PRETE PER SEMPRE CAPITOLO 2 - BENIAMINO

Don Marco si mise a preparare le prediche con solerzia. Poi le fece leggere a don Sergio, che le approvò in pieno, con entusiasmo.

"Belle, piene di vigore e di dolcezza. E di saldi insegnamenti dottrinali. Vi sono grato, don Marco. Peccato che saranno pochi i presenti e meno ancora gli ascoltatori. Ma chissà, si spera sempre che il buon seme cada in terreno fertile, almeno ogni tanto. Se le vostre prediche fossero utili anche a una sola persona, sarebbe valsa la pena di farle, ricordatevelo."

La domenica, all'uscita dalla chiesa dopo messa, don Marco si fermò a parlare con il maestro Perri.

"Complimenti e grazie mille per la vostra predica, mi ha toccato il cuore. È stato un vero piacere ascoltarvi."

"Mah, grazie. Avesse ascoltato qualcun altro..."

"Eh, chissà. Spero di sì."

"Eravate l'unico uomo..."

"Sì, Domenico è malato. Di solito non manca quasi mai. È una desolazione vedere la chiesa semivuota."

"Maestro, perché domenica prossima non suonate l'organo alla messa delle dieci?"

"Lo farei molto volentieri, ma è rotto e costa troppo ripararlo."

"Ma voi non suonate il violino?"

"Sì, certo."

"Allora, portate il vostro violino e suonatelo dalla cantoria, ve ne prego."

"Sì... può essere una buona idea. Contateci, mi preparerò durante la settimana."

"Grazie. E... dite, dove abita Domenico? Vorrei andare a trovarlo, visto che non può venire lui in chiesa."

"Ne sarà felice. Venite, vi mostro dove sta."


Don Marco, nel tempo libero, girava per il paese salutando, chiedendo il nome a giovani e bambini e ricordandolo in modo di salutarli per nome quando li avesse rincontrati, aiutava i vecchi a portare i pesi, andava a trovare chiunque sentisse dire che era malato. A poco a poco un po' tutti lo salutavano, anche quelli che continuavano a non farsi vedere mai in chiesa.

Una sera, mentre passeggiava chiacchierando col maestro, passarono davanti all'osteria del paese, da cui proveniva musica e allegri schiamazzi.

"Si divertono..." disse il maestro scuotendo il capo.

"Perché non andiamo a berci un bicchiere di vino?" "All'osteria? Ma don Marco..."

"Perché no? Scommetto che nessuno di quelli che ci sono dentro viene mai in chiesa. Perciò mi pare giusto che sia io ad andare da loro."

"Ma un sacerdote in osteria..."

"Credo che Nostro Signore ci sarebbe andato, anche se nei Vangeli non è scritto. E bere un bicchiere di vino non può farci male. Suvvia, maestro..."

"Mah... va bene. Andiamo." disse il maestro mite e incerto.

Entrarono e per un attimo scese il silenzio.

Don Marco salutò: "Buona sera a tutti!" e si avviò in un angolo dove c'era un tavolo libero dove i due sedettero.

L'oste si avvicinò: "Reverendo... maestro... È un onore..." disse con aria diffidente.

"Due bicchieri di bianco, di quello buono." disse don Marco mettendo una moneta sul tavolo.

"Due bianchi speciali per il reverendo!" gridò l'oste verso il ragazzo di bottega, mettendo il resto sul tavolo.

Il ragazzo arrivò con due bicchieri e li mise sul tavolo. Guardò il sacerdote con aria provocatoria e un sorriso sfrontato.

"Come ti chiami, prete?" gli chiese ad alta voce.

"Don Marco..."

"Dommarco? che nome è? Domenico, Domiziano, domestico, domani... ma dommarco?" disse il ragazzo e tutti risero ad alta voce.

Anche il sacerdote rise: "Ben trovata. E tu, come ti chiami?"

"Io? Io mi chiamo Beniamino." disse il ragazzo inchinandosi buffonescamente.

Don Marco gli sorrise: "Un nome molto bello, adatto a un ragazzo dagli occhi così luminosi e dolci." disse.

Il ragazzo lo guardò sorpreso, divenne improvvisamente serio e mormorò: "Grazie... Nessuno mai mi ha detto una cosa tanto gentile."

Il ragazzo si allontanò per servire altri clienti, ma di tanto in tanto guardava di nuovo verso il sacerdote. Un altro dei clienti spinse una delle ragazze che stavano nell'osteria verso il sacerdote:

"A lei non chiedete il nome?" chiese ad alta voce ridendo.

Tutti si girarono a guardare attenti e divertiti. Prima che il sacerdote avesse tempo di dire qualcosa, Beniamino intervenne.

Ad alta voce dise: "Ehi, Filippo, perché non suoni qualcos'altro? Una bella gavotta, dai, così posso ballarla con Margherita! Vero, Margherita?" disse prendendo per un braccio la ragazza che era stata sospinta verso don Marco e allontanandola dal sacerdote.

Si formarono diverse coppie e ballarono. Alla fine don Marco batté le mani e subito si unì all'applauso anche il maestro, poi altri. Allora l'uomo che aveva suonato, si avvicinò al maestro.

"Maestro, perché non ci suonate qualcosa voi?"

"Non so... non è il caso..."

"Sì, maestro, per favore!" disse Beniamino.

"Vi prego..." disse don Marco.

Il maestro allora si alzò con un sorriso schivo, prese il violino che l'uomo gli porgeva e iniziò: suonò una musica dolcissima, triste e allegra al tempo stesso, con toni da musica zigana. Tutti ascoltavano in un silenzio perfetto e Beniamino, appoggiato alla ragazza, continuava a guardare il volto del giovane sacerdote.

Poi tutti batterono le mani al maestro, e uno degli uomini offrì al sacerdote e al maestro un secondo bicchiere di vino che questi accettarono. L'atmosfera nell'osteria era tornata normale. Dopo un poco, i due si alzarono, salutarono e fecero per uscire.

Sulla porta Beniamino sbarrò loro il passo: "Promettete che tornerete!" disse deciso.

"Volentieri, Beniamino." rispose il sacerdote con un sorriso.

"Ci conto, don Marco. Ci conto." rispose il ragazzo con un sorriso radioso.

Quando furono fuori, il sacerdote disse: "Un bravo ragazzo, quel Beniamino."

"Sì, forse... Sapete come si guadagna da vivere?"

"Facendo il garzone di osteria, no?"

"E vendendo il proprio corpo agli uomini. Per questo all'inizio vi provocava in quel modo."

"Povero ragazzo... Chissà che cosa l'ha spinto a una vita così penosa?"

"È rimasto orfano di entrambi i genitori da piccolo, aveva undici anni... lasciato a se stesso."

"Non ha parenti?"

"Nessuno, almeno qui al paese. I suoi erano appena arrivati, nessuno li conosceva. Il padre era malato, è morto dopo un anno. E la madre si è uccisa un mese dopo la morte del marito."

"Dio mio! Povero ragazzo! Dev'essere molto solo, nonostante la sua aria spensierata. Ha occhi molto belli, ha un'anima ancora pulita."

"Forse..."


Beniamino era un ragazzo molto bello, di una bellezza acerba ma, per i suoi diciassette anni, aveva un bel corpo già ben formato. Quando era rimasto orfano era vissuto per un po' di carità. Finché un giorno, mentre raccoglieva more nei cespugli, era stato preso da due soldati del castello, trascinato nella macchia e, mentre uno lo teneva fermo, l'altro gli aveva calato i calzoncini e l'aveva violentato, poi s'erano dati il cambio: il ragazzino aveva dodici anni. Poco dopo l'avevano trovato, magro come un chiodo, nudo, in singhiozzi, due monaci che stavano risalendo all'abbazia. Lo soccorsero, cercarono di capire che cosa fosse accaduto, ma Beniamino si vergognava a dirlo: piangeva e taceva. Lo coprirono, lo portarono in abbazia.

All'inizio Beniamino si trovò bene: aveva un giaciglio, cibo, abiti. Aiutava in cucina. Non gli piaceva molto quella vita regolata nei minimi dettagli, ma non aveva di meglio. A quattordici anni s'era fatto un bel ragazzino florido e birichino, irrequieto. Spesso doveva essere punito per le infrazioni alle regole. Una volta fu sorpreso che stava bevendo di nascosto il vino dell'abate. Fu portato da questi. L'abate decise di dargli una punizione esemplare: gli fece calare i calzoni, lo fece stendere sulle sue gambe e cominciò a picchiarlo sul sedere con una paletta di legno. Beniamino provò dolore, ma non forte, e assieme a questo, piacere e si eccitò. L'abate se ne accorse e, avendo sempre avuto un debole per i ragazzini, si eccitò anche lui. Smise di picchiarlo, cominciò a carezzargli il culetto arrossato.

"Beniamino, io non voglio farti male, sei un bel ragazzino... ma perché ne combini sempre una?" gli chiese con voce improvvisamente dolce.

A Beniamino piacevano quelle carezze: "Non lo so..." rispose emozionato.

La mano dell'abate ora gli carezzava l'interno delle cosce, gli raggiunse il membro eretto e glielo carezzò.

"Oh Beniamino..." mormorò l'abate in preda al desiderio.

Lo fece alzare, gli tolse anche la casacca e lo carezzò sul petto, poi di nuovo sul sedere e un suo dito frugò nella piega, si soffermò a titillare il forellino e Beniamino fremette. L'abate lo tirò a sé e lo baciò, e Beniamino, docile, lo lasciava fare. E lo lasciò fare anche quando, fattolo girare, lo prese con insospettata dolcezza. A Beniamino piacque molto: com'era diverso da quando i soldati gli avevano fatto la stessa cosa! L'abate lo carezzava, lo baciava, gli diceva parole dolci...

Ma dopo, l'abate sembrò diventare nuovamente l'uomo severo e duro che era sempre stato: "Beniamino, tu sei figlio del demonio! Mi hai fatto cadere di nuovo in tentazione! Vai via, via, non ti voglio più vedere!" gli disse con occhi di brace.

Beniamino non capiva: si rivestì in fretta e uscì dalla stanza. L'abate dette ordine che il ragazzo fosse allontanato dall'abbazia. Lo fece affidare al padrone della bettola, un affittuario dell'abbazia, perché lo facesse lavorare e vivere là.

Ma l'abate desiderava quel ragazzo. Così, quando si trattò di andare dall'oste a controllarne i proventi per ritirare le decime, l'abate, con la scusa di voler sincerarsi di persona dell'andamento delle cose, scese fino in paese. Salì in casa dell'oste e gli chiese di mandargli Beniamino con i libri dei conti.

Quando fu solo col ragazzo, lo tirò a sé, prese a baciarlo, gli calò le braghe, lo fece chinare sul tavolo e, da dietro, e si unì di nuovo carnalmente con lui. L'oste era un uomo astuto: aveva immaginato dallo sguardo dell'abate, dall'espressione del ragazzo, che cosa fosse accaduto. E pensò di trarne profitto: dopo tutto, se il ragazzo si lasciava scopare dall'abate, poteva anche farlo con altri e l'oste ci poteva guadagnare.

Aveva notato, per esempio, come il capitano dei soldati guardava Beniamino. Una notte l'uomo andò dove dormiva il ragazzo. All'oste non interessavano i ragazzi, ma doveva essere sicuro, perciò, sedutosi accanto a Beniamino e svegliatolo, gli chiese di succhiarglielo. Il ragazzo non l'aveva mai fatto ma quando si trovò in mano il membro dell'uomo, si eccitò e aderì di buon grado alla strana richiesta fino a portare l'altro al godimento.

"Ti è piaciuto, Beniamino?" gli chiese l'uomo mentre se lo rimetteva nei calzoni.

"Sì." rispose il ragazzo tranquillo.

Allora l'oste gli fece un discorsetto: "Senti, visto che a te piace e che ci sono persone a cui tu piaci, se ci stai, io ogni volta ti regalerò una moneta."

Così Beniamino lo fece col capitano, poi con altri e a volte anche con l'abate.


Aveva sedici anni, quando gli capitarono due avventure particolari. La prima in primavera: stava traversando il bosco del conte, sua riserva di caccia, tornando al paese dopo aver fatto una commissione per l'oste. Un po' stanco, s'era sdraiato al sole in una piccola radura, quando era arrivato il conte a cavallo.

"Che ci fai qui? Lo sai che nessuno può entrare nel mio bosco? Chi sei?"

"Non faccio niente di male, signore: sono il garzone dell'osteria, stavo tornando al paese e mi riposavo. Passando per il bosco la strada è molto più breve." disse Beniamino alzandosi subito in piedi e inchinandosi.

Il conte scese da cavallo, legò le briglie a un ramo e gli si accostò: "Dovrei farti punire." gli disse squadrandolo.

"Signore, non ho fatto niente di male."

"Sei entrato nel mio bosco senza permesso." disse il conte girandogli attorno e guardandolo.

Beniamino lesse la libidine negli occhi dell'uomo: ormai se ne intendeva, e pensò di approfittarne per cavarsi d'impiccio.

"Signor conte, ditemi come posso farmi perdonare: qualsiasi cosa volete, io sono pronto." disse con voce tentatrice.

"Qualsiasi cosa, dici?" chiese l'uomo chiaramente attratto.

"Certo, signore, qualsiasi cosa... con piacere..."

"Con piacere?" chiese l'uomo puntandogli il manico della frusta fra le gambe e sfregando lieve.

Beniamino si slacciò i legacci delle braghe e le lasciò scivolare sulle anche. Vide gli occhi del conte accendersi di lussuria.

"Girati, allora." gli disse l'uomo con voce roca e lo prese lì in piedi fra gli alberi, pieno di gusto per la pronta risposta del ragazzo.

"Sei un bravo ragazzo." gli disse dopo il conte, "Non ti voglio punire. La domenica mattina io vengo spesso a cavalcare da solo qui."

"Ho capito, signore..."

"Se ti farai trovare, ti darò una moneta, ragazzo."

"Può contarci, signore."

La seconda avventura, fu in estate. Beniamino, una domenica pomeriggio, era andato al torrente dietro la collina per bagnarsi: era un punto tranquillo e solitario che aveva scoperto da tempo. Là poteva spogliarsi nudo, guazzare nell'acqua fresca, poi stendersi al sole per asciugarsi. La domenica l'osteria era chiusa, perciò tutto il tempo era libero per lui. La mattina era stato al solito appuntamento col conte. Era tornato in osteria per mangiare, e ora si godeva il caldo pomeriggio. Stava steso, nudo, gli occhi chiusi quando un'ombra gli intercettò gli occhi. Guardò: riconobbe Giannotto. L'uomo lo guardava sorridendo.

Quando vide lo sguardo di Beniamino gli disse: "Ehi, lo sai che sei un gran bel ragazzo?" e, accoccolatoglisi accanto, gli passò una mano sul petto, sul ventre e sui genitali che risposero prontamente a quella carezza. "Ti piace, eh, monello!"

"Sì..."

"Anche a me... senti qui come m'è diventato duro! È un bel po' che non faccio più l'amore e anche se non sei una ragazza..." disse l'uomo iniziando a spogliarsi.

Beniamino pensò che l'uomo aveva un gran bel corpo, anche se un po' troppo peloso. L'uomo lo fece stendere sull'erba e gli andò sopra. Beniamino lo accolse in sé, eccitato, e fecero l'amore. Giannotto ci metteva una passione che il ragazzo non aveva trovato in altri uomini: lo carezzava, lo baciava, lo stringeva con forza e tenerezza a un tempo mentre gli pompava dentro con focosa gioia.

"Ragazzo, sei meglio d'una donna, tu..." gli mormorò alla fine, soddisfatto, carezzandolo.

"E tu sei un vero uomo." sospirò il ragazzo.

"Modestamente... Ragazzo, ti voglio ancora."

"La domenica pomeriggio, qui?" propose Beniamino.

"Sì, perfetto. Tu sei il ragazzo dell'osteria, no?"

"Sì..."

"E sai chi sono io, no?"

"Sì..."

"Non mi tradirai?"

"Mai, lo giuro."

"Stai attento a te..." disse l'uomo in tono di minaccia, si rivestì e se ne andò.

Beniamino, per un attimo, pensò che gli sarebbe piaciuto seguirlo, stare con lui. Ma tutto sommato, pensò, era più piacevole la vita nell'osteria che non la vita brada di bandito.

Venne l'inverno e Beniamino non andò più agli appuntamenti della domenica: faceva troppo freddo, fuori. Il conte stesso gli aveva detto che era meglio smettere così come lui lo disse a Giannotto. Ma una sera, l'oste, con aria preoccupata e misteriosa, disse a Beniamino di andare nella stalla. C'era Giannotto.

"Non resistevo: ti voglio."

"Ma... venire così in paese, è pericoloso."

"Ne vale la pena, per te. Vieni, svelto." gli disse l'uomo tirandolo verso il mucchio di fieno.

Qell'uomo rude, poco pulito, eppure tenero, affascinava Beniamino che gli si dava con trasporto. Gli piaceva sentire il forte corpo maschio su di sé, gli piaceva sentire quanto l'uomo lo prendesse con gusto e con virile dolcezza, gli piaceva godere di lui, per lui, con lui... e farlo godere in sé.

Le visite di Giannotto si ripeterono. Finché qualcuno lo riconobbe e denunciò le sue visite al conte. Una sera entrarono nell'osteria il capitano con quattro soldati.

"Dov'è Giannotto?" chiese ai clienti sbigottiti.

"Non c'è nessun Giannotto, qui. E voi non avete diritto di entrare qui se non come clienti, questa osteria appartiene all'abbazia, non è sotto la giurisdizione del conte!" disse l'oste preoccupato.

Il capitano ordinò ai soldati di cercare e fece per picchiare l'oste che cercava di opporsi. Beniamino bloccò il braccio del capitano e allora questi gli dette un manrovescio.

"Capitano! Non siete così quando mi scopate, eh?" gli sibilò Beniamino guardandolo duro negli occhi. Il capitano si fermò e lo guardò truce. Beniamino continuò sottovoce: "Andatevene, o dirò a tutti perché venite di tanto in tanto a bere qui..." Allora il capitano richiamò gli uomini e uscì, furente.

Beniamino si chinò a soccorrere l'oste che stava a terra.

"Allegri, non è successo niente!" disse il ragazzo ad alta voce e riprese a servire ai tavoli, sorridente.

Il capitano non andò più nell'osteria.

Beniamino pregò Giannotto di non rischiare inutilmente: "Aspetta che il tempo sia di nuovo buono: verrò io da te." gli disse con affetto.


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