LA GARA PIÙ DIFFICILE | CAPITOLO 2 - UN PASSATO SEGRETO |
Robert controllò i tempi: niente male. Guardò Jean Paul che faceva il suo circuito supplementare a ostacoli. Gli piaceva, il ragazzo: aveva del carattere. Doveva essere stanco e arrabbiato con lui ma non lo dava a vedere. E senza volerlo, stava facendo il suo gioco. Stava aumentando la propria resistenza, la propria forza, l'autocontrollo e avrebbe presto migliorato le sue prestazioni proprio come lui gli aveva chiesto e s'aspettava. Era certo che Jean Paul aveva la stoffa del campione. Quel ragazzo era davvero invidiabile. Aveva i muscoli giusti al posto giusto. Doveva solo svilupparli nel modo migliore e avrebbe battuto tutti i record senza neanche accorgersene. Non aveva spirito competitivo, non abbastanza. Jean Paul si divertiva nelle attività atletiche e questo era bello, ma tendeva a non prendere le cose troppo sul serio. Se fosse riuscito, lui ne avrebbe fatto un atleta perfetto, nel suo campo il migliore che mai avesse conosciuto non solo la Francia, ma l'Europa intera e il mondo. E sicuramente anche un campione olimpionico, pensò con soddisfazione Robert. Ricordò quando era lui un giovane atleta, più di venticinque anni prima. Erano una bella squadra, anche allora. Ma solo lui era rimasto sulla breccia. Chambard era morto, Dupuis era diventato un grasso borghese, Perdrix un politico imbolsito... e Berthier, il suo Berthier... Ripensò con nostalgia al suo Berthier. Era di tre anni più vecchio di lui. Anche se ora aveva i capelli grigi, s'era conservato bene. Si vedevano, qualche volta, con affetto e piacere, anche se la loro storia d'amore era finita da più di quattro lustri. Ricordò il loro primo incontro, quando lui, appena diciassettenne, era entrato nella nazionale e Berthier aveva venti anni. Gli era sembrato così bello, appena l'aveva visto, che aveva subito provato prepotentemente il desiderio di farci l'amore. Berthier l'aveva accolto con simpatia e spesso gli dava consigli, lo guidava. Avevano cominciato a frequentarsi anche fuori dagli allenamenti. Robert veniva da una famiglia povera, Berthier, invece, era ricco. Così gli pagava il cinema, ogni domenica. E proprio al cinema Berthier gli aveva messo una mano su una gamba, nel buio della sala e lui aveva carezzato quella mano. Non era accaduto altro, lì nella sala. Ma dopo Berthier l'aveva invitato a casa sua e, giunti nella camera del compagno, questi l'aveva abbracciato e baciato. Era cominciata così la loro storia d'amore. Era durata per cinque anni, finché Berthier aveva deciso di sposarsi. "Dobbiamo mettere la testa a posto. Ormai non siamo più ragazzini." gli aveva detto. Robert ne aveva sofferto, ma se n'era fatta una ragione. Così l'anno seguente aveva conosciuto la ragazza che sarebbe diventata sua moglie e, l'anno seguente ancora, anche lui s'era sposato. Berthier era stato il primo e l'ultimo uomo della sua vita. Robert era sempre stato fedele a sua moglie. A volte s'era sentito attratto da altri uomini, e specialmente, da quando aveva smesso di fare l'atleta e aveva cominciato a fare l'allenatore, da alcuni dei suoi giovani atleti. Ma non aveva mai dato spazio a questi suoi desideri segreti. Un po' perché era ormai un uomo sposato, un po' perché come allenatore gli sembrava sbagliato pensare di avere, con uno dei suoi atleti, un rapporto diverso da quello puramente sportivo. Anche per questo non aveva mai dato spazio neppure a sentimenti di amicizia nei confronti dei suoi ragazzi. Era amico di tutti in generale e di nessuno in particolare. Aveva fatto carriera, era diventato allenatore della nazionale di decathlon. Era ammirato, rispettato. Sapeva riconoscere i migliori e sapeva farne dei campioni. Aveva una speciale sensibilità. Tutto era andato sempre bene. Finché aveva scovato Jean Paul quella volta, là in quel liceo della provincia, a Poitiers. All'inizio aveva visto in quel ragazzo solamente il futuro campione. Ma quando, finito il liceo, gli si era presentato, allegro, luminoso, fresco, fiducioso... aveva sentito come un tuffo nel cuore e l'aveva amato. Quel ragazzo era diventato il suo incubo. Più cercava di ricacciare in fondo al proprio cuore il desiderio che provava nei confronti di Jean Paul, più si accorgeva di innamorarsene. Quando tornava a casa trovava la moglie e si sentiva in colpa nei confronti di questa. Perché sentiva che ormai non ne era più innamorato. Sicuramente era così già da prima di incontrare Jean Paul. Ma ora ne era cosciente. Jean Paul non aveva la ragazza e questo l'aveva messo sul chi vive e aveva ravvivato il suo desiderio nei confronti del ragazzo, ma l'aveva anche turbato più profondamente. Doveva sostenere una lotta continua con se stesso per non trattare il ragazzo meglio degli altri, per non dedicargli più cure, più attenzioni che non agli altri suoi ragazzi. Se quel giorno l'aveva sgridato e trattato più bruscamente di quello che forse avrebbe fatto con altri, era proprio per combattere l'amore che provava per lui. Aveva notato poi che Jean Paul s'era messo a ronzare attorno a quella bella ragazzina della ginnastica artistica e ne aveva provato al tempo stesso delusione e sollievo. Delusione perché questo voleva dire che il ragazzo non era gay, sollievo per lo stesso motivo. Però Robert non riusciva a cessare di sentirsi innamorato di Jean Paul. Si rassegnò semplicemente a non nutrire più nemmeno la più piccola, assurda speranza che forse un giorno fra lui e il suo atleta potesse sbocciare una relazione sentimentale. Perché nonostante tutto, ora ne era cosciente, pur rifiutandola razionalmente, in fondo al proprio cuore desiderava quella relazione, ci sperava contro ogni speranza. A parte il fatto, si disse, che se anche Jean Paul fosse stato gay, avrebbe molto probabilmente preferito un suo collega, un suo coetaneo a lui. Lui ormai era un uomo anziano, che si sta avviando verso la vecchiaia e aveva comunque ventisette anni più di Jean Paul, molto più del doppio, cioè. Che se ne sarebbe potuto fare uno come Jean Paul, anche se fosse stato gay, di uno in là con l'età come lui? Anche se, doveva ammetterlo, il suo corpo era ancora forte e bello. Dimostrava meno età di quella che aveva. I suoi capelli erano ancora folti e di un bel castano non ancora striato di bianco. La natura l'aveva trattato bene. Ma sicuramente Jean Paul l'avrebbe visto più come un padre che come un amante... E comunque il ragazzo non era gay, quindi fine del discorso. Passata la prima settimana di allenamento intensivo, Robert pianificò per Jean Paul la seconda settimana. Non voleva sfiancarlo, ma tenerlo sempre al limite delle sue forze. Ne studiava attentamente i movimenti, i riflessi, i tempi. Due volte alla settimana sottoponeva ai soliti test fisiologici tutti gli atleti, ma teneva particolarmente d'occhio i valori che risultavano in quelli di Jean Paul per calibrare le prove e il sovraccarico a cui lo sottoponeva. Ne studiava anche le reazioni psicologiche. Il fatto che avesse cominciato a flirtare con quella ragazzina sembrava avergli dato un po' più di forza psicologica. Quella novità era arrivata al momento giusto, doveva ammetterlo. Robert richiamò Alain e gli disse di impostare diversamente il corpo per le prove che stava eseguendo. Gli mostrò come dovesse fare e lo fece riprovare alcune volte. Con la coda dell'occhio notò che Jean Paul aveva finito gli esercizi supplementari. "Allora, Jean Paul, vieni qui con gli altri, fra poco è il tuo turno." disse ad alta voce, senza girarsi a guardarlo. "Oh, dammi il tempo di tirare il fiato, cavolo! Tu mi vuoi proprio far morire!" "Smettila di piagnucolare e vieni qui." lo rimbeccò Robert e con piacere lo vide arrivare sciolto ed elastico, in perfetta forma. Quel ragazzo aveva davvero molte più risorse di quel che paresse e che lui stesso avesse previsto. Poteva realmente farne un campione, un grande campione, non solo a livello europeo ma mondiale. Quando Jean Paul gli passò davanti senza guardarlo, Robert provò un segreto fremito di piacere. Doveva onestamente ammettere che solo per metà era per l'idea di farne un vero campione. L'altra metà era per il suo desiderio e il suo amore per il ragazzo, che non accennava minimamente a diminuire. Non voleva che il ragazzo si rendesse conto dei suoi graduali progressi confrontandosi con gli altri. Voleva portarlo a un progresso tale che se ne rendesse conto all'improvviso. Perciò, quando nelle prove arrivava a un certo limite, mandava Jean Paul a fare altri esercizi e proseguiva solo con il resto della squadra. Ma non lo perdeva di vista un solo attimo, in realtà, il suo Jean Paul. Oltre tutto quel ragazzo era molto bello. Un po' tutti gli atleti hanno bei corpi, si sa, ma Jean Paul, oltre a un bel corpo, aveva un viso molto bello. Aveva capelli castani con riflessi dorati, ondulati e corti, che formavano come una raggiera fiammata sul suo capo, sopracciglia biondo scuro ben distanziate che formavano due folti archi perfetti che mettevano in risalto gli occhi di un azzurro intenso e luminoso, orlati da belle e lunghe ciglia. Aveva un naso dritto e proporzionato, forse solo lievemente piccolo, labbra dritte e dolci che quando era serio avevano una lieve piega verso il basso che gli dava l'aria di tenere il broncio, ma che quando sorrideva si curvavano dolcemente verso l'alto dandogli un sorriso un po' sbarazzino. Aveva denti bianchissimi, perfetti, luminosi come perle. Quando poi lo guardava nudo, nelle docce, amava i suoi capezzoli piccoli e sodi, un po' ovali, scuri, e il trapezio di ricci peli biondo scuro che ornavano il suo bel membro già perfettamente sviluppato. Robert non poteva permettersi di contemplare il ragazzo come avrebbe desiderato, doveva accontentarsi di qualche visione fugace. Avrebbe voluto essere lui il massaggiatore della squadra per poter passare le sue mani su quel corpo e ammirarlo a proprio agio. Il suo amore per gli uomini era indubbiamente in gran parte costituito da ammirazione estetica, ne era cosciente. Anche nei confronti di Berthier, il suo primo e unico amante, ricordava che quando facevano l'amore per lui era già un godimento il solo fatto di poterne ammirare il corpo mentre lo carezzava. Per quasi venticinque anni il suo desiderio verso gli uomini era sembrato sopito, comunque sotto controllo. Ora invece, con Jean Paul, s'era risvegliato improvviso e forte. Lo controllava, certo, ma con notevole fatica. E avrebbe voluto non doverlo controllare. Forse, obiettivamente, il più bello fra i suoi atleti in quel momento era Eric, eppure a lui piaceva molto di più Jean Paul. Probabilmente erano proprio il volto, lo sguardo, il sorriso e le espressioni del ragazzo che lo incantavano, che lo stregavano. Bene, non avrebbe certamente potuto farne il proprio amante, ma ne avrebbe fatto il campione che poteva essere. Questo per lui era il modo per esprimere la veemenza dell'amore che provava per il ragazzo. Jean Paul sarebbe diventato famoso e sarebbe stato lui l'artefice della sua fama. Lui l'aveva scoperto, lui lo stava plasmando, lui lo avrebbe lanciato e fatto affermare. Durante il pranzo nella mensa degli atleti Robert vide Jean Paul chinarsi sorridente verso Claire e dirle qualcosa. Dagli occhi della ragazza doveva trattarsi di qualcosa di dolce, di piacevole. Robert notò come avevano sorriso, come i due ragazzi si erano illuminati... e, se pure dandosi dello stupido, provò un vago senso di gelosia. Nel pomeriggio fece allenare i ragazzi nei 400 piani e in più fece fare il percorso a ostacoli a Jean Paul. Poi flessioni e altri esercizi a corpo libero. Quando fece tornare i ragazzi negli spogliatoi, Jean Paul, passando accanto al cavallo, vi fece alcuni volteggi. Era chiaro che li stava facendo a beneficio di Robert, quasi a lanciargli un messaggio: vedi, sono forte, non mi pieghi! Robert sorrise dentro di sé: sì, il ragazzo aveva spina dorsale, era forte sia fisicamente che di carattere! E gli piaceva sempre più. Dopo le docce, li radunò al solito nel suo studio. Comunicò loro il calendario degli allenamenti per i giorni seguenti, e annunciò che si sarebbero trasferiti al "campo di primavera" dove la nazionale si sarebbe preparata per i prossimi campionati europei. Per quell'occasione Robert sarebbe stato affiancato come al solito da altri allenatori in modo di poter raffinare le tecniche individuali. Qui Robert avrebbe fatto toccar con mano a Jean Paul il livello a cui l'aveva portato, gli avrebbe dimostrato di che stoffa era veramente fatto. La Federazione aveva appena fatto restaurare il vecchio campo a Les Andelys, sulla Senna. Non c'erano più le camerate come ai suoi tempi, ma graziose camerette a due letti per gli atleti e singole per il personale tecnico, sistemate nel vecchio palazzo del settecento in riva al fiume. Anche gli impianti sportivi nel parco del palazzo erano stati rifatti secondo i concetti più moderni, sotto la supervisione di Robert e dei migliori tecnici francesi. Robert era andato a ispezionare il campo di Les Andelys e ne era soddisfatto. Un'immersione totale nella natura avrebbe fatto bene anche ai ragazzi e li avrebbe aiutati a concentrarsi e a prepararsi per i prossimi campionati europei. Gli atleti avrebbero avuto modo di acquistare la piena forma, là al campo, ne era certo. Anche Jean Paul, vedendo finalmente i risultati di cui era capace, si sarebbe addolcito nei suoi confronti. Avrebbe capito che Robert aveva agito così per il suo bene e gli sarebbe stato grato. Certo, la gratitudine non è amore, ma è pur sempre un sentimento pieno di calore... e lui avrebbe dovuto accontentarsene. Studiò con cura le schede dei suoi ragazzi. Roland stava facendo buoni progressi, Charles era arrivato al massimo delle sue possibilità, si trattava solo di mantenerlo in forma il più a lungo possibile. Michel era un altro che avrebbe potuto dare un po' di più, doveva mettere sotto anche lui. Claude era sempre in ottima forma, degno figlio di suo padre. Jean Paul... i dati parlavano chiaro, era pronto per il grande exploit. A Robert piaceva pensare ai suoi ragazzi: pur spingendoli a una sana competizione, aveva saputo farli diventare un team affiatato, ragazzi fieri di far parte della nazionale ma anche fieri dei progressi dei loro compagni. Era un gruppo di amici, innanzitutto. Forse l'unico un po' difficile di carattere era Charles. Lo dimostrava anche il fatto che era quello che cambiava più spesso la ragazza, nonostante i suoi venticinque anni. Era emotivamente instabile, non in modo allarmante, ma lo era. Avrebbe dovuto forse seguirlo con maggiore attenzione. Mise via le schede. Ricontrollò il calendario degli allenamenti, poi rimise in ordine le carte del suo ufficio, lo chiuse e uscì. Prese l'auto e tornò a casa. Thérèse e Philippe stavano giocando in soggiorno. Marie stava studiando. Sua moglie Françoise era fuori casa con Marc, il più piccolo. I ragazzi salutarono il papà con la consueta allegria. Purtroppo nessuno di loro pareva attratto dall'atletica, ma Robert non se ne dava pensiero. Era giusto che i figli seguissero la loro strada. Marie era attratta dall'arte, gli altri erano ancora piccoli. "Papà, chi era Lorenzo Lotto?" "Non era un pittore italiano, Marie?" "Sì, ma di che epoca, e di che parte d'Italia?" "Non mi ricordo. Guarda nell'enciclopedia, no?" "Speravo di poterlo evitare... che tu lo sapessi. Ma già, non è un atleta." disse sorridendogli la ragazzina. Era una presa in giro benevola e anche Robert sorrise. Sedette in poltrona e si mise a leggere il giornale. Philippe subito gli andò vicino. "Ti scoccio, papà?" "No, ragazzo mio, che c'è?" "Perché le bambine possono giocare con le bambole e noi maschi no?" "E chi lo dice?" chiese Robert con un sorriso. "Lo dice Thérèse e anche la mamma." "Oh... forse perché pensano che una donna deve prepararsi un giorno ad allevare dei figli e giocando con la bambola si allenano." "E perché, un uomo non deve anche lui allevare i suoi figli, un giorno?" "Penso proprio di sì. Ma sai com'è, le donne vogliono avere i propri giochi..." "Sì, però Thérèse vuole sempre giocare con le mie automobiline e coi miei soldatini." "E tu sii generoso e lasciala giocare con te." "Sì, certo, ma allora anche lei deve lasciarmi giocare con le sue bambole. Diglielo, papà." "Ascolta, Philippe, ne parlerò con la mamma poi decideremo che cosa si può fare. Sai che le decisioni si prendono sempre tutti assieme nella nostra famiglia, no? Siamo un team, noi. Dobbiamo sempre agire in accordo se vogliamo essere in gamba." "D'accordo, papà." rispose Philippe con aria saggia e tornò a giocare sul tappeto con le proprie costruzioni di Lego. Sì, aveva una bella famiglia e non poteva che esserne fiero. Una bella famiglia, una bella casa... un bel lavoro, una bella vita... perfetta, se non fosse comparso sulla propria strada Jean Paul. Desiderava quel ragazzo con un'acutezza che quasi gli faceva male. Ne desiderava il bel corpo ma, soprattutto, l'amore... no, non riusciva davvero a toglierselo dalla mente. Quella prima, lontana esperienza col suo Berthier avrebbe dovuto fargli capire già da allora quale era il suo vero orientamento sessuale. S'era illuso che fosse una storia del passato, un momento della sua vita giovanile, invece ora scopriva che quella era la sua vera natura. Lui era gay, non c'erano dubbi... Ma ora non poteva rimediare a un errore con un altro errore. Doveva controllarsi... doveva assolutamente controllarsi, per il bene di tutti. Si alzò e andò nel suo studio. Cercò le vecchie foto di un tempo e guardò quelle in cui c'era anche il suo Berthier... Sì, lo aveva amato, lo aveva amato con tutto se stesso. E aveva sofferto quando lui gli aveva detto: è stato bello, ma ora siamo grandi, dobbiamo rientrare nei ranghi, dobbiamo essere gente "normale"... Ma che cosa è normale? Ciò che è secondo la norma. Ma chi fissa la norma... e con che diritto? Ripensò a quel suo atleta che era stato sorpreso nei gabinetti col ragazzo degli attrezzi... Lui era allenatore da poco. Aveva cercato di difendere il suo atleta facendo notare ai giudici sportivi che sarebbe stato assurdo stroncare una carriera promettente solo per quell'episodio... ma era stato inutile. Ne aveva sofferto, Robert. L'unica cosa che aveva ottenuto era stata di evitare lo scandalo, ma nella scheda medica dell'atleta, conservata negli archivi della Federazione, era stato scritto a chiare lettere: invitato a presentare le dimissioni perché sorpreso a compiere atti di sodomia... Ma che c'entra la vita privata di un atleta con le sue attività sportive? Chi erano loro per giudicare la vita privata di un altro essere umano? Quel che i due stavano facendo fra loro, entrambi maggiorenni, entrambi consenzienti, non era neanche punito dalla legge civile. Con che diritto una legge sportiva non scritta poteva reputarsi superiore alla legge civile? Robert scosse la testa e mise via le foto del suo Berthier. Il suo Berthier così bene integrato... Erano rimasti amici, ma non avevano mai più neanche accennato al loro antico, reciproco amore... Chissà se anche lui, nel segreto del suo cuore, aveva ancora le sue stesse pulsioni? Sentì rientrare la moglie e le andò incontro. Bella, elegante, luminosa come il solito. Felice di gestire il suo bel negozio di moda, di abbigliamento femminile di grandi firme. Françoise aveva sempre avuto la vocazione del manager. Anche lei, nel suo negozio, aveva costituito un team efficiente e affiatato e gli affari andavano bene. "Caro, scusa se sono in ritardo! Ma la cena è praticamente pronta, è solo da scaldare..:" "Non preoccuparti. Tutto bene in negozio?" "Oh sì, tutto bene. Josiane è un'efficiente collaboratrice, manda avanti il negozio quasi da sola, lo sai. Se tutto va bene avremo un paio di nuove esclusive di due stilisti italiani. I tuoi ragazzi? Tutto bene? Presto cominciate il ritiro di primavera, no?" "Sì, è quasi tutto pronto. I ragazzi sono in splendida forma. Se tutto procede come penso quest'anno la Francia potrà avere la medaglia d'oro e forse anche quella di bronzo." "Chi, Jean Paul e Claude?" "Esatto. Li hai visti anche tu, no? Due veri campioni." "Sì. Con un ottimo allenatore." rispose Françoise infilando il grembiule di cucina e cominciando a trafficare con pentole e fornelli. Françoise non aveva mai voluto una cuoca. C'era solo la vecchia donna di servizio per i lavori pesanti, che faceva le sue otto ore al giorno, ma Françoise aveva sempre voluto occuparsi di persona dei figli e della cucina. "Hai bisogno di una mano?" le chiese Robert come al solito. E come al solito, lei rispose: ""No, caro. Siedi lì e fammi compagnia." Era ormai quasi un rito a cui non mancava nessuno dei due, dopo anni di vita in comune. Era un rito rassicurante, un po' come dirsi l'un l'altro: sto bene con te, va tutto bene. Sì, Robert stava bene con Françoise... eppure ora era terribilmente innamorato del suo bell'atleta, del suo Jean Paul, e non sapeva che farci. Tutta la sua vita interiore era stata rivoluzionata dalla comparsa di Jean Paul, anche se esteriormente nulla sembrava cambiato.
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