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una storia originale di Andrej Koymasky


L'ANIMA NEL TELEFONINO CAPITOLO 14 - GILLES

"Sì, una sola volta. Sono Gilles, sono nato a Tournai nel 1327 e sono figlio di un tintore. Cresco bene, tranquillo, in una casa senza problemi economici. Quando ho tredici anni, un garzone di mio padre mi insegna a masturbarmi: giochi da ragazzini, niente più. Ma quando quello smette, a me manca il piacere di stringere un membro eretto, di essere toccato. Così comincio a guardarmi attorno in cerca di qualcuno a cui insegnare quel bel gioco. Fino ai quindici anni lo faccio con diversi altri ragazzini, ma tutti, dopo un primo entusiasmo, cominciano presto a interessarsi alle ragazze e non vogliono più farlo con me.

A me le ragazze proprio non interessano. Ci provo un giorno con un ragazzo più grande di me. Lui mi dice di piantarla e mi dice che è un peccato mortale. Non ci avevo mai pensato. Sono abbastanza colpito dalla cosa: io sono un buon cristiano, quei giochini fra ragazzi certo si facevano in segreto, ma solo perché i grandi non capiscono mai le cose che piacciono a noi ragazzi e perché comunque di certe cose non si parla: nemmeno i grandi che pure le fanno. Ma che potesse essere un peccato mortale!

Allora vado a confessarmi e il prete conferma le parole del ragazzo. Io entro in crisi. Certo che non voglio fare peccati. Certo che sono pentito. Certo che non lo farò mai più. No, neanche da solo. Mi assolve. Ma fra il dire e il fare... Il desiderio è forte. Sempre più forte. Inizia per me una battaglia contro me stesso, contro il mio desiderio. Finché un ragazzino più giovane di me, Jean, ci prova e io ci casco e mi piace da matti, anche perché il ragazzino me lo succhia: non l'avevo mai provato prima, è bellissimo... Mi piace sentire le sue labbra dolci sul mio paletto eretto, la sua lingua frullare sulla punta infuocata del mio arnese fremente, e mi piace il sorriso gioioso con cui si dedica al mio piacere. Sì, mi piace molto. E provo un piacere fortissimo quando lui beve tutto il mio seme a grandi sorsate, continuando a leccarmi il glande ipersensibile...

Dopo mi vado di nuovo a confessare, il prete mi minaccia le pene dell'inferno, il fuoco eterno se non mi ravvedo. Ricomincia la mia lotta con me stesso, ma Jean mi circuisce e mi fa cedere di nuovo, più volte, e io provo un piacere crescente a farmelo succhiare dal goloso ragazzino. Mi sembra di impazzire, come se in me ci fossero due "io" opposti, uno buono e uno cattivo, uno santo e uno figlio del demonio... Prego, prego intensamente, ma ci ricado. E quando un giorno Jean, dopo avermi ben bene eccitato con la sua dolce bocca, mi convince a penetrarlo, mi pare una cosa così sublime che mi chiedo per la prima volta come possa essere peccato. È così bello essere inguainati in quello stretto e caldo canale, muoversi su e giù dentro di lui e sentirlo guaire di piacere, sentire sotto di me quel corpo tenero e gentile muoversi e mugolare per il piacere nel darmi piacere... È così bello inondare il suo caldo canale col mio seme; poi, mentre mi rilasso, è anche molto bello essere abbracciati e carezzati da Jean, che mi ringrazia per averlo fatto felice...

Ma le convenzioni religiose sono forti. Mi confesso ancora, lotto di nuovo, resisto a Jean nonostante mi sia difficile. Riesco a farlo desistere. Jean è ferito, deluso di me, e questo mi da dolore, poi il ragazzino si trova un altro amante e mi sento geloso... E in realtà il desiderio sembra rafforzarsi in me. A volte vorrei andarlo a cercare. A volte guardo i compagni con libidine malamente dissimulata. A volte mi masturbo furiosamente... per poi andarmi a confessare. Il prete mi terrorizza. Io mi sento perso. Questa storia dura mesi e mesi.

Ho diciassette anni, quando il prete, a cui dico tutta la mia pena, decide di fare un esorcismo su di me per mandare via il diavolo che evidentemente si è impossessato di me. Ma non accade assolutamente nulla. Il prete allora mi ordina di passare la notte in chiesa, prostrato davanti al grande crocifisso, fra quattro candele accese e di pregare ininterrottamente.

È piena notte. La chiesa è silenziosa e solo le candele davanti alla statua della Madonna col Bambino e attorno a me sono accese. Io prego, piango, invoco la Madonna di aiutarmi... A un certo punto vedo come una grande luce, fortissima, emanare dalla statua e mi sembra che la vergine mi sorrida. Poi non vedo più neppure la statua, solo la luce sfolgorante. Mi alzo in piedi, mi avvicino come se fossi in trance, attratto. D'improvviso è come se si materializzasse una figura diafana, che non distinguo chiaramente: un angelo? la Madonna stessa? un santo? Non lo so, non capisco.

Poi sento una voce che mi dice di smettere di angustiarmi. La mia vita sarà breve, morirò fra quattro anni esatti, ma avrò quattro anni di felicità, perché incontrerò la persona giusta, anzi, questa persona mi sta aspettando proprio ora, fuori dalla chiesa. Mi dice di andare, di affidarmi a questa persona: "siile fedele e quando morirai, ti aspetta il paradiso" dice la voce. Io esco: la grande porta sbarrata è spalancata senza che nessuno l'abbia aperta, d'altronde le chiavi le ha solo il parroco. Esco, la notte è chiara. Mi guardo attorno.

Sotto la croce di pietra è seduto qualcuno. Mi avvicino. È un giovane uomo, bellissimo. Vestito da pellegrino. Mi sorride, gli sorrido incerto. Mi dice che mi aspettava, mi chiede se voglio andare con lui. Gli dico di sì. Mi giro verso la chiesa, la luce non c'è più, la porta è di nuovo sbarrata. Lui si alza, mi prende per mano e mi porta fuori dalla città. Mi porta in un fienile, tira fuori una lanterna dal suo sacco e con la pietra focaia la accende. Poi mi dice di spogliarmi e si spoglia anche lui: è davvero bellissimo. Si adagia sul mantello che ha steso sul fieno, mi invita a raggiungerlo e mi dice di amarlo.

Mi stendo a fianco a lui. Mi abbraccia, mi sento eccitato ed emozionato. Mi bacia in bocca, ed è un bacio bellissimo, lungo, pieno di passione. Poi scende a baciarmi, lecchettarmi, suggermi per tutto il corpo, si sofferma sui miei capezzoli turgidi, e mi pare di morire per il piacere. Giunge ai miei genitali e allora io che, essendosi lui girato ho il suo bellissimo arnese davanti ai miei occhi, quasi contemporaneamente a lui, schiudo la bocca e vi prendo quello stupendo membro. Siamo uniti in un cerchio di piacere e di gioia, e dentro di me sento che quello che stiamo facendo è bello e giusto... e santo.

Facciamo l'amore, ci uniamo, io sono suo e lui è mio ed è dolce e bello. Quando mi prende mi fa stendere sulla schiena, mi è sopra, mi penetra e mentre si muove in me mi tiene fra le sue braccia e mi bacia. Lo sento scivolarmi dentro e fuori e il piacere è immenso, un piacere non solamente fisico. Sento di appartenergli, sento di aver trovato il mio posto nel mondo, fra le sue braccia. Mentre si muove in me, mi carezza, mi sorride, mi bacia, mi sussurra parole dolci. Mi sento in paradiso. Poi, è lui a donarsi a me, e non saprei dire se mi piace di più essere preso da lui o prenderlo. Direi quasi che non c'è differenza, mi piace accoglierlo in me, mi piace come lui mi accoglie in sé.

Sento di amarlo intensamente, e sto per dirglielo, quando lui mi dice proprio in quel momento che sa che lo amo, che anche lui mi ama, che se lo seguo sarò felice fino alla fine dei miei giorni e anche oltre. Gli giuro che sarò sempre e solo suo. Ci addormentiamo abbracciati. Io mi sento felice, non ho rimorsi: è lui l'uomo che mi è stato inviato, con cui sarò felice per quattro anni.

All'alba partiamo. Si cammina lietamente. Si chiede l'elemosina di paese in paese, di villaggio in villaggio, di città in città e la gente ci dona sempre cibo, giusto per la giornata. A sera troviamo sempre un riparo, un luogo in cui dormire e fare l'amore. Durante il giorno si parla di mille e una cosa: non mi stanco mai di ascoltarlo. In inverno troviamo ogni giorno chi ci ospita per la notte al caldo e sempre in modo che possiamo fare tranquillamente l'amore. Non passa giorno che non si faccia l'amore almeno una volta, in tutta tranquillità, godendo pienamente l'uno il corpo dell'altro in gioiosa e vigorosa tenerezza. Il suo corpo è talmente bello che mi commuove solo guardarlo, i suoi genitali sono così perfetti che vorrei non dovesse mai coprirli con gli abiti. Adoro essere suo, adoro farlo mio.

È come un sogno. Non abbiamo nulla eppure non ci manca mai nulla. Solo per darti un'idea della nostra vita, ti racconto tre episodi straordinari. Un giorno i suoi sandali si rompono in modo che sarebbe impossibile ripararli. Lui ride, li getta in un fosso e riprende a camminare a piedi nudi. Proprio in quel momento passa un uomo a cavallo, che va di tutta fretta. Quando ci supera, qualcosa cade dalla sua bisaccia e atterra davanti a noi. La prendo, è un involto. Lo apro, c'è un paio di sandali nuovi, esattamente della misura dei piedi del mio amante, che li mette tranquillo e riprendiamo a camminare. In modo simile, un altro giorno le mie brache, ormai vecchie e consunte, si strappano malamente. Mi coprono appena i genitali, ma un po' mi vergogno ad andare in giro in quel modo. Lui dice di non preoccuparmi. Passiamo davanti a una casa e esce una donna con aria accigliata, un paio di brache nuove in mano. Ci vede e si apre in un sorriso. Dice che aveva cucito le brache per il suo figlio maggiore ma che ha sbagliato a tagliare la stoffa sì che sono venute troppo piccole. Mi guarda e dice che dovrebbero andarmi bene. Me le dona. Mi stanno indosso in modo perfetto, quasi avesse preso le mie misure.

Ma il fatto più curioso avviene un giorno che siamo sulla piazza di un villaggio. Io mi sento terribilmente eccitato, così gli sussurro che ho voglia di fare l'amore con lui. Sorride, mi prende per mano e mi guida verso un mucchio di fieno che c'è in un angolo della piazza. Mi dice che possiamo fare l'amore lì. Io mi guardo intorno, c'è parecchia gente e il fieno è in piena vista... In quel momento suona la campana della chiesa, e tutti vi entrano, così restiamo soli. Lui mi tira sul fieno, mi spoglia, lo spoglio e ci uniamo, in pieno giorno, nella piazza ora deserta. Sento, so, che non devo temere nulla. Infatti lo prendo con calma, mi faccio prendere da lui, facciamo l'amore finché entrambi siamo pienamente soddisfatti. Ci rilassiamo tranquilli, poi ci alziamo e ci rivestiamo. E dalla chiesa la gente esce e riprende tranquillamente le proprie attività...

Di questi fatti straordinari te ne potrei raccontare decine.

Girovaghiamo senza meta, andando dove il vento ci porta, come dice lui. Lo amo intensamente e mi sento colmo del suo amore. In primavera ci intrecciamo corone di fiori, in estate ci bagniamo nei fiumi, in autunno mangiamo le more e i mirtilli, in inverno giochiamo con la neve e ci godiamo l'un l'altro giorno dopo giorno. Nulla ci turba, mai un solo momento. Far l'amore con lui avviene sempre così spontaneamente, che sia di giorno o di notte, all'aperto o al chiuso, e mai nessuno viene a disturbare i nostri momenti di appassionata unione.

Viene il 1347, la peste infuria in tutta l'Europa, devasta la Francia. All'inizio aiutiamo a seppellire i morti, poi sono troppi, e si deve bruciarli. Continuiamo a vagare. Anche in quei giorni terribili, a noi non manca nulla e il nostro amore continua a fiorire. So che ormai mi resta poco da vivere, i quattro anni stanno per passare, ma non ho paura.

Infatti la peste mi coglie nel 1348: è peste polmonare. Lui mi assiste, non mi lascia un attimo. Mi dice di non preoccuparmi, che andrò via nel sonno, senza dolori. Infatti così è. Una sera, dopo avermi baciato, mi dice di chiudere gli occhi: "è ora che ci separiamo, mio dolce Gilles", mi sussurra dolcemente. Annuisco, gli sorrido, chiudo gli occhi... e mi stacco da quel corpo dimagrito e senza forze, con dolcezza. Vedo lui chino su di me che sorride e mi carezza, poi una grande luce, come quella notte nella chiesa, poi più nulla: sono di nuovo un'anima senza corpo..."

"Ma lui, era reale, concreto, vero..." chiese Eugenio con tono sconcertato.

"Tanto vero da farci l'amore per quattro anni esatti. Tanto concreto da sentirlo in me e da entrare in lui. Tanto reale da aver bisogno di mangiare e di andar di corpo... No, non è un sogno, te lo assicuro. Non è stato affatto un sogno."

"Ma... e la visione?"

"Anche quella, non era un sogno: infatti lui c'era, mi aspettava, era venuto per me. Quando gli ho chiesto come mai fosse là fuori, mi ha detto che semplicemente era arrivato lì nei suoi giri e che aveva avuto bisogno di sedere sotto quella croce. E che quando mi ha visto, ha sentito che io ero la persona che aveva sempre aspettato, sperato di incontrare, per cui un giorno aveva abbandonato il suo lavoro di falegname e si era messo a girare."

"Ha dell'incredibile..."

"Non ti capisco: ti sembrava tutto più normale quando ero costretto a prostituirmi o quando ero violentato? La vita è fatta di cose dure e di cose dolci, di cose squallide e di cose magiche: non si può accettarne solo una parte."

"Ma magari tutti i quattro anni prima di morire sono solo il frutto di un'allucinazione dovuta alla peste... che si è sovrapposta ai quattro anni veri della tua vita..."

"No, lo escludo nel modo più categorico, avrei potuto avere un'allucinazione come corpo, ma me ne sarei reso conto una volta che il mio corpo era morto. Lo so perché ho avuto allucinazioni, in altre mie vite ma quando torno a essere anima staccata dal corpo, rivedo contemporaneamente, come sovrapposte, l'allucinazione e la realtà che mi circondava in quel momento e come anima sono capace di distinguerle. Niente di tutto questo per gli ultimi quattro anni di Gilles. Devi credermi."

"Non lo so... questo tuo ultimo racconto mi ha lasciato piuttosto perplesso: bello, ma così inverosimile!"

"Perché le cose belle devono sembrare inverosimili? Un po' come quando si vede un fiore bellissimo e si dice che pare finto, o un fiore artificiale molto ben fatto e si dice che pare vero... Tutto ciò che è bello non deve essere creduto? L'uomo è un ben buffo animale."

"Se tu ne sei l'anima, ne fai parte, no?"

"Ma almeno io, dopo, ho una visione oggettiva delle cose. Come uomo invece sempre e solo una visione soggettiva, anche quando si dice di essere oggettivi. Credo che sia colpa dei sensi: vi fidate troppo di ciò che credete di vedere, sentire. È il cervello che vi frega, perché interpreta. Io, almeno in questa fase, non interpreto: so. Poco, ma so..."

"Non ti pare di essere presuntuoso?"

"Non mi è possibile esserlo."

"Nessuno al mondo è umile come me... disse il superbo!" ridacchiò Eugenio. Poi chiese, "Sì... ma tu, ora, come ti spieghi questi... miracoli, visioni..."

"Non me li spiego, non so come e perché avvenissero. Semplicemente, sappiamo troppo poco per spiegare tutto. Come la telepatia, per esempio. Ci sono cose che l'uomo ha in sé e che non capisce, non conosce, e allora le etichetta come miracoli, o magie, o il caso, il fato, il destino, Sembra sempre così difficile dire semplicemente: non capisco, non ho abbastanza conoscenza, non ho elementi per capire..."

"Quindi tu credi nei miracoli?"

"Chiamali così, se vuoi. Credo semplicemente che accadano cose che non ci sappiamo spiegare."

"Ho notato che mentre raccontavi, non hai mai detto una sola volta il suo nome, come si chiamava?" chiese Eugenio

"Non lo so, non gliel'ho mai chiesto."

"Eh? Non gliel'hai mai chiesto? Ma come facevi, per esempio, per chiamarlo?"

"Non ho mai dovuto chiamarlo, quando pensavo di chiamarlo, di dirgli qualcosa, lui era già lì che mi guardava, pronto ad ascoltarmi..."

"Ma, mentre ci facevi l'amore, non ti veniva di mormorare il suo nome?"

"Certo... Amore, lo chiamavo."


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