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una storia originale di Andrej Koymasky


IL TERZO LIBRO
DI MAR SWOONEY
CAPITOLO 10
LA TEMPESTA IN MARE

Presero una strada verso sud che traversava una serie di basse colline digradanti, larghe e tonde, di forma vagamente mammellare. La strada piegava, correndo fra le colline, in ampie curve sinuose. Molte delle colline erano coperte in gran parte da folte foreste rotte qua e là da vasti prati o da macchie di arbusti. Dopo tre giorni di cammino le microspie volanti segnalarono un movimento di indigeni nei boschi. Si fermarono a osservare.

A un giorno di cammino sparpagliati fra gli alberi c'era un'ottantina di uomini che correvano su un fronte di circa duecento metri da est verso ovest, battendo con nodose mazze sui tronchi degli alberi e fra gli arbusti. Fecero abbassare le microspie e videro centinaia di piccoli animali fuggire davanti alla linea dei Cacciatori. Con le microspie osservarono tutta la scena, lo svolgimento della caccia. Il fronte si stava stringendo e formando una specie di semicerchio. Allora poterono notare che sulla linea immaginaria che chiudeva il semicerchio c'era una linea di reti già tese fra gli alberi, che formavano una serie di sacche. Gli animali in fuga finirono nelle reti dimenandosi impazziti. I Cacciatori serrarono la formazione, staccarono le sacche dai sostegni e le chiusero piene di prede. Lunghi rami erano già pronti e vi legarono le sacche, se li misero in spalla a gruppi di quattro o sei uomini e si misero in marcia.

Poco lontano c'era un accampamento di capanne semisferiche ricoperte con pelli cucite, davanti a cui c'erano vecchi e bambini in attesa. Le sacche di rete furono sospese sopra a focherelli su cui furono gettate manciate di erbe. Se ne sprigionò un gran fumo che avvolse gli animaletti prigionieri che dopo poco cessarono di agitarsi. Allora le sacche venivano tolte, aperte e si procedeva alla cernita delle prede.

Mar notò che mentre alcune venivano legate per le zampe e passate a gruppi che le macellavano, le scuoiavano e le lavoravano, altre venivano semplicemente gettate in disparte. Ingrandendo la scena poterono notare che le bestiole scartate o erano di tipo diverso da quelle che venivano macellate o erano cuccioli dei tipi usati. Quale prima quale dopo, le bestiole scartate cominciarono a muoversi e, o strisciando pian piano o saltellando, si tuffavano nel verde mettendosi in salvo.

Mar decise di riprendere la marcia e di raggiungere quel gruppo di Cacciatori per incontrarli e conoscerli. Il giorno seguente giunsero non lontano dall'accampamento di Cacciatori e il gruppo di Mar lasciò la strada e si diresse verso le capanne. Vecchi e bambini continuavano a trattare le carni di cui già molti pezzi erano stesi sugli affumicatoi, mentre altri trattavano le pelli e le ossa. Gli uomini validi stavano riparando o rafforzando le reti per prepararsi a una nuova battuta di caccia. Odore di sangue, di fumo, di arrosto e di erbe si mescolava e veniva a zaffate con il mutare della brezza.

Ormai Mar e i suoi uomini erano a ridosso delle capanne e degli uomini al lavoro, quando diversi Cacciatori lasciarono le reti e si schierarono fra il campo e gli uomini di Mar con lunghi bastoni acuminati e mazze in mano. Non avevano un'aria minacciosa ma era chiaro che erano pronti a difendere la loro roba, il loro lavoro e la loro gente.

Mar allargò le braccia e stese le mani per far vedere che era disarmato: "Veniamo senza cattive intenzioni, Cacciatori. Vorremmo solo comprare un po' di provviste..."

"Sono già tutte prenotate, la metà è per i Mercanti e la metà per gli Agricoltori di Brughiera... Anche le pelli che non servono a noi sono già prenotate dai Mercanti."

Mar insisté: "Le pelli per ora non ci interessano. Riguardo al cibo, se anche ne vendete un po' di meno ai Mercanti... ve lo paghiamo bene." disse Mar agitando e facendo tintinnare la collana di rondelle di vario valore che portava al collo.

Uno dei cacciatori avanzò verso Mar: "Quanta carne volete?"

"Quanta ne può bastare per noi per un mese di strada."

"E che qualità volete?"

"Di tutto un po'."

Il Cacciatore si girò verso gli altri: "I Mercanti arriveranno fra tre cicli. Con tre o quattro battute in più possiamo rispettare i patti e accontentare questi... viaggiatori. Che ne pensate, battitori?"

Qualcuno annuì, altri parevano incerti, qualcuno era decisamente contrario.

Allora, quello che aveva parlato, propose: "Chi è d'accordo pianti la sua picca davanti al forestiero e chi non è d'accordo la pianti davanti a me. Chi è incerto, si tenga la picca in mano."

In silenzio i cacciatori sfilarono uno a uno e piantarono la loro picca ora qua ora là. Mar contò: alla fine c'erano trentotto picche esatte davanti a Mar, ventuno davanti al cacciatore e altre venti erano ancora nelle mani dei cacciatori.

"Così non si è deciso nulla. Aggiungete qualche altra picca."

Mar intervenne: "Quante picche ci devono essere perché si giunga a una decisione?"

"Almeno altre dieci per il sì, sempre che non se ne aggiungano per il no."

Mar allora propose: "Facciamo così: portate qui il cibo che siete disposti a venderci e fissiamone il prezzo."

"Ma il patto non è concluso..."

"Lo so. Ma fissato il prezzo e la quantità si può decidere meglio, sul concreto. Se ho capito bene infatti il vero problema non è se potete o no venderci la carne, ma se, vendendocela, potete rispettare il patto con i Mercanti senza rimetterci ma piuttosto guadagnandoci. Esatto?"

"Già, è così." dissero diversi cacciatori.

Discussero un po' fra di loro poi seguirono il suggerimento di Mar. Furono portate alcune confezioni di carni trattate in modo diverso, confezionate in vario modo, poi si fissò il prezzo di quanto Mar aveva scelto: quattro pesi e dodici chiodi. Mar fece un rapido calcolo, poi si offrì di pagare invece cinque pesi, quattro chiodi e dodici grani. Quindi chiese di ripetere la votazione. Questa volta ci furono quarantasei picche a favore di Mar, ventuno contro e solo dodici restarono in mano.

"Ancora non è concluso..." insisté il cacciatore.

Uno dei cacciatori tolse la sua picca dalle ventuno e uno dei dodici astenuti mise la sua di fronte a Mar.

"Bene, adesso sì, abbiamo deciso di venderti la carne."

Mar allora pagò la somma pattuita e ritirò le carni acquistate. Frattanto aveva anche osservato le vesti dei Cacciatori e propose a quello che aveva patrocinato la vendita di acquistarne una: era formata da un doppio triangolo isoscele ottenuto da pezzi di pelli cucite assieme. La base era larga come le spalle di un uomo e i due lati uguali erano lunghi come dalla spalla a sotto l'inguine. I tre vertici erano cuciti assieme, il vertice più acuto passava fra le gambe e gli altri due adiacenti al lato minore erano sulle spalle. Una cintura con il pelo ancora attaccato fissava a vita il tutto. Avevano poi stivaletti di morbida pelle con il risvolto di pelliccia. Per cinque chiodi Mar ottenne il vestito con la cintura e gli stivaletti. Il cacciatore che glieli aveva venduti sembrò sorpreso per la facile vendita e soppesava in mano i cinque chiodi.


Mar e i suoi uomini ripresero il cammino. Dopo un altro giorno di marcia, su uno dei primi colli, videro qualcosa che pareva il profilo di un villaggio. Guardando con le microspie Mar vide che in realtà era un villaggio di Agricoltori semidiroccato, bruciato da un incendio. Qua e là c'era ancora qualche segno di vita. Con i suoi uomini, salì fino a quelle rovine. Passarono attraverso campi devastati, siepi di erbaspina annerite dalle fiamme. Il castello era sventrato e nero, poche le case intatte.

Quando furono nel villaggio, trovarono un vecchio ad aspettarli: "Non c'è più niente da rubare, qui, ormai... lasciateci stare..." disse l'uomo guardandoli con espressione stanca e avvilita.

"Non siamo Predoni né Sbandati, noi. Ma che è successo, qui?"

"Non vedi, forestiero?"

"Vedo, ma non capisco. Siete stati assaliti dai Predoni?"

"Proprio così."

"Ma... e i vostri Armati?"

"Non abbiamo mai visto tanti Predoni assieme... erano innumerevoli, troppi... Avevamo, qui a Terradura, circa seicento Armati, ma c'erano trenta, quaranta bande di predoni... almeno duemila, erano. Hanno combattuto anche gli scudieri, ma sono morti tutti... tutti."

"Ma voi Agricoltori, quanti eravate?"

"Credo otto o novemila, compresi i piccoli e i vecchi. Sono fuggiti. Anche il Separato, anche il Saggio... sono fuggiti. Siamo rimasti in centoquattro vecchi... noi moriremo qui, dove siamo nati, dove ci sono le ceneri dei nostri avi."

"Perché non avete attaccato i Predoni anche voi?"

"Noi non siamo nati per combattere." rispose il vecchio.

"E dove sono tutti i morti?"

"Li abbiamo bruciati, per giorni e giorni... quando i Predoni se ne sono andati portando via tutto e bruciando quello che non gli serviva... Siamo riusciti a salvare solo otto case, un po' di cibo che era nascosto, un po' di sementi... Qualche pianta ancora può darci qualche frutto..."

"Ma riuscirete a superare la Letargia?"

"Credo di sì, qui da noi non fa troppo freddo. E c'è molta legna da ardere, come vedi." disse indicando con un gesto sconsolato i monconi anneriti delle case distrutte dal fuoco. "Forse hanno fatto bene ad andarsene, dopo tutto. Ho sentito il Separato che diceva che fonderanno una nuova città, che la chiameranno Terrabella... Questa si chiamava Terradura e infatti ci ha riservato solo durezze."

"Ma voi ora siete indifesi... come potrete sopravvivere?"

"Vedremo. Se fra un giro le lune ci assisteranno... se invece di essere solo un centinaio di vecchi avremo qualche nuova vita fra noi... cercheremo altri Armati e tenteremo di ricominciare. E allora la chiameremo Terranuova."

Il tono con cui parlava il vecchio era di tale accorata rassegnazione che Mar se ne sentì quasi svuotato.

"Per cominciare, non potreste assoldare dei Mercenari?"

"Per difendere cosa? E con che li pagheremo?"

"Ma così rischiate di estinguervi a poco a poco!"

Il vecchio alzò le spalle, poi chiese a Mar: "Ma perché ti preoccupi tanto?"

"Sono stato uno sposo della terra, io."

Allora il vecchio lo guardò negli occhi, lo prese per mano e lo portò fino a quella che era stata la piazza del villaggio.

"Ecco, guarda!"

Mar vide che le grandi teste di pietra erano rovesciate al suolo e che dal foro sulla loro sommità erano uscite e si erano sparse in terra le ceneri degli avi.

"Capisco..." disse Mar con compassione, "Ma se tu vuoi ne drizzeremo una, o anche tutte... e voi potrete continuare."

"No, tu non capisci... ammesso che sia vero che tu sei stato sposo della terra. Ormai la linea è spezzata, non può più continuare."

Allora Lehlen si avvicinò a Mar: "Qualcuno di noi potrebbe fermarsi qui, aiutare i vecchi a ricominciare."

Mar lo guardò: "Fermarsi per sempre?"

"Beh... almeno finché serve."

"No, o è per sempre, e non so ugualmente se accetterebbero, o è del tutto inutile. Questa è la loro mentalità. Noi siamo degli estranei per loro. Non serve, non sanno accettare un estraneo, non possono."

Lehlen abbassò gli occhi e tornò fra i compagni.

Poi Mar chiese al vecchio: "Quanto tempo fa è successo?"

"Un ciclo dopo l'inizio di Crescente, a metà del quinto mese."

"Dove si sono diretti, dopo, i Predoni?"

"Verso l'interno."

"E gli Agricoltori?"

"In direzione opposta, verso il mare."

"Non possiamo fare nulla per voi?"

Il vecchio alzò le spalle, guardò le rovine tutto attorno e scosse il capo.

Mar si sfilò dal collo una collana di denaro: "Prendete questi... potranno esservi utili."

Il vecchio parve esitare, ma poi rifiutò deciso. Allora, a malincuore, Mar con i suoi se ne andò. Un gran senso di oppressione aveva reso taciturni gli uomini di Mar. Quando, dopo due giorni di marcia, giunsero a un bivio, tutti si trovarono d'accordo ad accorciare il viaggio. Invece di scendere a sud-ovest verso un'altra città, ripiegarono a ovest verso il mare.


In tre giorni di cammino non sempre agevole, passando per una gola spazzata da un vento furioso che li sbilanciava continuamente, giunsero in vista del mare. Si fermarono su un poggio soleggiato, vicino a un torrentello che si apriva in un laghetto con acque limpide e trasparenti. Di lì potevano vedere una città di mare, pigramente adagiata attorno a una piccola baia naturale, a circa mezza giornata di cammino dal poggio.

Rizzarono le tende. Decisero di dedicare la giornata alle pulizie. Lavarono i loro panni, fecero lunghi bagni nelle fresche acque, lavarono le marruote, disfecero i bagagli per riordinare le loro cose. Vokka pareva sentire l'atmosfera tesa e stanca, infatti era più attento e taciturno del solito. A volte chiamava Nilko, il suo amico restato a Cenco. Come al solito stava bene con tutti, ma non aveva legato con nessuno bene come con Nilko. Con Kedmen ci stava, ma era evidente che non gli piaceva granché, benché questi facesse del tutto per compiacere il piccolo e per farlo divertire.

Quella sera Ezmy compose una nuova canzone:

"Terradura

Corri, corri per monti e per valli con me,
La stanchezza non senti alle gambe, perché
Ti sospinge qualcosa nascosto nel cuor:
È la sete d'avventura.

Le battaglie non sono un problema, perché
Tu sei forte ed hai compagni più forti di te
E vai incontro alla vita e tu sai che fra lor
Non alberga la paura.

Quel che vedi, che scopri, che c'è intorno a te
Canta forte nel cuore di quei come te
La canzone più bella del mondo, però
Sarà bella finché dura.

Ma se un giorno qualcuno si fa incontro a te
Fra rovine fumanti e annerite perché
È finita per lui la speranza: solo allor
Senti che la vita... è dura!

È dura... è dura... è dura!"

Scese la notte, accompagnata da quel canto dolente.

Il mattino seguente i panni erano asciutti, grazie anche al venticello caldo che per tutta la notte aveva accarezzato il poggio. Rifecero i bagagli, si rivestirono e scesero verso la città. Dalla varietà delle case e dalla loro disposizione caotica si capiva che doveva essere una città mista. Questa era difesa da un forte muro intervallato da poderosi torrioni. Non c'era castello, ma dal fatto che i torrioni erano otto, Mar intuì che ognuno doveva ospitare una compagnia di sedici nuclei. In uno dei torrioni c'era anche la porta di accesso alla città. Mar e i suoi uomini vi si avvicinarono. Un gruppo di Armati con l'uniforme marrone chiaro e bianco sbarrava l'accesso.

Mar chiese loro quali fossero le formalità per entrare in città e comprarvi una casa. L'Armato che rispose si informò se tutti intendessero fermarsi in città. Mar rispose che si sarebbero fermati solo quattro di loro, ma che per qualche giorno tutti avrebbero alloggiato in città.

"Qui da noi, a Casevuote, al momento ci sono parecchie case libere, poiché c'è stato uno sdoppiamento meno di un anno fa. Ma la decisione deve essere presa dal Reggitore e dal Consiglio dei Settori, perciò dovreste aspettare per un giorno."

"Nel frattempo, possiamo entrare?"

"Aspettate, che faccio chiamare il Reggitore. Discuterete con lui la questione."

Questa volta Mar s'era presentato alla porta della città con tutto il suo gruppo, compatto, memore della disavventura corsa a Craterenero. Dopo poco tornò l'Armato assieme a un imponente personaggio vestito con una lunga tunica fluttuante che ricordava quella dei lettori di Shent, solo che era verde con ricami azzurri rappresentanti pesci e altri animali marini. Aveva in mano un bastone cilindrico di lucido legno scuro, con i logogrammi della città incisi a una estremità.

"Entrate, stranieri, venite alla loggia delle trattative."

Mar e i suoi entrarono, sorvegliati a vista dagli Armati. Appena passata la porta, sulla destra c'era una bassa costruzione a un solo piano con un lato aperto e con pilastri di legno ripetuti all'interno su tre file. Sugli altri tre lati c'era un corridoio con Armati appostati dietro feritoie, con le armi pronte.

"Bene, eccoci qui. Chi siete e cosa chiedete?"

Mar sfoderò il suo più bel sorriso: "Sono Mar Swooney, Pensatore di Cittachiusa e di Casevecchie, possidente di laboratori a Portoscalo e Cittachiusa. Questi sono alcuni degli uomini che lavorano per me. Ho esplorato questa zona e ho pensato di aprire una mia casa anche in questo importante centro... Vorrei perciò sapere quali sono le condizioni per farlo."

"È molto semplice. Ora radunerò il Consiglio dei Settori e chiederò se e dove ci sono case in vendita e si si è disposti ad accogliervi fra di noi. Se le risposte sono tutte affermative, visiterete le case, ne sceglierete una e la comprerete. Per un anno sarete ospiti temporanei, cioè non potete partecipare alla vita politica della città. Alla fine dell'anno, se il Consiglio non ha ricevuto serie lamentele sul vostro conto, sarete cittadini passivi, cioè potete prendere parte alla vita della città per le discussioni e le votazioni, ma non potrete essere eletti. Dopo un ulteriore anno, sempre con le solite condizioni, potrete diventare cittadini attivi, cioè veri cittadini di Casevuote."

Mar disse che per lui andava bene. Allora il Reggitore fece un gesto e due persone che parevano solo passanti incuriositi, arrivarono con carta e bastoncini da scrittura, fecero alcune domande a Mar e scrissero qualcosa sul foglio. Poi lo fecero leggere a Mar. Era una domanda di ammissione, corredata di dati sul richiedente.

Mar chiese: "La devo firmare?"

"No, devi solo metterci le tue impronte."

"Quali impronte?"

"Lascia fare ai miei uomini." rispose il Reggitore.

Uno degli uomini estrasse dalla sua sacca una scatoletta di legno lucido, ne tolse il coperchio e all'interno c'era un panno scuro, umido. Prese le cinque dita della mano sinistra di Mar e ne premette i polpastrelli sul panno umido. Mar se li ritrovò sporchi di una tintura verdastra. Poi l'uomo premette i polpastrelli di Mar, a uno a uno, sul fondo del foglio, ottenendone cinque nitide impronte piene di sottili ghirigori.

Mar era divertito: "Questo vale come se fosse la mia firma?"

"Certo. Non ci sono due uomini su Boar che abbiano gli stessi disegni sulle punte delle dita. Queste impronte sono più vere che non il tuo nome o un tuo scarabocchio. Puoi cambiare il tuo nome, la foggia del vestire, il tuo aspetto, ma questi non li puoi cambiare."

Mar annuì: "Ma se, mettiamo caso, io perdessi la mia mano sinistra in un incidente o in battaglia?"

"È molto raro, ma potrebbe accadere. In questo caso per noi è come se tu fossi morto!"

"E perderei così tutti i miei diritti?"

"Sì, certo."

Mar rabbrividì: "Dovrò quindi tener molto da conto la mia mano sinistra!"

"È naturale."

Poi il Reggitore con gli altri due se ne andò, dicendo loro di mettersi in libertà e di attendere in quel portico. La gente che passava davanti alla loggia delle trattative a volte si fermava a guardarli e Mar provò la sensazione di essere come un oggetto esotico esposto in una vetrina. Dopo circa quattro ore, nel frattempo Mar e i suoi avevano mangiato, il Reggitore tornò con un altro foglio pieno di impronte. Sopra c'era solo scritto: "Mar Swooney e gli uomini per cui lui garantisce, sono ammessi nella città."

"Ecco, metti le tue impronte anche su questo foglio, per un qualsiasi controllo portalo sempre con te. Se in seguito vorrai che un tuo uomo, in tua assenza, possa venire in città e usare la tua casa, devi solo dargli un foglio con le tue e le sue impronte e con scritta la frase: è un uomo del mio gruppo. Adesso arriveranno i Consiglieri di Settore per farvi vedere le case libere. Siate saggi!"

"Faremo del nostro meglio..." rispose Mar.

Il Reggitore abbozzò un sorriso di sufficienza: "È il nostro saluto."

"Ah... e cosa si deve rispondere?"

"Sii saggio."

"Bene, sii saggio, allora."

Dopo poco arrivarono i Consiglieri. Mar, per non perdere troppo tempo, descrisse loro i requisiti della casa che desiderava. Tre degli otto Consiglieri scossero la testa e se ne andarono. Mar inviò Flayve con altri a fare una prima scelta. Quando Flayve tornò, era quasi sera.

"Ne ho viste tre che potrebbero andar bene per noi. Ognuna ha i suoi pregi e i suoi difetti."

Allora tutto il gruppo si mosse e andò a vedere le tre case. Ne scelsero una nel terzo settore: era la più vasta ed era circondata su tre lati da un ampio giardino in stato di abbandono. Trattarono il prezzo e alla fine si accordarono per quarantadue valori che Mar pagò subito. Quella notte la passarono adattandosi alla bell'e meglio, chi nella casa polverosa, chi nel giardino incolto.

Il giorno seguente Mar si informò a che distanza fosse Baiallegra. Era a due giorni di cammino, perciò con le marruote era possibile raggiungerla in meno di un giorno. Allora incaricò Kedmen di recarsi a Baiallegra per noleggiare una nave, se possibile quella di Pendory. Lo fece fornire di cintura antigravità, scudo di forza, paralizzatore e laser, un comunicatore nonché del denaro necessario per noleggiare nave e ciurma.

"Non esitare ad usare quello che hai, se ti trovi in pericolo." gli disse Mar.

"D'accordo. Cercherò di fare in fretta."

Gli dettero anche un po' di cibo e Kamden partì con una marruota a un posto, di primo mattino, dopo che Mar gli ebbe dato un documento con le impronte. Poi chiese chi degli uomini volesse fermarsi a Casevuote per avviare la nuova residenza. Si offrirono in nove e Mar ne scelse quattro: Flayve, che conservò la carica di coordinatore, Venon e il suo sposo Salys e infine il giovane Lehlen. Decise di lasciar loro una marruota doppia e due semplici, bagagli, cibo e denaro.

"Flayve, comincia a prendere le tue decisioni per la casa. Noi ora siamo tuoi ospiti e fino alla nostra partenza puoi disporre di noi per i lavori." disse Mar.

Flayve sorrise: "Bene, Allora Lehlen con Salys e Venon devono girare per la città per conoscerla e farsi conoscere. Prima però Mar, dai loro le tue impronte, per sicurezza."

Mar eseguì. Poi Flayve mise tutti al lavoro per ripulire a fondo la casa e il giardino. Il giorno seguente Venon e Salys furono incaricati di ordinare agli artigiani in città le cose più necessarie, innanzitutto la solita placca, che qui usava orizzontale, da porre sopra alla porta, con la scritta "Residenza degli uomini di Mar Swooney, Pensatore".

Erano nella casa già da tre giorni, tutti in pieno lavoro, ma Kedmen ancora non tornava. Da quando era arrivato in vista di Baiallegra i contatti tramite il comunicatore erano cessati, perché la distanza era troppa. Il quarto giorno Mar era in pensiero. Ma verso sera il loro comunicatore captò una voce.

"... se mi sentite... nave... fra... giorno..."

L'allegria scoppiò nella residenza: da quelle poche parole captate era chiaro che Kamden era vivo e stava tornando. Il mattino del quinto giorno infatti la voce torno, più chiara.

"Posso parlare poco, di rado sono solo. Pendory è felice."

Mar non rispose, perché non sapeva se Kedmen fosse solo o no. Verso mezzogiorno riconobbero la due alberi di Pendory che si profilava sul mare. A sera attraccò nella baia. Mar e pochi altri, fra cui Bret, salirono a bordo a salutare i Navigatori. A bordo c'era anche Kedmen con la sua marruota. Decisero che sarebbero partiti il mattino seguente. A notte tornarono nella residenza. Fecero i preparativi per la partenza e Mar dette le ultime istruzioni a Flayve promettendogli l'arrivo, quanto prima, di uomini, materiale e denaro, nonché di un comunicatore potente. Nel frattempo Flayve doveva cominciare a preparare il sotterraneo per l'istallazione del transmen.

Il mattino seguente i venti uomini che dovevano partire salirono a bordo. La nave, mollati gli ormeggi, filò veloce al largo, snella e leggera. Il mare era liscio come una tavola, le vele s'inarcavano senza strappi, tutto procedeva per il meglio. A bordo la vita scorreva serena, tanto più che tutti si conoscevano dal precedente viaggio. Vicino alla porta della cabina del Capo-ciurma già era registrato il viaggio precedente, inciso di fresco.


Il secondo giorno incrociarono una tre alberi che navigava un po' più a largo di loro e che procedeva in direzione opposta. Usando appositi specchi segnalarono fra le due navi che tutto andava bene. Durante la giornata Mar chiacchierava spesso con Pendory.

"Sei sposato, tu?" gli chiese.

"No, non ancora."

"Quando ti sposi, porterai il tuo sposo a bordo?"

"Se è possibile sposo uno della ciurma, è meglio. Sennò lo posso portare a bordo, ma devo chiedere alla ciurma se è d'accordo."

"Alla ciurma? E che c'entra, la ciurma?"

"C'entra sì, poiché non sarebbe saggio portare a bordo qualcuno che passerà tutti i suoi giorni con noi e che rischia di non andare d'accordo con gli altri. Allora si fanno tre viaggi di prova, poi si decide. Se tutti sono d'accordo, ci si può sposare. In caso contrario, o si abbandona la nave, ma sarebbe assurdo, o si scarica il probabile sposo rifiutato dalla ciurma."

"Ma così... così è difficile sposarsi."

"Certo. Ma se la ciurma dice di sì, tutto è più facile. Di solito, comunque, ci si sposa fra navigatori della stessa nave, perché già ci si conosce bene. A parte poi che non è necessario sposarsi tanto in fretta."

"Sì, ho notato che sulla nave le relazioni sono libere e facili... ma se nascesse un figlio?"

"Prende comunque il nome dei due genitori, ma è della nave, è allevato da tutti."

"Come si forma il nome, da voi?"

"Mettiamo, per ipotesi, che tu, Mar Swooney e il tuo sposo Njeiry Leje siate navigatori. Innanzitutto il vostro nome sarebbe un po' diverso. Il tuo, mettiamo che sia Mar-Swo-Oneyry e quello del tuo sposo Nje-Iri-Lejery. Vostro figlio allora si chiamerebbe Mar-Nje-Vokka, è chiaro? E se per esempio Mar-Nje-Vokkary si sposasse con me, Wys-Ten-Pendory, un nostro figlio adottato sarebbe Mar-Wys-Chara, per esempio e un secondo figlio Mar-Ten-Culma e così via... è chiaro?"

"E il -ry finale, che significato ha?"

"Quando si è minori non si ha il -ry finale, che si aggiunge quando si diventa Navigatori. Quando si lavora a terra o perché vecchi o perché malati, si cambia il -ry in -fen. Un giorno perciò il mio nome sarà Pendofen... ma sinceramente spero di morire con il -ry..."

Parlarono delle usanze e dei pochi riti dei Navigatori. Due erano i principali, quello della nascita e quello della morte in mare; altri tre erano secondari, quello della maggiore età, quello del matrimonio e quello della morte a terra. Per le navi vi erano gli stessi riti: i due principali, il varo e l'affondamento in mare, i tre secondari il patto con altre ciurme, il decimo viaggio, e la distruzione della nave in porto. C'era poi un rito breve per l'ammissione di un nuovo elemento della ciurma a bordo.


Il terzo giorno cadde la bonaccia. Non c'era un filo d'aria. Sulla nave faceva un caldo umido, afoso, pesante. Tutti ruscellavano sudore anche stando all'ombra. Pendory allora fece festonare le sagole lungo le fiancate della nave, a pelo d'acqua. I Navigatori si spogliarono e si tuffarono in mare per fare lunghe nuotate. Dopo un po' anche gli uomini di Mar li imitarono. Tutto intorno alla nave era un pullulare di gente. Nuotarono, guazzarono nell'acqua liscia come olio, trovando un po' di refrigerio. Giocarono come bambini felici, guizzavano sul pelo dell'acqua, si tuffavano in profondità. I più esperti si divertivano a nuotare sotto la chiglia della nave passando da una parte all'altra. Qualcuno di tanto in tanto risaliva sulla tolda dove si stendeva per asciugarsi ai raggi implacabili e infuocati del sole. Persino il legno della tolda scottava contro il corpo bagnato e lucido d'acqua.

Verso sera il mare cambiò. Tutti erano di nuovo a bordo. Le vele di tanto in tanto schioccavano sotto improvvisi colpi di vento, brevi ma forti. La nave riprese a fendere le acque. Ma Pendory sembrava preoccupato: guardava il mare, le vele, il cielo.

"Ci muoviamo di nuovo, finalmente." gli disse Mar.

"Sarebbe stato meglio restare fermi, temo."

"Perché, Pendory?"

"Mmhh! Questo è odore di tempesta!"

"Odore? Non sento nessun odore diverso dal solito, io,"

"Non hai esperienza, tu, non conosci il mare. Questo è odore di tempesta... e di una brutta tempesta. Per fortuna siamo al largo, speriamo che giri, che non ci investa in pieno."

La superficie dell'acqua, da azzurro-viola, era trascolorata in verde-marrone ed era marezzata da creste di bianca spuma con sfumature rosate. Il cielo s'era ispessito e grossi banchi di scure nuvole lo stavano invadendo in una corsa sfrenata, sorpassandosi, rotolando l'una sull'altra, scontrandosi e sfilacciandosi incessantemente. Il vento ora era forte, le corde delle vele erano tese e fischiavano come una corda di mulinante.

Pendory dette ordine di imbrogliare tutte le vele e di calarle con la traversa sul ponte. La snella nave ballava fra onde sempre più alte e violente e spruzzi d'acqua salmastra spazzavano il ponte. Fu dato ordine di chiudere tutti gli oblò del piano delle cuccette. Tondi di legno furono inseriti nei vani degli oblò e bloccati dall'interno con apposite sbarre e cunei di legno forzati al loro posto con mazzuoli.

La nave ora si sollevava esile e leggera sulle creste di enormi cavalloni che poi scorrevano via facendola precipitare in abissi di acqua vorticante, ora batteva la chiglia contro muraglie liquide, ondeggiava e beccheggiava impazzita. Pendory urlò altri ordini che si persero nell'urlio del vento e nel rumore degli schiaffi delle onde. Gli uomini correvano, aggrappandosi a gomene e appigli. Mar non era ancora sceso sotto coperta. Guardava stravolto e affascinato la furia degli elementi. La visibilità era scarsa e diminuiva a vista d'occhio, ormai il giorno stava morendo. Ombre scivolavano sulla tolda, a volte velate dalle creste delle onde che volteggiavano sopra la nave cercando qualcosa da ghermire, spazzando via tutto.

Spesso Mar era sommerso da questi veli d'acqua diaccia e pungente che gli schiaffeggiavano il corpo con ferocia allontanandosi poi da lui intatti. La nave stessa sembrava volerselo scrollare di dosso, imbizzarrita. Gli incastri del fasciame gemevano e scricchiolavano e pareva di vedere le assi torcersi a una a una quasi che la nave fosse un fascio di muscoli guizzanti sotto sforzi sovrumani. Mar doveva tenersi con entrambe le mani per non essere trascinato via, sbalzato lontano, sputato in acqua.

Ormai la visibilità era quasi nulla. Mar rifletté che non vedeva più l'imbocco della scala per scendere sotto coperta. Tentò di spostarsi, sempre aggrappato alla gomena che fino ad allora l'aveva trattenuto. Ma ogni suo movimento veniva contrastato, vanificato, minacciato dai sussulti del guscio di legno, dai colpi delle ondate, dalle spinte del vento che gli faceva fluttuare i capelli zuppi di acqua salmastra. A un tratto sentì qualcosa toccarlo. Guardò: un'ombra era accanto a lui.

"Chi sei?" urlò una voce resa strana dal vento che ne allontanava il suono.

"Mar... sono Mar... e tu?"

"Io... canry..."

Mar cercò di capire da quel moncone di parole chi potesse essere. L'altro gli aveva afferrato un polso.

"...oro... vieni... letta..."

"Non so da che parte..." rispose Mar cercando di indovinare quel che l'altro aveva detto.

Poi sentì che l'altro gli cingeva la vita con una corda, lo legava, armeggiava con la corda in modo strano poi lo riprendeva per un polso e lo tirava a sé. Mar cercò di spostarsi. Quando provò a parlare un'ondata gli riempì la bocca e dovette richiuderla, tossendo e sputando. L'altro continuava a tirarlo per il polso, poi Mar scivolò e volò via. Sentì un colpo alle reni e la corda che l'altro gli aveva fissato attorno alla vita lo fermò. Cadde pesantemente sul ponte, rotolò, poi sentì che scivolava in senso opposto.

Ripensò a molti anni prima, quando un cavetto d'acciaio, nell'astronave di Vecchio e Mantice, l'aveva bloccato... Al pensiero dei due vecchi amici morti gli vennero lacrime agli occhi, che si mescolarono con l'acqua salata del mare.

Una mano l'afferrò per gli abiti, lui s'aggrappò a quel braccio, cercò di alzarsi barcollando, scivolò di nuovo, si rialzò. Brancolando sentì il corpo dell'altro, cercò di ritrarsi ma l'altro lo spinse, precipitò... e sentì che rotolava giù per le scale, verso la salvezza del sottoponte. Cadendo, ruppe in una risata nervosa.

Voci: "Mar... Mar... sei salvo!"

"Sì, manca qualcuno?" chiese alle pallide ombre chine su di lui.

"Manca solo Pendory, ora." rispose la voce di un capo-turno.

"Dobbiamo risalire, allora!"

"No... ormai è buio... siamo nel pieno della tempesta. O si salva da solo... o..." non terminò la frase.

Mar si rialzò, barcollò, sentì un'infinita stanchezza invaderlo, un pesante torpore impadronirsi di lui. Dalla scala, di tanto in tanto, entravano scrosci d'acqua.

"Come sta Vokka?" chiese allora usando le sue ultime forze.

"Bene. È con Pel, sono legati su una cuccetta."

Le gambe gli cedevano: "E Njeiry?"

"Alle pompe con quasi tutti gli altri."

"Pompe?" chiese Mar sentendosi venir meno.

"Sì, stiamo imbarcando troppa acqua."

Mar scivolò a terra, o per meglio dire sentì il pavimento venirgli incontro. Sentì vagamente mani afferrarlo, trasportarlo ondeggiando, spogliarlo, asciugarlo, metterlo su una cuccetta e legarcelo... e sprofondò nell'incoscienza.


Quando si svegliò, un raggio di sole forte e caldo gli lambiva il volto, entrando da un oblò aperto. Si alzò a sedere. Non era più legato. La nave sembrava ferma. Dall'oblò vedeva il cielo rosato e limpido. Si sentiva bene; cercò qualcosa per rivestirsi. Dietro la tenda del cubicolo sentì passare due voci che sussurravano.

"Ehilà, chi c'è?" chiese.

Le voci tacquero, la tenda si scostò Uhne e Bret lo guardarono sorridenti: "Sveglio?"

"Pare proprio di sì. Notizie di Pendory?"

"Dorme..."

"Sta bene?"

"Sì."

"Dove era?"

"L'hanno trovato stamattina legato all'albero, svenuto."

"Manca qualcuno?"

"No, ci siamo tutti, sia la ciurma che noi."

"Danni alla nave?"

"Qualcuno, ma niente di grave."

"Njeiry?"

"Dorme."

Mar finì di vestirsi: "Ho fame."

Bret sorrise: "Buon segno! Vieni."

Mar seppe che la tempesta s'era acquietata poco dopo l'alba ed era poi cessata. Subito i timonieri e gli avvistatori avevano cercato di stabilire dove fossero finiti. Regolandosi sul sole, s'erano avvicinati alle coste e avevano scoperto che la tempesta, fortunatamente, li aveva sospinti in avanti sulla loro rotta. In breve la ciurma aveva risistemato completamente la nave che comunque aveva resistito egregiamente alla furia degli elementi.

Mar mangiò, passò a vedere Njeiry, poi Vokka che stava giocando con Nehve, infine Pendory che, come Njeiry e altri, ancora dormiva. Salì sulla tolda. Nulla, assolutamente nulla né sulla nave, né in mare, né in cielo tradiva lo scatenarsi degli elementi che solo poche ora prima aveva messo in pericolo la nave e gli uomini su di essa. Un vento sostenuto ma regolare gonfiava le vele asciutte e tese, onde gentili lambivano i fianchi della nave che le fendeva veloce e sicura... Mar non credeva ai propri occhi.

"Come un sogno... uno apre gli occhi e non c'è più... incredibile."

Il mare! Lui l'aveva visto, su vari pianeti. Ma una cosa è vederlo da fuori, dalla terra ferma, una cosa è cavalcarlo. Per i pianeti cosiddetti civili il mare è solo... acqua. Un fenomeno geografico, né più, né meno... al massimo uno spettacolo, una visione estetica. Ma qui! Qui scoprivi che il mare è vivo, ha una sua personalità speciale. Eccolo, ora, vivace ma sereno. Forte ma calmo, amico. Eppure era lo stesso che poche ore prima era irato, sconvolto, furioso, scatenato, feroce, mortale! E prima ancora era liscio, tranquillo, dolce, indolente, pigro... sempre lui, il mare! Le sue onde potevano essere trine delicate, lievi danze giocose, visioni coreografiche oppure muraglie minacciose, mani che ghermiscono, sudari di morte. Il mare può cullarti dolcemente o seppellirti senza alcuna pietà.

Mar ripensò ad Ylayge: certo, il mare può essere amato a tal punto che senza di lui puoi veramente sentirti svuotato, "smarato"!

E la terra? Ha i suoi cicli regolari, tranquilli, prevedibili. A volte trema, erutta, è vero... ma è pur sempre la solida terra sicura che accompagna la vita dell'uomo, e si lascia domare da questi. Il fuoco? Se non sei imprudente lo puoi anche addomesticare, lo puoi controllare, accendere o spegnere. Il fuoco è come un animale selvatico: sempre in agguato, ma domabile se lo conosci, se lo sai prendere.

Ma il mare no. Il mare è imprevedibile, indomabile, incontrollabile. Sì, puoi essere fortunato, come la nave di Pendory, e cavartela... ma perché è lui a desistere, a non volerti veramente ghermire...

Mar era immerso in queste riflessioni, assorto, e non sentì Pendory giungergli alle spalle finché non ne vide l'ombra defilarsi accanto alla sua.

Allora si girò: "Pendory! Come stai?"

"Io bene, e tu?"

"Anche io. Ho avuto paura per te, questa notte... Perché t'eri legato all'albero? Perché non sei venuto sotto anche tu?"

"Mia madre era un corridore delle tempeste, ricordati. Io amo le tempeste... non potevo tradire il mio amante. Tu, piuttosto? Se non veniva Tem Suk Vecanry a prenderti... Che ci facevi quassú? Non avevi sentito l'ordine di scendere?"

"No... ma non mi dispiace. Il mare! Non vorrei fare la corte al tuo amante, ma... è splendido, anche quando urla e infuria!"

Pendory annuì: "Specialmente allora. È bello che anche tu ami il mare. Non si può essere gelosi del mare, sai? Può avere tutti gli amanti che vuole."

"La tua nave e forte, solida, ha resistito bene alla tempesta."

"Sì, e anche la mia ciurma è solida e forte nonostante la sua giovane età. Pensa, neanche un disperso: è una bella vittoria! Abbiamo passato un esame importante. Oh, lo so bene, non sarà l'ultimo... il mare è un severo maestro, ma questa prova è superata. A volte penso che un Navigatore dovrebbe raggiungere la maggiore età non a sedici anni, ma dopo aver affrontato una tempesta senza perdere né la vita né il controllo dei nervi."

"Ti hanno trovato svenuto, Pendory..."

"Sì... l'emozione è stata troppo forte. Ma di una cosa sono fiero: sono svenuto solo quando ho capito che la tempesta era finita, quando il sole è riuscito a mandare il suo primo raggio su di noi."

"Adesso stai bene?"

"Sì, certo."


Il viaggio proseguì liscio, senza problemi. Raggiunsero Portosicuro e Mar con i suoi uomini furono ospiti per un giorno della ciurma di Pendory nella loro casa comune che era vuota. Il giorno seguente si accomiatarono dai navigatori, lasciarono la città e si diressero verso Cittachiusa.

Qui giunti trovarono Teskar che li informò sulle ultime novità locali. Incontrò gli Introw e spiegò loro le sue idee riguardo alle mappe di Boar, e dette loro le registrazioni delle tavole nautiche di Pendory perché vi si ispirassero. Poi Teskar li informò che fuori Cittachiusa era stato inaugurato il primo ostello da pochi giorni, a un chilometro circa dalla città, sul luogo del primo bivio. Nell'ostello era già in funzione il transmen per Cenco.

Allora Mar uscì dalla città con i suoi uomini e si avviò verso l'ostello. Lo videro da lontano. Era una bassa costruzione a un piano, rettangolare, di circa centodieci metri per ottantacinque, larga sugli otto metri e con un giardino interno. Avvicinatosi, vide sulla strada grossi cartelli di legno incisi con logogrammi. Vi era scritto: "Ostello del Primo Passo" e sotto, più piccolo "Qui si mangia, si beve, si dorme e ci si può ripulire, il tutto per poco metallo" e sotto, ancora più piccolo "Consigli per i vostri viaggi per pochi grani, o anche per nulla se siete nostri clienti". Poi ancora sotto, più grande "Si riparano, affittano e vendono le più belle marruote di tutta Boar".

Mar e gli amici commentarono compiaciuti quell'insegna e proseguirono verso l'ostello. Questo aveva ai quattro angoli costruzioni più grosse e una delle quattro, a forma di torre, era alta ben quattro piani. In quella c'era l'ingresso. Mar entrò, seguito dai suoi uomini. Si trovarono in un ampio ambiente con una porta che dava verso l'interno e di fianco uno sportello con uno dei suoi uomini in livrea bianca e azzurra (i suoi colori) dietro. Questi li riconobbe e li salutò con effusione.

"Benvenuti, benvenuti al Primo Passo. Io sono l'aiuto ostelliere. Aspettate che vi chiamo il Fratello Ostelliere!"

Mar sorrise: "Ohilà, e chi sarebbe questo Fratello Ostelliere?"

"È Rynay Silyne, nominato da Moder responsabile di questo primo ostello."

Rynay arrivò subito: "Benvenuto, Mar, benvenuti tutti! Vi fermate?"

"No, proseguiamo per Cenco. M'hanno detto che la strada è aperta."

"Sì, certo, prima però mi piacerebbe farvi visitare l'ostello."

"Sicuro. Dove possiamo posare le marruote e i bagagli?"

"Nel giardino. Partirete questa notte. Adesso venite."

Rynay, mentre li guidava nella visita, spiegò l'organizzazione dell'ostello che Mar in parte già conosceva. Quel primo ostello aveva quattrocento cinquanta posti letto e poteva arrivare a quarantacinque uomini di personale. L'angolo con l'entrata e la torre conteneva l'accoglienza, le dispense, le cucine e gli alloggi del personale. Lì c'era anche la stanza segreta con il transmen collegato con Cenco. Un lato corto aveva due file di lussuose stanze di tre metri per tre, cinquanta in tutto, che terminavano nell'angolo opposto all'entrata con la sala da pranzo, un lussuoso bagno comune e le latrine.

Sui due lati lunghi c'erano le stanze medie, di due per tre e con cento stanze per lato, terminanti con il solito blocco dei servizi. L'ultimo lato corto aveva due file di box con letti a castello per un totale di duecento posti letto a basso prezzo e i servizi per chi voleva spendere poco. Fra le quattro ali dell'ostello c'era il giardino, ben curato, con al centro un'altra costruzione quadrata di trenta per trenta metri con le officine e i depositi delle marruote, uno spaccio, le lavanderie e i depositi, che aveva all'interno un cortiletto di disimpegno di circa quindici metri per quindici. Il tutto era costruito con materiali e in stile boariano.

I prezzi erano veramente bassi, coprivano le spese vive o poco più. Nei pochi giorni da che era aperto avevano avuto solo trentasette ospiti: pochi per cominciare ma i primi ad andarsene sembravano molto soddisfatti.

Rynay inoltre fece vedere a Mar e ai suoi la parte segreta. Oltre al transmen, c'era la "Sala di ascolto" con la radio per comunicare con Cenco e con Cittachiusa e di lì inoltre si poteva ascoltare e vedere, grazie a spie molto ben dissimulate, qualsiasi cosa si dicesse o facesse nelle varie stanze dell'ostello.

"Un giorno potrebbero servire." commentò Rynay.

Inoltre tutto l'ostello non aveva finestre verso l'esterno e aveva un camminamento di ronda tutto attorno, sul tetto, per difendersi da eventuali attacchi di Predoni o Sbandati. Le stanze verso l'esterno ricevevano luce da appositi lucernari sui tetti. Mar ed i suoi uomini furono entusiasti.

A notte, con il transmen, si trasferirono finalmente a Cenco.


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