LA CERTOSA DI MONTSABOT |
14 - NUOVI CAMBIAMENTI ALLA CERTOSA |
Gli anni settanta videro altri cambiamenti nella certosa. Nel 1972 un ex-allievo, cioè un Avo, andò a visitare la certosa con tutta la sua famiglia al completo, compresi i nipotini. Era andato in veste ufficiale, in quanto era diventato sotto-segretario all'Istruzione nel nuovo governo. L'uomo aveva cinquantadue anni, era stato uno dei primi orfani accolti nella certosa. Aveva sei figli, i due più grandi, sposati, gli avevano già dato cinque nipotini. Assieme al terzo figlio, un bel ragazzotto dall'aria timida di ventidue anni, c'era anche il suo "fidanzato" un giovane di venticinque anni. Questi, quando presentò a Serge il suo ragazzo, disse: "Sono molto fortunato, mi creda, ad avere un padre così aperto e comprensivo. E so che questa fortuna la devo soprattutto al fatto è stato allevato nella vostra magnifica istituzione, qui alla certosa. Perciò, sia io che il mio ragazzo, eravamo veramente curiosi di venire finalmente a vederla. Papà ce ne ha sempre parlato tanto." "Abbiamo sempre fatto del nostro meglio per i nostri ragazzi e cerchiamo di continuare a farlo. Ogni volta che vediamo il risultato dei nostri sforzi, non solo ne siamo lieti, fieri, ma questo ci ripaga abbondantemente delle difficoltà che abbiamo dovuto superare." rispose Serge. Il sotto-segretario volle andare a visitare la casetta in cui era cresciuto, la B, e si intrattenne a lungo con tutti i ragazzi, mentre la sua famiglia girava a visitare altre parti della certosa. "Monsieur, dove dormiva, lei?" gli chiese uno dei piccoli. "Di sopra... ho visto che è un po' cambiato da quando c'ero io, all'inizio dormivamo tutti assieme. Ma ora è più bello, penso." "Mi fa vedere la sua foto sul nostro album di famiglia?" gli chiese un altro dei ragazzini. L'uomo si alzò, controllò i molti ritratti appesi alla parete del soggiorno e ne indicò uno: "Vedete, qui sotto c'è il mio nome... questo ero io, quando avevo la vostra età." "Ma tu..." cominciò uno dei piccoli. Il capo-famiglia lo riprese: "Non devi dare del tu a un uomo adulto, ma del lei o del voi!" L'uomo sorrise: "Ma anche se sono un uomo adulto, voi siete la mia famiglia d'origine... cosa volevi sapere, piccolo?" "Lei, monsieur," ricominciò il piccolo, correggendosi, "quando è dovuto andare fuori di qui perché era diventato troppo grande, ha trovato subito, là fuori, qualcuno con cui fare l'amore? E era un ragazzo o una ragazza o tutti e due?" Il capo-famiglia di nuovo intervenne: "Non si fanno queste domande personali, Didier!" "Ah, ti chiami Didier come me! Ma fra membri della stessa famiglia, si possono anche fare. Non a uno qualsiasi di fuori, ma io sono un vostro Avo, perciò... Dunque, Didier, quando sono uscito dalla certosa, ho voluto provare a vedere come era con le ragazze, perché con i ragazzi già sapevo come era. E a me, è piaciuto di più con le ragazze, perciò me ne sono scelta una a cui piacessi e l'ho sposata." "Sono meglio le ragazze che i ragazzi?" chiese un altro dei ragazzini. "No, dipende. Per qualcuno sono meglio le ragazze, per altri i ragazzi. Ma la cosa più importante è scegliere la persona di cui si è innamorati e che ti ama. Non te l'hanno insegnato?" "Sì, proprio come dice lei, monsieur Didier." rispose il ragazzino. "Ti manca la nostra casa?" gli chiese un altro. "Un po' mi manca, sì. Qui ho passato anni molto belli. Vedi, noi che passiamo per la certosa, in fondo, non siamo così sfortunati, perché abbiamo tre famiglie: quella che ci ha fatto nascere, questa che ci fa crescere, e poi quella che ci facciamo fuori di qui." "Io però vorrei ancora avere la mia mamma e il mio papà..." commentò un ragazzo guardandolo con aria estremamente seria. "Certo, è naturale. Ma tanti ragazzi che non hanno più papà e mamma, non hanno neanche una famiglia bella come questa in cui vivi ora. Per questo dico che noi, in fondo, siamo stati fortunati, nella nostra sfortuna." Il sotto-segretario, quando lasciò la certosa, promise a Sergio che avrebbe fatto in modo che il ministero aumentasse almeno un po' le quote che inviava alla fondazione per i ragazzi, oltre a un versamento straordinario, una-tantum, per modernizzare i laboratori. Quello stesso anno, Serge, che aveva ora sessantadue anni, decise di lasciare la sua carica di rettore e di chiedere al collegio dei rappresentanti degli insegnanti, del personale e dei ragazzi di eleggere il nuovo rettore. Ogni componente propose tre nomi di persone che avrebbero eventualmente accettato la carica, quindi si votò. Alla prima votazione Marc Duchesne, l'insegnante di scienze di trentadue anni, ottenne il settanta per cento dei voti. Il nuovo rettore chiese a Serge di rimanere alla certosa con il titolo di rettore-emerito. Serge accettò, ma propose di diventare, per così dire, una specie di "ministro degli esteri" della certosa, cioè di mettersi a girare la Francia in cerca di finanziamenti e donazioni. La sua proposta fu subito accettata, così Serge iniziò a programmare i suoi viaggi. Nel 1974 si celebrò il cinquantesimo anniversario della fondazione della certosa. Per l'occasione, oltre a ripulire tutte le facciate delle costruzioni, a rifare la lunga recinzione del territorio della certosa, si decise di costruire all'incrocio delle due navate della ex-chiesa una serie di archi a raggiera, in modo di chiudere la cupola ottenendo in questa un salone per le feste, di ripristinare le due scale a chiocciola che da due dei pilastri della crociera portavano alla cupola dodecagonale e alla lanterna che la coronava, da cui si godeva uno splendido panorama e di sostituire la croce che coronava la cupola con una sfera dorata. La cappella di San Bruno, così, fu restaurata a fondo e trasformata nel "museo dei ricordi" della certosa. Inoltre, giù a valle, subito oltre le due case con l'arco e la cancellata che costituivano l'ingresso alla certosa, si costruì un'ampia zona di parcheggio scavando nella roccia su cui sorgeva tutto il complesso della certosa. Per ultima cosa Christian de Joinville, l'amante di un Avo della certosa che era un affermato designer di Parigi, disegnò le nuove uniformi dei ragazzi con una linea moderna, pur continuando a usare l'azzurro e bianco che erano i colori distintivi della certosa: fu tolto il kepì, fu sostituita la giacchetta attillata e corta a vita con una normale giacca con sotto un gilet della stessa stoffa azzurra e una camicia bianca con cravatta azzurra. Anche i calzoni furono tagliati più ampi e con il risvolto in fondo per i grandi dai quindici anni in su, e corti al ginocchio per i ragazzi fino ai quattordici anni. Non tutti erano contenti di questo cambiamento delle uniformi, specialmente fra gli Avi, ma il collegio l'aveva approvato, su consiglio del nuovo rettore, perciò si fece così. Per le feste del cinquantesimo, per non avere un afflusso troppo massiccio di persone, e nello stesso tempo per permettere a tutti di intervenire, si decise di ripetere le celebrazioni in quattro diverse date, con un numero chiuso di invitati. L'anno successivo delle celebrazioni del cinquantenario, preannunciato da una telefonata, arrivò alla certosa uno degli Avi. Era il presidente del tribunale minorile di Lyon, il giudice Raimond Chenardin, in visita privata. Dopo aver chiacchierato con Marc e ricordato Roland che lui aveva conosciuto bene, e Serge che ora era assente, e mille piccoli aneddoti, e dopo aver ringraziato Marc per l'invio puntuale della rivista della certosa, l'uomo affrontò il motivo per cui aveva affrontato quel lungo viaggio. "Rettore Marc, so che quanto sto per pregarla di fare è fuori dalle regole della certosa, e so anche quanto, giustamente, siate poco propensi a fare eccezioni per non creare precedenti. Ma la certosa è la mia ultima speranza..." "Mi dica, giudice." "Come lei può immaginare, il mio compito come giudice minorile è non solo delicato, ma mi mette quotidianamente a contatto con veri drammi. Ora, ho per le mani un caso di cui mi sono occupato più volte. Si tratta di un ragazzo di quattordici anni... ecco, ho qui alcune sue fotografie... tenga..." Marc le prese e le guardò, mentre il giudice riprendeva a parlare. "Il ragazzino si chiama Raphael Curtin. È il figlio maggiore di una donna che lavora nelle Draperies du Vieux Lyon. Suo padre è stato ucciso in una rissa fra ubriachi quando il piccolo aveva due anni. Quando ne aveva otto, la madre si è risposata con un vedovo che aveva già un figlio di sedici anni. Quando Raphael aveva tredici anni è fuggito di casa, per dissapori con il patrigno. È vissuto rubacchiando per un paio di mesi, fino a che l'hanno pizzicato mentre rubava in una casa. Quando s'è visto scoperto ha incendiato la casa. Messo nel carcere minorile, tre mesi fa è fuggito, ma dopo un mese è stato trovato dalla polizia mentre si prostituiva. "L'hanno riportato in carcere... e il ragazzo mi ha detto che se ce lo facevo tornare, si sarebbe ucciso... A mio parere non minacciava a vuoto... Ora, ognuno di quei ragazzi per me è una spina nel fianco, vorrei poter fare qualcosa di più per loro, ma non sempre è facile e comunque devo applicare la legge, ho le mani legate. Ma se il ragazzo si uccidesse... me lo rimprovererei per tutta la vita. Quando finalmente sono riuscito a farmi dire perché voleva ricorrere a un gesto così estremo... lui mi ha detto che è perché i compagni nel carcere sanno che lui 'è malato' perché a lui piacciono i ragazzi e che perciò lo sottopongono a pratiche degradanti." "Povero ragazzo." mormorò Marc. "Sì, povero ragazzo. Credo che ci sia molto altro, nella sua storia, ma non sono riuscito a fargli dire più di questo. Allora, ho pensato... Io ho l'autorità di darlo in affidamento a una famiglia o a un ente... e se voi poteste prenderlo qui con voi... con l'ambiente che troverebbe qui, con l'educazione che voi date qui, forse riuscireste a... a farlo tornare a essere un ragazzo normale. So che tutti i ragazzi accettati qui sono orfani e lui legalmente non lo è, ma... ma lo è di fatto, mi capisce? E non voglio, non posso rimandarlo in carcere. Non posso accettare che un giorno mi mettano sulla scrivania il suo fascicolo con su scritto: deceduto per suicidio." Marc annuì: "Sì, la capisco perfettamente, giudice Chenardin. E sono completamente d'accordo con lei che si dovrebbe fare un'eccezione alle nostre regole. Ma come certamente sa, il rettore non prende decisioni, ma sancisce quelle che il collegio dei rappresentanti vota. Anche se poi la responsabilità legale è mia, in quanto devo firmare io le carte ufficiali, infatti la legge non riconosce la validità delle deliberazioni del nostro collegio, in quanto ne fanno parte anche ragazzi minorenni. Ma le nostre leggi interne mi impongono di non prendere decisioni autonomamente." "Ma lei sicuramente può far pesare la sua opinione, immagino. Il rettore ha sempre un prestigio, all'interno della certosa, del tutto particolare." "Sì, è vero, e le assicuro che userò tutto il mio prestigio... anche se sono rettore da un solo anno. Ma per questo mi basterebbe aspettare che torni Serge, che sicuramente sarebbe d'accordo, e che anche se lui non può più votare, userebbe tutto il suo prestigio che è assai maggiore del mio. Ma non credo che possa tornare prima di un mese... Abbiamo tutto questo tempo?" "Temo di no... per ora il ragazzino è in una cella di isolatamento del tribunale, ma non ve lo posso tenere per molto, la legge non me lo permette. E comunque anche l'isolamento non credo gli faccia bene. D'altronde è per questo che sono venuto di persona, proprio per non perdere tempo." "D'accordo, signor giudice, mi darò immediatamente da fare e le darò una risposta il più in fretta possibile. Mi lasci il suo numero di telefono personale, per cortesia. Farò suonare immediatamente la campana per convocare il collegio." "Se la decisione fosse positiva, come spero, potreste venire a prenderlo subito? Potrei farlo portare qui con un cellulare della polizia, ma se fosse possibile, preferirei evitarlo." "Certamente, verrò io personalmente con uno degli insegnanti e due ragazzi." "Ottima idea. Grazie. Mi raccomando, faccia tutto il possibile. Le lascio le fotografie... possono servire, non crede?" "Sì. Anche se ha quest'aria da cattivo... fa molta tenerezza." Mentre il giudice lasciava la certosa, i primi membri del collegio arrivavano alla Torre dell'Abate. Quando furono tutti riuniti, Marc espose loro il motivo di quella imprevista convocazione. Come ogni volta che si trattava di fare un'eccezione alle regole, come Marc si aspettava, la discussione fu accesa. Marc fu gradevolmente sorpreso, e contento, nel vedere che tutti i rappresentanti dei ragazzi erano schierati unanimemente per il sì. I no più accesi non erano tanto per il fatto di fare un'eccezione alle regole, quanto per il timore che un elemento come Raphael Curtin potesse creare problemi nella vita di una casa-famiglia. Allora uno dei rappresentanti dei ragazzi propose di indire subito riunioni in tutte le case-famiglia, per verificare quanti dei ragazzi si sentissero pronti ad accettare fra loro Raphael. Marc immediatamente dette il suo benestare. A sera i vari capi-famiglia portarono il risultato delle loro discussioni e votazioni a Marc: su ventisei case, ben ventuno avevano detto di sì! Allora il collegio votò di accettare Raphael. Si trattava di decidere in quale delle ventuno case inserirlo. Marc radunò i ventuno capi-famiglia e con loro discusse la questione. Per prima cosa si verificò in quante case non ci fosse già un quattordicenne: erano sette. Fra queste, si discusse quali dei capi-famiglia fossero più idonei a fronteggiare il problema dell'inserimento di un ragazzino difficile come Raphael e tutti furono concordi che il più adatto era Luc della Mano. Deciso questo, Marc telefonò immediatamente, nonostante fossero le dieci di sera, al giudice per comunicargli che il giorno seguente, nel pomeriggio, sarebbero andati a prendere Raphael Curtin. Il giudice disse che avrebbe emesso il decreto di affidamento del ragazzo alla certosa l'indomani mattina stesso in modo che fosse pronto al loro arrivo. La mattina dopo sul presto Marc il rettore, con Philippe il bibliotecario, Luc il capo-famiglia che aveva diciotto anni e Albert, sempre della Mano, di diciassette anni, salirono in macchina e partirono alla volta di Lyon. Quando arrivarono al tribunale minorile non erano ancora passate ventiquattro ore dalla visita del giudice alla certosa. Il giudice, ricevuti i quattro nel proprio studio al tribunale, consegnò a Marc i documenti di affidamento e gli fece apporre alcune firme, quindi fece accompagnare anche Raphael Curtin nel proprio studio. "Siedi, Raphael. Ti presento Luc, Albert, Marc e Philippe. Tutti e quattro fanno parte della Certosa di Montsabot, dove ho deciso di mandarti." "Sono preti?" chiese Raphael in tono bellicoso guardandoli per storto. Il giudice sorrise. "No, è una specie di collegio, o meglio, una città dei ragazzi." "Una prigione?" chiese il ragazzino ancora più diffidente. "Tutto meno che un prigione, te lo garantisco!" gli rispose il giudice. "E che cazzo sarebbe una città dei ragazzi? Dov'è l'inghippo?" chiese Raphael tutt'altro che convinto. "Posso cercare di spiegarglielo io in poche parole, signor giudice?" chiese allora Luc. "Certamente." "Ciao, io mi chiamo Luc. Noi siamo una specie di famiglia, in cui noi ragazzi viviamo secondo alcune regole che ci siamo creati noi, con l'aiuto di alcuni adulti che ci consigliano e ci guidano per farci crescere istruiti, sani e liberi..." "Siete tutti vestiti uguali come i soldati." notò Raphael scontroso. "Certo, per dire che siamo tutti uguali, lì dentro, tutti con pari diritti e pari doveri." gli disse allora Albert. "E siete tutti figli di papà, ci scommetto." disse in tono sarcastico il ragazzetto. "Nessuno di noi ha più il suo papà... e adulti come Marc, che è lui, e Philippe, che è lui, ci fanno da fratelli maggiori." spiegò Luc. "She! Fratelli maggiori! I peggiori rompiballe che ci siano!" esclamò Raphael con una smorfia. "Forse a volte possono anche sembrarci dei rompipalle... ma in realtà ci vogliono bene." disse Albert con un sorrisetto. "E... queste regole che dicevi prima? Questi doveri? Che cazzate sono?" "Spiegarti tutto ora, prenderebbe troppo tempo," disse Philippe, "Ma se vieni alla certosa con noi, un po' per volta le vedrai e le imparerai. Sarai inserito nella famiglia di Luc, dove c'è anche Albert e altri ragazzi di varie età." "Famiglia? Cos'è 'sto Luc sarebbe il papà e Albert la mamma? Scopano?" chiese Raphael con sarcasmo. "Luc e io? Sì, a volte scopiamo, noi due, ma non sono la mamma, io, e Luc è il capo-famiglia, ma non il papà." rispose Albert angelico. Raphael questa volta rimase senza parole, li guardò stupefatto. Poi fece un ghignetto divertito: "She! Mi stai prendendo per il culo. Se fosse vero mica l'avresti detto davanti al giudice!" Nessuno rispose, ma tutti sorrisero. Allora Raphael disse: "Come pensavo, mi state prendendo per il culo. Ma se io non ci volessi andare con loro?" chiese poi al giudice. "Sarei costretto a mandarti di nuovo al carcere minorile. A te la scelta, Raphael, o con loro o..." "E va bene, vado con loro... poi vedremo. Ma non vi illudete, sono scappato dal carcere una volta, riuscirei a scappare dal vostro... collegio, o cosa cazzo è, come se niente fosse!"
"Ehi, Luc, perché a tutti dai quella specie di monete del cazzo e a me no?" chiese Raphael in tono bellicoso, "Ne ho diritto anche io!" Luc sorrise sornione: "A ogni diritto corrisponde un dovere. Tu fai il tuo dovere, e avrai la tua parte come tutti gli altri, secondo le regole." "Fotti le regole! Che cazzo di libertà è questa, se uno DEVE fare questo e quello? Quei soldi tu li ricevi per darli a noi, mica per tenerteli." "E infatti non me li tengo, sono bloccati nella nostra banca." "She! E che cazzo devo fare per averli? Darti il culo?" "No, farti il culo come tutti noi. Adesso lasciami in pace, ho da fare." Più tardi, mentre Antoine stava cucinando, questi disse: "Raphael e Michel, oggi tocca a voi preparare la tavola." "Io non ne ho voglia!" disse Raphael e uscì dalla casa. "Michel, hai voglia di prepararla da solo?" gli chiese Antoine con un sorriso. "Sì, certo. Ma perché Raphael fa così?" "Perché non ha ancora capito... troppe cose. Ma le capirà, vedrai, le capirà. Dobbiamo solo avere pazienza." Quando suonò la campanella per chiamare i ragazzi a tavola, Luc chiuse la porta. Dopo poco Raphael bussò. "Ehi, fatemi entrare, ho fame!" "Mi dispiace, ma tu non mangi." gli rispose Luc da dietro la porta. "E che cazzo è questa novità?" gridò il ragazzo arrabbiato. "Chi non lavora non mangia. Tu non avevi voglia di preparare la tavola e noi non abbiamo voglia di darti da mangiare. Fine del discorso." "Ma va a fa 'n culo!" gli gridò Raphael e si allontanò. I ragazzo bighellonò per i terreni della certosa, arrabbiato nero. Un altro giorno, durante il tempo libero, Raphael uscendo dalla camera dei ragazzi della sua età, sentì dietro una porta inequivocabili rumori. Origliò e sorrise divertito. Aprì la porta: due dei ragazzi della sua età stavano nudi sul letto, facendo un sessantanove. "Ehi, ragazzi, perché non lo facciamo in tre?" chiese allegro Raphael avvicinandosi e cominciando a sbottonarsi l'uniforme. "Nessuno t'ha insegnato a bussare?" gli chiese uno dei due, seccato. "No. E comunque mi tira. Chi di voi lo vuole in culo, mentre continuate a spompinarvi?" "Nessuno di noi due, lasciaci in pace. Nessuno t'ha invitato." disse l'altro ragazzo seccato. I due, nudi come erano, si alzarono dal letto e gli andarono incontro con aria minacciosa. Raphael calcolò che se avessero dato battaglia, lui avrebbe perso, perciò giudicò più prudente ritirarsi. "Continuate a fottere, stronzi... e che vi vada per traverso la sborra!" gli gridò dietro richiudendo la porta. Raphael aveva indosso una gran voglia, ma tutti parevano evitarlo, nessuno voleva fare l'amore con lui. E il ragazzo era stufo di masturbarsi da solo. Nel pomeriggio, mentre gironzolava attorno alla casa M, la sua, vide Dominique, il ragazzino di dodici anni che dormiva con lui, tornare verso casa. "Ehi, Domi, dove stai andando?" "A farmi una bella doccia, sono sudato fradicio!" rispose il ragazzino con tono allegro e salì in casa. Raphael sapeva che in quel momento in casa non c'era nessuno, a parte Marcel che quel giorno doveva guardare i piccolini, ma erano al piano di sopra. Silenziosamente entrò anche lui. Sentì che già l'acqua scrosciava nella doccia. Si spogliò nel living lasciando la sua uniforme in disordine a terra, percorse il breve corridoio ed entrò nella doccia. Dominique si stava insaponando il corpo, girato verso la parete e non l'aveva sentito entrare. Raphael gli giunse alle spalle, già eccitato, lo abbracciò e gli spinse la sua erezione fra le chiappette. Il ragazzino si girò sorpreso. "Ehi, Raphael, lasciami in pace!" gli disse un po' seccato. "No, adesso fotto questo tuo bel culetto... dai, vedrai che ti piacerà!" "T'ho detto di lasciarmi in pace!" rispose il ragazzino cercando di sfuggirgli. Caddero entrambi sul pavimento. Raphael era più forte dell'altro e, ridendo divertito e sempre più eccitato, nonostante i loro corpi scivolassero per il sapone, riuscì a poco a poco a immobilizzarlo mettendolo nella giusta posa. "No, Raphael, no!" gridò il ragazzino. "Sì, invece... sì... ti fai fottere dagli altri, no? Perché non da me? Io il cazzo lo so usare bene, vedrai." "Lasciami... no!" gridò ancora Dominique. Ma Raphael riuscì, facilitato anche dal sapone che il ragazzino aveva nella piega del sedere, a infilarglielo dentro, con un grugnito di piacere. "Ah, finalmente una bella scopata!" disse Raphael cominciando a fottere il compagno con vigore, tenendolo ben stretto fra le braccia per non lasciarselo sfuggire. "Smettila... no, smettila! Non puoi..." "Sì che posso! Lo sto facendo!" ghignò il ragazzo continuando a martellargli dentro come un forsennato. Ma a un tratto si sentì tirare per i capelli con violenza e per il dolore dovette lasciare la presa su Dominique e fu tirato via da lui. Luc, Albert e Rhémy erano lì e lo guardavano con aria irata. "Tu, Rhémy, dai una mano a Dominique. Tu Albert, aiutami a portare Raphael su in camera tua." ordinò secco Luc. Lo asciugarono alla bell'e meglio e, nonostante si divincolasse con tutte le forze, i due grandi riuscirono a portare Raphael, ancora nudo, fino alla camera di Albert. "Albert, adesso vai a chiamare Jean e mentre io lo tengo fermo, lui inculerà Raphael finché gli entra un po' di sale in zucca!" ordinò Luc. "Allora ho paura che lo dovrà fottere fino al giorno del Giudizio Universale..." rise Albert uscendo. "Ehi, non potete farmi questo!" protestò il ragazzo cercando di divincolarsi, ma La presa di Luc non gli lasciava scampo. "Ho deciso che tutto quello che tu farai riceverai, Raphael. Avresti dovuto già capirlo, se fossi stato intelligente. TUTTO quello che farai riceverai, in bene e in male. Basta giocare. Dominique ti aveva detto di smettere. Qui non si fa sesso contro la volontà di un altro, dovresti saperlo. TU l'hai fatto, perciò adesso TU lo subirai. Punto e basta." Raphael aveva smesso di divincolarsi e guardava Jean, il capo-famiglia del Dado che frattanto era arrivato assieme ad Albert, spogliarsi: "E chi ti dice che sia una punizione? Magari a me piace anche essere fottuto, oltre che fottere, no?" disse in tono di sfida il ragazzino. Ma quando vide il membro, ancora morbido, di Jean, impallidì: "Ma quello ha il cazzo di un cavallo! Quello mi spacca il culo, mi farà sanguinare... Non potete farmi questo!" "Ma se Jean ha voglia di fotterti, perché non dovrebbe?" "Non voglio!" gridò Raphael con tono a metà spaventato a metà di preghiera. "Neanche Dominique voleva, ma tu l'hai obbligato, solo perché sei più forte di lui. Bene, ora noi siamo più forti di te. Quello che fai, qui dentro, ricevi." "Dio, no... Ti prego Jean, non lo fare... Se vuoi te lo succhio, ma..." "Ma io te lo voglio mettere tutto in quel tuo bel culetto." rispose Jean con un sorrisetto, mentre il suo membro si sollevava poderoso e minaccioso verso il ragazzo. Raphael lo guardava terrorizzato, come un uccellino guarda il serpente che gli si erge davanti: "No, Luc, no... ti prego... Per favore, Luc... No..." Luc lo mise in posizione e gli divaricò le chiappette. Jean gli si accostò e cominciò a sfregargli il grosso membro duro nel solco, sul buchetto. Raphael ora piangeva: "No, Luc... Jean, per favore... farò tutto quello che volete, ma... no, per favore... vi prego... Luc! Ti giuro, farò tutto quello che vuoi... ti obbedirò... mi comporterò bene... no, per favore... per favore..." Il ragazzo era scosso dai singhiozzi, era terrorizzato. Luc con gli occhi fece cenno a Jean di andarsene. Jean gli sorrise, si rivestì e uscì. Raphael non lo sentì neanche, continuava a singhiozzare e a pregare a promettere, come in una litania. Luc lo sollevò e lo guardò negli occhi. "Raphael, per questa volta... ma solo per questa volta... Ma tu devi impegnarti seriamente. Non puoi continuare così, a fare qualsiasi cosa ti piace quando poi ci rimettono gli altri della casa o della certosa. Le nostre regole del cazzo, come le chiami tu, le abbiamo fatte noi solo per aiutarci a comportarci bene. Siamo una famiglia: se non ci si aiuta fra di noi, se non ci si rispetta, tutto è inutile. L'hai capito?" Raphael annuì serio. Luc allora lo abbracciò, quasi cullandolo e gli carezzò i capelli ancora umidi e scarmigliati. "Raphael, noi ti vogliamo bene, sei davvero un fratello, per noi... Perché non ci vuoi bene, perché non vuoi essere nostro fratello?" gli chiese dolcemente Luc. Albert s'era seduto sulla sedia e li guardava, chiedendosi se Raphael avesse veramente capito, questa volta, la lezione. "Io... nessuno mai mi ha rispettato... nessuno mai mi ha voluto bene... mai... e tanto meno mio fratello... Io... quando avevo nove anni, il mio fratellastro, che ne aveva sedici, una notte che eravamo soli in casa mi ha preso, me l'ha messo in culo anche se non volevo... mi ha fottuto... tre volte solo quella notte. E mi ha detto che se lo dicevo, lui mi tagliava la gola... E allora... tutte le notti, prima se lo faceva succhiare, poi me lo schiantava in culo... Tutte le notti... M'ero rassegnato, m'ero abituato, non mi faceva più male anzi, cominciava a piacermi... Per tre anni... Poi una notte il mio patrigno ci ha sorpresi. E Jules, il mio fratellastro, gli ha detto che a me piaceva succhiarlo e prenderlo in culo... che io sono un pedé... "Il mio patrigno allora ha detto che voleva provarci anche lui e, mentre suo figlio guardava, mi ha inculato anche lui, e allora Jules me l'ha messo in bocca e tutti e due ridevano... poi Jules ha detto a suo padre che io ero solo una puttana, e il padre gli ha risposto che però almeno le puttane portano a casa i soldi... poi il mio patrigno ha detto che potevo farlo anche io... e ha cominciato a vendermi a gente che lui e Jules trovavano... li portavano a casa e io... e io dovevo fare tutto quello che volevano o erano cinghiate... e loro prendevano i soldi... "Allora sono andato a dirlo a mia madre e lei ha detto che ero un bugiardo e mi ha picchiato... ma lei li vedeva quegli uomini che si chiudevano in camera con me, che davano soldi al mio patrigno per fottermi... Allora, ho deciso di andare alla polizia per denunciarli. Il poliziotto mi chiese cosa volevo denunciare. Stavo per dirglielo, quando entra un collega che dice che mi conosce e dice che ci pensa lui e io lo riconosco: era uno di quelli che veniva a casa nostra per fottermi. Mi porta in una stanza e mi chiede cosa voglio denunciare... Io capisco che sono perso e dico: niente. Lui allora, lì al posto di polizia, si apre i calzoni e mi dice di succhiarglielo e di bere tutto... poi mi manda via e dice guai a me se ci provo ancora... e al collega dice che volevo denunciare che mi avevano rubato la bicicletta... "Allora sono scappato via di casa... ma avevo fame, avevo freddo, non sapevo cosa fare... allora ho pensato che dopo tutto potevo trovare uomini che mi fottessero, ma almeno davano i soldi a me... e non era così difficile trovarne... E dopo tutto, con qualcuno, mi piaceva anche... Ma un giorno uno mi porta a casa sua... e dopo avermi fottuto come e quanto gli piaceva, mi voleva sbattere fuori casa senza pagarmi... io mi sono incazzato e... sono tornato di notte e gli ho dato fuoco a casa... ma lui mi ha preso... ha detto che ero andato lì per rubare... io ho detto la verità, ma nessuno mi ha creduto... "Così sono finito in carcere... e lì non so chi ha sparso la voce che io ero una marchetta... così mi hanno preso... e mi fottevano tutti, persino i più piccoli di me... Mi fottevano nelle docce, nel cesso, di notte in camerata... e se cercavo di dire di no, erano botte e botte e botte... e i guardiani facevano finta di non vedere... Sono scappato anche di lì, una volta che erano venuti gli scaut per farci fare dei giochi... E ho ripreso a fare marchette, perché non sapevo cosa altro fare per mangiare... e mi hanno beccato di nuovo..." Raphael raccontò tutto questo singhiozzando, mentre Luc lo carezzava e lo teneva stretto a sé. Albert era come frastornato, lo guardava con occhi colmi di pietà: "Perché non hai raccontato tutto al giudice, Raphael?" gli chiese allora. "Tanto non mi avrebbe creduto, o avrebbe fatto finta di non credermi, come mia madre, come tutti gli altri. Che gliene frega a loro di uno come me?" "Raphael... qui da noi è diverso, non te ne rendi conto?" gli chiese Luc con dolcezza, carezzandogli la guancia. "Ma anche qui, nessuno mi vuole, tutti mi evitano... nessuno vuole fare l'amore con me... Che cazzo di mondo è questo?" "Raphael, qui, come ti ho detto, ricevi quello che dai, raccogli quello che semini... Se dai rispetto, ricevi rispetto, se dai aiuto, ricevi aiuto, se dai amore, ricevi amore... ma se dai violenza... ricevi un rifiuto." "Amore? Rispetto? Che cosa significa? Io non li conosco..." "Puoi... provarci. Smettila di pensare solo a te stesso e a tutte le ingiustizie che hai ricevuto. Smettila di pensare al male che ti hanno fatto e invece di farlo... cerca di aiutare gli altri, di rispettarli, di volergli bene e vedrai che, almeno qui fra di noi, riceverai aiuto, rispetto." gli disse Luc. "Raphael, ma a te piace fare l'amore con un altro ragazzo? O dopo tutto quello che ti hanno fatto..." gli chiese allora Albert. "Sì che mi piace... a me le donne non me lo fanno tirare per niente. Ma sono stufo di farmi seghe... ma nessuno qui lo vuole fare con me, mi mandano via..." Albert allora fece un cenno a Luc che capì. Lasciò Raphael sul letto e uscì dalla stanza di Albert. Questi sedette sul letto accanto a Raphael. "A me piacerebbe molto fare l'amore con te, sei un bel ragazzo, sei proprio il mio tipo, tu... A te andrebbe?" "Mi vuoi fottere?" "No, ma se anche io piaccio a te... mi piacerebbe fare l'amore con te... Se e quando ne hai voglia... Non ti piaccio, io?" "Sì, sei fatto bene..." disse Raphael ancora scosso da qualche singhiozzo, guardandolo di sotto in su. "Allora, perché non mi spogli? E poi io sono pronto a fare con te tutto quello che tu mi chiedi di fare." "Quello che io ti chiedo? Ma tu sei più grande di me." "E con questo? Qui da noi, vedi, il più grande non deve prevalere sul più piccolo, non lo deve usare per il proprio comodo... ma il più grande deve proteggere il più piccolo... e aiutarlo... e renderglisi disponibile... perciò... se io ti piaccio, se ne hai voglia... io sono qui. O se adesso non te la senti... io sarò qui, per te. E se tu rispetterai e cercherai di voler bene agli altri, gli altri ti rispetteranno e ti vorranno bene." Raphael si alzò a sedere e, timidamente, chiese: "E hai voglia di baciarmi, adesso?" Albert gli sorrise, gli prese con tenerezza il viso fra le mani e lo baciò intimamente. Mentre si baciavano, Raphael cominciò a spogliare Albert. Dopo poco erano entrambi nudi sul letto di Albert e toccandosi, carezzandosi, eccitandosi a vicenda, a poco a poco cominciarono a fare l'amore. Raphael non cambiò in un sol giorno, ma gradualmente le ferite della sua anima si rimarginarono e il ragazzo cambiò totalmente il suo atteggiamento. Quando aveva diciotto anni divenne un ottimo capo-famiglia: era un ragazzo spigliato, allegro, a volte birichino, ma ben voluto da tutti, rispettato... e, soprattutto, amato.
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