LA GARA PIÙ DIFFICILE | CAPITOLO 10 - CASUALE INCONTRO |
Jean Paul passò a prendere Hervé come erano d'accordo. "Ciao Jean Paul! Tutto bene?" "Sì. Hervé. È molto che mi aspetti?" "No, solo una ventina di minuti." "L'ultimo cliente ho dovuto accompagnarlo fino all'aereoporto, così ho tardato un po'. Mi dispiace." "No, lo so che non puoi essere sempre puntuale." "Ti puoi fermare fino a domattina?" "Sì, certo. Sei riuscito a rintracciare il tuo uomo?" "Macché... Ho paura che non sia più a Parigi..." "Oh, anche se ci fosse... Potreste girare per anni senza incontrarvi." "Quello che temo. Eppure non me la sento di rinunciare a lui." "Sempre innamorato, eh?" disse Hervé sorridendogli. "Sempre." Salirono in casa di Jean Paul. Ormai si conoscevano da un paio di mesi e Hervé era di casa. Mentre Jean Paul si cambiava, Hervé preparò da bere per tutti e due. "Come vanno i tuoi studi?" si informò Jean Paul. "Bene. Alcuni corsi sono davvero interessanti, specialmente quello di Composizione. Anche quello di fonetica mi piace. Credevo di saper parlare bene il francese e invece... Non sapevo neppure che nella nostra lingua ci sono due modi diversi di pronunciare la vocale A." Parlarono un po', centellinando il liquore. Hervé, continuando a parlare con lui, iniziò a carezzarlo. A Jean Paul piacevano quei lunghi e dolci preliminari. I due giovani si eccitavano a vicenda, a poco a poco. Solo quando le loro eccitazioni erano pienamente risvegliate, fra un bacio e una carezza sempre più intimi, salivano in camera dove si spogliavano l'un l'altro e cominciavano a fare l'amore. Hervé, dopo quella prima notte, non aveva mai più voluto essere pagato. Ormai erano amici. "Hervé, non mi hai mai raccontato come hai capito di essere gay..." disse Jean Paul carezzando il corpo nudo del suo amico. "Oh, niente di speciale. Avevo dodici anni e con alcuni compagni ci si trovava per masturbarci tutti assieme. Le prime volte ognuno da sé, poi a vicenda... sai, solo cose da ragazzini. Ma gli altri, a poco a poco, cominciavano a parlare sempre più di ragazze e provavano a fare il filo a qualche compagna... Io invece mi sentivo sempre più attratto dai compagni, dai ragazzi, anche se facevo i loro stessi discorsi. "Quando avevo quattordici anni, un ragazzo che abitava nella mia stessa scala, che aveva sedici anni, mi dette delle lezioni di matematica, perché lui era molto bravo e io invece ero deboluccio. Un giorno lui mi toccò fra le gambe e io lo lasciai fare, eccitato. Lui allora se lo tirò fuori, duro. Io allungai una mano e glielo palpai. Mi chiese se mi piaceva e io gli dissi di sì. Lui allora mi disse che era anche bello prenderlo il bocca e mi propose di provarci. Lo accontentai, e mi piaceva, poi lui venne e così lo assaggiai e non era niente male... Così ogni lezione che mi dava ora s'era arricchita di quelle parentesi di sesso. Lui stava seduto sulla sua sedia, io m'infilavo sotto il tavolo, m'inginocchiavo fra le sue gambe, gli aprivo la patta, glielo tiravo fuori e glielo succhiavo fino a farlo venire. Mi piaceva da matti. Io frattanto mi masturbavo e venivo nel mio fazzoletto. Poi ci rimettevamo a posto e continuavamo la lezione come se niente fosse. Non se ne parlava mai, si faceva e basta. Comunque fui promosso... "Poi un'estate, avevo sedici anni appena compiuti, mia madre mi portò a passare le vacanze dai nonni a Soigny, sul fiume Yonne. Andavo spesso in bicicletta fino a un punto del fiume a monte, dove c'era una spiaggetta e ci si poteva bagnare. Lì conobbi un ragazzo di diciotto anni che abitava a Soigny. Diventammo subito amici. Ci si dava appuntamento per andare a bagnarci assieme. Lui era un gran bel ragazzo e io spesso guardavo il suo costume attillato e gonfio e desideravo posarci le mani e le labbra... ma non avevo il coraggio di provarci. "Lui doveva aver notato i miei sguardi e intuito le mie voglie, perché un giorno mi disse che gli era venuta voglia di menarselo, e senza aspettare la mia reazione, se lo tirò fuori e cominciò, guardandomi dritto negli occhi. Vide che anche il mio s'era risvegliato, sotto il mio costume, allora allungò una mano e me lo tirò fuori. Io trovai il coraggio e glielo palpai... per un po' ce lo siamo menato a vicenda. Ma poi io mi chinai a succhiarglielo e lui lo succhiò a me. Mi piaceva da matti... Quando vide che ero ben eccitato, si insalivò un dito e cominciò a stuzzicarmi il buco del culetto. Mi piaceva e lui se ne rese conto, allora mi disse che aveva voglia di incularmi e io gli dissi di sì. "Lo avvertii che per me era la prima volta, allora lui mi insalivò ancora, poi me lo infilò dentro pian piano e mi sverginò. All'inizio provai un po' di dolore ma non gli dissi niente. Poi il dolore diminuì e fu solo fastidio... e alla fine mi piaceva moltissimo e provai bellissime sensazioni. Mi piaceva da matti sentirmelo addosso, dentro, dappertutto. Abbiamo continuato a farlo quasi ogni giorno. Lui portò delle foto in bianco e nero in cui si vedevano uomini nudi che scopavano fra loro, in due, in tre, in culo o in bocca... "Quando finì l'estate e io dovetti andare via, lui mi regalò due di quelle foto: su una c'era un ragazzo che lo succhiava a un uomo, e sulla seconda gli stessi due, solo che l'uomo qui inculava il ragazzo. Le nascosi fra le mie cose e le portai a casa. C'era un mio compagno di classe che mi piaceva un sacco e che secondo me ci stava. Così cominciai a invitarlo a casa mia per studiare insieme. E una volta gli dissi che avevo delle foto pornografiche un po' particolari. Mi chiese di mostrargliele. Lo feci giurare che non ne avrebbe parlato con nessuno e gliele feci vedere. "Disse che erano belli, sia il ragazzo che l'uomo, e che pareva proprio che si divertissero tutti e due... e dopo poco io e lui li stavamo imitando. Lui fu il primo dei maschi che io penetrai, ma io non ero il primo a penetrarlo, comunque... Andammo avanti per circa un anno e mezzo. Una volta lo facemmo anche in tre con un suo cugino di cinque anni più vecchio di noi, che faceva il decoratore ad Autun, e che aveva sverginato il mio compagno tre anni prima... "Ma un giorno mio padre scoprì quelle due foto e allora io gli confessai che ero gay... e lui mi sbatté fuori di casa. Avevo diciotto anni. Così sono venuto a Parigi e mi sono messo a battere e a fare marchette, così unisco l'utile al dilettevole. Mi sono trovato uno studio, mi sono riiscritto a scuola e ho preso la maturità, mi sono iscritto all'università come desideravo... Ed eccomi qua!" "Ma a te piace far marchette?" "Sì, finché sono abbastanza richiesto e posso scegliermi i clienti." "Sei un gran bel ragazzo, ci credo che te li puoi scegliere. Se solo tu facessi un po' di palestra..." "Non ho tempo. Mi piacerebbe ma non ho tempo. Comunque non sono da buttare via, no?" "No, tutt'altro. Mi piaci e soprattutto mi piace molto fare l'amore con te." "Ma sei sempre innamorato del tuo Robert..." "Sì, è vero." "Quando lo troverai non lo farai più con me, vero?" "Sì, è vero." "Ma potremo restare almeno amici?" "E perché no. Sto bene con te e non solo a letto." "Beh, finché è possibile, oltre a godermi la tua compagnia, voglio godermi anche il tuo bel corpo." "E io il tuo, Hervé." I due giovani fecero l'amore, sereni, compiaciuti. Certo Jean Paul non era innamorato di Hervé, aveva il cuore e la mente sempre pieni del suo Robert, ma poter fare l'amore con Hervé lo appagava sessualmente e lo faceva sentire meno solo. Oltre a passare una notte assieme di tanto in tanto, i due giovani cominciarono a vedersi anche la domenica e a volte invitavano anche Claude e Yan. Claude raccontava a Jean Paul come andavano i loro allenamenti e gli dava notizie sugli altri atleti della squadra. Ormai le olimpiadi erano alle porte. Jean Paul decise di comprarsi un televisore per poter seguire le gare. Gli affari col taxi gli stavano andando bene e stava restituendo i soldi al signor Berthier, che non volle assolutamente sentir parlare di interessi. Claude con gli altri atleti finalmente partirono per le Olimpiadi. Jean Paul non sapeva che c'era un altro che s'incollava al piccolo schermo come lui, a seguire le gare con gli stessi suoi sentimenti, specialmente nei due giorni dedicati al decathlon: era Robert. L'uomo ora aveva una stanzetta, modesta e piccola, nell'androne di un vecchio palazzo di cui un tempo costituiva la guardiola. Robert ne poteva pagare l'affitto grazie al lavoro che Jérôme gli aveva trovato come manovale presso una tipografia. Per fare il bagno andava dai Piccoli Fratelli, perché la sua stanzetta non aveva il bagno e il gabinetto era nel cortile del palazzo, in comune con alcune botteghe. Da quando erano iniziate le Olimpiadi, Robert la sera passava dai Piccoli Fratelli a guardare la televisione. Jérôme gli chiese: "Ti piace molto, lo sport, Robert?" "Sì... una volta ne facevo anche io." "Ah sì, davvero? Che disciplina?" "Non mi hai riconosciuto?" "No... dovrei?" "No, non è detto. Ma non mi va di parlarne." "Come vuoi, Robert." disse Jérôme tranquillo. E arrivarono i due giorni dedicati al decathlon. Robert si sentiva il cuore in gola... là avrebbe potuto esserci lui, con il suo Jean Paul... vide le gare di Claude e Serge, quasi perfette! E si sentì emozionato quando, man mano che le gare proseguivano, vide che i due avevano un punteggio alto, molto alto... e pianse quando Claude salì sul podio al terzo posto e Serge al secondo. Primo era arrivato uno statunitense: avrebbe dovuto esserci Jean Paul al primo e Serge al terzo posto... Subito dopo la premiazione la televisione francese intervistò Serge e Claude. "La Francia è orgogliosa di voi... che cosa volete dire ai francesi che stanno esultando con noi?" Serge disse: "Oggi, qui con noi, avrebbero dovuto esserci Jean Paul Godefroy che sicuramente avrebbe vinto l'oro, e il nostro allenatore Robert Chambret... Questo argento e questo bronzo li dedichiamo a Jean Paul e a Robert... e spero che ci stiano vedendo alla televisione. Siete sempre nel nostro cuore, tutti e due!" Robert ora piangeva. Jérôme, accanto a lui, lo guardò di sottecchi ma non disse nulla. Robert si asciugò le lagrime col dorso di una mano. Poi disse a Jérôme: "Il loro ex allenatore... si chiamava come me." "Già." "Avrebbe voluto essere lì, con loro..." "Penso di sì. Perché non c'è?" "Non sai niente della storia di Robert Chambret e di Jean Paul Godefroy?" gli chiese l'uomo. "No..." "C'era su tutti i giornali..." "Non ricordo... leggo poco i giornali, io." "È stato un grande scandalo." disse Robert triste. "Scandalo?" chiese Jérôme. "Sì. Furono fotografati a letto assieme, che facevano l'amore, pensa... E li hanno cacciati come due cani rognosi... Ecco perché oggi non possono essere lì." "Davvero Jean Paul avrebbe vinto l'oro?" "Sì, era molto superiore a quell'americano. Molto superiore." "E ora, che fa questo Jean Paul?" "Non lo so. Non certo sport, purtroppo." Jérôme allora gli chiese con dolcezza: "Ti manca molto?" Robert lo guardò stupito, poi vide lo sguardo gentile, sincero dell'altro. Allora annuì tristemente e disse: "Sono io quel Robert Chambret... l'ex allenatore..." "Sì, l'ho capito, Robert." "E... non mi dici che sono un pervertito, tu?" "Non lo penso. Tu sei un uomo che ha sofferto... sei un amico. Il resto non mi riguarda." "Tu sei cattolico, no? Una specie di frate, no?" "Sì..." "Non credi che per un uomo amare un altro uomo sia peccato mortale?" "Non sta a me giudicare gli altri, Robert. E comunque credo fermamente che se era amore, vero amore, almeno questo il Signore lo apprezzerà." "Io lo amo ancora, Jérôme." "Perché non lo cerchi?" "Non so dove. E poi mi vergogno." "I tuoi ragazzi vi hanno dedicato, offerto le loro medaglie... vi vogliono bene. Sarebbero contenti di rivedervi, ne sono certo." "No, non ne ho il coraggio. No. Morirei dalla vergogna a farmi vedere ridotto così." "Non ci si deve mai vergognare di fronte a chi ci vuole bene." gli disse Jérôme con un sorriso. A Robert aveva fatto bene essersi aperto un po' con Jérôme e rendersi conto che, almeno questi, non lo giudicava e lo accettava esattamente come prima. Il giorno dopo Jérôme gli regalò un portaritratti con dentro la foto a colori della premiazione di Serge e Claude, ritagliata da una rivista. Robert gliene fu grato e la mise accanto al suo letto. Avrebbe voluto avere anche la foto di Jean Paul. L'unica cosa che aveva portato via da casa quando la moglie l'aveva cacciato, che non aveva venduto neppure quando era in miseria nera, era la medaglia d'oro dei campionati europei che Jean Paul gli aveva donato. Quella medaglia d'oro che a volte baciava come una reliquia. I giornali, dopo la dichiarazione di Serge e Claude, ritirarono fuori la storia di Jean Paul e di Robert. Ma senza i toni scandalistici della prima volta. E anzi alcuni giornali sostenevano che era assurdo aver espulso i due dal mondo dello sport per una cosa che riguardava esclusivamente la loro vita privata. Serge e Claude ebbero una censura scritta dalla Federazione Sportiva di Francia per la loro dichiarazione alla TV. Claude decise di inviarla ai giornali che la pubblicarono, difendendo la libertà di espressione degli atleti e criticando aspramente la Federazione. Ma anche quella polemica, gradualmente, cessò. Jean Paul non veniva riconosciuto, nel suo lavoro, sia perché raramente i clienti guardano in faccia i tassisti, e anche perché sul lavoro il ragazzo indossava sempre il berretto che celava i suoi capelli castani e occhiali blu che nascondevano i suoi occhi. Neanche Robert era riconosciuto, avendo ora barba e baffi ben curati e capelli più lunghi che ne cambiavano la fisionomia. Ma Jean Paul non cessava mai di guardare tutti quelli che vedeva, nell'assurda speranza di trovare Robert. Passò l'autunno, si annunciò l'inverno. Era trascorso un anno e mezzo dai giorni dello scandalo. Robert stava andando a comprare in farmacia alcuni medicinali per il padrone della tipografia. Jean Paul aveva appena lasciato un cliente poco lontano, stava mettendo i soldi nel portafogli, quando notò Robert. Non era sicuro che fosse lui... lo vide entrare nella farmacia... decise di attendere che ne uscisse per vederlo meglio. La statura, il modo di camminare, gli erano sembrati quelli di Robert, ma il volto pareva diverso. Benché, pensava, una barba, capelli più lunghi, possono cambiare una fisionomia. Forse era proprio il suo Robert. Attese col cuore in gola. Dopo alcuni minuti lo vide uscire. L'uomo si passò un dito sul naso nel gesto caratteristico di Robert e Jean Paul non ebbe più dubbi. Uscì dal taxi col cuore in gola, si tolse cappello e occhiali e chiamò: "Robert!" andando verso lui. L'uomo si girò, lo guardò... quindi fuggì. Jean Paul si lanciò all'inseguimento chiamandolo, ma la via piena di traffico gli fece perdere secondi preziosi e quando finalmente riuscì ad attraversare la strada, Robert era scomparso. Lo cercò su e giù senza risultato. Allora entrò nella farmacia e descrivendo Robert chiese se sapessero chi era, dove abitava o lavorava. Il farmacista disse che era la prima volta che lo vedeva e che non aveva idea di chi fosse quell'uomo. Jean Paul uscì di nuovo in strada, sconsolato: era sicuro che quell'uomo fosse Robert. La stessa fuga lo aveva confermato. Ma perché era fuggito da lui? Dove poteva essere, ora? Viveva forse in quel quartiere? Ma soprattutto, perché era fuggito? Non voleva avere più nulla a che fare con lui? Lo riteneva colpevole per tutto quello che era accaduto, per aver perso tutto? Non lo amava più? Jean Paul tornò al suo taxi. Era turbato, confuso. Ma ora più che mai determinato a ritrovare il suo Robert. Voleva, doveva parlargli, capire, sapere. Se davvero Robert non voleva più vederlo, avrebbe dovuto dirglielo di persona, e solo allora lui si sarebbe ritirato, avrebbe rinunciato. Ma non senza lottare, non senza parlare. Jean Paul prese la cartina del posto e segnò la posizione della farmacia. Con una freccia segnò la direzione verso cui Robert era scappato. Doveva o abitare o lavorare da quelle parti. Adesso sarebbe stato inutile cercarlo, sicuramente non si sarebbe fatto vedere in giro. Jean Paul terminò il suo turno di servizio, quindi telefonò a Claude. "L'ho visto! Ho visto Robert!" gli annunciò. Parlarono un po' al telefono, poi Claude gli dette appuntamento a casa sua, dove Jean Paul si recò immediatamente. Raccontò in dettaglio all'amico quello che era accaduto e gli fece vedere sulla cartina dove era avvenuto l'avvistamento. "Lo cercheremo. Lo dirò ai compagni, setacceremo il quartiere..." disse Claude, "Tutti vorremmo ritrovarlo." "Ma se ci vede invadere il quartiere forse scapperà ancora. Non capisco perché non ha voluto incontrarmi, perché è fuggito via..." "Chissà! Non abbiamo idea di che cosa abbia passato in tutti questi mesi. Com'era vestito?" "Aveva una tuta marrone e un giaccone verde." "Da operaio?" "Sì, mi ha dato quell'impressione. E ora ha la barba e i baffi e i capelli meno corti di come li portava di solito." "Ma se non possiamo cercarlo, come si può fare?" "Lo cercherò io... forse non ha notato che guido un taxi. Passerò per quelle vie e chissà che riesca a vederlo di nuovo..." "Se lo vedessi non chiamarlo, ma cerca di capire dove va..." Robert, dopo quell'incontro, era tornato nella tipografia in cui lavorava. Ma non si sentiva tranquillo. Ora che Jean Paul l'aveva riconosciuto forse l'avrebbe cercato, avrebbe battuto tutte quelle vie. Doveva andare via di lì, doveva cambiare lavoro. Quella sera, quando uscì e andò a prendere l'autobus per andare a casa, si guardò continuamente attorno per il timore che Jean Paul lo stesse cercando. Salì sull'autobus ma, invece di andare fino a casa, scese a metà percorso e con un altro autobus andò dai Piccoli Fratelli. Cercò Jérôme. "Oh, ciao Robert. Posso offrirti un caffè?" "No, grazie Jérôme. Devo parlarti..." "Vieni, sediamoci di là. Qualche problema?" "Oggi ho visto Jean Paul. mi ha riconosciuto." "Ah, avete parlato?" "No, mi ha chiamato ma sono scappato... e non mi ha trovato. Ma temo che mi cercherà... Vorrei cambiare lavoro... andare via da quel quartiere..." "Perché non vuoi incontrarlo?" "Perché... perché mi vergogno. Non sono più il Robert che lui conosceva... Ormai sono solo un poveraccio." "Ne sei sicuro? Sei un uomo che si guadagna il pane onestamente, che hai da vergognarti?" "Oh... ma che cosa ho da offrirgli, ormai?" "Il tuo affetto." "Solo quello... non mi resta altro." "Non credi che gli potrebbe bastare?" "Oh, Jérôme, ho più del doppio della sua età..." "Ma questo... era così anche prima, no?" "Ma almeno prima curavo il mio corpo, il mio aspetto. Avevo una bella casa, bei vestiti, soldi... un bel futuro..." "Credi che ti volesse bene solo per quello?" "No, non credo, ma... Se lui ha fallito, ha fallito per causa mia... ora potrebbe avere l'oro olimpionico, essere un campione, un eroe nazionale..." "Ma è lui che oggi ti ha chiamato, no? Lui voleva almeno parlarti. Non credi di dovergli almeno questo?" "Non ne avrei la forza. Non ne avrei il coraggio." "Robert, secondo me tu ti sottovaluti. Al di là di tutto, quello che tu eri lo sei ancora. E comunque non puoi, per timore di un rifiuto, rifiutarlo. Se non ti voleva avrebbe finto di non vederti, non credi?" "Trovami un altro lavoro altrove, ti prego..." insisté Robert in tono accorato. "Come vuoi, amico mio. Vuoi che telefoni io in tipografia per avvertirli... che non puoi più andare?" "Te ne sarei grato. Mi dispiace, Jérôme, darti tutti questi grattacapi..." "Siamo amici, no?" rispose il giovanotto sorridendogli, poi gli chiese, "Ma, sii onesto, tu lo ami ancora?" "Sì, certo, Credo che sia l'unica persona al mondo che ho mai amato veramente." "Beh... io ti cercherò un altro lavoro, ma secondo me sbagli ad agire così. Sbagli verso te stesso e sbagli verso di lui." "Anche se è un amore... come il mio?" "Se tu insidiassi i ragazzini, Robert, ti direi che quello che fai è sbagliato. O se si trattasse di un amore mercenario... Ma se è veramente amore, te l'ho detto, solo Dio, che è vero Amore, può giudicarlo, non noi uomini. So che ufficialmente non la pensano così, ma questo è quello in cui io credo." "Anche fra due uomini?" "Sì, Robert. Anche fra due uomini." "Sei uno strano frate, tu..." "Mah, spero che non la pensi così di me anche il buon Dio." gli rispose sorridendo Jérôme. Circa una settimana dopo Jérôme trovò un nuovo lavoro per Robert: fattorino in un negozio di giocattoli nel 12ème, a un solo isolato di distanza da casa di Jean Paul. Ma né Robert né Jean Paul sospettavano di essere così vicini. Anche perché Jean Paul, andando e tornando dal lavoro, non passava mai davanti a quel negozio di giocattoli. Frattanto Jean Paul continuava a cercarlo nelle vie attorno alla farmacia, logicamente senza riuscire a trovarlo. Arrivò il giorno di Natale. Robert era stato invitato al pranzo offerto dai Piccoli Fratelli a tutti i loro assistiti. Indossò gli abiti migliori che aveva e si recò alla sede con un pacchettino con un regalo per un altro degli invitati, come Jérôme gli aveva detto che usavano fare. Anche i Piccoli Fratelli avevano preparato regali personalizzati per ognuno degli invitati.
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