LA CERTOSA
DI MONTSABOT
7 - UN GRANDE PROGETTO

Sistemata l'amante del padre, terminate tutte le pratiche di successione, Roland prese in mano gli affari del padre, ora suoi, cercando di mandare avanti le cose nel migliore dei modi. Si sentiva un po' inadeguato, benché fosse al corrente di tutti gli affari di famiglia, perché sapeva di non avere il fiuto e l'abilità del padre. Comunque cercò di fare del suo meglio.

In maggio, un giorno, Serge tornò a casa da scuola, e dopo che avevano cenato assieme e che i gemelli furono andati a letto, disse a Roland: "A scuola nei giorni scorsi ci hanno parlato dei ragazzi rimasti orfani a causa della guerra. Ce ne sono tanti, proprio tanti! Noi siamo stati fortunati, dopo tutto, perché ci sei tu. Ma tanti altri, invece..."

"Sì, Serge, hai ragione. E purtroppo c'è una cosa che mi sconvolge ancora di più: quanti di questi ragazzi sono orfani perché mio padre e altri come lui, sia qui in Francia che in altri paesi, hanno costruito armi? E mio padre... non era un uomo cattivo, ma... si è arricchito anche costruendo quelle armi... quelle armi responsabili della morte di tanta gente... quelle armi che hanno reso orfani tanti poveri ragazzi."

"Se non lo faceva tuo padre... lo facevano altri." disse Serge.

"Non è una buona scusa, questa. Se non lo faceva nessuno... Hervé sarebbe ancora vivo e tanti ragazzi come voi avrebbero ancora i genitori."

"È vero. Ma ormai è così. E a scuola dicevano che gli orfanotrofi sono pieni... e che questi ragazzi vivono in condizioni... povere. Mica come noi tre. Bisognerebbe fare allora altri orfanotrofi, dico io... e dare loro una casa, una famiglia."

"Gli orfanotrofi danno un tetto, ma non una famiglia."

"Ma si potrebbe fare un orfanotrofio che... qualcosa di diverso, dico io... non credi, Roland?"

Il giovanotto lo guardò incuriosito: "Tu hai in mente qualcosa, Serge, ne sono sicuro. Perché non me lo dici?"

"Ecco, io pensavo... non ti arrabbiare, è solo un'idea, però pensavo..."

"Dai, sputa il rospo." lo incoraggiò Roland con un sorriso.

"La certosa... perché invece di farci un albergo per i ricchi... non ci fai una casa per questi ragazzi, con la scuola e tutto quanto può servire? Un posto in cui possono crescere sereni, seguiti e curati veramente e non semplicemente rinchiusi in un posto in cui mangiare poco e male, dormire in camerate da trenta, e aspettare che sono abbastanza grandi per mandarli fuori?"

Roland lo guardò interessato: quel ragazzo gli piaceva sempre più. E tutto sommato l'idea... certo bisognava pensarci bene, ma...

Serge continuò: "Quando ho visto le casette dove vivevano i monaci... ognuna potrebbe ospitare un po' di ragazzi e..."

"Quant'è che ci pensi?" gli chiese incuriosito Roland.

"Un po'... quando ci hanno parlato degli orfani... i professori dicono: portateci vestiti vecchi, libri vecchi, per aiutarli. Ma non si aiuta la gente facendo l'elemosina. E poi ho ripensato a quando ci hai portato su alla certosa, e alle mappe che hai in ufficio... e allora..."

"Fare come tante piccole famiglie, dici?"

"Sì, certo. E non chiamarlo orfanotrofio... chiamarlo casa o qualcosa del genere."

"Ma chi si prenderebbe cura di loro? Un papà... mica può essere un impiegato, uno stipendiato. L'affetto non si paga con un salario."

"I più grandi si prenderebbero cura dei più piccoli e gli adulti dei grandi. Un po' come in una famiglia numerosa, no?"

"Continua."

"C'è solo un problema... Dicono che gli orfanotrofi hanno pochi soldi... chi pagherebbe per tutto questo? Cioè, non solo per rimettere a posto la certosa, ma poi per comprare il cibo, gli abiti, i libri, pagare gli insegnanti. Credo che ci vorrebbe un sacco di soldi... e non so proprio come si può fare per trovarli."

"Sì, hai ragione, questo è un grosso problema... E poi?"

"Se io fossi grande... ci lavorerei anche gratis, in cambio di vitto e alloggio... perché io so cosa vuole dire non avere più padre e madre... anche se sono più che fortunato perché ho te. Pensa allora chi non ha nemmeno qualcuno come te. Magari si potrebbe trovare qualcuno che verrebbe a lavorarci come volontario, chi sa?"

"Sì... e cosa altro?"

"E magari i ragazzi, oltre a studiare... almeno i più grandi... potrebbero produrre qualcosa, lavorare, costruire, che so io, e vendere per guadagnare qualcosa. Se lo fanno per se stessi, capisci, magari lo fanno volentieri."

Roland era sempre più estasiato nell'ascoltare le idee che Serge aveva elaborato su quel problema. E si disse che se un ragazzino di quattordici anni ci aveva pensato così a fondo... doveva pensarci seriamente anche lui. Sì, lo doveva a tutti quei ragazzini che la guerra aveva privato di ogni cosa... la guerra che aveva fatto arricchire suo padre, che ora di conseguenza rendeva ricco lui.

"Serge... la tua idea mi piace molto. Non so se riusciremo a realizzarla, ma credo che ci dobbiamo pensare seriamente, molto seriamente. Che ne dici, appena finisce la scuola, se ti allestisco un ufficio accanto al mio e ti do degli aiuti per mettere giù un piano serio e vedere se e come si può fare?"

"Davvero lo faresti?" chiese Serge con gli occhi che gli brillavano.

"Certo, tu e io. Ma io devo occuparmi di tante altre cose, e perciò, soprattutto tu. Io sarò solo uno dei tuoi consulenti. Ti va bene?"

Serge abbracciò con gioia Roland e gli disse: "Lo sapevo io che sei grande! Se ci lavoreremo insieme, sono sicuro che una soluzione la troveremo!"

Roland lo strinse a sé: "Sì, ma senza farci troppe illusioni: dobbiamo stare con i piedi ben piantati per terra, d'accordo? Se tuo padre fosse stato qui, non solo sarebbe molto fiero di te, ma ci avrebbe sicuramente anche dato una mano."

"Ma papà è qui con noi... e sicuramente ci darà una mano!" disse il ragazzetto con un ampio sorriso.


In giugno Roland fece allestire un ufficio per Serge, comunicante con il suo, e fuori fece mettere una targa "Serge Laforest-Brout - Coordinamento Montsabot".

Il ragazzetto si diede veramente da fare e Josiane era occupatissima ad assisterlo per scovare i tecnici e gli esperti che Serge voleva convocare. In breve gli scaffali del suo ufficio si riempirono di carte. A volte Roland a sera doveva imporgli di smettere di lavorare, tanto era l'entusiasmo del ragazzo.

In agosto le Industrie Laforest chiusero per due settimane per le consuete ferie estive. Roland decise di portare i tre ragazzini al mare sulla Costa Azzurra, dove prenotò tre stanze in albergo.

Roland e Serge erano seduti sotto un ombrellone e guardavano i gemelli che sul bagnasciuga con altri bambini stavano costruendo un castello di sabbia.

"Roland?"

"Dimmi, Serge."

"Io non sono come gli altri ragazzi, sai?"

"Ah no? E come sei?" gli chiese un po' divertito da quella dichiarazione, guardandolo con un sorriso.

"A me le ragazzine proprio non interessano. A me piacciono i ragazzi."

"Beh, fino a una certa età è naturale che ci si trovi meglio fra ragazzi. Ma vedrai che presto le cose cambieranno e comincerai a essere più interessato alle ragazze... abbastanza presto."

"No... Ne avevo parlato anche con la mamma... prima che morisse... e lei mi ha detto che... che a qualcuno capita che anche crescendo gli interessano di più i ragazzi, o anche solo i ragazzi."

"Beh... sì, è vero, capita." rispose Roland ora leggermente imbarazzato.

"Mi ha detto che io potrei essere come papà... o magari invece... come te." disse Serge guardandolo negli occhi, poi aggiunse, "E io credo proprio di essere come te e non come papà."

"In... in che senso?" chiese Roland incerto.

"Sì... dai che hai capito. Poi, la settimana scorsa io... a casa... ho frugato fra le cose della mamma. Lei me ne aveva accennato e io, non ti arrabbiare, ma... Prima di parlarne con te volevo capire un po' meglio e così... ho letto tutte le lettere di papà a te e tue a papà... e lì c'erano scritte proprio le cose che io mi sentivo dentro, capisci?"

"Hervé era innamorato della mamma, Serge." disse un po' incerto Roland temendo che il ragazzo potesse giudicare male il padre.

"Sì, lo so, lo so. Ma era innamorato anche di te... e tu di lui, no? Dai, Roland, a me lo puoi dire, perché io voglio molto bene sia a papà che a te... e perché... perché se ci parliamo chiaro, tu puoi aiutare me."

"Aiutare te..." fece quasi eco Roland.

"Sì, certo. Con chi ne potrei parlare, se non con te? Ho sentito, sai, come ne parlano gli altri... i miei compagni, i professori... Solo la mamma ne parlava senza disprezzo, ma lei ora non c'è più e ora... ora non ho che te."

Roland fece un profondo sospiro. Non era minimamente preparato ad affrontare una cosa del genere e si chiedeva quale fosse il modo migliore per parlarne.

"Roland... sei offeso perché ho frugato e ho letto le lettere tue e di papà?"

"No... no certo."

"E poi... con te posso parlare anche di certe cose che con la mamma magari mi sarei vergognato a dire."

"Per esempio?"

"Beh... per esempio... vedi a me il coso viene duro..."

"Usa il termine giusto, Serge. Il pene."

"Sì, il pene. Il pene a volte mi viene duro..."

"Capita spesso, specialmente alla tua età, perché il corpo si sta svegliando alla sessualità. Ma spesso la mattina noi uomini abbiamo il pene duro semplicemente perché dobbiamo andare al gabinetto."

"Sì, ma i miei compagni dicevano che gli viene duro a guardare certe ragazzine o a pensare di farci certe cose. A me no, proprio per niente. Ma a guardare certi compagni... o a pensare di farci certe cose, a me viene duro, capisci?"

"Pensare di farci certe cose... che cosa? Se ti va di parlarmene..."

"Toccarli, farmi toccare, baciarci, e anche... anche fare..." disse Serge e arrossì.

Roland sorrise, perché anche se il ragazzino era arrossito e non riusciva a dire chiaramente che cosa fossero le "certe cose" non aveva distolto lo sguardo e lo guardava negli occhi con un'espressione seria e fiduciosa.

Poi Serge riprese: "Anche fare le cose che credo che papà e tu facevate."

Con tono gentile Roland chiese: "Che cosa ne puoi sapere tu, delle cose che Hervé ed io facevamo? Non mi pare che le abbiamo scritte, nelle nostre lettere."

"No, è vero. Ma i compagni, anche se con disprezzo, parlavano di cosa due maschi possono fare assieme, e allora era facile leggere fra le righe e capire che anche tu e papà le dovreste aver fatte... e a me piacerebbe farle, con un ragazzo o con un uomo, capisci?"

"Tu non hai ancora mai fatto niente di questo con qualcuno, vero?"

"No, mai. Perché credo che dovrei farlo con qualcuno a cui voglio bene, e non così, tanto per fare."

"E... da solo? Ti sei mai masturbato?"

"Masturbato? Che vuole dire? Ah, forse, se è una cosa che uno fa da solo, vuoi dire menarmi il pene? Si dice masturbare?"

"Sì, esatto. Lo fai?"

"Sì... e chiudo gli occhi e immagino che è un altro che lo fa a me e che io lo sto facendo a lui. Anche se dicono che... cioè, i compagni dicono che è divertente, i grandi che non si deve fare... il prete che è peccato mortale..."

"Ma tu, che cosa ne pensi?"

"Sono confuso, per questo ne vorrei parlare con te... se ne hai voglia."

"Ne stiamo parlando."

"Allora, magari quando siamo soli così possiamo parlare senza che ci sentono o disturbano. Potremo parlarne ancora?"

"Ogni volta che vuoi, Serge."

"Grazie, Roland." disse il ragazzo con un sorriso soddisfatto.

Tornati a casa e riprese le loro attività, un giorno Serge arrivò in ufficio di Roland con un plico di fogli.

"Ecco, ho fatto calcolare quale potrebbe essere la spesa annua per mantenere cento orfani. Certo, se sono di meno in proporzione costa un po' di più e se sono di più un po' di meno, ma tanto per avere un'idea, ho chiesto di fare il conto per cento ragazzi di età compresa fra uno e diciannove anni. Non è poco."

Roland lo guardò con ammirazione: "Fai vedere." gli disse e, prese le carte, cominciò a leggere.

Ogni tanto annuiva. Poi guardò Serge e gli disse di sedere.

"Ascolta, Serge, hai fatto un ottimo lavoro. E nel frattempo io ci ho pensato su parecchio. Anche io ho fatto qualcosa, sai? Ho parlato con i nostri amministratori, con il notaio, con i consulenti finanziari. Ho studiato le leggi che potevano interessarci, esserci utili... e sono arrivato a una conclusione. Una conclusione che in qualche modo le tue ricerche mi confermano."

"Che non si può fare, vero?" chiese con aria rassegnata il ragazzo.

"Che allo stato attuale delle cose non ci possiamo permettere. Ma che... se io vendessi tutto, sia le industrie che la villa, che gli immobili che possiedo a Parigi... e investissi il capitale così ottenuto in una Fondazione, ci darebbe ogni anno una cifra sufficiente a mantenere circa cinquecento ragazzi."

"Già, ma vendere tutto..." mormorò il ragazzo.

"Significherebbe che anche noi dovremmo andare a vivere nella certosa... che ne diresti?"

Serge spalancò gli occhi: "Cioè? Vuoi dire che tu saresti disposto..."

"Ti ho detto che tutta questa ricchezza dovuta per la maggior parte a profitti di guerra mi è sempre stata stretta, no? Sarebbe forse un modo per rimediare, non credi? Con buona pace di papà."

"Allora tu vuoi davvero..."

"Dobbiamo pensarci ancora un po' su, vedere meglio, più a fondo tutti gli aspetti della questione, capire anche come fare a trovare il personale adatto. E considerare anche che il denaro varrà sempre meno e che perciò, se oggi potrebbe bastare per mantenere cinquecento ragazzi, un domani potrebbe non bastare più, bisognerebbe trovare altre fonti di reddito, capisci? La finanza è una cosa assai complessa."

"Ma tu sei disposto a farlo?"

"Certo, assieme a te."

Così, dopo altri studi, approfonditi altri punti, Roland chiamò l'architetto e gli disse di stendere un nuovo piano in modo di fare della certosa un centro di accoglienza per orfani di guerra, poi chiamò i suoi amministratori e disse loro di mettere in vendita tutti i beni delle Industrie Laforest, cercando di ricavarne il più possibile. Infine con il notaio studiò il modo migliore di dare vita alla Fondazione Laforest-Brout per l'assistenza agli orfani, fondazione a cui sarebbe andata in proprietà la certosa di Montsabot con tutto il suo terreno, e di cui Roland sarebbe stato il presidente.

E la grande operazione di trasformazione ebbe così inizio.


Si era frattanto giunti al 1923. La Fondazione Laforest-Brout era nata e i capitali delle vendite stavano affluendo nelle sue casse. L'architetto aveva preparato i nuovi progetti che aveva discusso con Serge e Roland, il quale voleva il ragazzo, compatibilmente con i suoi impegni scolastici, sempre al suo fianco.

Anche i giornali parlarono della "Conversione dei Laforest" e un'ondata di simpatia accolse il progetto: molti infatti sono pronti a sostenere le buone azioni fatte dagli altri, perché questo scarica la loro coscienza senza che debbano fare nulla di concreto in prima persona. Non che il sostegno fosse solo morale, anche qualche utile contributo a volte arrivava.

Ad esempio la vecchia contessa di Saint Albain inviò in dono alla Fondazione tutta la biblioteca di famiglia: casse e casse di libri, fra cui anche alcuni volumi rari, di arte, letteratura, scienze, e la Grande Enciclopedia Universale. O come, in modo ufficioso, il Ministero della Guerra, nella persona del Generale Duquesne-Mérinville che decise di devolvere alla Fondazione le pezze dei vari tessuti per uniformi, dato che l'esercito, dopo la guerra, aveva stabilito di cambiarne colori e foggia cosicché le giacenze di magazzino erano diventate inutilizzabili.

Roland chiese all'architetto di far completare il più presto possibile la ristrutturazione della torre dell'abate, a sinistra della chiesa, perché intendeva trasferirvisi con i tre ragazzi in modo di poter liberare e vendere anche la villa.


Serge aveva ormai quindici anni e stava crescendo bello e forte e assomigliava sempre più ad Hervé. Roland si accorse di provare una crescente attrazione nei confronti del ragazzo, ma cercava di non darlo a vedere, perché gli sarebbe sembrato quasi di approfittare di lui se gli avesse fatto capire quanto stava provando.

Il fatto è che anche il ragazzo si stava innamorando di Roland.

Un pomeriggio, erano sotto il grande ontano su, nella parte più alta del parco dietro la villa, proprio dove Hervé e Roland si erano per la prima volta accorti di provare attrazione l'uno per l'altro e poi anche di essere innamorati, quando Serge, sedette su una delle panchine di pietra a fianco di Roland.

"Roland?"

"Dimmi, Serge."

"Non è proprio qui che tu e papà... vi siete accorti la prima volta di quanto c'era fra di voi?"

"Sì, è qui."

"E tu... avevi più o meno la mia età, vero?"

"Sì, esatto." disse Roland cauto, temendo di immaginare dove Serge stesse cercando di arrivare con quelle domande.

Infatti il ragazzo disse: "Io, Roland, vorrei che fossi tu il mio primo uomo... il mio unico uomo. Vuoi insegnarmi a fare l'amore?"

La cosa curiosa è che non fu il ragazzo ad arrossire dicendo queste parole, ma fu Roland che arrossì ascoltandole. Non rispose subito.

Poi, a bassa voce, lentamente, disse: "Ti ringrazio, Serge, ma... vedi... io ho trentaquattro anni e tu solo quindici... non sarebbe meglio che fosse qualcuno più vicino alla tua età?"

"Anche papà era più vecchio di te, no?"

"Aveva diciannove anni, non c'era tutta questa differenza di età."

"È così importante la differenza di età? Non credi che ci si possa innamorare anche a quindici anni... qualunque sia l'età dell'altro? E non venirmi a dire che ai tuoi tempi era diverso, come dicono sempre i grandi a noi ragazzi. In queste cose non ci sono tempi, queste cose sono uguali sempre e dappertutto."

"Serge... sì che ci si può innamorare anche a quindici anni, però..."

"Io non ti piaccio? Eppure mi dici che assomiglio sempre più a papà... sia fisicamente che come carattere... e papà ti piaceva, no?"

Roland era turbato: "Certo che mi piaci... però..."

"E ti senti attratto da me, no? Almeno... a me pare che sia così." disse sottovoce il ragazzo prendendo una mano di Roland e carezzandola.

"Serge... mi metti in imbarazzo. Io sono un uomo maturo, tu un ragazzino. Papà e io eravamo quasi coetanei, invece."

"Ma tu sei attratto da me, no?" insistette Serge.

"Sì... buon dio sì... ma io ti ho fatto da padre... come potrei..."

"Anche il mio papà, in un certo senso, ti aveva fatto da padre, visto che tuo padre quasi non c'era nella tua vita... c'è scritto nelle lettere. E comunque tu non sei mio padre. E comunque tu mi desideri e io... io ti desidero da morire. Ti prego, Roland... ti prego."

Il giovane uomo era terribilmente combattuto. Certo che lo desiderava... e il ragazzo gli si stava offrendo in modo esplicito e cosciente. Eppure qualcosa lo tratteneva.

"Serge, tu mi piaci molto e non solo perché mi ricordi il mio Hervé. Però, se io adesso accettassi la tua proposta... mi sembrerebbe di approfittare di te, capisci?"

"No che non capisco. Preferiresti che lo facessi con chissà chi? Magari con uno sconosciuto, con uno di quegli uomini che quando esco da scuola mi passano accanto e mi fanno strani sorrisetti e mi spogliano con gli occhi? Perché non con te che so che mi vuoi bene davvero? Io... io penso proprio di essermi innamorato di te, Roland. E magari, se tu mi accettassi... magari oltre al desiderio, potresti anche tu innamorarti di me, no? Anche fra te e papà, l'amore è stato il risultato del desiderio, mi pare di aver capito dalle vostre lettere."

"O forse il desiderio è stato il risultato di un amore che ancora non s'era manifestato ma che già c'era."

"E non potrebbe essere proprio così anche per te e per me?"

"Serge, ragazzo mio, queste non sono cose che si possono decidere così... discutendone come si discute su cosa mangiare a pranzo o dove andare in ferie, lo capisci?"

"Oh, Roland... ma in un modo o nell'altro, ci deve pur essere un modo per... per dirselo, per cominciare. E allora, perché girarci tanto intorno, non è meglio parlarne schiettamente, onestamente? Non mi hai sempre detto che l'onestà è la base di ogni cosa?"

"Sì, ma..."

"E io sono innamorato di te Roland. Non ci posso fare niente, non ci puoi fare niente. E sono stanco di... di masturbarmi sognando che ci sia tu lì con me e che facciamo l'amore. Io vorrei farlo davvero, l'amore, con te."

"Ma, Serge, ragazzo mio... Sai che cosa significa amare qualcuno?"

"Credo di sì... e se anche non l'avessi saputo, le lettere che papà e tu vi eravate scritti, mi ha aiutato a capirlo. Perciò ho capito che sono innamorato di te."

"Che cosa significa amare, secondo te?" chiese Roland per cercare di prendere tempo.

"Significa che tu per me sei la persona più importante del mondo."

"Anche tua madre lo era per te... Anche tuo padre."

"In un altro modo. Significa che per te sarei pronto a fare qualsiasi cosa, per renderti felice. Significa che tutta la mia vita ha preso un sapore nuovo, che prenderà un sapore fantastico, se tu mi permetterai di darti il mio amore. Significa che voglio darti il mio amore con tutto il corpo."

"E da me... che cosa vuoi?"

"Da te? Quello che mi stai già dando più... più che tu me lo dimostri anche con tutto il tuo corpo. Roland... oh mio Roland, ti prego! Che cosa ti rende tanto insicuro, tanto restio? Che ho quindici anni? Anche tu li avevi, allora. E comunque crescerò, no? Perché non permettermi comunque di crescere con te anche in questo modo, anche facendo l'amore?"

"Crescendo potresti accorgerti che... che ti stai sbagliando, che non sono io la persona giusta per te, non credi?"

"Può darsi, anche se non ci credo. Ma tu un giorno mi hai detto che chi non fa nulla per timore di sbagliare... sta già sbagliando. Certo, se tu non provi niente per me, non posso chiederti di provarci, ma io so... o credo di sapere, che anche tu provi per me... qualcosa. La mamma mi aveva detto proprio questo."

"La mamma? Cosa ti aveva detto la mamma?"

"Di aspettare di essere sicuro dei miei sentimenti e di cercare di capire quali fossero i tuoi. E io ho aspettato, ma adesso, adesso basta. Io sono sicuro di me."

"Vuoi dire che ne avevi parlato con la mamma? Di te e me?" chiese Roland fortemente sorpreso.

"Sì, certo. Forse non in modo chiaro come ne sto parlando con te, ma lei aveva capito. E mi aveva detto che se io sono come papà, oppure anche come te... anche se la gente può non capirlo, o addirittura condannarlo, io dovevo cercare di vivere la mia vita. Mi aveva detto solo di aspettare di essere un po' più grande per darmi il tempo di capirmi meglio. E ormai sono passati due anni, e tu alla mia età hai capito... e deciso... e allora... eccomi qui."

"Serge... Mi hai colto completamente di sorpresa. Certo che provo desiderio nei tuoi confronti, e anche un fortissimo affetto, e amicizia... e sto molto bene con te... e sei bello... e mi ricordi così tanto Hervé... Certo, è vero. Ma... se davvero pensi di amarmi... fallo per me... dammi tempo per riflettere."

"Tempo per riflettere... certo, se tu mi dici che ne hai bisogno, io aspetterò ancora, ma... ma per favore, cerca di liberarti di tutti i pregiudizi che comunque la nostra società ci impone. Sii onesto con te stesso e con me. Se pensi di potermi dare anche amore... dammelo! D'accordo?"

"Sì, d'accordo."

"Bene. Allora per adesso... parliamo d'altro." disse Serge con un sorriso.

Roland ci pensò su molto, quasi non pensò ad altro per giorni. Più ci pensava più si sentiva attratto da Serge, più sentiva di amarlo, eppure ancora non sapeva risolversi ad accettare, a ricambiare la proposta del ragazzo.

Finché una notte si svegliò in preda a sensazioni strane... e si rese conto che nel buio, lì nel suo letto, nudo contro di lui, c'era Serge, che gli si strofinava contro e lo carezzava. E si accorse che sia lui che il ragazzo erano fortemente eccitati.

"Serge... che ci fai qui?" chiese emozionato e allarmato.

"Non mandarmi via, Roland, ti prego. Ho bisogno di te!" sussurrò il ragazzo stringendosi a lui.

"Ti avevo chiesto di aspettare, di darmi tempo." rispose il giovane uomo restando immobile, quasi rigido, tentando di controllarsi.

"Ho aspettato, ti ho dato tempo. Ora... ora voglio essere tuo... prendimi, Roland, ti prego... fammi tuo. Non mi rifiutare, non mi mandare via. Fai l'amore con me, insegnami a dimostrarti tutto il mio amore con tutto il mio corpo. Io ne ho davvero, davvero bisogno, credimi. Non resisto più, voglio essere tuo, tutto tuo!"

"Ma..." tentò ancora di obiettare Roland.

"Ti prego... ti prego... ti prego!" lo implorò il ragazzo e Roland si accorse che stava piangendo.

"No, no, non piangere..." gli disse allora il giovane uomo e in un impeto di tenerezza lo abbracciò e prese quasi a cullarlo.

Quello che la mente esitava a fare, il corpo, sentendo la forte eccitazione del ragazzo e la propria, lo spinse ad accettare. Baciò il ragazzo sugli occhi, poi sulle guance, poi finalmente sulle labbra. Serge le schiuse e accolse la lingua di Roland nella sua bocca suggendola, e si sfregò contro di lui, e le sue mani lo carezzarono infilandosi sotto la maglietta, poi sotto le mutande di tela, finché si posarono sul forte membro eretto e duro dell'uomo che amava.

Roland emise un basso gemito e fremette da capo a piedi e, finalmente si lasciò andare. Con desiderio pieno di tenerezza, guidò il ragazzo nei suoi primi passi sulla via dell'amore fisico e Serge lo seguiva gioioso ed entusiasta. Il ragazzo tolse gli indumenti intimi di dosso al "suo" uomo, e quando questi, dopo averlo baciato e carezzato per tutto il corpo, scese ad accoglierne con la bocca il giovane e forte membro, Serge subito si girò per dare a Roland lo stesso piacere. Si staccarono e si baciarono di nuovo in bocca con crescente piacere.

Poi Serge mormorò, con desiderio: "Prendimi... fammi tuo!"

"No, aspetta... non vorrei farti male... la prima volta potrebbe..."

"Mi sono già messo una crema lì, per te... vedrai che entrerai in me senza problemi... io ti voglio!"

"Una crema? Che crema?" chiese il giovane uomo sorridendo intenerito all'idea che il ragazzo avesse pensato anche a quello.

"Quella che la mamma usava quando ci faceva un clistere... se andava bene per far entrare il cannello, ho pensato..."

"Ma il cannello è sottile, il mio pene invece..."

"È della giusta dimensione, ne sono sicuro. Ti voglio tutto dentro di me Roland. Non me lo negare. Ti prego..." mormorò il ragazzo girandosi su un fianco e spingendo il proprio piccolo e sodo, tenero e liscio sedere contro la dura e calda asta gloriosa del suo uomo.

Roland lo abbracciò e con le due mani gli stuzzicò i capezzoli e gli carezzò il ventre, mentre spingeva avanti il bacino. Serge spinse indietro una mano per guidare il forte membro alla meta. Lo sentì sfregare contro il suo inviolato foro e fremette. Spinse indietro il bacino con determinazione.

E finalmente lo sentì iniziare a dilatare il suo bocciolo di carne, a farlo schiudere ed emise un mugolio di contentezza: stava per accadere quanto da tempo sognava, desiderava, voleva.

Roland si fermò: "Ti faccio male?" chiese preoccupato.

"No... mi piace... spingi, non aver paura... fammi finalmente tuo! Fammi sentire tutto il tuo desiderio... tutto il tuo amore." mormorò e riprese a spingersi contro il grembo di Roland.

Dopo una prima, lieve resistenza, quasi di colpo il glande dell'uomo superò la prima inevitabile resistenza dell'anello di carne del ragazzo. Roland di nuovo si fermò, cercando di dominare l'istinto che lo spingeva a spingere ancora.

"Come va, Serge?" chiese con voce rotta dell'emozione.

"Bene... molto bene... è molto bello... dai... non ti fermare... ti voglio tutto dentro."

"Sì..." sospirò Roland e finalmente, con una spinta vigorosa, anche se controllata, gli scivolò lentamente dentro.

Serge lo sentì, maestoso, caldo, vigoroso, duro eppure soavemente morbido, riempirlo gradualmente e gli sembrò di essere in paradiso: non aveva mai provato sensazioni così forti, così belle, così coinvolgenti. Non gli faceva male né lo infastidiva quella forte e virile presenza dentro di lui, anzi... gli stava procurando un intenso calore pieno di piacere.

Entrambi, in quel momento, pensarono a Hervé. "Papà... finalmente il ragazzo che hai amato è mio, ora!" pensò il ragazzo. "Hervé... ti ho di nuovo con me, grazie al tuo ragazzo." pensò Roland, e tutti e due si sentirono felici.

Quando gli fu completamente dentro e le piccole natiche del ragazzo sfregarono contro i peli del suo pube, Roland si fermò di nuovo per un poco, per far abituare Serge a quell'inconsueta presenza, continuando a carezzargli il petto e il ventre e a massaggiargli il membro palpitante e duro, che tradiva l'intensità del piacere che anche Serge stava provando.

Il ragazzo fece ondeggiare lieve il bacino, quasi a far sistemare meglio il forte palo di carne nella sua guaina. Poi finalmente Roland cominciò a muovere avanti e dietro il bacino, sfilandosi quasi completamente e immergendosi di nuovo nel caldo e tenero tunnel d'amore.

"Ti piace, Roland? Sei contento?" gli chiese in un sussurro emozionato e colmo di piacere il ragazzo.

"Sì, terribilmente. E a te?"

"Non credevo che fosse tanto bello! Ti amo! Ti amo tanto!"


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