LA CERTOSA
DI MONTSABOT
13 - È MEGLIO PARLARSI CHIARO

Joseph, che aveva appena compiuto i trentasei anni, era ormai ottimamente inserito alla certosa come insegnante di educazione fisica e allenatore di sport. Era apprezzato dai colleghi e amato dai ragazzi. Chi però letteralmente stravedeva per lui era Armand Dubois del Ghepardo, il capo-famiglia di diciotto anni, che aveva in casa con lui anche i suoi tre fratelli minori, Guy di quindici, Patrick di unici e Raoul di sette. Erano nella casa da sei anni, in seguito alla morte di entrambi i genitori, uccisi per un tragico errore in un agguato terroristico dell'IRA mentre erano in vacanza in Irlanda del Nord.

Armand era un ragazzone ben sviluppato, dall'aria sveglia e allegra, non bello ma piacente, ed era un atleta di notevoli doti. Eccelleva specialmente nel nuoto, nella corsa a ostacoli e agli anelli. Nei confronti dei fratellini aveva un atteggiamento protettivo, ma non permissivo: era premuroso, attento, affettuoso e i tre fratellini lo adoravano. Non per questo, comunque, Armand faceva favoritismi per i suoi fratelli, nei confronti degli altri ragazzi della casa, pertanto nessuno si poteva lamentare.

Negli studi Armand, anche se non eccelleva, aveva comunque una buona media, molto raramente rischiava di non prendere la sufficienza. L'unico difetto del ragazzo, che lui stesso riconosceva di avere, era una tendenza alla pigrizia, al rimandare al domani le cose. Può sembrare strano in un ragazzo così appassionato di sport ma, per spiegarlo con le stesse parole di Armand, "la mia pigrizia è forse più come la forza di inerzia: se sto seduto, tendo a rimanere seduto; se cammino, tendo a continuare a camminare. Cioè, sento sempre una forte tentazione a non cambiare quello che sto facendo, a non affrontare cose nuove".

Armand, come si diceva, stravedeva per Joseph. Ma il fatto è che Joseph si accorse che si stava irrimediabilmente innamorando di Armand. All'inizio aveva cercato di tenere sotto controllo questo suo sentimento, aveva cercato di razionalizzarlo, di autoconvincersi che non doveva cedere. Ci era già passato una volta e, come lui stesso aveva detto, era stato un incubo. Oltretutto temeva di aver fatto del male, anche se involontariamente, al ragazzo con cui aveva avuto, in passato, una relazione. Perciò ora non voleva assolutamente ripetere lo stesso sbaglio.

Ma più lottava contro il proprio sentimento, più questo sembrava aumentare, rafforzarsi, diventare difficile da imbrigliare, da domare, da contenere. Perciò a un certo punto, decise che doveva andare a parlare con Serge, chiedergli consiglio e aiuto prima che fosse troppo tardi... ammesso che non fosse già troppo tardi.

"Serge, ho un problema, ci sto ricadendo!" esordì il giovane uomo con aria sconsolata, sedendo di schianto sulla sedia davanti alla scrivania del rettore.

Serge lo guardò con espressione interrogativa: "Ricadendo... in che?"

"Mi sto innamorando come una pera cotta del capo del Ghepardo, di Armand Dubois... Non so più che fare. Forse sarebbe meglio che tu mi dessi un anno di aspettativa, così quando torno Armand se ne è andato."

"Ah! E credi che i problemi si risolvano scappando?"

"Quando si sta per perdere, non è più prudente una ritirata strategica che continuare a combattere?" chiese Joseph con tono abbattuto.

Serge sorrise: "Una ritirata strategica si fa quando si ha intenzione di riprendere a combattere... contro chi? Te stesso? Armand? Magari l'amore per un altro ragazzo?"

"Perché, tu al mio posto, che cosa faresti? E non mi rispondere che tu non sei al mio posto, per favore. Ho davvero bisogno di un consiglio e so che tu me lo puoi e me lo sai dare."

"Non sono il Padre Eterno, io, però... sì, un amico non può rifiutarsi di dare un consiglio. Ma dimmi, anche Armand è innamorato di te?"

"Non lo so... a volte direi di sì, ma temo che sia più un proiettare su di lui una mia speranza che non la realtà. Comunque penso di poter dire che mi ammira molto, forse anche troppo, e che fa sempre del tutto per compiacermi, per... per fare bella figura con me. Anche altri, ma lui... lui direi che esagera."

"Ti ha mai detto cose o si è mai comportato con te in modo di farti capire che è innamorato di te?"

"Sì... dal farmi trovare fiori sulla cattedra, al dirmi che vorrebbe tanto diventare come me... all'essere onnipresente per raccogliermi un oggetto caduto, al porgermi un attrezzo ancora prima che dica di averne bisogno... dal farmi trovare deliziosi biglietti di auguri fatti da lui per ogni occasione... non gliene sfugge nessuna: onomastico, compleanno, Natale, Pasqua, prima delle vacanze, festa della Repubblica... e chi più ne ha più ne metta."

"Dunque è almeno un anno che si comporta così con te."

"Più di un anno e... in un crescendo."

"E tutto questo non ti fa pensare che allora, molto probabilmente, anche lui si sia innamorato o si stia innamorando di te?"

"Può darsi, ma questo non fa che peggiorare la mia posizione nei suoi confronti. Perché se gli fossi antipatico, saprei che non ci sarebbe posto per il mio sentimento per lui. Così, invece..."

"In un caso simile, alcuni anni fa, ho consigliato che i due interessati si trovassero e si parlassero apertamente, chiaramente... e cercassero di risolvere insieme il problema."

"Ma io ho... paura a trovarmi solo con lui. Fino a ora ho sempre evitato di trovarmi con lui da solo."

"Paura? E perché?"

"Perché... perché temo che invece di parlare... lo prenderei fra le mie braccia e lo bacerei, capisci?"

"Senti Joseph... e se parlassi io con Armand per cercare di capire che cosa lui sente per te, che cosa lui si aspetta o spera da te?"

"Beh... potrebbe forse essere utile. E so che i ragazzi di solito si aprono con te. Sì, potrebbe essere utile, e male, comunque, non può fare."

Così Serge, il giorno dopo, convocò nel suo studio Armand.

"Mi hai fatto chiamare, rettore?"

"Sì, accomodati. Come va, Armand?"

"Molto bene, grazie."

"Salute, studi, sport, la tua casa..."

"Tutto bene, davvero. Perché, ci sono forse problemi?"

"No no. Volevo solo sapere, se ti va di parlarmene, come va con il tuo insegnante e allenatore di sport, Joseph."

"Ah, Joseph?" disse il ragazzo e improvvisamente sembrò un po' teso, ma continuava a sorridere come prima, "Va tutto molto bene. Si è lamentato di me?"

"No, al contrario. Ma dimmi, e scusa la schiettezza della mia domanda, ma sai che qui alla certosa abbiamo sempre detto che la franchezza è un'ottima dote... che cosa senti tu, nei suoi confronti?"

Questa volta Armand divenne serio: "Cosa sento io per Joseph? Lo stimo, lo ammiro, penso che sia molto simpatico, un ottimo insegnante e allenatore..."

"Ma cosa senti, per lui?"

"Io... mio dio, Serge! Io ne sono innamorato, ho perso la testa per lui. Ecco cosa sento! Solo che lui... lui sembra tenere le distanze. È sempre gentile con me, mi segue come e meglio degli altri, forse... Ma non riesco mai a restare solo con lui, sembra che lo faccia apposta."

"E se lo facesse apposta, secondo te, perché lo farebbe?"

"Perché ha capito che mi sono innamorato di lui... e mi vuol far capire che non è il caso, che lui non è innamorato di me. Che gli sono simpatico, ma come tutti gli altri ragazzi. Che altro potrebbe voler dire, se no?"

"Hai mai provato a dirglielo?"

"Davanti a tutti gli altri? Lo metterei solo in imbarazzo... non posso."

"Ma potresti scrivergli una lettera, no? In cui gli dici tutto quello che senti per lui e gli chiedi di dirti quello che lui sente per te. Non credi che funzionerebbe, invece di stare a macerarti così?"

"Può darsi... ma io fra un anno devo andarmene... e potrebbe sembrare che gli stia chiedendo solo di farci una bella scopata assieme, non credi?"

"Se parli di amore... non credo, no. Non è un uomo sciocco né superficiale, Joseph. Credo che capirebbe le tue vere intenzioni."

"Quella regola dei cinque anni... anche se adesso è stata un po' attenuata... Io vorrei stare subito e per sempre, e sempre, con lui. Ma nello stesso tempo... io non posso lasciare i miei fratellini, capisci? Cioè, voglio dire, quando dovrò uscire di qui li dovrò lasciare, anche se potrò venirli a trovare, ma quando avrò casa mia, li potrò prendere con me man mano che escono. Ma se mi mettessi con lui... mica potrei chiedergli di prenderci tutti e quattro, no? Capisci che comunque la giri, sarei in un bel casino?"

"Ma i tuoi fratelli comunque cresceranno e si faranno la loro vita. Non vedo dove sia il problema."

"Beh, forse ho le idee un po' confuse, perché non ci ho mai pensato a fondo... perché credo proprio di non interessare a Joseph, e perciò, il problema non esiste, no?"

"Armand, come puoi essere sicuro di non interessare a Joseph? Perché non gli parli chiaramente? E magari parli con lui anche del fatto che non ti vuoi separare dai tuoi fratelli più dello stretto necessario."

Alla fine, come sperava Serge, Joseph e Armand si videro da soli e si parlarono senza troppi giri di parole. Una domenica scesero assieme in città, andarono a sedere in un caffè, a un tavolo un po' appartato.

"Armand, io ho un problema e ho deciso che la cosa migliore è parlarne con te, chiaramente."

"Sì, lo so. E allora parliamone."

"Comincio io... Ecco, Armand, io sono innamorato cotto di te."

"Di me? Tu?" chiese il ragazzo sgranando gli occhi.

"Sì. Ma vedi, io anni fa ho dovuto lasciare l'insegnamento pubblico per un problema come questo, e temo di avere involontariamente fatto del male a quel ragazzo. E io non vorrei fare del male anche a te. Perciò ho sempre resistito al mio sentimento, ai miei impulsi... anche perché temevo che il mio amore non fosse corrisposto."

"Oh cazzo! E io che pensavo la stessa cosa di te! Anche io, Joseph, sono innamorato di te e vorrei tanto... ma tanto, diventare il tuo ragazzo. Però..."

"Però? Ci sono problemi? Non che non ne veda anche io, ma... vorrei sapere quali sono quelli che vedi tu."

"Io, se venissi con te... io non me la sento di rinunciare ai miei fratelli. Noi quattro siamo rimasti orfani da piccoli, io sono il più grande, come sai, e mi sono sempre sentito responsabile di loro."

"Perché dovresti rinunciare ai tuoi fratelli, se noi due ci mettessimo insieme?"

"Mica posso chiederti di... di prendere anche loro, no?"

"Ma non credi che io, assieme a te, potrei essere per loro come... come un padre, o magari anche solo un fratello maggiore?"

"Sì, ma... io da una parte, se anche tu mi ami, vorrei tanto vivere con te. Ma nello stesso tempo, vorrei vivere anche con loro."

"Potremmo vivere tutti e cinque assieme, non pensi?"

"Ma come? Loro comunque sono qui alla certosa... finché non saranno maggiorenni, lo sai, dovranno restare qui. Posso chiedere al tribunale di nominarmi loro tutore, appena divento maggiorenne io, ma a parte che manca ancora troppo, io non potrei dargli tutto quello che ricevono qui alla certosa."

"E se... e se io... se trovassi il modo di adottarvi tutti e quattro? O almeno di essere nominato il vostro tutore... e se trovassimo il modo di vivere tutti assieme?"

"Tu lo faresti?"

"Per te... lo farei subito."

"Ma come fare a vivere assieme... restando però alla certosa? Comunque a diciannove anni dobbiamo uscire."

"Questo si può forse risolvere. Se io prendessi un appartamento qui in città, ogni mattina potrei portarvi alla certosa, finché non compite diciannove anni. Così stareste tutti assieme e nello stesso tempo godreste dei vantaggi della certosa come avete fatto fino ad ora."

"Lo faresti?" chiese di nuovo Armand, poi aggiunse, "Ma ci lascerebbero tornare alla certosa come... come esterni? Non ho mai sentito niente del genere."

"Hai ragione, ma possiamo provarci e chissà... C'è sempre una prima volta per tutto, no? E sai che Serge, se può, ci aiuterebbe."

"E tu davvero mi vuoi?"

"E tu? Tu vuoi me?"

"Mio dio, Joseph... non desidero altro!"

"Allora, andiamo a parlarne con Serge."

"E... quando... quando..."

"Quando, cosa?" chiese Joseph con un sorriso incoraggiante.

"Se davvero posso diventare il tuo ragazzo... quando..."

"Faremo l'amore?"

"Sì. Per me... lo farei anche subito, qui... Joseph, non sai quanto ti desidero, quanto ti sogno... quanto sento di avere bisogno di te."

"Allora, adesso torniamo su alla certosa. Per prima cosa verrai da me, in camera mia. Più tardi cercheremo Serge e gli parleremo. Va bene?"

"Sì... ma molto più tardi. Non vedo l'ora di stare fra le tue braccia, Joseph... e di tenerti fra le mie. Andiamo, dai." disse alzandosi, con un tono di urgenza nella voce e con occhi brillanti.

Salirono quasi di fretta fino alla certosa, Joseph lo guidò in foresteria fino alla sua camera, si chiusero dentro e si abbracciarono. Armand lo baciò con una foga che Joseph non si aspettava e che gli fece piacere. Con mani febbrili, si spogliarono a vicenda: si erano già visti nudi, durante le attività sportive nella ex chiesa, ma ora la loro nudità aveva acquistato un sapore nuovo e diverso, perché ora la offrivano l'uno all'altro.

Armand sospinse Joseph sul letto: "Adesso mi prendi e poi, se ti va bene, ti prendo io?" gli chiese con voce roca di passione.

"Certo che mi va bene. Io voglio solo farti felice, Armand. Oh, mio Armand... MIO! Non credevo di poterlo dire un giorno, sai?"

Il ragazzo si mise di traverso sul letto e allargò le gambe offrendosi così al giovane uomo che, in piedi accanto al bordo, lo prese per le cosce e lo infilò con trasporto e passione. Armand emise un lungo e basso gemito di piacere e quando Joseph iniziò a martellargli dentro, il ragazzo, carezzandosi petto e ventre, iniziò a mugolare a ritmo con le virili spinte del suo uomo.

"Sì... così... oohh... che bello... dai... sì... mi piace... oohhh... Joseph... il mio uomo..."

Prima di raggiungere l'orgasmo, il giovanotto si staccò dal suo ragazzo, si chinò a baciarlo in bocca di nuovo, poi salì sul letto a quattro zampe e invitò Armand a prenderlo. Il ragazzo si inginocchiò fra le gambe di Joseph e, dopo averglielo spinto tutto dentro con un fiero affondo, lo abbracciò addossandosi a lui, titillandogli i capezzoli, e iniziò a stantuffargli dentro con vigore.

Si alternarono così, finché entrambi raggiunsero una tale intensità di piacere da non potersi più fermare e prima Armand si scaricò nelle calde e frementi profondità del suo uomo, poi Joseph riversò tutto il suo nettare nelle dolci e accoglienti profondità del ragazzo.

Allora si stesero sul letto, rilassandosi a poco a poco, sorridendosi e giocherellando con le punte delle loro lingue.

"Joseph... pensavo che sarebbe stato bello, con te... ma non così tanto!"

"Il mio ragazzo! È bello poterlo dire, sai? E io sono il tuo uomo... anche questo è bello, vero?"

"Bellissimo... Grazie, Joseph, grazie."

"E di cosa?"

"Di... esistere. E di avermi accettato."


Quando finalmente emersero dalla camera di Joseph, tenendosi la mano nella mano, e scesero sul piazzale, incrociarono qualche collega di Joseph che, vedendoli, capì che cosa fosse accaduto fra i due, e che li salutò con un sorriso amichevole.

Serge non era in casa. Lo trovarono solo il giorno dopo. Gli si presentarono assieme, per ringraziarlo e per chiedergli di aiutarli a trovare la soluzione migliore per realizzare i loro progetti.

"Così, avete finalmente deciso di mettervi insieme. Congratulazioni a tutti e due, sono molto felice per voi. Riguardo al problema dei tuoi fratellini, Armand... Secondo le nostre leggi solo una coppia sposata può adottare dei figli, purtroppo. Però, come ha immaginato Joseph, su richiesta nostra, lui potrebbe diventare il vostro tutore legale, che è quanto di più vicino a un'adozione le nostre leggi permettano. Non è un procedimento veloce, per colpa della burocrazia, ma non dovrebbero esserci ostacoli.

"Riguardo invece a dove vivere, tutti e cinque... vedete, il mio pensiero è questo: accettare allievi esterni non credo che sia una buona idea, perché creerebbe un precedente difficile da gestire. Questo non è un collegio, ma un gruppo di case-famiglia con una scuola interna. D'altronde, se andaste ad abitare in città, non potremmo più considerarvi interni... Che Armand venga a vivere nella stanza di Joseph, non è neppure una cosa positiva, e ancora meno che Joseph venga a vivere nella stanza di Armand in casa. La separazione fra adulti e ragazzi non è un principio fine a se stesso, risponde a esigenze pedagogiche. Anche qui, non possiamo creare un precedente.

"Potreste vedervi, nella stanza dell'uno o dell'altro per fare l'amore... ma niente di più e comunque, la regola dei diciannove anni non credo proprio che sarà cambiata, dato che fino a ora ha funzionato bene... e non si può cambiare una regola solo per favorire qualcuno. Quando Joseph ottenesse la tutela legale di voi quattro, potrebbe portarvi via tutti e quattro, ma non potrebbe tenervi qui... non abbiamo residenze per famiglie, oltre le case-famiglia... e non ne vogliamo, qui dentro, per non creare... ragazzi di serie A e ragazzi di serie B, cioè ragazzi con una famiglia e ragazzi senza: questo minerebbe il sistema della case-famiglia, lo capite."

"Perciò è una via senza sbocchi." notò Joseph in tono triste e preoccupato, guardando Armand per vedere come aveva preso il discorso di Serge.

"Ma, Serge," disse allora Armand, "e se i miei fratelli e io restassimo nella casa-famiglia, ognuno di noi finché compie i diciannove anni, ma poi andassimo a vivere con Joseph? Questo andrebbe bene, no?"

"Sì, ma così sareste comunque separati." rispose il rettore.

"E io e Joseph per vivere assieme, dovremmo essere fuori dalla certosa, non è vero?"

"Certo, proprio così."

"Ma potremmo venire a vedere i miei fratellini non dico quando vogliamo, ma abbastanza spesso."

"Sicuro. Ma vivreste separati... almeno finché anche loro non compiono i diciannove anni... e per tuo fratello Raoul, che è il minore, significa ancora circa dodici anni, se non mi sbaglio."

"Io non li vorrei togliere da qui, ci stiamo tutti troppo bene, e al tempo stesso vorrei però potermi occupare di loro. Ma quando compio diciannove anni, per almeno cinque anni non posso tornare alla certosa."

"No, puoi tornarci per vedere i tuoi fratelli, ma non puoi lavorarci... è diverso."

"E allora... se Joseph e io andassimo ad abitare giù nella casa del guardiano, io non sarei nella certosa, ma nello stesso tempo mi sarebbe facile venire a vedere spesso i miei fratelli, no? Non sarebbe possibile, questo?"

Serge si grattò il mento, riflettendo, poi disse: "Potrebbe essere una soluzione, ma solo dopo che tu hai compiuto diciannove anni... o comunque dopo che Joseph ha ottenuto la vostra tutela legale."

"Ma nel frattempo, o Joseph da me o io da lui... potremmo continuare a fare l'amore, come abbiamo fatto l'altra sera, no?"

"Sì, purché nessuno dei due viva, cioè passi tutta la notte, nella camera dell'altro."

Armand guardò Joseph, poi Serge: "Si potrebbe fare, no?"

"Sì... e magari tu, Armand... almeno per i primi cinque anni dopo che hai compiuto i diciannove anni... potresti fare da custode... se si considerasse la casa giù a valle come una zona al tempo stesso della certosa ma fuori. Ma se si presentassero in futuro altri casi come il vostro... che facciamo, mettiamo tutti nella casa del custode?" chiese Serge.

"Perché no? Non credo che si moltiplicheranno poi tanto, casi come il nostro. E magari, a sinistra della strada si potrebbe costruire una casa simmetrica a quella del custode. Non credi?" chiese Joseph con un filo di speranza nella voce.

Anche questa soluzione, sottoposta al consiglio, dopo lunghe discussioni, fu accettata: si decise di costruire un'altra casa identica a quella del custode e di unirle con un arco in cui fu posto un bel cancello di ferro battuto. Quando nel 1967 Armand compì diciannove anni, assieme a Joseph andò ad abitarvi e Armand ricevette uno stipendio come custode. Poco prima di questo, Joseph ottenne dal tribunale la tutela di tutti e quattro i fratelli.

Nello stesso anno, un'altra coppia si formò. Fabien, che a diciannove anni era dovuto uscire dalla certosa, aveva trovato lavoro nell'ufficio postale in città. Si era sistemato, aveva affittato una stanzetta a poco prezzo, e s'era anche comprato una motocicletta. E un giorno andò su alla certosa e chiese di parlare con Philippe.

"Ehilà, Fabien! Come stai?" lo salutò il giovanotto, che ora aveva trentacinque anni.

"Molto bene. Ho trovato lavoro, casa... e ho comprato questa moto. Non è bella come la tua, ma... e tu, fai sempre il bibliotecario?"

"Sì, certo, e mi piace. Posso leggere un sacco di cose, farmi una bella cultura."

"Philippe, tu m'avevi chiesto di... crescere, andare via dalla certosa, poi di venirti a parlare di nuovo... sai per che cosa. Ebbene, eccomi qui. Io sono ancora innamorato di te, e vorrei... vorrei sapere se ho ancora qualche speranza... o no."

"Fabien... ti sei fatto un gran bel ragazzo... Devo dire che se prima, come ragazzino, non è che tu mi attraessi molto... ora ti trovo molto attraente, desiderabile. Però, onestamente, non posso accettare la tua corte senza essere innamorato di te. Perché tu, ne sono sicuro, non mi stai chiedendo di farci una bella scopata, ma qualcosa di molto più serio. Mi sbaglio?"

"Certo. Ma tu mi avevi detto che un giorno ne avremmo potuto riparlare. Io non ho fatto che aspettare quel giorno e ora... ora è arrivato, quel giorno, no?"

"Che cosa vorresti che io facessi, allora?"

Fabien sorrise maliziosamente: "Lo sai cosa vorrei che tu facessi con me, dai! Ma no, siamo seri. Io voglio solo che tu cominci a frequentarmi, visto che io per altri quattro anni non potrei neppure venire a lavorare nella certosa, ammesso che avessero bisogno di me. Che tu scendessi in città, nel tuo tempo libero, per stare con me, per vedere se... se per caso... se te la senti, prima o poi, di corrispondere il mio amore, o se io riesco a farmi passare... quello che sento per te."

"Per stare con te... come amici? O come... cosa?"

"Diciamo come amici, ma amici veri. Per conoscerci meglio. Mica che se tu ci provassi con me ti direi di no, anzi... Ma soprattutto per conoscerci meglio e vedere se le mie speranze possono avere un futuro."

"Fabien, se da ragazzo tu mi attraevi già... ora mi piaci un sacco. Ti sei fatto proprio bello, almeno per me. E ti confesso che m'è venuto duro, solo a starti vicino. Però... se ti incontrassi per caso, che so io, al cinema, allungherei una mano e cercherei di portarti a letto, te lo assicuro. Però... so che tu speri altro da me. Altro che, per il momento, non c'è."

"Per il momento, hai detto... Non possiamo provare a vedere se... se per caso... se riesco a farti innamorare di me?"

"Sì... ma chi ti dice che io... non provi a portarti invece a letto con me? Non sei più un ragazzino... e te l'ho detto che effetto mi fai, no?"

Fabien sorrise: "E chi ti dice che comunque non mi piacerebbe venire a letto con te? Anche tu mi fai lo stesso effetto, comunque. Non è che chi è innamorato ha solo pensieri spirituali, sai? Ha anche desideri carnali."

"Ma io... vorrei rispettarti... non soltanto usarti per il mio piacere."

"Questo è un ottimo punto di partenza, mi pare."

Si videro diverse volte. Parlarono di tante cose, cominciarono a conoscersi meglio, ad apprezzarsi. A volte ancora si scambiavano frasi allusive o battute esplicite riguardo al reciproco desiderio sessuale, ma ancora non si erano neanche dati un bacio, una carezza... nulla.

Philippe però provava sempre più piacere a stare con Fabien e prima dei loro incontri, si accorse, non vedeva l'ora di vederlo. Pensava sempre più spesso al ragazzo e con crescente calore.

Finché una domenica, mentre stavano passeggiando fuori città, lungo il fiume, dopo essere stati a pranzo assieme in un piccolo ristorante tipico ai limiti della città, Philippe sospinse Fabien contro il tronco di un albero, gli si addossò e lo baciò in bocca. Il ragazzo fu colto di sorpresa, ma rispose al bacio. Quando si staccarono, si guardarono negli occhi, seri, quasi ognuno di loro volesse penetrare nell'anima dell'altro.

"Che cosa significa?" chiese Fabien sottovoce.

"Non lo so... ma dovevo farlo... da un paio d'ore non penso ad altro."

"Hai voglia di scopare?"

"Non è questo... ho sentito il bisogno di... di baciarti."

"Sì, ma perché?"

"Fabien... Io ti voglio!"

"Devo spogliarmi? Qui non ci vede nessuno."

"No... non ho detto che ti voglio scopare... ho detto che ti voglio."

"Cioè?" chiese il ragazzo quasi timoroso di illudersi di aver capito.

"Sto troppo bene con te... e sto sempre peggio senza di te... Voglio... voglio averti con me... che tu viva con me."

"Perché?"

"Ho scoperto... ho scoperto di aver bisogno di te."

"Dillo, allora..."

"Fabien... io... ti amo!"

Il ragazzo emise un lieve respiro e gli sorrise: "Era così difficile dirlo? Anche io ti amo, lo sai... lo sai da un pezzo."

"Vedi, Fabien... ti ho raccontato tutto della mia vita, anche i particolari più squallidi... tu sai tutto di me... anche il fatto che non ho mai amato nessuno... e forse, ora, questo mi ha reso difficile dirlo. Forse ho paura ad ammetterlo, perché per me, dire a qualcuno ti amo... significa..." disse il giovanotto e si interruppe, incerto.

"Significa?"

"Significa mettermi completamente nelle mani dell'altro!"

"Ed è così brutto? Così pericoloso? Non corri nessun rischio, con me, perché anche io ti amo, anche io mi metto completamente nelle tue mani."

"Sono uno stupido, vero?"

"Ognuno di noi può sembrare stupido, quando è innamorato... perché non si dà più delle arie, perché diventa veramente se stesso. Tu, Philippe, ti sei costruito addosso un'immagine da viveur, da dandy, da... ma non sei così, sei un uomo in gamba, serio, e degno di essere amato, capace di amare. E allora, perché non me lo dici, non me lo ripeti?"

"Ti amo, Fabien... e ti voglio."

Il ragazzo gli aprì la camicia e scese a suggergli un capezzolo. Philippe fremette.

"E allora prendimi, qui, adesso... vuoi che io sia tuo? Solo tuo? Prendimi."

"Fabien... ti amo!" ripeté Philippe cominciando a spogliare con gesti lenti e calmi il ragazzo.

"Sì, fammi tuo e io sarò la persona più felice del mondo."

"Ti amo..." ripeté Philippe facendogli scivolar via le camicia dalle braccia.

"Prendimi, fammi sentire quanto è forte il tuo desiderio di farmi tuo."

"Sono innamorato di te, Fabien e ti voglio!" disse il giovane uomo aprendo la cintura di Fabien, poi slacciandogli tutti i bottoni dei pantaloni. "Ti voglio e ti amo..." ripeté il giovanotto quasi compiacendosi nel sentirsi dire quelle parole, e con un gesto lento ma determinato, fece scivolare pantaloni e mutande del ragazzo fino alle sue caviglie.

Fabien si tolse le scarpe puntando un piede contro l'altro, poi finì di sfilarsi i calzoni, usando i piedi, mentre con le mani apriva i calzoni dell'uomo che finalmente aveva conquistato. Dopo poco erano entrambi nudi, uno di fronte all'altro. Il fiume cantava alle loro spalle.

Fabien carezzò il membro turgido dell'uomo che da anni amava, che da anni sperava diventasse il suo uomo, poi circondò con le braccia il collo di Philippe, si appese a lui e sollevando le gambe, gli cinse la vita, mentre Philippe lo sorreggeva tenendolo abbracciato. Il forte membro dell'uomo sfregò nel solco del ragazzo.

"Ti voglio..." mormorò eccitato e commosso.

"Prendimi, voglio essere tuo!"

La schiena appoggiata al tronco dell'albero, Fabien abbassò una mano e diresse il duro palo dell'uomo alla meta. Muovendosi in armonia, Philippe spostando indietro la schiena e ruotando in avanti il bacino, Fabien facendo forza sul braccio attorno alle spalle dell'uomo e con le gambe alla sua vita, finalmente la punta del durissimo membro trovò il morbido foro. Fabien sospirò e si lasciò calare giù, stringendosi a Philippe.

"Prendimi, fammi tuo..." mormorò mentre il caldo palo forzava il suo sfintere, lo dilatava e finalmente iniziava a scivolargli dentro.

"Oh, Fabien... amore!"

"Fammi tuo... per sempre... sii il mio uomo!"

"E tu il mio ragazzo e il mio amore!"

Philippe si allontanò dall'albero, e a ogni passo Fabien gli molleggiò su e giù, fortemente impalato sull'ardente e forte membro.

"Sì... così..." mormorò il ragazzo felice.

Philippe lentamente scese fino a mettersi in ginocchio, poi si chinò in avanti, sorreggendosi con una mano sull'erba fresca e profumata, finché la schiena del suo ragazzo fu poggiata a terra. Allora raccolse le sue forze e iniziò a pompare con virile gioia nel ragazzo che per tanto tempo l'aveva atteso.

"Sei contento, amato mio?" gli chiese Philippe con un sorriso pieno di desiderio e di amore.

"Contentissimo. E tu? Sei contento che ora sono completamente tuo?"

"Ancora quasi non ci credo... perché ho aspettato tanto? Come potevo avere paura dell'amore? Mio dio, è così bello poterti prendere così, e sentire con quanto piacere ti dai a me!"

"Dimmelo ancora..."

"Ti amo... ti amo... ti amo!" mormorò con voce rauca per il piacere il giovanotto, abbandonandosi al piacere di quell'unione che nulla aveva a che vedere con le moltissime volte che in vita sua aveva fatto sesso con qualcuno.


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