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una storia originale di Andrej Koymasky


IL CARRO DEI GUITTI 8 - MACELLAI, LETAME E SAIO DA FRATE

Vance era rinchiuso nella torre ormai da un anno e Lionel da tre. Lord Mountbatten continuava a mandare ogni settimana il suo servo Delsey a portare denaro a Vance. Lionel invece cominciò a non ricevere più nulla. Vance volle mettere il proprio denaro anche a disposizione di Lionel e solo dopo molte insistenze questi accettò.

"O si sono dimenticati di me, o non possono più inviarmi denaro. Non credo che i miei fratelli mi abbiano dimenticato. Temo piuttosto che sia accaduto loro qualcosa. Stewart non è riuscito a sapere nulla. Sono preoccupato."

Vance cercò di risollevare il morale dell'amico e, per non farlo pensare troppo a quel problema, cominciò a recitargli alcuni brani delle sue commedie.

Passarono i giorni, le settimane.

Un pomeriggio, mentre Lionel giocava a scacchi con Vance, Stewart rientrò dal suo consueto giro di acquisti. Appena entrato in camera, bussò alla porta della stanza interna ove erano i due giovani.

"Mylord... mylord..." iniziò, poi si mise a parlare fitto fitto in irlandese, a bassa voce. Vance notò il tono concitato del servo e l'espressione attenta dell'amico, ma non riusciva a capire una sola parola. Sentì Lionel fare alcune brevi domande poi annuire. Quando congedò il servo, che tornò nell'altra stanza, Lionel si avvicinò a Vance, lo guardò con un sorriso, si chinò verso di lui e gli sussurrò a un orecchio con voce appena percettibile.

"Non dire nulla, ma... presto saremo liberi."

Vance lo guardò aggrottando le sopracciglia.

Lionel s'avvicinò nuovamente al suo orecchio e sussurrò: "Non mi hanno dimenticato, anzi... stanno trovando il modo di tirarci fuori da qui. E anche presto, credo. Fuggiremo in Irlanda. Verrai con me, vero?"

Vance lo guardò di nuovo poi, avvicinata la bocca all'orecchio dell'amico, sussurrò: "Come ti faranno uscire di qui? Come è possibile?"

"Stanno organizzando qualcosa, non ne conosco ancora i dettagli. Ma non mi hai risposto: verrai?"

"Certo. Ma i tuoi vorranno rischiare per uno in più? Per di più per un inglese?"

"Sarà la condizione che porrò. Non voglio, non posso lasciarti qui."

"Il castello è molto ben sorvegliato. Se anche riuscissimo a uscire da questa torre, ci sono due muraglioni e tre porte da varcare... soldati dappertutto... Lo sai bene anche tu."

"Non sarei il primo a essere fuggito dalla Torre di Londra. Gli irlandesi hanno qualche appoggio a corte, e non a tutti gli inglesi va giù il Re bambino. Al momento opportuno sapremo come avverrà, non dubitare. Non sei contento di poter fuggire da qui, con me?"

"Certo. Forse ho solo paura di sognare un sogno troppo bello. Comunque non ci resta che aspettare."

Non dovettero aspettare molto. A poco a poco Stewart portava notizie e nuove informazioni. Lionel aveva fatto sapere ai suoi, tramite il servo, che dovevano organizzare la fuga per due persone e non solo per una. Il servo tentò di convincere Lionel di pensare solo a se stesso, ma il giovane fu irremovibile. I fratelli gli fecero sapere che la cosa diventava un po' più complicata ma non impossibile: ci sarebbe voluto solo un po' più di tempo. I due amici vissero giornate di febbrile attesa.

Finalmente il piano cominciò a prendere forma. Era stato deciso il giorno della fuga: il nove settembre in occasione della vigilia di una grande festa che si doveva tenere a corte. Ci sarebbe stato un intenso via vai di carri per l'organizzazione della festa. Il carceriere era stato profumatamente pagato per lasciare aperta la porta sulle scale. I soldati di guardia sarebbero stati distratti appiccando un incendio alla costruzione adiacente alla torre. Il carro di un macellaio, con doppio fondo, li avrebbe attesi lì presso. Dovevano infilarsi nel doppio fondo e il carro sarebbe andato a scaricare la carne alle cucine. Poi sarebbe uscito dal castello subendo la solita ispezione di controllo. Anche il capo controllore alla porta era stato pagato per non far eseguire un'ispezione troppo accurata.

Una volta uscito il carro dal recinto del castello, sarebbero stati portati in un nascondiglio sicuro e di qui sarebbe stata organizzata la fuga che doveva condurli in Irlanda. Il piano sembrava ben congegnato, tanto più che l'ispezione nelle celle sarebbe avvenuta subito prima della fuga, all'imbrunire, e perciò avrebbero avuto un'intera giornata fino alla successiva ispezione.

Mancavano pochi giorni al nove settembre e i due giovani amanti facevano fatica a comportarsi normalmente con gli altri prigionieri della torre. L'otto sera il carceriere entrò nella cella di Vance.

Gli sussurrò: "Domani sera, finita l'ispezione, io scoprirò l'incendio e darò l'allarme. Tenetevi pronti. Quando scendiamo, appena la via è libera per voi, io risalirò a chiudere a chiave la porta e voi scapperete. Che Dio ve la mandi buona. Io faccio solo la mia parte, il resto... vedrete voi."

"Cosa rischi tu, nell'aiutarci?"

"Nulla. Sarò io a scoprire la vostra fuga il giorno seguente. E comunque ho buone protezioni in alto."

"Stewart avrà conseguenze?"

"No, lui uscirà la mattina dopo per le solite commissioni, prima che io scopra la vostra scomparsa, e non rientrerà più. È semplice. Addio."

"Grazie."

"Mi ringraziano già con sufficiente oro, non dubitate."

Vance salì da Lionel e gli riferì il colloquio avuto con il carceriere.

L'amico annuì poi lo tirò a sé: "Facciamo l'amore, ora. Poi, chissà quando ci sarà nuovamente possibile farlo. Domani a quest'ora forse saremo già fuori di qui, ci pensi?"

Fecero l'amore con una passione resa più acuta dall'eccitazione per l'imminente fuga. Poi Vance tornò nella sua cameretta. Quella notte non riuscì a dormire quasi per nulla. Il giorno seguente passò con una lentezza incredibile. Finalmente giunse la consueta ispezione serale. I soldati perquisirono accuratamente tutte le stanze, verificarono le inferriate alle finestre, prima al secondo piano, poi al primo. Stavano terminando il giro delle celle del primo piano quando il carceriere che era con loro, si avvicinò a una finestra.

Subito cominciò a gridare concitato: "Al fuoco, al fuoco!"

Si vedevano già le fiamme rosseggiare fuori dalla finestra, provenienti dalla casetta di legno a un piano addossata alla torre. Vance si rese conto che era proprio la residenza del carceriere a essere stata data alle fiamme. Forse proprio per scagionarsi, pensò il ragazzo. Vide i soldati precipitarsi e scendere la scala, seguiti dal carceriere. I compagni di prigionia erano tutti alle finestre per guardare l'incendio. Lionel scese e si affiancò a Vance che lo aspettava già accanto alla porta delle scale. Tremava. Entrambi guardavano la porta socchiusa cercando di vincere la tentazione di lanciarsi giù per le scale. Avevano l'impressione che il carceriere non risalisse mai. Che avesse cambiato idea? Eppure la porticina era stata lasciata aperta...

Il carceriere finalmente comparve su quella porta e fece loro il cenno di andare. I due amanti scesero a precipizio l'angusta scala mentre sentivano che la porta dietro di loro veniva richiusa a chiave. Il salone dei soldati, a pian terreno, era deserto e la porta verso l'esterno era aperta. Vedevano il rosseggiare delle fiamme. Lionel scivolò fino alla porta e fece cenno a Vance di stare indietro. Sbirciò fuori poi fece cenno all'amico di seguirlo e si precipitò verso destra. Un grosso carro di legno con due tozzi cavalli da tiro era lì fermo e un uomo, appena vide i due ragazzi uscire rapidi dalla torre, ne aprì un fianco indicando loro il nascondiglio interno. Lionel vi si infilò lesto e Vance lo seguì. C'era appena lo spazio per stendersi piatti tutti e due, stretti.

L'uomo disse solo: "Silenzio, qualunque cosa capiti." e richiuse la fiancata.

Dopo pochi istanti il carro si mosse. I due amici erano nel buio più assoluto. In quell'angusto nascondiglio l'odore della carne appena macellata che il carro trasportava era molto intenso. Dopo poco il carro si fermò. Voci. Capirono che stavano scaricando la carne: dovevano essere vicini alla porta delle cucine.

Vance sentiva il corpo di Lionel addossato al suo: entrambi stavano tremando. Cercò una mano di Lionel e gliela strinse. Il ragazzo rispose alla stretta. Dopo un tempo che parve loro interminabile, il carro riprese a muoversi. Si fermò alla prima porta. Ripartì e dopo poco si fermò di nuovo. Altre voci: doveva essere l'ispezione. Sentirono colpi dati al carro, forse con l'elsa di una spada. I due ragazzi nel buio nascondiglio si strinsero di nuovo la mano. Ancora voci. Non riuscivano a distinguere le parole ma il tono sembrava normale. Superata la seconda porta, il carro ripartì. Altra sosta, altre voci, il carro ripartì di nuovo quasi subito: stavano finalmente uscendo dal castello!

Sobbalzando, il carro passò sul ponte levatoio poi proseguì, sempre sobbalzando. Le ruote cigolavano. A volte avevano la percezione che il carro cambiasse direzione. Vance cominciava a sentirsi indolenzito in quella posizione, ma non c'era spazio per cambiarla, per muoversi. Aveva voglia di dire qualcosa a Lionel, ora che erano fuori dal castello, ma ricordò l'ingiunzione dell'uomo e tacque, accontentandosi di stringere di nuovo la mano dell'amico.

Il carro continuava nella sua lenta e traballante marcia. Di tanto in tanto sentivano la voce dell'uomo incitare i cavalli con versi appropriati. Il carro si fermò, poi si mosse per un breve tratto, quindi si fermò di nuovo. La fiancata del carro si riaprì.

L'uomo disse loro: "Fuori, svelti, non c'è tempo da perdere."

I due giovani scivolarono fuori e si stirarono, indolenziti. L'uomo li guidò attraverso un cortile fino a una stanza, poi in un corridoio semibuio. Attraversarono un altro cortile ed entrarono in un lungo cunicolo che si svolgeva a zig zag. Uscirono in un altro cortile. Qui l'uomo bussò a una porta secondo un segnale convenuto. Dopo poco la porta si aprì e sul vano comparve un uomo con una lanterna in mano.

"Eccovi il vostro carico. Datemi il prezzo pattuito, ora."

L'uomo porse un sacchetto di monete al macellaio e fece cenno ai due ragazzi di entrare: "Seguitemi, vi aspettano."

Li guidò attraverso un intrico di stanze spoglie e corridoi oscuri, rischiarati solo dalla sua lanterna, fino a una specie di vasto magazzino. Qui, attorno a un focherello, c'erano quattro uomini. Uno dei quattro, appena li vide arrivare, disse qualcosa in irlandese e Lionel rispose.

Poi si girò verso Vance: "Sono uomini dei miei fratelli. Ci attende una barca."

"Ci porterà al tuo paese?"

"No, nella direzione opposta, ma ci permetterà di uscire da Londra senza troppi problemi."

Lionel parlò ancora con quegli uomini nella sua lingua, poi spiegò a Vance: "Ci nasconderanno sotto un carico di letame. Scenderemo il Tamigi fino fuori dalla città. Dovremmo passare il posto di guardia senza problemi: fino a ora non sono mai stati fermati. A Grays Turrock ci aspettano altri uomini. Ci laveremo e ci travestiremo e con dei cavalli gireremo a nord di Londra e traverseremo l'Inghilterra fino a raggiungere il Galles. Qui ci aspetta una nave che ci condurrà in Irlanda. Sarà un viaggio lungo, ma ci sposteremo solo di giorno, alla luce del sole."

"Non è più pericoloso?"

"No, anzi. Il travestimento ci proteggerà."

"Come saremo travestiti?"

"Da umili fraticelli. Accompagneremo il vescovo di Cork che da Canterbury torna alla sua sede."

"Anche il vescovo è d'accordo?"

"No, lui non ne sa nulla. Ma il priore di Basildon è d'accordo. Ci presenterà come suoi novizi."

"Non ho mai recitato la parte del frate, io. Non so dire messa e non conosco il latino."

"Neanche io lo conosco. Ma siamo abbastanza giovani per essere due novizi appena entrati in convento, perciò alle prime armi. Dovranno tagliarci i capelli e farci la tonsura."

"Oddio, i miei bei capelli!" esclamò Vance.

Lionel rise: "Credo che sia molto più preziosa la libertà che non i tuoi bei capelli, no?"

"Certo. Quando partiamo?"

"Subito. Stanno preparando la barca. Qui siamo in riva la Tamigi. I trasporti del letame avvengono sempre di notte."

"Prima sotto carcasse di animali squartati, ora sotto al letame... Arriveremo che puzzeremo come cadaveri in decomposizione."

"Pazienza. Ecco, vieni, ci stanno facendo segno."

Salirono sulla barca del letame. In mezzo a uno strato di maleodorante letame vi era una mezza botte foderata di paglia. Vi fecero stendere i due ragazzi quindi la ricoprirono con due larghe tavole di legno. Inserirono un tubo perché potessero respirare e ricoprirono il tutto con un alto cumulo di letame. I due ragazzi, sepolti lì sotto, stavano stesi semiabbracciati. Dal tubo arrivò una voce che chiese qualcosa. Lionel rispose.

"Che diceva?" chiese Vance in un sussurro.

"Chiedeva come stiamo. Gli ho detto che stiamo bene."

"Che bugiardo! Non senti che fetore?"

"Sì, ma sento anche il tuo corpo contro il mio, perciò sto bene."

Il loro ricettacolo iniziò a ondeggiare. Lionel sospirò e disse: "Siamo partiti..."

Sentivano giungere fioco dal tubo lo sciabordio dei remi nell'acqua. Dondolando, la barca scivolò silenziosa nella notte, costeggiando la riva.

Giunti vicino al posto di controllo, un uomo della barca gridò: "Brogan, col carico di letame!"

Dalla riva una voce gridò in risposta: "Abbassiamo subito la catena. Vattene svelto, che ci ammorbi l'aria. Lavoro schifoso il tuo, Brogan!"

"Non serve che me lo ripetete ogni volta, lo so da solo!" rispose l'uomo e la barca riprese a dondolare seguendo la pigra corrente del fiume.

Dopo poco di nuovo una voce provenne dal tubo. Lionel tradusse: "Dice che siamo fuori da Londra. Tutto bene, fino ad ora."

Vance sospirò, poi mormorò: "Io ho ancora paura."

"Anche io... Il viaggio è appena cominciato."

Dopo un tempo che sembrò loro lunghissimo, la solita voce parlò di nuovo nel tubo.

"Dice che siamo arrivati e che presto ci liberano da qui. Coraggio, Vance. Un altro passo verso la libertà."

"Ci toglieremo mai di dosso questo fetore?"

"Lo spero."

Finalmente le tavole che li ricoprivano furono rimosse e mani premurose li aiutarono a uscire dal loro nascondiglio. Camminarono sul letto di letame e scesero a terra. Un altro uomo con una lanterna li attendeva. Lo seguirono. Attraverso un viottolo giunsero a una porticina di un alto muro di cinta. Entrarono in un giardino. L'uomo disse loro di aspettare e, richiusa la porta da cui erano entrati, andò a bussare a un'altra porta. Ne uscì un altro uomo. I due confabularono un po' poi il nuovo arrivato si avvicinò ai due ragazzi.

Il inglese, disse: "Toglietevi qui tutto quello che avete indosso e seguitemi. Ho preparato una tinozza di acqua ben calda e anche un pezzo di sapone. Brucerò io i vostri abiti."

I due ragazzi si denudarono in fretta, entrarono nella stanza illuminata da alcune candele e si immersero assieme nel vasto tino di legno pieno di acqua fumante. Cominciarono a sfregarsi l'un l'altro energicamente per togliersi di dosso il sudiciume e il cattivo odore. L'uomo li guardava, seduto su uno sgabello, la sua lanterna appoggiata su un tavolo lì accanto. Quando i due ragazzi ebbero finito di risciacquarsi, l'uomo si alzò e porse loro un panno.

"Asciugatevi con questo, poi sedete qui, uno alla volta, che vi taglio i capelli e vi raso la chierica. Se avete fame, lì c'è della birra e del porco arrosto: servitevi."

Vance sedette per primo sullo sgabello. Vedeva grosse ciocche dei suoi capelli cadere attorno a sé. Guardò Lionel che stava mangiando e gli sorrise, facendo spallucce. L'uomo lavorava in fretta ma bene: si capiva che era esperto del mestiere. Poi fu la volta di Lionel.

Vance si passò una mano sul capo e disse: "Mezzo frate è fatto. Con la tonaca sarò un frate completo. Come sto, Lionel?"

"Bene, Vance, bene..."

"Non vi hanno avvertito di non usare più i vostri nomi?" chiese l'uomo continuando a tagliare i capelli di Lionel.

"No, ma è giusto. Che nomi dobbiamo usare?"

"Tu, che sarai un novizio irlandese, sarai fra' Patrick e tu invece, il novizio inglese, sarai fra' George. I santi patroni di Irlanda e Inghilterra. Semplice."

"Non è troppo semplice?" chiese Lionel.

"No. Tanto più semplice, tanto più credibile. Appena ho finito con te, vi do le tonache, poi vi accompagno fino al convento. Il priore vi aspetta e vi spiegherà le cose essenziali. Domani all'ora di pranzo, più o meno, dovrebbe arrivare il vescovo Thomas O'Leary che torna dalla visita al primate d'Inghilterra. Sarete al suo seguito fino in patria. Ecco fatto. Seguitemi, ora."

Ancora nudi, seguirono l'uomo. Poco più in là, su una panca, c'erano le due tonache. L'uomo porse loro delle corte braghe di canapa, una specie di casacca senza maniche della stessa canapa, poi fece loro infilare le nere tonache. Insegnò loro come annodare il cordone, come sistemarvi il rosario dai grani di legno e consegnò a ciascuno di loro una sacca da portare a tracolla.

"Tiratevi su il cappuccio: i frati tolgono il cappuccio solo quando sono dentro al convento. Bene, siete perfetti. Seguitemi, ora, vi porto al convento."

Uscirono da un'altra parte. Sulla strada c'erano tre asini. Li cavalcarono e partirono seguendo l'uomo. Quando giunsero al convento, alle porte di Basildon, stava già albeggiando. L'uomo tirò il cordone della campanella della porta del convento. Un frate arrivò quasi subito ad aprire.

"Ecco i due novizi che Sua Reverenza aspettava." disse l'uomo.

Il frate fece cenno di entrare. I tre scesero dagli asini, l'uomo li legò a un anello sul muro, e seguirono il frate.

"Vado a chiamare subito il priore. Attendete qui."

Il priore arrivò poco dopo. Fece un cenno di saluto all'uomo poi, in silenzio, fatto cenno ai due ragazzi di seguirlo, li condusse attraverso un chiostro, poi su per una scala, fino a una cella.

"Bene arrivati. Chi è fra' Patrick? Bene, quindi tu sei fra' George. Il vescovo arriverà qui domani. Pranzerà e vi presenterò a lui assieme ai due veri novizi. Ripartirete probabilmente il pomeriggio stesso. Quando alla Torre scopriranno la vostra fuga, sarete già in viaggio con Sua Eccellenza il Vescovo. Ricordate alcune regole: non bevete mai alcolici, non mangiate mai carne. Parlate solo se vi interrogano e dite meno parole possibile: avete il voto del silenzio. Durante le preghiere imitate in tutto e per tutto i veri novizi. Ricordate che nessuno, nessuno sa che non siete veri novizi, è chiaro?" e continuò così dando loro istruzioni, facendosele ripetere di tanto in tanto per essere sicuro che i due ragazzi avessero capito bene.

Poi chiese a Vance: "Sai leggere, tu?"

"Non il latino... e neppure l'irlandese."

"Basta che tu sappia leggere l'inglese. Vi darò un libretto con le vite dei santi. Nelle soste leggetelo, non fate altro. Ora dovete riposare un poco, credo che ne abbiate bisogno. Vi porto nelle vostre celle."

"Non dormiamo nella stessa cella?" chiese Vance.

"Ogni frate ha la sua cella. Perché?"

"Vorremmo poter parlare un poco fra noi. È stato tutto così rapido."

"No, è meglio che vi abituiate al voto del silenzio e che iniziate subito a comportarvi come gli altri frati. Se volete parlare, vi lascio un attimo soli, mentre vado a controllare se le vostre celle sono in ordine. Pochi minuti soltanto."

Appena il priore fu uscito, Vance disse a Lionel: "Chissà quando riusciremo di nuovo a fare l'amore, tu e io? Prima, mentre ci lavavamo, se non c'era quel tizio a guardarci, avrei fatto l'amore con te."

"Me ne sono accorto. Ma non credo proprio che due frati possano fare l'amore: hanno il voto di castità."

"Ma noi non siamo veri frati. E io ho conosciuto un vescovo che faceva l'amore con un attore della mia compagnia."

"Abbi pazienza, amore mio. Anche a me peserà, lo sai bene. Ma la nostra libertà val bene qualche sacrificio, non pensi? Cerchiamo di comportarci da frati, ora."

"Forse hai ragione. Preghiera e lavoro dicono, no?"

In quella entrò il priore: "Ora et labora, cioè prega e lavora è il motto dei monaci benedettini, non il nostro. Noi siamo Black Friars, cioè dell'ordine di San Francesco, e il nostro motto è pax et bonum, cioè pace e bene e voi saluterete così. Ora seguitemi, le vostre celle sono pronte."

Appena Vance fu nella cella assegnatagli si gettò sul letto e sprofondò immediatamente in un sonno profondo nonostante fosse mattina. Lo svegliò più tardi un giovane frate che, bussato alla porta entrò.

"Pace e bene, fra' George."

"Eh? Ah, pace e bene, fratello."

"Tra poco suonerà la campana per il pranzo. Il padre priore mi ha incaricato di venire a svegliarti."

"Tu sei uno dei novizi che verrà ad accompagnare il Vescovo?"

"Sì, sono fra' Timothy."

"Da molto sei in convento?"

"Sono entrato due mesi fa. Tu sei appena entrato nel nostro ordine, vero?"

"Sì, ma... dimmi, non abbiamo il voto del silenzio?"

Il giovane frate sorrise e abbassò gli occhi, poi disse: "Nessuno ci può sentire, ora. E poi non ci sono ancora abituato. Io prima ero lo stalliere di un lord..."

"Come mai hai deciso di entrare in convento?"

"Ho perso il lavoro... Qui almeno mangio, ho un riparo, una vita tranquilla."

"Quanti anni hai?"

"Diciassette."

"Ah, uno meno di me."

"E tu, prima, che facevi?"

"Lavori vari..."

"E tu come mai sei entrato in convento?"

"Per trovare pace e libertà."

"Hai dormito con la tonaca. Come mai?"

"Ero così stanco che non mi sono neanche accorto di addormentarmi."

"Sei contento che ti trasferiscano in Irlanda?"

"Sì, e tu?"

"Così così. Stavo bene, qui, avevo fatto amicizie. Forse proprio per questo hanno deciso di trasferirmi."

"È proibito fare amicizie?"

"Pare di sì. Non lo dicono chiaro e tondo, ma pare che facciano del tutto per scoraggiarle. Così mi separano da fra' Adrian."

"È il tuo amico?"

"Sì, era lui che mi consolava quando mi sentivo troppo solo o triste."

Vance pensò che sarebbe piaciuto a lui consolare quel ragazzo dagli occhi vivaci, la cui tonaca nascondeva le forme ma che non doveva essere niente male.

Allora chiese: "Dobbiamo scendere subito in refettorio o abbiamo ancora un po' di tempo?"

"Tra non molto dovrebbe suonare la campana. Ti accompagnerò io al refettorio. Fino ad allora abbiamo un po' di tempo e siamo tranquilli."

"Siedi qui, allora, accanto a me."

Il novizio sedette sul bordo del letto. Vance, con fare casuale, gli appoggiò una mano su una gamba.

"Fra' Timothy, potremmo diventare amici, noi due."

"Mi piacerebbe."

"Basta che non se ne accorgano fra' Patrick e l'altro novizio. Come si chiama? Che tipo è?"

"Fra' Dennis? Ha ventitré anni. Lui è novizio da quattro anni. È molto ligio alla regola, è un tipo ascetico e colto. Non è né simpatico né antipatico. Tu mi sembri simpatico, invece."


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