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una storia originale di Andrej Koymasky


MEMORIA CAPITOLO 2 - RITORNO A CASA

Si era appena ricomposto ed era sceso dal letto, quando squillò il telefono. Era una chiamata dall'ospedale. Gli comunicavano che Gilberto aveva ripreso i sensi ma purtroppo sembrava in preda a un'amnesia totale. Il primario lo pregava di recarsi subito in ospedale.

Nicola, turbato, prese la moto e si recò immediatamente all'ospedale. Fu ricevuto dal primario che gli disse che il paziente era in stato di coscienza da circa cinque ore, ma che era in uno stato di evidente amnesia totale elettiva e che comunque lo stavano ancora esaminando. Ricordava il nome di cose, oggetti, nozioni generali ma nulla riguardo al proprio nome, alla sua vita, né nomi di persone che conoscesse e nulla neppure riguardo al suo lavoro.

Gli spiegò che questo era quasi certamente dovuto allo shock dell'incidente e che era ancora troppo presto per dire se si trattasse di un fenomeno temporaneo o meno, reversibile o meno. Lo informò anche che la polizia non era ancora riuscita a rintracciare nessun parente. Infine gli chiese se poteva andare a vedere Gilberto.

"Forse, vedendo un volto conosciuto, potrebbe ritrovare un qualche aggancio con la realtà." concluse il primario.

Nicola si sentì confuso: la sua iniziale bugia di essere un conoscente di Gilberto ora stava venendo a galla.

Incerto, Nicola disse: "Non so, non credo. Forse anche senza l'amnesia non si ricorderebbe di me. Lui è il direttore della Cassa di Risparmio del mio paese. Io lo conoscevo di vista, lui forse non mi conosce neppure."

"Tanto vale tentare. Male comunque non può fare. Venga."

Nicola seguì il primario. Entrarono nella camera di Gilberto.

Appena li vide, l'infermiera si aprì in un ampio sorriso e con un tono di voce un po' più alto del normale, disse al paziente: "Ecco, signor Gilberto Ferri, qui c'è il primario con il suo amico."

Gilberto era semi-seduto sul letto. Il suo volto era serio ma aveva un'espressione tranquilla. Guardò a lungo Nicola negli occhi.

Poi gli disse: "Mi scusi, ma... io non mi ricordo di lei. Le spiace dirmi il suo nome? O forse ci davamo del tu?"

Nicola era nervoso e imbarazzato ma, con tono di voce sorprendentemente calmo, disse: "Io sono Nicola Girotto. La mia famiglia è cliente della sua banca."

"Mi dispiace, non mi ricordo... neanche della mia banca, a dire il vero."

L'infermiera, sempre con il suo tono di voce un po' troppo alto, aggiunse: "Il signor Girotto, qui, era presente al suo incidente d'auto. È lui che ha chiamato la polizia e l'ambulanza."

"Ah, grazie. Allora... era in auto con me?"

"No, lei mi ha superato con la sua auto, io ero in motocicletta. E subito dopo lei è andato fuori strada. È un caso che io fossi lì."

Il primario si chinò verso Gilberto: "Non è necessario che ora si sforzi di ricordare. Parli un po' con il signor Girotto, di qualsiasi cosa. Non cerchi di ricordare a tutti i costi. Al momento opportuno la memoria tornerà. Vi lasciamo soli per un po', va bene?"

"Come crede." rispose Gilberto.

Il primario e l'infermiera uscirono. Nicola era restato in piedi e guardava Gilberto, incerto su cosa fare o dire.

L'uomo gli fece un cenno con gli occhi: "Si sieda. Quell'infermiera che continua a gridarmi in faccia il mio nome. Forse non si è resa conto che il mio problema non è la sordità, ma la memoria." disse sorridendo.

Nicola gli sedette accanto.

Gilberto lo guardò negli occhi e disse: "Dovrei conoscerla? Dovrei ricordarmi di lei?"

"No. In realtà non ci siamo mai incontrati prima. Anche se viviamo nello stesso paese, anche se i miei hanno un conto presso la filiale di cui lei è direttore."

"L'infermiera diceva che lei è un mio amico."

Nicola arrossì: "È stata... una bugia. Quando sono venuto in ospedale per vedere come stava, temevo che non mi lasciassero vederla e così... ho detto che ero un suo amico. Mi dispiace."

"Voleva vedermi? Perché, se non mi conosceva?"

"Perché ho assistito al suo incidente, l'ho vista volar fuori dalla sua macchina. L'ho vista a terra privo di sensi e insanguinato. Non lo so, non c'è un vero motivo."

"Dice l'infermiera che lei è venuto a vedermi più volte, che lei è l'unica persona che si sia interessata a me. Beh... la ringrazio. Pare che non siano ancora riusciti a rintracciare nessuno dei miei parenti... e io non so neppure se ne ho... non so neanche chi sono. Eppure mi sento bene. A parte il braccio e la gamba, certo. A quanto pare lei è il mio unico aggancio con la realtà che ho dimenticato."

"Beh, ci sono tutti gli impiegati della sua banca..."

"Già, li chiameranno, immagino. Ma per ora lei è l'unico. Ha detto che si chiama Nicola, vero?"

"Sì, Nicola Girotto."

"Già. Bel nome, Nicola. Il mio pare che sia Gilberto. Mi fa uno strano effetto, non so perché, ma mi sembra che sia un nome buffo, Gilberto."

"No, non è buffo. È un nome di origine germanica che significa bravo a lanciare le frecce, bravo arciere."

"Ah, un nome guerriero. Dovrò abituarmici, comunque, visto che pare sia il mio. Con quell'ochetta che me lo grida sempre nelle orecchie non sarà difficile, penso. Lei che cosa fa, Nicola?"

"Io? Studio. Faccio il terzo anno a lettere."

"Le piace?"

"Sì, mi piace."

"Pare che sia laureato anche io. È buffo, ricordo molte cose, cose tecniche, di cultura, ma niente che mi faccia capire chi sono, cosa sono. Riconosco un brano di Mozart e so chi era Mozart. So cos'è un conto corrente, so come si cucina il brasato al barolo, ma non so dove abito, com'è fatta casa mia, chi sono i miei parenti e i miei amici, il lavoro che avevo, l'auto che guidavo. Una stranissima sensazione. Non spiacevole, voglio dire, capisco che non è normale, ma non mi pesa. Solo... provo una specie di timore... che cosa potrò scoprire di me stesso? Mi piacerà, se e quando ricorderò, quello che scoprirò di me stesso?"

"Perché no? Nessuno di noi è perfetto, ma nessuno di noi è da buttare via. Potrebbe essere persino affascinante... riscoprirsi, specialmente se uno si sa accettare per quello che è."

"Ma se scoprissi di me che sono... che so io... un maniaco, un pervertito, un criminale? Se fosse proprio questa la causa della mia amnesia?"

"Una specie di rifiuto di se stesso, vuole dire?"

"Sì, più o meno."

"Non credo che ci si debba mai rifiutare. Se non ci piaciamo, dobbiamo solo cercare di cambiare. Ma nessun cambiamento sarebbe mai possibile se prima non ci si accetta per quello che siamo... credo."

"Già, forse è così. Ma io la annoio con questi miei discorsi."

"No no, affatto!"

"Nicola, lei... lei sarebbe disposto ad aiutarmi?"

"Io? Aiutarla? Se posso, volentieri... ma come?"

"Mi fa piacere sapere che... che qualcuno si sia interessato a me. Vorrei... non so... che diventassimo amici, che... poter contare su di lei, ecco."

"Volentieri."

"Quando mi faranno uscire da qui, dovrò tornare a casa mia e... vorrei che ci fosse lei, con me."

"Senza problemi."

"Lei è il mio unico tramite con la mia realtà, mi capisce?"

"Sì, credo di sì."

"Grazie. Mi sento un po' meno solo, adesso. E... potremmo darci del tu, no?"

"Sì, come crede... sì, va bene."

Gilberto gli sorrise, annuì, poi disse a mezza voce: "Se anche non ricorderò mai il mio passato, almeno il presente sta cominciando bene."

"Ha detto il dottore di non preoccuparsi."

"Certo. Dicono sempre così, loro. Comunque almeno per ora, non mi preoccupo. Ma non so se sarà facile. Forse il motivo per cui chiedo aiuto proprio a te è che non abbiamo ricordi in comune, e che perciò, almeno tu, non ti aspetti che io mi ricordi ciò che ti riguarda. E sento anche che non mi guardi come un fenomeno curioso. Quando sei entrato... non so... temevo che tu pretendessi qualcosa da me: i miei ricordi."

"Io ero solo molto imbarazzato, per via della mia bugia."

"Ma adesso non è più una bugia, no?"

"Già."

Nicola tornò a trovarlo diverse volte. Un giorno porse il giornale a Gilberto, che scorse rapidamente l'articolo che lo riguardava.

"Almeno, se hai qualche parente, ora salterà fuori." gli disse Nicola.

"Già."

"Ti ha dato fastidio in questi giorni, incontrare i tuoi colleghi?"

"No, non proprio fastidio. Sono solo un po' frastornato. Pretendevano che li riconoscessi, che mi ricordassi di loro."

"Forse lo speravano solo... anche per te."

"Forse. Ma vedevo chiaramente la loro delusione quando dicevo di non riconoscerli, di non ricordare assolutamente nulla di loro."

"Non hai ricordato proprio nulla?"

"Nulla di nulla. Proprio come perfetti sconosciuti."

"Ma quando il vicedirettore ti ha parlato del tuo lavoro in banca, ieri, mi pare che tu abbia sempre risposto a tono, no?"

"Per quanto riguardava gli aspetti tecnici, sì. Ma non ho ricordato nessuna delle operazioni in corso di cui mi ha parlato. Conosco i problemi come cose astratte, ma niente sul piano concreto. Un po' come un esperto esterno, uno a cui vengono presentati problemi che non conosce, a cui sa dare risposte, ma da estraneo. E poi c'eri anche tu, no? Ti sei reso conto di come è andata."

"So solo che ti sei stancato parecchio."

"Sì, è vero. Ma, vedi, non posso fare a meno di sforzarmi di ricordare. Se solo riuscissi ad afferrare un dettaglio, un filo, forse di lì a poco a poco potrei ricostruire il resto. Ho l'impressione che sia come una diga immensa che trattiene le acque dei miei ricordi: se solo si aprisse un forellino, una minuscola crepa, forse la diga crollerebbe e i miei ricordi ricomincerebbero a fluire."

"Il dottore dice che appena le fratture si saranno risaldate potrai tornare a casa tua. Forse trovarti fra le tue cose potrà aiutarti a ricordare."

"Già, forse. Ma è curioso, da quando mi sono risvegliato qui in ospedale ricordo tutto perfettamente, ogni dettaglio, in modo nitido, perfetto. Ma per esempio la mia patente, la foto che c'è nel mio portafoglio non mi dicono nulla. Quella foto mi è stata scattata da qualcuno al mare. Ma da chi? Sembra recente. Dove mi è stata scattata? Non lo so. Non so nulla, capisci?"

"Sì, cerco di capire come puoi sentirti, Gil. Ma non devi preoccuparti, non serve a nulla. Se... se anche tu non dovessi ricordare... beh, puoi sempre ricostruirti una vita, ricominciare. Chissà quanti darebbero un occhio della testa per poter ricominciare."

"Oh, forse è come dici tu, ma io darei un occhio per poter... continuare, per poter ricordare. Sai, a volte penso che questa amnesia venga proprio dal voler dimenticare qualcosa di molto brutto... e questo mi mette addosso una certa angoscia."

"Ma no, lo dice anche il primario: è solo lo shock dell'incidente." ribatté Nicola sorridendogli con dolcezza.

"Mi piace quando sorridi." disse Gilberto.

Nicola lo guardò lievemente stupito, poi sorrise di nuovo e sedette accanto al letto.

"Puoi fermarti ancora? Non devi andare in facoltà, stamattina?"

"Non ho lezioni importanti e poi c'è Marinella che mi passerà gli appunti."

"Marinella? La tua ragazza?"

"No, solo una compagna di corso. Simpatica, ma niente di più. Non ho una ragazza."

"No? Eppure sei un bel ragazzo, simpatico, intelligente, colto... gentile."

"Per ora voglio solo pensare a laurearmi."

"Sai, mi chiedevo: dalle indagini della polizia risulta che sono scapolo. Chissà se avevo una donna, io?"

"Se l'avevi, adesso con l'articolo sul giornale, dovrebbe saltar fuori."

"Già. E se saltasse fuori... chissà che effetto mi farà?"

"Se ti piaceva, ti piacerà di nuovo."

"Ne sei certo?"

"No... ma penso che dovrebbe essere così. Se qualcosa ti attirava verso un certo tipo di persona, dovrebbe ancora attirarti."

"Sai che... riesco a immaginare un rapporto sessuale, ma non ricordo se l'ho mai avuto?"

"Credo che a trentanove anni sia del tutto improbabile che tu sia... ancora vergine, no?"

"Credo anche io... ma non ricordo nulla."

"Beh... vuol dire che... avrai di nuovo una prima volta. Dovrebbe essere piacevole."

"Sì, forse hai ragione. Bisogna cercare di vedere il lato positivo delle cose. Ma a volte mi sento un po' come un ragazzino, di fronte a... a quasi tutto."

"Un ragazzino con l'esperienza di un adulto, però."

"No, non è esatto. Un ragazzino con la conoscenza di un adulto ma con l'esperienza di un neonato. L'esperienza è fatta di ricordi e quelli, almeno per il momento, non li ho."

"Già, hai ragione."

"Tu, almeno per ora, hai molta più esperienza di me."

"Anche se ho poco più della metà della tua età... Buffo, non ci avevo mai pensato."

Parlarono ancora un po'. Poi Nicola lo salutò, promettendogli che sarebbe tornato nel pomeriggio.

Dopo pochi giorno il primario volle di nuovo parlare con Nicola. Gli disse che avrebbe dimesso Gilberto e gli chiese di stargli vicino, specialmente nei primissimi giorni del suo reinserimento nella propria casa. Nicola promise che avrebbe fatto del proprio meglio.


Così venne il giorno fatidico. Usciti dall'ospedale, presero un taxi. Lungo tutto il percorso non parlarono quasi. Gilberto si guardava attorno con l'aria di un turista assorto. Giunti sotto casa di Gilberto, l'uomo pagò il taxi e Nicola lo condusse davanti al portoncino.

"Ecco, questa è casa tua, vedi? Qui sulla campanelliera c'è il tuo nome."

"Già, e queste dovrebbero essere le chiavi. Forse questa apre il portoncino. Proviamo."

Si aprì. Entrarono. Salirono fino al piano dell'appartamento di Gilberto. L'uomo provò una chiave, poi un'altra e la porta si aprì.

"Mi sembra di entrare nella casa di un altro... non riconosco niente."

"Non importa. Comunque questa è casa tua. Entriamo."

Si guardarono attorno.

Poi Gilberto chiese a Nicola: "Ti piace?"

"E a te?"

"Non lo so. Non è brutta... Ma non la sento mia."

Cominciarono a girare per le stanze, esplorandola. Era un alloggio ben distribuito, con un'ampia camera da letto, una cucina moderna e ben attrezzata, un soggiorno luminoso con un salottino, un piccolo studio pieno di carte. Gilberto si aggirava per la casa senza toccare nulla. Poi posò la stampella e si lasciò cadere sul divano del salotto.

"Vedi se c'è qualcosa da bere, da qualche parte."

Nicola annuì, aprì un paio di sportelli finché trovò i liquori e i bicchieri.

Chiese a Gilberto: "Cosa vuoi bere?"

"Che c'è?"

"Whisky, gin, Grand Marnier, vodka, brandy, Martini, porto, Djesus..."

"Per me un Djesus. E tu?"

"Io prendo un porto."

Nicola versò da bere per tutti e due poi sedette accanto a Gilberto. Sorseggiarono lentamente i loro liquori, senza parlare. Gilberto frattanto si guardava attorno.

"Chissà se l'ho arredata io così o se l'ho trovata ammobiliata?"

"Ti piace questo arredamento?"

"Non particolarmente. È un po' troppo classico. Mi piace di più la cucina. È tutto pieno di polvere, dovrò trovare una donna per le pulizie. Chissà se le facevo io da solo o se ne avevo già una? In questi giorni dovrò esplorare un po' casa, le mie carte, le mie cose... Questo forse mi darà un'idea su chi sono. E dovrò organizzarmi. Va già bene che sono in mutua per altri due mesi e che mi pagano lo stipendio. Vieni di là, Nicola, voglio cominciare a esplorare lo studio."

"Non preferisci farlo da solo?"

"Da solo? Perché?"

"Ma, che so io... potrebbero saltar fuori cose molto personali, che puoi non aver piacere di far vedere ad altri."

"Tipo giornaletti pornografici?" chiese Gilberto sorridendo divertito.

"Sì, tipo. Avevo pensato proprio a qualcosa del genere, e..."

"Di te non mi vergogno. Tu sei l'unico amico che ho, ora. E non credo che ti scandalizzeresti, no?"

"No, certo."

"Andiamo, allora."

Non saltò fuori nulla di compromettente. Essenzialmente erano tutte carte di lavoro. Poi trovarono una cartellina piena di lettere. Gilberto, seduto alla scrivania, le lesse a una a una.

"La più recente è di sei mesi fa. Sembrano di ex colleghi, amici del tempo di scuola... niente di interessante. Niente di personale. Niente su me. Questo mi annuncia che gli è nato il terzo figlio... questo mi parla delle sue vacanze alle Canarie... Questa è firmata da una certa Laura... da quello che dice deve essere una collega di quando ero a Novara: parla del nuovo vicedirettore che mi ha sostituito e dice che ero meglio io... Bah, chissà perché le ho conservate? Questa sembra una lettera di scuse, ma non capisco di che cosa si stia scusando... Dice solo che gli dispiace molto, che spera che io non gliene voglia... chissà di cosa?"

Nicola lo osservava. Gilberto aveva un'aria assorta e sulle labbra gli aleggiava un lieve sorriso vagamente divertito.

"Mi sembra di essere un detective che fruga fra le carte di un estraneo per ricostruirne la vita, gli eventi."

"Ma sono le tue carte, queste."

"Sì, del Gilberto Ferri pre-incidente. Uno sconosciuto, per me, lo sai bene. Ho accettato di chiamarmi Gilberto Ferri perché così risulta ma... se mi chiamassi Andrea Solmi sarebbe esattamente lo stesso."

"Chi è Andrea Solmi?"

"Non lo so. Ho detto un nome così, a caso."

"Sicuro? Di solito per dire un nome a caso viene fuori un Mario Rossi... non un nome così. Non potrebbe essere qualcuno che conosci, che hai conosciuto?"

"Non lo so. Forse. Ma non so nulla di questo Solmi, nulla più di quello che so di Ferri."

"No, di Ferri sai qualcosa in più."

"Sì, che dicono che sono io... che ha avuto un incidente e che ha perso la memoria. E che ora è qui con Nicola che fruga inutilmente nel proprio passato."

"È sempre più di quello cha sai su questo Solmi, comunque."

"Ammesso che esista un Andrea Solmi."

"Potremmo cercarlo."

"No, se esiste salterà fuori. Ho già abbastanza sconosciuti da risistemare. È come un gigantesco puzzle. Non mi serve cercare nuove tessere, mi bastano quelle ce si presentano via via e che ancora non vanno a posto."

"Io... vorrei sapere come aiutarti."

"Tu? Mi stai aiutando moltissimo, anche solo standomi accanto, credimi. Aiutandomi a credere che esisto, nonostante tutto. Che sono un essere umano e non un sogno."

"No, tu non sei un sogno."

"No. Ma tu sei tutto quello che ho per crederci. Non puoi immaginate quanto tu sia prezioso, per me."

"Bene. E puoi contare su di me, per qualsiasi cosa."

"Lo sento... lo so."

Si guardarono a lungo, con un lieve sorriso sul volto. E Nicola si accorse per la prima volta che gli occhi di Gilberto erano di un verde-azzurro bellissimo, e che anche il sorriso di Gilberto era bellissimo.

"A che pensi?" gli chiese Gilberto.

"Che hai un bel sorriso e begli occhi." rispose subito, sinceramente, Nicola e si stupì per la propria franchezza.

"Grazie." rispose con semplicità Gilberto. Poi si alzò: "Andiamo in cucina a vedere se c'è qualcosa da mangiare. Ho un po' fame... ti fermi a cenare con me?"

"Volentieri. Avverto solo a casa che non mi aspettino."

"Sì, grazie. Lì c'è il telefono."

Dopo aver controllato quello che c'era in casa, decisero di uscire per fare un po' di spesa. Al supermercato, mentre riempivano il carrello, due o tre persone salutarono Gilberto informandosi sulla sua salute. Nicola ammirò la disinvoltura del suo amico, come questi si scusava, spiegava della propria amnesia e chiedeva all'altro chi fosse.

Tornati a casa, mentre Nicola lavava il frigorifero, Gilberto cominciava a sistemare gli acquisti.

L'uomo disse: "È cominciata la fatica del reinserimento nella vita quotidiana."

"Mi pare che te la stai cavando egregiamente."

"Sto cercando di prenderlo come un gioco. È curioso, ma non mi disturba lo sguardo di curiosità, e un po' anche di pietà degli altri quando spiego come stanno le cose."

"Bene. Meglio così."

"Certo."

Gilberto volle cucinare: se la cavava bene in cucina. Mangiarono parlando del più e del meno.

"Quello che più apprezzo in te è che non mi chiedi mai: te lo ricordi?"

"Mi sembra logico."

"Può darsi. Tu mi accetti per quello che sono, non per quello che ero."

"Non conoscevo quello che eri."

"E pare che non ti interessi conoscerlo."

"Non particolarmente. Il passato è... passato. A me interessa Gil così com'è ora."

"Anche se è un Gil senza passato?"

"Anche se è un Gil che ha perso il proprio passato."

"Ma perché ti interesso, io?"

"Non lo so, sinceramente. In qualche modo sei entrato a far parte della mia vita e mi fa piacere. È tutto."

"Già. Forse non ritroverò mai il mio passato."

"Te ne stai costruendo uno, comunque. È inevitabile. E poi, non è detto."

"Non è detto... ma mi piacerà?"

"Sembra che questo sia quello che ti spaventa di più. Se anche non ti piacesse, comunque, ormai appartiene al passato. Quello che conta è cosa costruisci oggi, cosa sei o vuoi essere oggi, no?"

"Non mi spaventa, no... ma mi preoccupa un po' non sapere chi ero. Quali fantasmi sono nascosti nei miei armadi, e se e quando verranno fuori..."

"Non ho paura dei fantasmi. A volte è la gente in carne e ossa che può far paura, non i fantasmi."

"Tu, guardando indietro, non hai mai nulla che vorresti dimenticare?"

"Io? No, non mi pare. Certo, ci sono errori che non vorrei ripetere, ma non rinnego nulla del mio passato."

"Quindi il tuo passato è limpido, non c'è nulla di cui ti vergogni, che vorresti tener celato?"

"Ci sono cose che non avrei piacere fossero conosciute da altri, questo sì. Ma non tanto perché io me ne vergogni, quanto perché non credo che gli altri siano sempre capaci di capire. Ognuno di noi ha cose che preferisce tenere per sé, penso. Ma tutto ciò che ho vissuto è mio, fa parte di me, non lo rinnego, compresi gli errori."

"Capisco. Sembri molto sicuro di te."

"No. Anche io ho i miei dubbi, le mie incertezze, i miei sbandamenti. Solo che... li accetto."

"Sei un saggio, tu."

"No, sono solo Nicola."

Si sorrisero e Gilberto annuì.

"Senti, Nicola, avrei piacere che tu avessi una copia delle chiavi di casa mia, così puoi venire ed entrare quando credi."

"Non mi conosci ancora abbastanza."

"Credo di sì. Mi farebbe piacere. Sento che mi sei veramente amico e darti le chiavi è un po' un simbolo."

"Fai come credi. Nei prossimi giorni, se vorrai, me le darai. Ora è tardi. Credo che sia bene che tu vada a letto e ti riposi. Ci possiamo vedere domani, anche domattina, se vuoi."

"Sì, va bene. Mi fa uno strano effetto l'idea di dormire qui. Sentivo più 'mia' la camera dell'ospedale."

"Ti abituerai... Buona notte, Gil."

"Mi abituerò. Buona notte, Nicola."


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