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una storia originale di Andrej Koymasky


L'ANIMA NEL TELEFONINO CAPITOLO 17 - DANIELE

"Dicevi che sei stato anche tanti altri italiani... Il più recente, chi è stato?" chiese Eugenio.

"Daniele, nato a Modena nel 1836 e morto a Liverpool nel 1883. Mia madre è una borghese, mio padre un fervente carbonaro, un intellettuale che è stato imprigionato dopo i moti del '31 ed è uscito nel '37 di prigione. Io sono il secondogenito, mio fratello Giuseppe è nato nel 1830. Ma subito dopo la mia nascita, la mia famiglia decide di trasferirsi a Londra, poiché la polizia a Modena lo tiene sotto strettissima sorveglianza.

Così, di fatto, cresco a Londra e vivo in Inghilterra fino alla mia morte. A Londra c'è un nutrito gruppo di esuli italiani e anche la scuola italiana per i loro figli, così cresco bilingue. Mio padre entra subito nel movimento dei Cartisti, un gruppo inglese che chiede il suffragio universale, il voto segreto, un'indennità ai parlamentari eletti perché anche quelli delle classi inferiori possano essere eletti e vivere occupandosi a tempo pieno del parlamento.

Abitiamo nel West End di Londra, la zona più povera, degli immigrati che le fiorenti industrie richiamano in gran numero. Nel 1851 c'è la Prima Esposizione Universale a Londra, l'esposizione delle nuove tecniche e delle nuove industrie che viene inaugurata dalla regina Vittoria a Hide Park. Ho quindici anni: vengo assunto nel padiglione del regno di Piemonte e Sardegna grazie al mio bilinguismo perfetto. Mi piace quel lavoro e quell'ambiente animato e internazionale in cui tutte le nazioni espongono il meglio della produzione delle loro industrie. Nel poco tempo libero lo giro sistematicamente.

Qui conosco un altro ragazzo, un inglese che lavora come me lì dentro. Si chiama Joseph, ha sedici anni. Nasce un'istintiva reciproca simpatia. Il primo di noi che è libero va al padiglione dell'altro e se siamo liberi tutti e due, si gira assieme. La nostra amicizia dura anche oltre la fine dell'Esposizione. Joseph mi propone di andare a lavorare con lui da un libraio-editore di Oxford Circus che si sta espandendo e cerca personale nuovo.

Ho sedici anni, sto mangiando con Joseph nel magazzino della libreria, quando il mio amico mi chiede se mi piace Doroty, la figlia del padrone. Gli dico che la trovo troppo superba. Lui allora mi chiede se però non ci farei l'amore, anche solo una volta. Gli dico che non ci ho mai pensato. Allora mi chiede se ho mai avuto voglia di provarci con una ragazza. Rispondo di no, che a quelle cose non ci ho ancora mai pensato. Lui sorride e mi chiede se non mi viene mai duro. Sì, certo, dico io tranquillo. E come fai, allora? chiede lui. Senza vergognarmi, in fondo siamo amici, gli rispondo che mi masturbo. Lui sorride e dice che anche lui fa così.

Pochi giorni dopo, mentre stiamo sistemando libri in uno scaffale, lui mi dice che ce l'ha duro, e mi guida la mano a sentire. Palpo, sorrido e gli chiedo se non ha voglia di menarselo. Lui sorride ma dice che purtroppo lì non può: potrebbe arrivare qualcuno e sarebbe piuttosto imbarazzante. Aggiunge che di me non si vergognerebbe: siamo amici, noi due.

I nostri discorsi, a poco a poco, diventano più intimi, più espliciti. Una sera mi invita a cena a casa sua. Passiamo ad avvertire i miei. Mia madre obietta che non le va che io torni a casa da solo di notte. Joseph allora dice che magari posso fermarmi a dormire da lui e la mattina andiamo al lavoro assieme.

Mi presenta ai suoi genitori, ceniamo, si chiacchiera un po', poi viene l'ora di andare a letto. Logicamente io dormirò nel letto del mio amico. Ci mettiamo sotto le coperte con i soli mutandoni indosso. Parliamo un po', poi Joseph mi propone di masturbarci l'un l'altro. Accetto. Ci apriamo le mutande, ci tocchiamo: mi piace sentire le sue mani su di me, il suo affare duro palpitare nelle mie mani. Il tutto avviene tranquillamente, gradevolmente, fino a che raggiungiamo entrambi la soddisfazione. Penso che sia finito così, che ora dormiremo, invece lui mi scopre e mi carezza, guardandomi e mi sussurra che gli piaccio molto. Le sue parole mi danno piacere, le sue carezze sul petto, sul ventre, sui genitali morbidi, mi fanno ancora più piacere. Mi sto eccitando di nuovo, lui mi chiede di carezzarlo, lo faccio volentieri...

Mi sugge i capezzoli, è bello, perciò lo imito. Sento che quello che stiamo facendo è diverso da prima: prima era poco più di un gioco fra adolescenti, ora è qualcosa di più intimo, più bello, più intenso... Lui si gira in modo di leccarmi il ventre, scende, e comincia a leccarmi e succhiarmi fra le gambe. Sussulto per il piacere e gemo. Mi sussurra di far piano o ci sentono. La consapevolezza di questo mi eccita ancora di più. Il suo membro dritto, palpitante, è a un palmo dal mio viso. Lo guardo con piacere, lo carezzo, poi inizio a baciarlo lievemente, provo a leccarlo: palpita, caldo, forte. Mi piace molto. Provo a farmelo scivolare fra le labbra ed è Joseph questa volta a sussultare per il piacere.

Lo succhio come lui sta facendo a me e la doppia sensazione, fra le mie gambe e in bocca, mi inebria. Ci carezziamo per tutto il corpo, continuando, in un crescendo di belle sensazioni. Vengo e con mia sorpresa lui non si toglie ma beve tutto e frattanto viene. Mi tiene la testa premuta sul suo pube, e anche io sento il suo sapore, strano ma piacevole... Quando ci stacchiamo e lui si gira di nuovo, io gli sussurro che così è meglio che solo con le mani... Gli chiedo chi gli ha insegnato una cosa così bella... Mi dice che è stato tre anni prima un suo cugino che ora fa il soldato.

Tra noi ora c'è più che amicizia: c'è complicità. Mi invita ogni tanto a casa sua, anche io inizio a invitarlo e, poiché ogni volta dormiamo assieme, rifacciamo l'amore in quel modo piacevole. Si continua così per circa tre anni, cioè finché lui riesce a entrare nella marina militare, un suo vecchio sogno, e così ci si lascia.

Per un anno non ho altri rapporti sessuali. Aspetto Joseph che sta combattendo in Crimea. Frattanto ho compiuto venti anni e sono diventato commesso nella libreria. Viene spesso a curiosare fra le novità uno studente universitario, un ragazzo di ventidue anni che si chiama Edward. Quando scopre che sono italiano, si mette a parlare in italiano con me. A poco a poco diventiamo amici. Lui è un grande ammiratore del rinascimento italiano. Ogni tanto compra un libro di stampe sull'arte italiana.

È appena uscito un bel libro in sesto con stampe dell'Apollo del Belvedere, del Laocoonte e altri nudi. Quando Edward viene glielo faccio vedere. Lui lo trova molto bello, si sofferma specialmente a guardare la riproduzione dell'Apollo e mi dice che il suo sogno è poter andare a Roma a vedere gli originali. Le sue dita sembrano carezzare la figura dell'Apollo. Io, per la prima volta, penso che mi piacerebbe se le sue dita carezzassero così il mio corpo... Edward mi sembra più bello che mai, mi eccito al pensiero.

I nostri sguardi si incontrano. Lui torna a sfogliare il libro, e l'apre sulla sezione delle stampe che riproducono i dipinti della cappella Sistina..."

"Ah, torna la Cappella Sistina?" lo interruppe Eugenio.

"Sono belli i nudi di Michelangelo, anche nelle riproduzioni a stampa, in bianco e nero. Si ferma sulla pagina della Cacciata dal Paradiso terrestre e mi dice: guarda quanto è bello Adamo e quanto pare una vecchia strega Eva! Sorrido e dico che secondo me il corpo maschile ha più fascino di quello femminile. Lui mi guarda lievemente sorpreso, ma annuisce e aggiunge: specialmente quello di voi italiani è bello... poi chiede con aria maliziosa: ma ce l'avete davvero sempre così piccolo? e indica quello di Adamo.

Gli dico di no, che almeno il mio è più sviluppato... Il gioco dei nostri sguardi si fa più malizioso, mi dice che non ci crede e io gli rispondo che sono pronto a dimostrarglielo. Lui mi chiede con l'aria di prendermi in giro: qui? No, dico io, altrove. Lui allora mi chiede se sarei disposto a posare per lui. Nudo? gli chiedo io. Certo, nudo, dice lui. Perché no? rispondo.

Il tutto sembra uno scherzo fra giovani, compra il libro, mi ringrazia, va via. Ma pochi giorni dopo torna, all'ora della chiusura, e mi chiede, in italiano, se mi davvero va di andare nella sua stanza per posare. Gli dico subito di sì. Aspetta la chiusura e lo seguo. Ha una stanzetta all'ultimo piano di una casa di Soho. Tira fuori un album da disegno, una matita, siede su uno sgabello e mi dice che lui è pronto: se voglio spogliarmi...

Mi spoglio davanti a lui e il suo sguardo non mi perde di vista un solo momento, sì che a poco a poco mi eccito e quando sono nudo ho una mezza erezione. Mi fa mettere in posa, inizia a schizzare, poi mi viene vicino per correggere la mia posizione. Le sue mani sulla mia pelle nuda mi eccitano di nuovo e ora ho un'erezione completa. Lui se ne accorge e sorride e dice che è vero che ce l'ho più grosso che nei disegni di Michelangelo... e me lo carezza. Fremo e lui me lo stringe, lo palpa... Lo tiro a me e lo palpo a mia volta fra le gambe e sento la sua erezione. Inizio a spogliarlo e lui mi lascia fare.

Lo denudo, lo sospingo verso il vicino letto, si stende, gli salgo sopra e lui mi abbraccia. Ci baciamo sfregandoci l'uno contro l'altro lasciando finalmente libero sfogo al reciproco desiderio. Ci eccitiamo: Edward mi piace, è incredibilmente caldo a letto, perde quella timidezza che lo contraddistingueva, reagisce con passione alle mie carezza, ai miei baci. Finché mi prega di penetrarlo...

Gli dico che non l'ho mai fatto, lui allora mi guida in sé: sentire il desiderio con cui mi si offre mi eccita moltissimo, e finalmente inizio ad affondare in lui e provo un piacere incredibile. Lo prendo con vero entusiasmo, mi si dà con altrettanto entusiasmo... Quando finalmente ci rilassiamo, languidamente abbracciati, lui mi chiede se voglio diventare il suo amante. Gli rispondo di sì, senza esitare e lui mi carezza felice.

Quando ci alziamo da letto, vado a vedere quello che stava disegnando. Lui ridacchia arrossendo appena e mi dice che non sa disegnare: era solo una scusa per portarmi lì, per vedermi nudo. Lo abbraccio dicendogli che preferisco così che il contrario: che volesse davvero disegnare ma non fare l'amore con me... Lui arrossisce di nuovo ma è contento.

Edward è un amante davvero delizioso, pieno di premure, di attenzioni, di delicatezze nei miei confronti. A poco a poco mi rendo conto che mi sto innamorando di lui. Deve vedersi perché mio fratello mi chiede se mi sono fatto la ragazza. Nego, ma lui non mi crede. Ma non posso certo dirgli che mi sono fatto il ragazzo! I miei non lo ammetterebbero mai.

Il problema si presenta dopo circa due anni: Edward insiste che io vada ad abitare con lui. Ma come giustificarlo con i miei? I miei hanno la mentalità per cui un figlio esce di casa solo quando si sposa. Anche il mio fratello maggiore, ancora scapolo, vive in casa. Per Edward è facile, i suoi abitano a Liverpool e lui studia a Londra. Cerco di farglielo capire, di farlo ragionare, gli chiedo di aver pazienza se mi vuole bene...

Andiamo avanti, bene o male, un altro anno, in cui per gli unici momenti veramente belli fra me ed Edward sono quando si fa l'amore. Al di fuori di questi momenti Edward diventa sempre più difficile, insistente, a volte mi accusa di non amarlo veramente, di voler aver sesso con lui solo quando mi fa comodo... Dice che da parte sua, pur di vivere con me, andrebbe anche contro la famiglia, e invece io...

Mi porta a Liverpool per Natale del 1859, a casa dei suoi. E durante il pranzo di Natale, quasi a dimostrarmi quanto mi aveva detto, annuncia ai suoi che io sono il suo amante. Non mi aveva detto nulla e io mi trovo terribilmente a disagio. A tavola scende un senso di gelo incredibile. Il padre, dopo un po', gli chiede da quando lui abbia "di queste preferenze". Lui risponde che è da sempre: la sua prima volta è stata quando aveva tredici anni. Sembra quasi che io non esista, parlano fra loro. Il padre gli chiede con chi, Edward risponde che non ha importanza, che quello che gli interessa è ora il suo rapporto con me. Di colpo esisto di nuovo, mi sento tutti gli occhi addosso. La madre gli chiede come abbia potuto rovinare proprio il giorno di Natale con quella notizia. Il fratello maggiore lo difende, anche la sorella maggiore, sebbene in modo più blando, sfumato. Io non so da che parte girarmi, che dire, cosa fare.

Vorrei tornare a Londra, mi sento profondamente a disagio. Il padre a un tratto, dopo un lungo silenzio, dice che ora si deve finire il pranzo di Natale, poi ne parleremo con calma. Io mi devo sforzare per continuare a mangiare. Edward sembra tranquillo.

Il padre, dopo, decide che "noi uomini" dobbiamo andare in salotto per chiarire la cosa. Io sono sempre più imbarazzato. Qui, il padre, prima interroga Edward quasi ad accertarsi che non sia un capriccio passeggero, e alla fine, di fronte alla sicurezza mostrata dal figlio, non gli fa un discorso morale, come mi aspettavo, ma di facciata sociale: purché non si sappia, dice in sostanza, se suo figlio è "così", non c'è niente da fare... Purché non vada a dirlo in giro, purché non ci si faccia vedere in pose sconvenienti, purché non diventi uno scandalo, quello che noi due facciamo a letto sono affari nostri, conclude. Ci ricorda solo che le leggi sono molto severe: c'è il carcere per il caso di rapporto sessuale fra due uomini.

Edward è trionfante, mi guarda quasi come per dirmi: hai visto! Il fatto è che non conosce i miei, ritorco io quando siamo soli: specialmente mio padre, non la prenderebbe mai così... Sono convinto che, pur di impedirmi di avere una relazione con un uomo, sarebbe pronto a denunciarci, a mandarmi in galera...

Tornati a Londra le cose fra noi due peggiorano: Edward non è convinto che i miei siano così poco disposti ad accettare la nostra relazione. Così, dopo una discussione piuttosto animata, Edward mi dice di non farmi vedere se non sono disposto ad andare a vivere con lui affrontando i miei...

Mi dispiace, perché gli voglio bene e mi piace molto, ma non me la sento davvero di affrontare i miei. Non ci vediamo più. Io spero che lui cambi idea, che mi venga a cercare, ma non accade. Non viene neppure più in libreria. A poco a poco mi rassegno.

Viene il 1861, il re di Piemonte si proclama re d'Italia. Mio padre decide di tornare in Italia per contribuire alla formazione del nuovo stato. Vorrebbe che tornassimo tutti assieme, ma sia mio fratello, che si è sposato nel frattempo, che io preferiamo restare in Inghilterra e alla fine i miei si rassegnano. Mio fratello si sistema con la moglie nella camera che era dei nostri genitori. Io, dopo poco, vedo l'opportunità, con la scusa di lasciarli alla loro intimità, di decidere di andare finalmente a vivere per conto mio.

Non ho dimenticato Edward, perciò vado a cercarlo. Ma a casa sua c'è un altro, con cui lui ora vive... perciò posso solo ritirarmi in buon ordine, deluso. Nel mio appartamentino in Camden Street mi pare di essere solo, voglio un amante. Comincio a cercare, so che ci sono punti in cui la gente come me si incontra, e allora comincio a frequentarli. Ho diverse avventure, ma niente di serio, niente di importante. Gente che ha solo voglia di soddisfare la voglia di una sera, senza nessun coinvolgimento.

Ho venticinque anni, quando conosco Kenneth, un ragazzo di ventidue anni di origine irlandese. Viene spesso con una graziosa ragazza in libreria, penso sia la sua fidanzata, e mi dispiace: mi chiedo perché i bei ragazzi debbano "sprecarsi" con le ragazze. Mi piace molto Kenneth, ma, pensando che non ci sia nulla da fare, non ci provo neanche, mi contento di ammirarlo e di sognarlo.

Una volta Kenneth viene da solo e, come sempre, si rivolge a me per farsi consigliare un buon romanzo. Gli consiglio l'ultimo libro di Walter Scott e gli chiedo come mai non sia venuta anche la sua fidanzata. Lui mi guarda lievemente sorpreso, e mi dice che la ragazza che lo accompagnava di solito non è affatto la sua fidanzata, ma la sorella minore. Aggiunge poi: non ho una ragazza, non ho nessuna intenzione di averla: mi piace la libertà...

Allora, per sondarlo, lancio lì una frase del tipo: una ragazza oggi e una diversa domani... Lui dice di no: mettersi con una ragazza vuol dire farsi mettere un cappio al collo, prima o poi comincia a parlare di matrimonio e... Gli chiedo se vivano con i genitori e lui dice di no: sono quattro fratelli, vivono assieme, il più grande, la sorella maggiore, lui e la sorella minore... i genitori sono ancora in Irlanda. Le due sorelle lavorano come infermiere, il fratello maggiore come insegnante in un college e lui come contabile presso uno spedizioniere...

A poco a poco diventiamo amici, io comincio a sperare che Kenneth sia come me. La domenica andiamo assieme a vedere le corse dei cavalli, o a passeggio in qualche parco, portandoci da mangiare e facendo un picnic sull'erba. È simpatico, pieno di curiosità per tutto, e ha un sorriso che mi piace molto. Sento di desiderarlo sempre di più. Vorrei creare le condizioni per farglielo capire...

Lui, un giorno, mi dice che mi invidia perché vivo da solo: anche lui vorrebbe avere la mia libertà. Io gli rispondo che invece a me piacerebbe non vivere da solo... per esempio, mi piacerebbe poter condividere la mia casa con un amico... Lui mi guarda e chiede: non con un'amica? No, gli rispondo: anche io preferisco non legarmi con una donna... con uno come te, per esempio, penso che starei molto bene, dico guardandolo negli occhi. Lui non risponde, sembra anzi evitare il mio sguardo e penso che abbia intuito che cosa volevo dirgli e che la cosa non gli vada a genio.

Ma il suo atteggiamento nei miei confronti non cambia. Così, una domenica, lo invito a venire a vedere dove vivo. Accetta. Saliamo da me. Mi dice che gli piace casa mia e ammira alcune litografie di nudi maschili che ho appeso nella stanza di soggiorno. Mi chiede se sono appassionato di arte classica... gli rispondo che mi piacevano quelle stampe. Dice che sono belle, poi mi chiede se secondo me è vero che i greci facevano sesso fra uomini.

Gli dico di sì, e lui dice, pensieroso: chissà che effetto fa farlo con un uomo? Poi, con candore, mi dice che lui ancora non ha mai avuto nessun rapporto sessuale. Lo guardo quasi incredulo e gli chiedo come mai, a ventidue anni, sia ancora vergine. Questo termine lo fa sorridere: non si sarebbe mai definito tale, ma, mi dice, è vero, lo è di fatto. Poi spiega: le donne non mi attraggono affatto... E gli uomini? gli chiedo io quasi sottovoce. Lui mi guarda, vede il mio sorriso incoraggiante e mi dice: sì, a volte, alcuni...

Gli metto una mano su un braccio, e finalmente gli dico che lui mi attrae molto. Arrossisce, ma mormora che ne è lusingato. Poi, arrossendo di nuovo, mi chiede se io ho mai avuto una "storia" con un uomo. Gli dico si sì e lui ne sembra quasi sorpreso, ma mi chiede come è, se è bello... Gli dico che può essere molto bello e, emozionato, gli chiedo se non vorrebbe provarci con me. Si schermisce imbarazzato e mi dice che non ci ha mai pensato, che non sa...

Cambiamo discorso e la tensione si allenta, torna allegro come prima. Usciamo a fare una passeggiata, poi ci salutiamo dandoci appuntamento per la settimana dopo. Io ora lo desidero fortemente e mi chiedo come fare per convincerlo. L'idea che non l'abbia mai fatto con nessuno lo rende ancora più desiderabile ai miei occhi. La domenica dopo lo invito di nuovo a salire da me, ma lui mi dice che preferisce fare una passeggiata.

Non torno più su quel discorso, continuiamo a vederci, a passare il tempo assieme. È un pomeriggio d'estate, siamo seduti sotto un albero, accanto alla Serpentina. Kenneth dice che gli piacerebbe essere in riva al mare, in costume da bagno, per tuffarsi in acqua. L'idea mi piace: potrei per la prima volta vederlo seminudo... gli propongo, per la domenica seguente, di andare assieme in spiaggia. Accetta immediatamente. Io vado a comprarmi un bel costume di maglina a righe come vanno di moda. Tornato a casa, lo provo davanti allo specchio e vedo con piacere che sottolinea bene quel che ho fra le gambe e mi sento sensuale. Anche Kenneth la penserà così?

La domenica seguente prendiamo l'omnibus e andiamo in spiaggia. Quando restiamo in costume, presto devo stendermi sul ventre per nascondere l'erezione che mi viene nel vedere il corpo di Kenneth: lui si accorge di come lo guardo e sorride lievemente imbarazzato. Mi propone di andare a tuffarci e corre in acqua. Lo seguo di corsa. Un po' nuotiamo, un po' stiamo a mollo, e io continuo a guardarlo con crescente desiderio. Torniamo a riva, ci stendiamo ad asciugarci al sole. Kenneth mi guarda, poi mi dice che sta bene con me...

Lo guardo e mi sento battere il cuore, più che per le parole per il tono con cui me le ha dette e per il modo intenso in cui mi sta guardando. Gli dico che per me è una gioia ogni minuto che passo con lui. Lui allunga una mano e la posa sul mio braccio, in una specie di carezza, senza dire nulla. Io allora gli dico che mi piace sentire la sua mano sulla mia pelle, e lui mi stringe il braccio lieve e mi dice che purtroppo lì siamo in mezzo alla gente: quello che chiaramente sottintendono le sue parole mi emoziona.

Gli propongo di tornare a Londra, di andare a casa mia per concludere la giornata. Accetta con evidente piacere. Per tutto il viaggio non facciamo che guardarci senza parlare. Sale da me e stranamente siamo entrambi impacciati. Finalmente gli metto una mano su un braccio e lo attiro dolcemente a me. Lo abbraccio, lui mi si stringe addosso e lo sento tremare. Gli carezzo una guancia, lo bacio lieve sulle labbra. Emette un sospiro lieve. Lo bacio con più forza, lo carezzo per tutto il corpo, lui mi si abbandona fra le braccia chiudendo gli occhi.

Lo guido fino alla mia camera da letto e inizio a spogliarlo. Lui freme e trema emozionato, risponde avido ai miei baci, mi carezza il corpo man mano che mi spoglio, si lascia sospingere docile sul mio letto, mi si stringe addosso quando mi stendo su di lui, e quando, pieno di desiderio, gli sussurro che lo voglio, lui semplicemente mi dice: sì, con altrettanto desiderio negli occhi.

Ma, per quando lui mi desideri e voglia darmisi, è la sua prima volta, non è abituato e gli fa troppo male, perciò desisto. Ci carezziamo, concludiamo così. Lui mi chiede perdono, dice che gli dispiace... Gli dico che non importa, sono contento anche solo di poterlo tenere fra le braccia, accarezzare, baciare.

La volta seguente che viene da me, mi fa vedere un vasetto di vetro e mi spiega che contiene una crema lubrificante e anestetica che le sorelle usano nell'ospedale. Mi invita a usarla, perché, dice, mi vuole in sé. Sono commosso, lo porto a letto e, dopo averlo fatto eccitare bene ci riprovo. Lui mi incoraggia, non vuole che smetta anche se non riesce a nascondere lievi smorfie di dolore man mano che scivolo in lui, ma finalmente è mio.

È bellissimo far l'amore con lui, e, dopo, mi guarda con un sorriso radioso e mi dice che è stato bello e che è felice. Gli dico che però mi dispiace fargli male, ma lui dice sereno che si abituerà, che gli piace troppo per non continuare. Mi carezza dolcemente e mi chiede se sono contento di lui... Gli dico che lo adoro, ed è vero. Mi chino a baciarlo e lui mi si accoccola contro.

Così Kenneth diventa il mio amante. Stare con lui è molto bello e non solo quando si fa l'amore. Gli dico che vorrei che potessimo abitare assieme, e lui mi promette che farà il possibile, che anche lui lo desidera. Mi chiede di dargli il tempo di parlarne a casa col fratello e le sorelle... Capisco, ora, cosa doveva provare Edward quando insisteva di andare a vivere assieme. E sono felice che Kenneth non faccia tutte le storie che avevo fatto io allora.

Si trasferisce da me pochi mesi dopo, a inizio dicembre. Mi pare di sognare, tanto stiamo bene assieme. Mi sveglio a volte durante la notte e sentirlo accanto a me mi riempie di piacere. Finisco il lavoro prima di lui e faccio sempre a tempo a passare a prenderlo per tornare a casa assieme. È bellissimo sapere che mi aspetta, vederlo illuminarsi con un grande sorriso appena mi vede.

A Natale, mio fratello vuole che vada a pranzo da lui e quelli di Kenneth che lui vada da loro, ma noi non vogliamo separarci proprio in quel giorno. Così io dico che andrò a pranzo da loro ma con un amico e lui dice che porterà a cena un amico... A pranzo presento Kenneth a mio fratello e mia cognata e dico loro che Kenneth abita con me: anche questo mi ricorda quel giorno di Natale con Edward. Solo che non dico che Kenneth è il mio amante. Non so se mio fratello l'abbia immaginato o meno, ma non fa domande e non accade nulla. A metà pomeriggio, poi, andiamo dai fratelli di Kenneth. Anche lui dice che sono io l'amico con cui ora abita. Il fratello di Kenneth mi guarda annuendo e sono quasi certo che abbia capito, ma anche lui non dice nulla.

Il fratello e le sorelle di Kenneth si sposano e siamo invitati tutti e due ai loro matrimoni, a mio fratello nascono figli e siamo invitati assieme per i battesimi... è evidente che le nostre famiglie ci hanno accettato come una coppia inseparabile. Ricordo le parole del padre di Edward: purché non diate scandalo, fate quello che volete... Sì, la nostra società è davvero fatta così...

Nel 1872 la libreria in cui lavoro apre una filiale a Liverpool e il padrone me ne affida la direzione. Io allora propongo a Kenneth di licenziarsi e di venire a lavorare con me a Liverpool come commesso nella nuova libreria. Accetta subito. Cerchiamo un appartamento nella città, ci trasferiamo.

Qui incontro di nuovo Edward che ora vive con un nuovo amante, un ingegnere ferroviario, taciturno ma simpatico. Si diventa amici, ci si frequenta. All'inizio George, l'ingegnere, è un po' geloso di me, sapendo che sono stato l'amante di Edward, ma poi, visto quanto io e Kenneth siamo uniti e affiatati, supera la sua gelosia e anche lui inizia ad aprirsi con noi.

Io e Kenneth viviamo felici, nessuna ombra offusca mai la nostra splendida relazione. Finché nel 1883 io mi ammalo; resto a letto per tre mesi circa, poi sembra che stia migliorando e invece, improvvisamente peggioro e nel giro di tre giorni muoio, assistito dal mio dolce Kenneth..."

"Eri ancora giovane..."

"Avevo appena compiuto quarantacinque anni."

"Già... E non sai che ne è stato poi di Kenneth..."

"No, certo. Non posso saperlo."

"Non ti piacerebbe?"

"Mah, non è possibile."

"Non ti manca qualcuno dei tuoi molti amanti?"

"No. Come anima vedo tutto con un certo distacco. Non ho attaccamento per le cose, per la gente."

"Non mi piace. Questo significa che anche l'amore muore con la morte."

"No, li amo, tutti. Semplicemente so che non è possibile far rinascere ciò che è finito."

"Chi ami di più dei tuoi vari amanti?"

"Non esiste un di più o un di meno. Li amo e basta."

"Non è facile capirlo... Ma ora devo lasciarti. Sono già un po' in ritardo. Ci sentiamo domani." disse Eugenio, salutò e chiuse il telefonino.


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