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una storia originale di Andrej Koymasky


IL TERZO LIBRO
DI MAR SWOONEY
CAPITOLO 8
INCONTRO CON I MERCENARI

Quei giorni volarono in fretta e nel primo pomeriggio del quinto giorno furono in vista di Portoluce. Un pescatore della città andò loro incontro in barca, parlò con Pendory, gli indicò dove attraccare per non disturbare le barche da pesca e si allontanò. Portoluce aveva un migliaio di case; il castello era in ricostruzione e quello vecchio presentava evidenti i segni di un incendio. Lo stavano ricostruendo in una posizione diversa, più verso l'interno. Il nuovo castello era già quasi finito e si era data mano alla demolizione del vecchio.

Alcuni uomini di Mar risalirono sul ponte per osservare le manovre di attracco. A prua lo scandagliatore segnalava la direzione ai due manovratori; questi gridavano ordini ai velatori e al timoniere. Il Capo-ciurma era ritto a prua su una specie di predellino e osservava il tutto con attenzione, gridando di tanto in tanto ordini supplementari.

Mar notò che non avevano i tubi ottici che aveva visto usare dagli armati di Paludosa. S'era informato su quei tubi e avevano saputo che in antichità esistevano ma che poi erano scomparsi nel resto della Galassia, sostituiti dai sistemi di avvistamento bio-elettronico. Annotò sul registratore a bracciale l'idea di farne costruire per venderli ai Navigatori.

La nave nel frattempo aveva imbrogliato quasi tutte le vele e usava solo i velaccini laterali e frontali per accostarsi alla banchina d'attracco. Attraccarono; tre uomini della ciurma si lanciarono a terra usando lunghe cime, afferrarono le gomene lanciate dai ponti e ormeggiarono la nave. Quindi fu calata la passerella. Il luogo di attracco era contiguo al porticciolo dei pescatori, opposto al vecchio castello bruciato. Mar contò un valore e otto pesi.

Pendory si presentò a Mar: "Il viaggio è finito. Spero che tu sia soddisfatto, così potrò incidere sulla parete i dati del mio sesto viaggio."

Mar annuì: "Sì, e qui ce n'è la prova." e gli porse il denaro.

Pendory sorrise quasi imbarazzato: "Grazie. Se non fossi agli inizi della mia professione e non avessi tanto bisogno di denaro, non lo accetterei, poiché questo viaggio è stato ottimo anche per me... ma, capisci..."

"Certo e va bene così. Questi erano i patti e li abbiamo rispettati tutti e due. Dove andrai ora?"

"Proseguirò fino a Baiallegra, dove c'è una nostra casa, e attenderò la fortuna d'un nuovo ingaggio. È vicino, solo un giorno e mezzo da qui, con mare calmo."

Dopo aver scaricato, si salutarono. La ciurma si reimbarcò, mollò gli ormeggi e la nave riprese la via del mare. Njeiry registrò con il suo bracciale la partenza della nave. Poi, inforcate le marruote, aggirarono la città cercandone l'entrata. Era a metà via fra le rovine del vecchio castello e il sito di quello nuovo. Intorno alle mura circolavano coppie di Armati, più numerosi accanto al tratto in rifacimento.

I demolitori erano vestiti con un semplice perizoma, un corto giubbetto, alti bracciali e cavigliere, tutto di forte panno nocciola. Portavano i capelli a caschetto. Alla vita avevano un'alta cintura con passanti, anelli e ganci per gli attrezzi. Mar capì dalla loro foggia che appartenevano alla casta dei Costruttori. Attorno alle rovine ce n'erano una ventina.

Gli Armati indossavano un abito verde e arancio chiaro. Alla porta ce n'erano otto con il loro Nobile. Questi guardò a lungo Mar e i suoi uomini mentre si avvicinavano. Mar fece segno ai suoi di fermarsi e, lasciata la marruota, si diresse verso la porta. Il Nobile gli mosse incontro.

Mar lo salutò: "Questa è Portoluce, vero?"

"Sì, forestiero."

"Vorremmo entrare per rifornirci di pesce conservato e fresco. È possibile?"

"Per quello conservato, sì. Per quello fresco dovete attendere che rientri la flottiglia."

"Quanto ci vorrà?"

"Due giorni, se tutto va bene. In questa stagione non dovrebbero esserci imprevisti."

"Durante questo tempo dove possiamo alloggiare?"

Il nobile alzò le spalle: "Se avete da pagare, anche in città, dal vecchio Engyle o dal vecchio Woshita. Da quando non vanno più in mare arrotondano come possono. La divisione del pesce può bastare per sopravvivere, ma un po' di metallo in più non guasta. Anzi, per alloggiarvi tutti bisogna chiedere anche a Ylayge."

"Un altro vecchio?"

"No, è un giovane ma è rimasto azzoppato nel crollo del muro del vecchio castello, tre mesi fa quando fu incendiato."

"Com'è che s'è incendiato il castello?"

"Un attacco di Predoni. Li abbiamo respinti, ma loro avevano un'arma nuova, dei lanciatori di palle infuocate... Il nuovo castello è progettato meglio... non succederà più."

"Ho visto i Costruttori al lavoro... sembrano bravi."

"Li abbiamo chiamati da Caldavalle: ne è venuto un gruppo di cinquantatré. Costano cari ma lavorano bene e svelti. In quattro mesi hanno quasi finito il nuovo castello." Poi il Nobile si girò verso uno degli Armati: "Vai a sentire Ylayge, Engyle e Woshita. Dovrebbero ospitare otto forestieri a testa, senti quanto chiedono per un paio di giorni." L'armato si allontanò svelto. Il Nobile si girò di nuovo verso Mar: "Avete con voi delle armi, penso."

"Certo."

"Da noi si usa chiudere le armi dei forestieri nella Casa della Porta. Ve ne lasceremo un elenco timbrato."

"Va bene, è logico."

Mar tornò al suo gruppo e incaricò Salys di raccogliere tutte le armi di stile boariano, quindi tornò verso il Nobile: "Quale è il nome del vostro castello?"

"Den. Perché ti interessa, forestiero?"

"Così... curiosità"

"Anche io avrei una curiosità."

"Parla."

"Cosa sono quelle macchine strane con cui viaggiate? Come si usano?"

Mar glielo spiegò e dette una dimostrazione. Gli Armati lanciarono alte esclamazioni e vollero provare: sembravano bambini che hanno scoperto un gioco nuovo. Poi, consegnate le armi e ricevutone l'elenco timbrato, il Nobile li fece entrare in città.

"Kuler, Kubil e Kujak vi accompagneranno alle case."

Si sistemarono, pagarono i proprietari e ogni gruppo iniziò a girare per acquistare il cibo. Trovarono pesci azzurri affumicati e seccati, avvolti in alghe rossastre intrecciate. Poi cofanetti pieni di una pasta di polpa di pesce mescolata a polvere di bacche piccanti, pesci salati legati stretti in grandi foglie morbide, barattolini ottenuti da sezioni di una specie di grossa canna pieni di uova di pesce mescolate con foglioline aromatiche tritate.

Le confezioni non erano elaborate, ma avevano una sobria eleganza. I cofanetti erano lievemente graffiti e colorati a fuoco, chiusi con rametti elastici. C'era anche una specie di focaccia di farina di pesce e di cereali e vasetti di terracotta pieni di grasso di pesce raffinato. Il tutto non era troppo caro e ne comprarono una discreta quantità. Anche qui ogni famiglia sembrava specializzata in una diversa ricetta gastronomica.

Le case erano costruite in funzione del tipo di lavorazione svoltavi. Qua e là, nei cortiletti delle case, c'erano stenditoi per il pesce, o affumicatoi, grandi mortai di pietra liscia, teorie di barattolini vuoti impilati su scaffali e pronti per l'uso. Gli odori per le vie erano forti ma non sgradevoli e cambiavano di luogo in luogo. Nel villaggio si vedevano solo vecchi e bambini. Tutte le persone valide erano in mare, con pochissime eccezioni.

I pescatori erano di fisico leggermente tarchiato, le gambe un po' larghe e storte, i piedi piatti, i capelli uniti in una corta treccia sulla nuca, ripiegata e annodata su se stessa a formare un cappio in cui era infilato un anello bianco ottenuto da una vertebra del più grosso pesce pescato. I vecchi avevano grossi anelli, i più piccoli ne erano logicamente privi.

Ylayge aveva un anello non molto grande, sui tre centimetri di diametro interno. Il giovane viveva solo, perché dopo poco essersi sposato aveva perso il compagno in mare. Dopo neanche un anno aveva avuto l'incidente. Era un tipo taciturno, chiuso, quasi tetro. Dava una mano ai vicini per preparare la pasta di pesce. Ma una lunga vita immobilizzato nel villaggio lo spaventava.

C'era un modo di dire lì da loro: "smarato". Si usava per indicare qualcosa o qualcuno oppure una situazione di poco valore, di poco conto, inutile. Ecco: Ylayge si sentiva smarato, era smarato e questo non alla fine della sua vita ma nel fiore degli anni. La famiglia da cui era uscito gli aveva proposto di tornare ma lui aveva rifiutato: gli sarebbe sembrato di essere ancora di più un relitto, di essere regredito all'esitenza di un bambino.

In casa si offrì di preparare il cibo per tutti. Kedmen capì che era importante per il giovane sentirsi utile e accettò. Il giovane si muoveva a fatica, zoppicando visibilmente, e ogni passo gli provocava dolore, contraendogli i tratti del volto in una lieve smorfia che cercava di trattenere con dignità.

Quando nel pomeriggio Mar si recò a parlare con Kedmen, si rese conto della situazione. Parlò allora con il giovane, si interessò ai suoi attrezzi da pesca appesi in bell'ordine e in perfetto stato alle pareti, lucidi e pronti per una pesca che non ci sarebbe mai più stata.

"Me li volevano comprare... ma è tutto quello che mi resta... oh, so bene che non mi serviranno, ma li ho fatti io assieme a Tugeldon, il mio povero sposo... non posso venderli."

"Sono belli. Io non me ne intendo, ma mi sembrano molto ben fatti."

"Sì, per questo me li volevano comprare."

Mar rifletté: "Ogni pescatore costruisce i propri attrezzi?"

"Certo. È la prima cosa che si impara a fare, da piccoli."

"Eppure volevano comprare i tuoi..."

"Beh, è perché a me non servono più e io sono più in gamba di altri nel farli."

"Altri li vendono?"

"No, ognuno riesce giusto a fare gli attrezzi di cui ha bisogno."

"Tu ora hai molto tempo libero, potresti costruirne altri anche più belli, da vendere. I tuoi compagni te ne sarebbero grati, penso, e ogni pesce che prendono usando i tuoi attrezzi è un po' come se lo avessi preso tu... è un po' come se una parte di te tornasse sul mare, saresti di nuovo... ammarato, come dite voi."

Ylayge scosse la testa: "Ognuno fa i suoi attrezzi."

"Sì, è così, ma ti hanno pur chiesto di comprare questi appesi al muro, perciò significa che sarebbero disposti a comprarne altri altrettanto ben fatti o anche più ben fatti. Non puoi buttare via la tua vita, Ylayge, sei ancora giovane."

"Dici? Ma ormai sono smarato. La vita mi ha tradito, dopo tante promesse."

"No, Ylayge, sei tu che stai tradendo la vita. Semplicemente è che tu avevi altri progetti ma non è andata come speravi. Vedi, se io voglio uscire da questa casa e vado in quella direzione, che capita?"

Ylayge ridacchiò: "Di lì non c'è l'uscita, ti trovi nella dispensa."

"Appunto. Allora che dovrei fare?"

"Tornare indietro e uscire da lì."

"Sì, ma nella dispensa non c'è una finestra?"

"C'è."

"Allora posso saltare dalla finestra e uscire, no?"

"Sicuro, anche se di solito si esce dalle porte e non dalle finestre."

"Ma se la porta fosse sbarrata, bloccata?"

"Allora dovresti per forza uscire dalla finestra."

"E se invece restassi in casa?"

"A fare che, a morire di fame?"

"No, verrebbero i vicini a passarmi un pesce ogni tanto, dalla finestra."

Ylayge lo guardò serio: "Sono io quello che deve saltare dalla finestra, vero?" Mar annuì. Ylayge era pensieroso: "Forse hai ragione tu. Mi sono seduto davanti a una porta bloccata e mi lamento perché non riesco ad aprirla... ma ci sono anche le finestre. Però è difficile cambiare corso alla propria vita."

"Ha già cambiato corso, la tua vita: devi solo rendertene conto."

"Nessuno l'ha mai fatto, prima."

"C'è sempre qualcuno che comincia, no?"

"La Madre delle Acque mi ha abbandonato..."

"Non è detto. Forse ti sta solo dicendo: da te voglio altro, te la senti?"

Ylayge strinse le labbra: "Ho... ho paura, credo."

"Il non fare niente ti fa meno paura?"

"No, anzi..."

"E allora!"

Il giovane aveva una lacrima che gli brillava in un angolo di un occhio: "Forestiero, tu sei il primo che mi dice queste cose..."

"Certo, perché io vengo da fuori e vedo le cose con occhi diversi."

"Non so... forse hai ragione. Ho bisogno di tempo, devo pensarci."

"Certo. Ma fissa un termine, non continuare a restare seduto davanti a una porta chiusa."

"Ci sono le finestre." mormorò Ylayge, annuendo.


Il giorno dopo, verso l'ora di pranzo, fu avvistata la flottiglia dei Pescatori all'orizzonte. Nel pomeriggio arrivarono, scaricarono il pesce e Mar e i suoi uomini poterono comprarne. Ne presero due cesti pieni, di qualità diverse. Ylayge aveva spiegato loro come sceglierlo e come contrattare il prezzo. Mar comprò dai Pescatori anche il materiale necessario per costruirci gli attrezzi e prima di lasciare Portoluce lo regalò a Ylayge. Questi accettò in silenzio.

Quando si lasciarono, il giovane mormorò: "Ci sono anche le finestre... cercherò di ricordarlo, di pensarci. Grazie, forestieri!"

Mar e i suoi uomini ripresero le loro armi alla porta e lasciarono la città. Seguendo le mappe risultava che verso est doveva esserci una città a circa due cicli di distanza, traversando una cordigliera di montagne. Andando invece verso sud, a soli due o tre giorni di marcia, c'era un'altra città sul mare. Essendo ancora freschi di forze decisero di affrontare per prima la via più lunga e scomoda. Così si avviarono verso le montagne.

La strada era quasi pianeggiante e aveva poche deviazioni. Così il primo giorno poterono procedere veloci coprendo una buona distanza. A sera si accamparono vicino a un ruscello, sotto un folto di alberi. Ezmy aveva comprato da un artigiano di Cittachiusa un gunchin a tre corde e aveva imparato a batterlo e pizzicarlo traendone discrete melodie. Quella sera, dopo il pasto, vicino al fuoco, improvvisò una canzone che subito tutti vollero imparare.

Le parole erano queste:

"D'uomini un pugno - corre per tutto il mondo - cercando gloria.
Quel che faranno - non passerà alla storia - ma non importa.
Seguono un capo - ovunque egli li porta: - è uno di loro.
La strada è lunga - ma trovano ristoro - nell'avventura.
Guardan lontano - perché non han paura - per le lor vite.
Cosa li ferma? - Né agguati né ferite - io ti rispondo.
D'uomini un pugno - corre per tutto il mondo - cercando gloria!"

Le notti si stavano accorciando, perciò restavano meno ore per dormire. Il giorno dopo ripresero la strada. A metà mattino, con le microspie volanti, videro che li precedeva una lunga carovana. Sembravano Armati ma non lo erano. Indossavano gonnellino e mantellina neri, ma non avevano né insegne né vessilli. Marciavano in gruppetti di diversa entità da un minimo di quattro a un massimo di dieci, dodici. Pur essendo evidentemente un insieme organico, non marciavano in formazione. Erano tutti molto ben armati.

Non potevano essere Predoni, poiché questi non indossavano mai un'uniforme. In tutto dovevano essere sui trecento uomini circa. Con loro, al centro del gruppo, c'erano anche vecchi e bambini. Tutti avevano un carico sulle spalle, un fagotto, sempre fatto di panno nero, appeso a un corto bastone.

Mar ed il suo gruppo, procedendo alla loro velocità, li avrebbero raggiunti in meno di mezza giornata. Si chiesero se l'incontro potesse essere pericoloso o no. Erano troppo numerosi. Decisero perciò di rallentare per poterli osservare ancora. Quando la carovana di uomini in nero si fermò per il pranzo, anche Mar dette ordine ai suoi di fermarsi e di mangiare. Meylz propose di andare avanti in avanscoperta, da solo con una marruota scarica, per cercare di capire chi fossero.

Njeiry si oppose: "Per ora non è necessario, aspettiamo. Non dobbiamo rischiare inutilmente neanche una vita."

Quando la carovana nera si mise in marcia, anche gli uomini di Mar ripresero la strada. Dopo un'ora circa videro uomini carichi di bagagli incrociare la carovana misteriosa. I due gruppi si salutarono a grandi gesti e ognuno proseguì per il suo cammino.

Mar accelerò per incontrare questo secondo gruppo e vide che erano Meccanici: "Dove andate, a Portoluce?"

"Sì, e voi?"

"Verso i monti. Come è la strada?"

"Al solito, discreta. Ma con le vostre macchine avrete qualche difficoltà al Salto del Pazzo."

"Brutti incontri per la strada?"

"No, non in questi giorni. C'è il raduno triennale dei Mercenari."

"Mercenari? Non ne abbiamo incontrati."

"Una colonna vi precede a circa tre ore."

"Ah... e sono pericolosi?"

"Pericolosi? E perché mai? Ma da dove venite, voi?"

Mar sorrise: "Da fuori... siamo dei nuovi, noi."

"Dei nuovi? Tutti?"

"Sì, e non conosciamo ancora i Mercenari. Chi sono, che fanno, come vivono?"

I Meccanici spiegarono: quando uno dei figli degli Armati non vinceva le gare, se non si accontentava di restare come famiglio o come servo, spesso si univa a una colonna di Mercenari, a loro volta discendenti da ex membri degli Armati. Questi erano un popolo nomade. Vivevano scortando i gruppi in viaggio, in cambio di un compenso, per difenderli dai Predoni o dagli Sbandati. Oppure a volte si aggregavano a gruppi di Raccoglitori o di Cacciatori se questi dovevano lavorare in zone pericolose. A volte venivano anche ingaggiati con contratti a termine dalle città per dare manforte al locale castello se nelle vicinanze si stavano concentrando bande di Predoni.

Ogni tre anni, nel giorno del solstizio lungo, tutte le colonne di Mercenari si riunivano in alcuni luoghi tradizionali per i riti e le feste dell'accoppiamento. Uno di quei luoghi era proprio in quella direzione, non lontano dal Salto del Pazzo, e per il raduno mancavano solo tre giorni.

Mar li ringraziò e si separarono. Dopo circa due ore raggiunsero i Mercenari. Quando gli ultimi della colonna videro le marruote si fermarono gridando a quelli più avanti di guardare. Dopo un po' tutta la colonna era ferma a guardarli.

Mar chiese: "Chi è il vostro capo?"

"Non c'è un capo, fra di noi. Abbiamo solo un Guida."

"E chi è?"

"È lui, quello in testa alla colonna."

Mar risalì con la marruota: "Sei tu il Guida?"

"Sì, e voi chi siete?"

"Io sono Mar Swooney, Pensatore, e questi uomini sono con me."

"Che vuoi da me?"

"So che state andando al Salto del Pazzo. Andiamo anche noi per quella strada. Possiamo fare il camino assieme?"

"In questo periodo noi non diamo protezione, per nessun prezzo. Stiamo andando al raduno del giorno più lungo e della notte più breve."

"Lo so. Ma avrei piacere di fare la strada con voi per parlare e conoscere le vostre abitudini e, se si può, assistere ai vostri riti."

"Cercate protezione gratuita, ma cadete male."

Mar scosse il capo: "Ma no, ti dico. D'altronde non abbiamo bisogno della vostra protezione, ci sappiamo difendere da soli."

Il Guida scoppiò in una grassa risata: "Certo, basta guardarvi: al primo soffio cadreste lunghi a terra!"

Mar lo guardò negli occhi, un guizzo astuto nei suoi: "Dici? Vorresti fare una prova?"

"Di che prova parli?"

"Una sfida senza armi, a mani nude: i tuoi quattro uomini più forti contro due dei miei. Ci stai?"

"E a che scopo?"

"Se vinci tu, ci allontaneremo per nostro conto. Se vinco io, verremo con voi e assisteremo ai riti."

"Si può fare. Ma peggio per te, l'hai chiesto tu..."

"Certo. Scegli i tuoi uomini, Guida."

"E tu i tuoi martiri, Pensatore. E di' loro che si raccomandino al loro dio personale."

Mar radunò i suoi con un gesto e scelsero come loro campioni Pel e Meylz. Per impressionare di più i Mercenari avevano scelto apposta due fra i più giovani e snelli. D'altronde tutti e due s'erano messi in luce nella Guarnigione nelle gare di Chushin, Meylz era arrivato quinto e Pel terzo su circa duecento esperti.

Il Guida, come Mar s'aspettava, aveva scelto i quattro mercenari più erculei. Quando vide la scelta di Mar, restò stupito.

"Ma vuoi scherzare? Quei due ragazzini scegli? Non ne basterebbero tre di quelli contro uno dei miei!"

Mar fece spallucce: "Non ho combattenti migliori di questi."

Il Guida guardò i suoi campioni: "Bene, date loro una lezione ma senza strapazzarli troppo. Non vorrei che le loro madri venissero poi a chiedermi i danni!"

Tutti i Mercenari risero, e anche gli uomini di Mar. Si formò un ampio cerchio e i sei campioni si posero nel centro. I due uomini di Mar si denudarono svelti. I Mercenari, dopo un attimo di stupore, scoppiarono di nuovo a ridere.

"All'amore ci farete più tardi, ragazzini!" gridò uno.

I due ragazzi attesero in piedi, fermi.

"Non attaccate? Vi è venuta la paralisi da fifa?" chiese uno dei Mercenari ridendo ancora.

"A voi la prima mossa, siete voi gli sfidati." rispose Pel.

Quello, un vero colosso dai capelli rossi, avanzò lento verso Pel, squadrandolo. Giuntogli davanti alzò un braccio minacciosamente, chiuse la mano a pugno e la calò su Pel gridandogli: "Buuuu!" e facendo boccacce mentre gli altri ridevano.

Ma quando il pugno fu a un centimetro dal capo di Pel, il ragazzo scartò di fianco, afferrò a due mani il polso dell'avversario e saltò spingendolo con forza verso il basso e l'avanti, facendo crollare l'altro prono, di schianto. Tutti tacquero di colpo. Pel atterrò più in là e si sistemò una ciocca di capelli con fare noncurante.

Dopo un attimo di sbalordimento, due attaccarono Meylz gridando e il terzo si avventò su Pel mentre il primo si rialzava. Meylz si abbassò improvvisamente, afferrando le loro mantelline sotto il collo e vi si appese facendo perdere loro l'equilibrio, mentre sgusciava via. Pel invece attese a pié fermo l'uomo che lo caricava, mentre il primo gli si avvicinava alle spalle; schivò all'ultimo momento quello che lo attaccava di fronte, si girò facendogli lo sgambetto e colpendolo sulle spalle in modo che crollasse sul compagno che si era appena rialzato.

Dopo mezz'ora di lotta i quattro Mercenari sudavano e cominciavano ad accusare i colpi. Pel e Meylz invece erano freschi e tranquilli e si divertivano ad assumere pose annoiate e noncuranti, muovendosi con indolente grazia appena ravvivata da lievi scatti, elastici salti o piroette. Pel sorprese tutti spiccando un salto da fermo che lo portò a passare sopra uno dei suoi attaccanti e atterrargli alle spalle. I Mercenari ora erano tesi, a volte si lasciavano sfuggire alcuni "oooh" di meraviglia o di disappunto. Gli uomini di Mar ridevano e fischiavano divertiti.

Finalmente Flayve gridò: "Ragazzi, sta andando troppo per le lunghe, ci annoiamo. Cercate di concludere..."

I due giovani annuirono: "Sì, capo, scusa. Ci siamo divertiti abbastanza."

Lanciato un grido si avventarono sugli avversari. Pel fece una carambola a ruota, ne raggiunse uno, saltò in aria e lo colpì al collo con il dorso del piede, vicino alla tiroide, facendolo cadere steso, privo di sensi. Meylz invece avanzò lentamente verso un altro che lo attese a gambe larghe, un po' inclinato in avanti, le braccia pronte all'azione. Quando l'avversario scattò per afferrarlo alla vita, Meylz si chinò, afferrò un polso dell'uomo, girò su se stesso rizzandosi in piedi, lo fece volteggiare sulle sue spalle e lo fece cadere di schianto dietro di sé. Si girò e mentre l'altro si alzava in piedi, gli diede un colpetto sulla nuca con il taglio della mano, facendolo cadere steso, privo di sensi anche questo. Pel aveva già atterrato e messo fuori combattimento anche il terzo e si stava dirigendo contro l'ultimo.

"Eh no, Pel, questo spetta a me, tu hai già sistemato i tuoi due!"

Pel si ritirò: "Scusa, Meylz, non m'ero accorto..."

Meylz s'avvicinò all'ultimo, che prese ad arretrare guardingo: "Ehilà, non scappare!" protestò il giovane, "Tu spetti a me... Vieni, su."

Meylz scattò in avanti e l'altro lo caricò. Meylz si fermò d'improvviso e il Mercenario, che aveva calcolato il punto d'impatto, perse l'equilibrio e cadde in avanti allungando le braccia tentando di afferrare le caviglie del ragazzo. Meylz con una capriola a mezz'aria atterrò sulla schiena del colosso che reagì prontamente alzandosi a quattro zampe, sollevando il ragazzo sulla schiena. Meylz allora si lasciò andare giù colpendo con le due mani chiuse a mazza la nuca del mercenario che ricadde prono. Quindi gli afferrò le braccia torcendogliele indietro.

Mar gridò: "Non così, gliele puoi spezzare... Addormentalo, dai!"

Meylz annuì, ripiegò le nocche e sfiorò con un colpo calibrato e secco la tempia dell'uomo che si afflosciò esanime. Pel s'era già rivestito e porse gli abiti al compagno che pure si rivestì.

Mar allora si avvicinò al Guida: "Convinto?"

Questi era pallido: "Sono demoni, non uomini!"

"Ma no... tutti i miei avrebbero saputo fare lo stesso. Sanno lottare, ecco tutto."

"Ma che tipo di lotta è? Non ho mai visto niente di simile!"

"La lotta dei Pensatori."

"Dove l'avete imparata?"

"È un nostro segreto. Come vedi non abbiamo bisogno della vostra protezione. Ma vorremmo essere vostri amici."

Il Guida strinse le labbra, poi annuì: "Va bene. Siete dei buoni combattenti, non c'è che dire. Se volete venire con noi..."

"Senza rancore?"

"Beh... i miei quattro uomini..."

"Sono solo svenuti. Non ci piace uccidere o fare del male senza necessità."

Alcuni Mercenari stavano spruzzando d'acqua i quattro e chiamandoli per nome.

Mar chiese di nuovo al Guida: "Senza rancore?"

Questi guardò i quattro che si stavano riavendo, poi gli altri Mercenari, poi disse: "Se ci insegnerete qualcuno dei vostri segreti... senza rancore."

Mar rifletté: "È lungo e difficile, ci vuole tempo... ma a quei quattro posso tentare di insegnare qualcosa, per compensarli della sconfitta."

Il Guida allungò un braccio verso Mar che scattò indietro. Quello lo guardò stupito poi scoppiò a ridere.

"No, non voglio misurarmi con te. Voglio solo stringerti il braccio per concludere il patto. Tu o i tuoi insegnate ai quattro e in cambio potete venire con noi e assistere alle cerimonie."

Mar rise, si avvicinò e scambiarono la stretta di braccio.

"Ci resta poca luce per fare la strada, poi dovremo accamparci. Andiamo." disse il Guida.

I due gruppi ri rimisero in marcia. All'inizio marciavano fianco a fianco, in silenzio. Poi qua e là qualcuno iniziò a scambiare qualche parola con quelli dell'altro gruppo. Quando si fermarono per piazzare le tende, c'era ancora un po' di freddezza. Ma quando si misero a mangiare attorno ai fuochi e Meylz e Pel offrirono il loro cibo ai quattro avversari, si ruppe finalmente il ghiaccio. Alla fine del pasto erano tutti mescolati e parlavano animatamente.

Gli uomini di Mar raccontavano come era la vita di fuori, i Mercenari narravano le loro gesta. Piccoli otri di una bevanda forte ed aspra, offerta dai Mercenari, girarono di bocca in bocca. Poi Ezmy suonò il suo gunchin. Allora alcuni Mercenari suonarono il loro strumento caratteristico: era una linguetta ottenuta dalla scaglia caudale di un pesce, inserita in una mezzaluna d'osso, tenuta fra la lingua ed il palato, con cui modulavano trilli ottenendone bellissime sinfonie di ritmo molto veloce, soffuse di una malinconica allegria.

Chiamavano quello strumento "trelltritell" o anche solo trell. Meylz lo volle provare ma ne ricavò solo orribili stridii. Il maciste che era caduto per ultimo e che si chiamava Byetrish Verzek, si offrì di insegnargli a usare il trell e quando venne l'ora di riposare Meylz già riusciva a trarne qualche timido ma gradevole trillo.

I giorni seguenti trascorsero veloci e bene e i due gruppi erano ormai affiatati. Vokka stava spesso con i coetanei e gli altri piccoli della colonna e si divertiva. Bret aveva preso a fare gli occhi dolci a un giovane Mercenario e i compagni lo prendevano in giro.

"Ehi, Bret, non t'è bastato il Navigatore?"

Questi non si lasciava smontare e continuava imperterrito i suoi approcci.


Finalmente giunsero in vista del Salto del Pazzo. Già da un giorno il terreno si stava facendo più impervio e difficile perché iniziavano i primi contrafforti delle montagne. Il Salto del Pazzo era una lunga fenditura quasi rettilinea che spaccava da nord a sud un pianoro di roccia compatta. Era profondo sui sei, dieci metri e largo fra gli otto e i quattordici metri. Sul fondo si snodava un lungo tappeto di morbido muschio giallo aranciato, con poche chiazze di bassa vegetazione rosso-verde a foglioline cuoriformi. Qua e là ruscelletti formavano cascatelle d'acqua chiara che nel fondo confluivano in un basso corso d'acqua limpidissimo che scorreva al centro del canalone per tutta la sua lunghezza.

"Eccoci arrivati. Adesso dobbiamo andare verso sud dove c'è l'accesso e il Grande Prato delle Riunioni. Voi dovrete restare con i nostri vecchi e i piccoli, è la regola. Al Grande Prato dovrebbero già esserci quasi tutte le altre colonne."

Piegarono verso sud costeggiando la fenditura. A pomeriggio inoltrato furono in vista del Grande Prato. Lì moriva il canalone aprendosi su un pianoro spazioso disseminato qua e là di alberi, solcato dal torrentello, con una grande roccia piatta e solitaria quasi al centro. Il prato, torno torno, era già pieno di tende.

"Accidenti! Ma quanti siete qui radunati?" chiese Flayve.

"Penso sui sessantamila."

"Ci sono altri luoghi come questo su Boar?"

"Credo altri sette, ma non ne sono sicuro. Io fino a ora ne conosco solo tre."

Scesero al Gran Prato, trovarono una parte libera sui bordi e piazzarono le loro tende. Quelle dei Mercenari erano nere, quelle degli uomini di Mar di un azzurro-grigio medio e creavano una macchia di colore in quello sterminato schieramento di scuri ripari. Alcuni teli delle tende dei Mercenari, scoloriti dal sole e da ripetuti lavaggi, avevano lievi riflessi verdastri.


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