Marco. Mi piaci." "Anche tu mi piaci." disse il sacerdote sereno. Beniamino era turbato. Possibile che anche l'altro si sentisse attratto da lui? No, pensò, aveva solo un modo ingenuo di esprimersi, non dava alle parole doppi significati. Aveva detto: mi piaci, voleva dire: mi sei simpatico. Don Marco temeva di essersi spinto troppo in là con le parole; aveva detto: mi piaci e in realtà una voce dentro di lui gli diceva: no, lo desideri. Provava il desiderio di carezzare il corpo di Beniamino, di baciarlo. Per fortuna non erano soli. Si sentiva terribilmente debole, terribilmente attratto dal ragazzo e dal suo sorriso luminoso. Pregò mentalmente e si rituffò nel lavoro. Tornato all'osteria, Beniamino pensò che avrebbe fatto bene a confidarsi con l'oste: in fondo l'uomo, a modo suo, gli voleva bene. Forse era meglio che sapesse che cosa gli aveva chiesto l'abate. Così, presolo in disparte, gli raccontò tutto. "Hai fatto bene a rifiutare. E non credo che possa farti granché, non è in posizione di farlo e lo sa. E se chiederà di te la prossima volta, salirò io a portargli i libri dei conti. Voglio proprio vedere se ha il coraggio di dire qualcosa. Sì, voglio proprio vedere." Beniamino gli fu grato per questo atteggiamento: aveva fatto bene a parlargliene. Ma le disavventure di Beniamino erano appena iniziate. La domenica mattina andò al solito appuntamento con il conte. Questi, quando lo vide, gli disse: "Vieni con me." "Dove andiamo? Non va bene qui alla capanna degli uccellatori come al solito?" "No. Devo parlarti." "Non può parlarmi qui?" "Insomma, piantala! Vieni con me, ti ho detto!" disse spazientito l'uomo. Beniamino, un po' intimorito, lo seguì. Salirono verso il castello, fino alla costruzione della distilleria. Il conte lo fece entrare in una piccola stanza, una specie di ufficio. "Allora, Beniamino, ho saputo che te la rifai con Giannotto." "Giannotto?" "Non far il finto tonto. Abbiamo catturato un suo uomo e, sotto i tratti di corda, ha cantato su molte cose. E ha detto che il suo capo s'è preso una cotta per te." "E allora?" "E allora, tu devi aiutarci a catturare il bandito." "Io? Ma siete matto? Visto che quello ha cantato, perché non vi fate aiutare da lui?" "I miei uomini hanno un po'... esagerato. È morto." "Beh, non contate su di me: quelli sono problemi vostri, io non ci voglio entrare." "Ti darei un grosso premio: sai che c'è una taglia su di lui, no?" "Non mi interessa. E vi dirò di più: credo che questa sia l'ultima volta che ci vedremo, non ho più intenzione di venire da voi, ora che so che uomo spregevole siete." "Tu invece farai quello che ti ho detto!" disse il conte afferrandolo per un braccio. "Lasciatemi!" "Grida finché vuoi, qui nessuno ti sente!" disse il conte cercando di spogliarlo, "e tu ti farai fottere da me tutte le volte che vorrò!" "Lasciatemi!" gridò il ragazzo divincolandosi. Ma il conte era forte ed era eccitato, stava prendendo il sopravvento sul ragazzo. Caddero a terra e il conte già gli stava sciogliendo le braghe. Beniamino lottò con tutte le forze. Riuscì a sfuggirgli, ma l'uomo lo chiuse verso un angolo. "Non fare lo stupido, hai tutto da guadagnare a metterti con me. Calati i calzoni, ora, da bravo, dopo ne riparliamo con calma." disse, gli occhi pieni di lussuria, avanzando verso di lui. "Non mi toccate!" ansimò Beniamino e i suoi occhi caddero su un coltellaccio da potatura. Lo afferrò e lo impugnò minacciando il conte. Ma questi gli volò addosso, immobilizzandogli il braccio. "Ti voglio!" disse il conte piegandolo sotto di sé lentamente. Beniamino raccolse tutte le proprie forze per liberarsi, lottarono di nuovo e il ragazzo cadde sul coltello che gli si piantò su un fianco. Il conte, quando si rese conto dell'accaduto, impallidì. Lo lasciò. Beniamino si tolse il coltello dal fianco, lo gettò a terra e scappò fuori. Il conte non lo inseguì. Beniamino corse, scendendo verso il paese, corse con le ultime forze, sentendosi debole, sempre più debole, finché stramazzò sul limitare della Porta di Monte. Lo vide una donna, che gli si accostò: notata la grossa chiazza di sangue che gli si allargava al fianco, si ritrasse spaventata e corse verso la piazza per chiamare l'oste. Per via incontrò don Matteo, che vide l'espressione della donna. "Che è successo, Camilla?" "Beniamino, l'hanno ammazzato!" "Dove?" "Alla Porta di Monte! O dio dio dio!" Don Marco corse a perdifiato. Lo vide riverso a terra. Sentì che era ancora vivo. Gli premette con forza il fazzoletto sulla ferita, prese il ragazzo esanime fra le braccia e si avviò a passo svelto verso la canonica. Alla donna che l'aveva seguito disse di andare a chiamare il maestro Riccardo. Portò il ragazzo su fino alla sua camera e poco dopo arrivò Riccardo col figlio. Tolsero la casacca al ragazzo, esaminarono la ferita. "Ha perso parecchio sangue, ma non credo che abbia leso organi, le costole forse hanno fermato la lama. Dobbiamo comprimere la ferita e fasciarlo stretto." disse Riccardo. "Tu, prendi il cavallo e vai al paese a valle a cercare il medico, svelto!" disse poi al figlio. "Chi può essere stato?" chiese a don Marco quando furono soli. "Chi sa? Nessuno può aver voluto far del male a questo ragazzo: è un ragazzo buono..." "Mah, con la vita che fa..." "Ma fino al punto di cercare di ucciderlo? E poi, l'avrebbero potuto finire, una volta a terra. Forse è stata una disgrazia. Povero Beniamino." disse il sacerdote carezzando lieve una guancia del ragazzo. "Mah, lo rimetteremo in sesto, spero. Quanto ci mettono a venire?" disse l'uomo guardando l'orologio. "Devo andare in chiesa per la funzione. Lo affido a voi, Riccardo." "Sì, don Marco, andate tranquillo, resto io accanto a lui finché tornerete." "Grazie..." disse il sacerdote e andò a prepararsi. Durante la funzione fece pregare per le vittime della violenza. Non vedeva l'ora di tornare accanto a Beniamino, ma svolse la funzione come al solito. Quando salì in camera, c'era il medico. "Niente di grave. Dovrà mangiare sostanzioso e non muoversi per alcuni giorni, finché la ferita non si sia rimarginata. Ha la febbre alta, il problema è che la lama forse era infetta. Vi lascio questa crema: una volta a giorno dovrete cambiare la fasciatura e spalmare questo unguento antinfiammatorio. Se dovesse peggiorare la ferita, fatemi chiamare subito. Ma è un ragazzo giovane e forte, ha una buona costituzione, secondo me se la caverà."
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