LA GARA PIÙ DIFFICILE | CAPITOLO 9 - IN FONDO AL TUNNEL LA LUCE |
Robert, quando la vecchietta lo accolse in casa sua, vi restò fino a notte inoltrata, cioè finché questa vide che sul marciapiede era rimasto solo un paio di giornalisti. Allora scese e uscì allontanandosi veloce. I giornalisti lo riconobbero e lo inseguirono. Robert girò un angolo e s'infilò in un portoncino aperto, chiudendolo alle sue spalle senza fare rumore. Sentì i passi di corsa dei suoi inseguitori superare il suo nascondiglio. Attese pochi minuti, quindi lo riaprì e guardò fuori. La strada era deserta. Si allontanò. Camminò per diversi isolati finché arrivo in un boulevard. Lo percorse finché vide arrivare un taxi. Lo fermò. "Mi porti in un albergo a buon mercato..." disse al tassista. "Quanto vuole spendere, signore?" "Il meno possibile." "Sui 100 franchi per notte?" "Sì, va bene." "Allora la porto all'Hotel des Sports." "Ottimo." disse in tono ironico Robert. Prese una camera e pagò anticipato per quattro giorni, visto che non aveva bagagli. Quando lasciò la carta d'identità il portiere lo guardò. "Ah, voi." disse. "Qualche problema?"chiese duro Robert. "No, signore, assolutamente." "Gradirei che non spargeste la voce, comunque." L'uomo lo guardò con aria offesa: "Non è nelle nostre abitudini, signore." "Le chiedo scusa. Sono molto stanco..." "Ecco la chiave, signore. In fondo al corridoio, a destra." "Grazie." "Buona notte, signore." "Buona notte." Robert andò in camera e si chiuse dentro. Si spogliò, si gettò sul letto e pensò a Jean Paul. Avrebbe dovuto chiamarlo. Ma era molto tardi e nella camera non c'era il telefono. Avrebbe chiamato il giorno dopo. Cercò di dormire ma il sonno non voleva arrivare. Quell'orribile giornata gli si svolgeva tutta davanti come un film, inarrestabile, assillante... Si addormentò, esausto, che già dalla finestra trapelavano le prime luci dell'alba. Dormì parecchie ore, un sonno agitato ma ininterrotto. Si svegliò che erano le 17. Aveva fame. Si alzò, si lavò sommariamente al lavandino che c'era in camera. Si vestì e uscì. Nella hall c'era un telefono a monete. Provò a chiamare Jean Paul ma non rispose nessuno. Chiese al portiere che gli indicasse una trattoria. Il quartiere era povero, forse qui sarebbe stato tranquillo. Trovò la trattoria e prese un piatto unico. Mangiò e pagò. Gli restavano pochi liquidi. Andò in cerca di uno sportello automatico di una banca, inserì la carta magnetica e ritirò un po' di soldi. Poi entrò in un vecchio caffè, sedette e ordinò una panachée. Che cosa avrebbe potuto fare, ora? Era senza lavoro, senza casa... non avrebbe potuto vivere per sempre in quell'alberghetto, per quanto economico fosse. Doveva trovarsi un lavoro... Trovarsi un lavoro a quasi cinquant'anni... lui sapeva fare solo l'allenatore... e quello non avrebbe potuto più farlo. Comprò un giornale e cercò gli annunci economici. Segnò un paio di inserzioni: la mattina dopo si sarebbe presentato. Ma Robert si sentiva vuoto. Non sapeva che fare. Era troppo presto per andare a dormire, era troppo tardi per girare a cercare un lavoro e d'altronde non avrebbe neppure saputo da dove cominciare per cercarlo. Non gli andava di cercare un amico, anche forse per il timore di non essere accettato, voluto, gradito... L'unico su cui poteva contare era Jean Paul, ma aveva di nuovo provato a chiamarlo a casa e il telefono aveva squillato a lungo senza risposta. Forse Jean Paul era tornato a Poitiers per sfuggire ai giornalisti... I giornali! Anche in quello che aveva in mano aveva intravisto un articolo a piena pagina su lui e Jean Paul, e aveva subito girato la pagina. Non voleva neppure vederlo, leggerlo... Anzi, strappò la pagina con i due annunci e gettò il resto del giornale. Ordinò un'altra panachée. Se uno dei suoi ragazzi si fosse azzardato a berne anche solo una, l'avrebbe scorticato vivo! Ma ormai... Aveva perso tutto, eppure non era affatto pentito per la sua relazione con Jean Paul. Ne era innamorato e quello che aveva fatto col ragazzo era la cosa più bella che gli fosse capitata nella sua vita. Se solo avesse avuto Jean Paul ora con lui, tutto gli sarebbe sembrato sopportabile. Molto più tardi, e altre due panachée dopo, tornò in albergo. Il portiere di notte lo salutò con un cenno. Andò a dormire e, questa volta, s'addormentò quasi subito. La mattina seguente andò a presentarsi in quei due posti. Appena lo riconobbero gli dissero che non potevano assumerlo. Cortesi, ma fermi. Capì che non sarebbe servito a nulla insistere. Quello fu solo l'inizio. Girò, provò, chiese... sempre invano. E, qualche volta senza neppure una formale gentilezza, fu mandato via. Aveva pagato altri quattro giorni in quell'alberghetto. S'era comprato una sacca e qualche cosa per cambiarsi, uno spazzolino da denti, un rasoio. Rimase di nuovo senza soldi e andò di nuovo allo sportello automatico per ritirarne un po'. Ma la macchinetta questa volta non gliene diede e sul monitor comparve la scritta "Carta non abilitata. Rivolgersi alla propria banca". Era strano, il conto era ben fornito... Il mattino seguente si presentò alla filiale in cui aveva il conto e seppe che la moglie aveva ritirato tutto il denaro e aveva estinto il conto. Provò allora a telefonare a casa. Il suo telefono dava il segnale di libero ma non rispondeva nessuno. Robert non si arrabbiò neppure: doveva aspettarselo. Il tempo non era brutto. Lasciò l'albergo e passò la sua prima notte su una panchina. Cercò ancora lavoro, invano. Finì i soldi. Provò ancora alcune volte a telefonare a Jean Paul, sempre senza ottenere risposta. Iniziò a mendicare. Si vergognava terribilmente, ma era ormai senza un solo franco in tasca. Riuscì a racimolare un po' di soldi per pagarsi un pasto. Si trovò un posto per dormire in un angolo del parco, fra una siepe e un muro, dove stese alcuni cartoni ondulati per non dormire a contatto con il terreno. Continuò a chiedere l'elemosina. Il suo aspetto cominciava a non essere più presentabile e non aveva neppure più il coraggio di andare a chiedere un lavoro. Mendicando riusciva a pagarsi da mangiare e anche da bere. Cominciò a bere sempre più e sempre più alcoolici: almeno questo lo aiutava a non pensare. Non provò neppure più a telefonare a Jean Paul: evidentemente non era più a Parigi. Anche lui lo aveva abbandonato, forse... Ma se anche Jean Paul l'avesse cercato, anche lui avrebbe inutilmente telefonato a casa sua... E poi ormai, se lo avesse visto in quello stato... sarebbe certamente scappato. Dopo la prima notte di pioggia, Robert aveva cambiato il posto in cui dormiva. Aveva dedicato un'intera giornata solo a girare per trovarsi un rifugio per la notte. Pensava che sarebbe giunta la cattiva stagione e non solo la pioggia ma anche il freddo. Doveva trovare un posto riparato e magari accumulare qualche straccio, se non coperte che sarebbero state un vero lusso... Ma trovare un posto da cui non lo cacciassero... e in cui altri barboni non gli rubassero gli stracci che poteva accumularvi... era un vero problema. Gli altri barboni! Questo pensiero fu per lui quasi uno shock. Fino ad allora si era considerato solo un uomo sfortunato che lottava per rifarsi una vita. Considerandosi ora un barbone, non era che un uomo che tentava di sopravvivere. Apparteneva ormai alla sottocategoria dei barboni... era un reietto! Nei suoi giri per chiedere l'elemosina vide una porta con su scritto "I Piccoli Amici dei Poveri". Ebbe la tentazione di entrare, ma poi si vergognò e tirò dritto. Ma di tanto in tanto, nei giorni seguenti, passava davanti a quella porta. A volte ne vedeva entrare e uscire giovani ben vestiti... a volte qualche vecchio modestamente vestito... ma mai un barbone come lui. Forse lì aiutavano i poveri ma non i barboni, pensò. I barboni non li vuole nessuno... nessuno. Nei suoi giri a volte gli capitava anche di passare vicino a impianti sportivi. Allora si metteva in un angolo e spiava di lontano quelli che entravano e uscivano, specialmente a sera... E una volta si trovò vicino alla palestra dove si allenava la squadra di decathlon... e, nascosto nell'ombra, aveva rivisto i suoi ex ragazzi: Eric, Michel, Thierry, Charles, Serge, Claude, Alain... e una lacrima brillò nei suoi occhi stanchi. Claude, l'amico del suo Jean Paul... Tornava a volte a mendicare da quelle parti, la sera, per vederli... E una volta vide Rhémy camminare verso di lui e Robert si sentì perso... forse sarebbe stato riconosciuto... si vergognava, voleva scappare via ma qualcosa gli impediva di muoversi. Rhémy gli passò accanto, gli diede un'occhiata veloce e gettò nel cappello a terra alcune monete, proseguendo tranquillo. Non l'aveva riconosciuto! Lì per lì provò un misto di sollievo e di delusione. Ma poi pensò: come poteva riconoscere in quell'uomo infagottato, con la barba lunga, sporco, curvo, il suo ex allenatore? No, ormai era irriconoscibile. Era diventato l'uomo invisibile, pensò con amara ironia. D'altronde l'alimentazione irregolare, l'alcool che consumava, l'assenza di ogni esercizio fisico, avevano anche trasformato il suo corpo. Poi Robert aveva conosciuto un altro problema. Il desiderio sessuale si risvegliava in lui di tanto in tanto e in modo piuttosto forte. Non aveva ancora cinquanta anni. Ma, ridotto in quelle condizioni, non aveva speranza di trovare qualcuno che potesse desiderare di fare l'amore con lui. Anche se avesse avuto il denaro, anche pagando, chi sarebbe andato con lui? Perciò si sfogava da solo, a notte o chiudendosi in un cesso pubblico... ma anche questo non faceva che renderlo ancor più frustrato, ancor più una specie di... sub-umano. Passarono i mesi. Un pomeriggio, passava di nuovo davanti a quella porta dei "Piccoli Amici dei Poveri", quando un giovanotto alle sue spalle lo salutò. "La vedo passare ogni tanto qui davanti, ma non è mai venuto a trovarci. Venga, le vorrei offrire un caffè..." Robert lo guardò stupito. Era la prima volta, da mesi, che qualcuno gli rivolgeva la parola e non per insultarlo. Restò a guardare quel giovanotto, quasi imbambolato, incapace di parlare. Ma il sorriso dell'altro era caldo, sincero... Il giovane uomo lo prese gentilmente per un braccio: "Venga, la prego... mi faccia questa cortesia..." disse con dolcezza. "Cortesia?" chiese Robert incerto. "Mi farebbe molto piacere... venga..." insisté ancora l'altro, ma senza forzarlo. Robert annuì e il giovanotto lo guidò, con un gesto quasi affettuoso. Gli aprì la porta a vetri e lo condusse in una stanza che pareva quasi un vecchio caffè parrocchiale. Sedettero a un tavolo e il giovanotto salutò una ragazza che si stava affaccendando dietro il bancone. "Ciao Marie." Poi chiese a Robert, "Le va bene un caffè latte? O preferisce altro?" "Va bene, grazie..." mormorò Robert. "Marie, due caffè latte e qualche croissant, per favore." "Subito, Jérôme." rispose allegra la ragazza. "Sì, io mi chiamo Jérôme." disse il giovanotto tendendogli la mano. Robert strinse quella mano e sentì la stretta forte, calda, amichevole del giovanotto e questo gli fece bene al cuore. Jérôme non gli chiese il nome, e Robert gliene fu grato. "Perché mi ha invitato qui?" chiese con voce incerta. "Oh, perché mi pare quasi di conoscerla..." "Conoscermi? Lei sa chi sono io?" "Oh no, non so il suo nome, la sua storia. Ma l'ho vista tante volte. Ho notato che passa qui davanti ogni venerdì e ogni martedì. Arriva dal boulevard e va verso la ferrovia, ogni volta. Così ho cominciato ad aspettarla, e se non arrivava temevo le fosse accaduto qualche cosa..." "È molto gentile, lei... credevo di essere diventato l'uomo invisibile..." Jérôme sorrise: "A volte anch'io ho l'impressione di essere l'uomo invisibile, qui a Parigi." "Non è di Parigi, lei?" "Vi abito da otto anni. Vengo dal Jura, da un paese che si chiama Saint Claude." "Saint Claude? Conoscevo un ragazzo di Saint Claude... più giovane di lei... si chiamava Eric..." "Lei... è di Parigi?" "Oh sì, da almeno due generazioni la mia famiglia..." iniziò Robert, ma s'interruppe. Marie portò i due caffè latte e i croissant, abbondanti. Iniziarono a mangiare e bere. Jérôme gli sorrise. Robert stava pensando che erano mesi che non sedeva a un tavolo, tranquillo, comodo. Entrò nella stanza un vecchio, vestito poveramente ma in modo dignitoso e pulito. Robert si vergognò quando il vecchio lo guardò. Questi salutò: "Buon giorno a tutti! Marie, sei sempre più bella!" "Oh, Vincent!" rispose sorridendo la ragazza. "Jérôme, figlio mio! Come stai?" "Bene, Vincent, e tu?" "Grazie a dio si tira avanti. Posso sedere al vostro tavolo?" chiese il vecchio guardando Robert. Questi annuì. Il vecchio sedette e Marie gli chiese: "Cosa ti porto, Vincent? Il solito cioccolato caldo?" "Sì, grazie." disse il vecchio, poi rivolto a Robert, disse: "Io mi chiamo Vincent. Tu sei nuovo, vero? Non ti ho mai visto, prima." "Sono di passaggio... Jérôme m'ha invitato per un caffè..." "Ah, capisco. Anch'io due anni fa sono entrato qui per la prima volta, invitato da Marc per un caffè, sai? A proposito, come sta Marc?" chiese il vecchio a Jérôme. "Bene. L'ho sentito ieri." "A Lyon va tutto bene?" "Sì, hanno trovato un bel locale vicino alla stazione Perrache. Si stanno organizzando." "È in gamba, Marc. Riuscirà a fare bene anche là. Beh, siete tutti in gamba, comunque, che dio vi benedica." disse il vecchio, poi si girò verso Robert, "Vedrai, ti troverai bene qui. Sono tutti dei veri Fratelli, anzi, più che Fratelli. Per me ormai è la mia famiglia." Robert lo guardò un po' confuso. Jérôme si alzò: "Torno subito. Vi lascio a chiacchierare. Siete in buona compagnia." Robert fece per alzarsi: "Io vado, ora, tolgo il disturbo..." "Ma no, non c'è nessuna fretta. Resti ancora un po', se le va..." disse Jérôme. Vincent gli sorrise: "Ti senti un po' perso, eh? Anch'io, sai, all'inizio ero un po' sospettoso." "Sospettoso? E di cosa?" "Mah, sai, ero abituato a pensare che dietro a ogni gentilezza ci deve essere una fregatura. Pensavo: questi vogliono farmi vivere a modo loro, vogliono integrarmi nel sistema... E invece no. Voglio dire, loro ti offrono quello che hanno e che ti può servire, e non ti chiedono niente in cambio. Proprio niente. Per esempio, se vuoi farti un bel bagno, di là c'è, con acqua calda, shampoo, sapone, rasoio, dentifricio, tutto quello che ti serve. Ma se invece tu preferisci non lavarti, loro non ti diranno mai: sei sporco, puzzi, devi lavarti. Se tu chiedi dei vestiti migliori di quelli che hai, loro ti portano a scegliere nel guardaroba. Ma se preferisci i tuoi stracci, ti lasciano vestire i tuoi stracci. Loro ti rispettano e ti fanno sentire che ti vogliono bene così come sei, capisci? Sono davvero meravigliosi..." "Ma chi sono, loro?" "I Piccoli Fratelli dei Poveri. Sono come dei frati e delle suore ma senza abito. E noi siamo la loro famiglia." "Fuori c'è scritto Piccoli Amici..." "Sì, perché oltre ai Fratelli come Jérôme e Marc, ci sono altri che li aiutano ma che vivono a casa loro, in famiglia. I Piccoli Fratelli invece vivono tutti assieme, come in convento. Hanno anche la cappella dove vanno a messa ogni mattina alle sei." "Oh, bisogna andare a messa, allora." "No, loro ci devono andare. Tu se ci credi e ti piace, ci vai, ma per i cavoli tuoi. Nessuno qui dentro ti chiederà mai se credi o no, se vai in chiesa o no, se preghi o no. E qui è sempre aperto, giorno e notte. E qui siamo sempre benvenuti. Ma... di' un po'... ce l'hai un posto per dormire, tu?" "Mi sono arrangiato..." "Se vuoi, Jérôme può aiutarti a trovare qualcosa di meglio." "Non ho soldi..." "Qui i soldi non contano. Nessuno te ne chiede e nessuno te ne da. Se vuoi un maglione, o delle scarpe, o fare un bagno, o un pasto, te lo danno. Ma mai soldi. E fanno bene, penso. Comunque certo è che non te ne chiedono." "Ma tutto questo costa. Chi li da i soldi a loro?" "Gli amici. I Piccoli Amici aiutano e procurano i soldi man mano che servono. I soldi o meglio ancora la roba. Si affidano alla Provvidenza." "La Provvidenza? Ma esiste?" "Guardati attorno. Tutto questo è provvidenza. Ormai vanno avanti da trent'anni almeno, senza un soldo in banca, solo grazie alla provvidenza." "Tu sei un entusiasta di questo posto, di questa gente..." "È la mia famiglia. I miei figli mi hanno dimenticato. Loro no, mai. Non ti chiedono niente e ti danno tutto quello che hanno. Per esempio, sono sicuro che mica ti hanno chiesto chi sei, come ti chiami, vero?" "È vero..." "Loro non te lo chiederanno mai. Se tu vorrai parlarne, ti ascolteranno. Ma non te lo chiederanno mai. Io all'inizio avevo detto che mi chiamavo Dominic... perché ancora non mi fidavo. Poi, quando li ho conosciuti, ho detto la verità e un po' mi vergognavo. Ma loro semplicemente hanno smesso di chiamarmi Dominic e mi hanno chiamato col mio vero nome, come se niente fosse. Perciò tu scegliti un nome, se vuoi, tanto per non essere chiamato: ehi tu!" spiegò Vincent sorridendogli. Robert lo guardò pensieroso: "Non so se tornerò..." "Sei libero... ma se vieni sarai sempre benvenuto. Ci sarà sempre posto per te, qui." "Comunque... il mio nome è Robert... è il mio vero nome." "Bene, Robert. Desideri qualcosa, ora?" "No... non so... non ho niente, io..." "Non devi farti un problema a chiedere, qui. Vuoi una radio a transistor? Se ce l'hanno te la danno. Se no, vedono se riescono a procurartene una." "Una radio a transistor? No, che me ne farei?" "Dicevo per dire... Puoi chiedere qualsiasi cosa, proprio qualsiasi cosa." "Anche un lavoro?" "Anche un lavoro. Non è detto che riescano a trovartelo, ma almeno ci provano sul serio. Oppure puoi fare come me, che li aiuto in quello che posso. Io sono troppo vecchio ormai, perché qualcuno mi dia un lavoro regolare. Ma tu sei ancora giovane. Se vuoi lavorare, io credo che loro potrebbero trovarti qualcosa. Ma allora... prima dovresti lavarti e cambiare gli abiti... scusa se sono sincero." "No, hai ragione tu. Potrei chiedere di lasciarmi fare un bagno e di procurarmi abiti un po' più decenti?" "Ma certo. Appena torna Jérôme. Vuoi chiederglielo tu o preferisci che glielo chieda io?" "No, non so... beh, un po' mi vergogno, ma ho imparato a convivere con la vergogna." "Non hai niente da vergognarti, Robert, se cerchi di migliorare la tua vita. Comunque non hai niente da vergognarti con loro, qui dentro." "Mi sembra tutto così inverosimile..." "Ma no, guarda me. Quando sono arrivato qui ero ridotto peggio di te. Dormivo sotto i ponti, sai? Adesso invece ho una stanzetta tutta mia, ho ricominciato a vivere. E aiutandoli in tutto quello che posso mi sento utile e questo è essere vivi. Essere ancora utili a qualcuno..." Quando Jérôme tornò, aveva un pacchetto in mano: "Vincent, questo è per te." "Oh... non dirmi che..." "Sì, ci sono riuscito, finalmente." Vincent aprì il pacchetto: conteneva una piccola sfera di vetro con dentro una riproduzione del santuario di Lourdes e dell'acqua e, capovolgendola, scendeva la neve. "Oh, Jérôme, grazie!" disse il vecchio felice. Poi, mostrandola a Robert, gli disse: "Vedi Robert... Quarant'anni fa ero stato a Lourdes e ne avevo comprata una uguale. Ma poi si è rotta, tanti anni fa. Ho sempre desiderato riaverne una... Non serve a niente, lo so, è solo un soprammobile. Ma per me è magica. E adesso ce l'ho di nuovo... Casa mia sarà più bella, ora. Grazie, Jérôme, grazie di cuore, figlio mio!" Robert guardò commosso il vecchio, poi il giovane uomo: gente che sa donarti anche cose inutili... è davvero gente che ti vuole bene. Allora si rivolse a Jérôme: "Io mi chiamo Robert..." "Bel nome, Robert." disse Jérôme con un sorriso. "Mi diceva Vincent che... posso fare un bagno e... avere abiti più decenti e che dopo... che forse potete aiutarmi a trovare un qualche lavoro... è vero?" "Sì, certo, Robert. Gli abiti possiamo andare a sceglierli subito. Così puoi fare il bagno e cambiarti. Poi, se vuoi, parleremo del lavoro e vedremo che cosa si può fare... Vuoi venire di là con me a sceglierti gli abiti?" "Io... sono confuso..." "Vieni, Robert." disse Jérôme alzandosi e guidandolo alla stanza degli abiti. Era come un grande guardaroba: armadi, cassetti, scaffali con tutto ben riposto, pulito, ordinato. "Sai che taglia porti, Robert?" chiese Jérôme e cominciarono a scegliere, dalle calze alla giacca. "Gli abiti che hai indosso, vuoi che li puliamo e li rammendiamo?" "Quello che è ancora recuperabile..." disse Robert. "Bene, ecco, ti metto gli abiti che hai scelto in questa cesta. Fai il bagno, cambiati e ridammi la cesta con gli abiti che ti sei tolto. Dopo parleremo per il tuo lavoro. Ah... ti andrebbe di restare a pranzo con noi, oggi?"
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