LA CERTOSA DI MONTSABOT |
PARTE SECONDA 6 - IL PROGETTO PER LA CERTOSA |
Roland era sposato da due anni ed era veramente felice. Doversi occupare della sua nuova famiglia, oltre che del lavoro con il padre, lo faceva sentire realizzato. A volte sentiva il desiderio risvegliarsi in lui, ma riusciva sempre a controllarlo, proprio perché tutto sommato aveva una vita gradevole e piena. Soprattutto veder crescere i piccoli, occuparsi di loro dedicandogli tutto il proprio tempo libero, godere il profondo affetto dei tre bambini, era estremamente gratificante. Jean-Marie e Michel, che avevano ormai sette anni e cominciavano ad andare a scuola, lo chiamavano papà. Serge invece, che aveva tredici anni, pur essendo incredibilmente affezionato a Roland, lo chiamava per nome. Al giovanotto questo stava bene. Fra lui e Serge c'era una grande confidenza, a volte anche una specie di complicità come raramente un vero padre e suo figlio hanno. Con Madeleine il rapporto era come fra fratello e sorella, si volevano molto bene e si sostenevano a vicenda in ogni cosa. Il padre di Roland aveva accettato la famiglia che si era fatto il figlio, senza sospettare che fra Madeleine e Roland non ci fosse alcun rapporto sessuale. Infatti a volte, mentre erano al lavoro, gli chiedeva che cosa aspettassero a dargli un nipote...
"Dove ti devo portare, papà?" chiese il giovanotto quando partirono. "Vai dritto. Ti dirò io quando girare." rispose l'uomo con un sorriso misterioso. "D'accordo, ma dove andiamo? E a fare che?" insistette Roland. "Vedrai... Ho per le mani un'occasione d'oro... Qualcosa di veramente interessante." Roland si rassegnò a non saperne di più, per il momento. Da una parte lo divertiva quest'aria di mistero del padre. Comunque, se l'uomo diceva che era un'occasione d'oro, visto il suo notevole fiuto per gli affari, doveva trattarsi realmente di qualcosa di speciale. Guidato dal padre, Roland percorse circa cento cinquanta chilometri, finché si trovarono in una zona ampia e boscosa alle falde del Massif Central. Traversarono una piccola cittadina, poi il padre gli disse di fermarsi. "Guarda!" gli disse, guardando di fronte a sé. "Cosa vedi?" Roland guardò nella direzione in cui il padre stava guardando. C'era la montagna, coperta di boschi, e ai suoi piedi una formazione rocciosa digradante su cui sorgevano le rovine di una antica chiesa e altre costruzioni. "Cos'è?" chiese il giovanotto incuriosito. "La Certosa di Montsabot. Vedi, la formazione rocciosa su cui sorge ha la forma di uno zoccolo, da cui prende il nome." "Sì... vedo... e allora?" "Sorge in una posizione splendida, da lassù c'è un panorama unico. Qui il clima è buono e alle spalle della certosa c'è una fonte di abbondante acqua oligominerale. La certosa è abbandonata da più di cento anni. Era stata assalita e saccheggiata durante la rivoluzione. Era del demanio dello stato, ma durante la guerra, per bisogno di denaro, il governo l'aveva venduta a monsieur Albin, l'editore di Parigi. Poi alla morte del vecchio Albin, gli eredi hanno deciso di disfarsene... e sono disposti a svenderla per un pezzo di pane, perché non sanno che farsene." "E tu hai deciso di comprarla?" chiese un po' sorpreso Roland non comprendendo dove fosse l'affare d'oro: per quanto poco potesse costare, che se ne sarebbe fatto il padre di una certosa in rovina in quel posto? "Sicuro!" rispose l'uomo con aria soddisfatta. "Ma... per farne che?" chiese allora il giovanotto. "Un albergo di lusso per gente ricca che voglia fare la cura delle acque. Sta andando di moda, la ricca borghesia sta andando a caccia di alberghi termali in luoghi come questo." "Un albergo? Pensi cioè di demolire tutto e di farci costruire uno di quegli orribili complessi alberghieri..." "No, no, ci mancherebbe altro. Prendi quella strada e arriviamo fino al lassù, così ti illustro la fantastica idea che ho avuto." Roland guidò, imboccando una stradina di terra battuta che con alcuni tornanti arrivava nel piazzale davanti alla chiesa. Scesero dall'auto. La chiesa era a croce latina, a tre navate con tre absidi; aveva ancora le pareti in piedi e anche la cupola, solo il tetto nella parte verso la facciata era in parte crollato. Mancavano tutti i portali e le finestre ad arco acuto erano vuote. A sinistra della chiesa c'era una elegante casa a torre, gotica come la chiesa, che doveva avere avuto le campane all'ultimo piano, poi c'erano altre costruzioni alte tre piani, che racchiudevano su tre lati, assieme alla facciata della chiesa, una piazza rettangolare con portici, aperta verso valle. "Vedi? Quella casa a torre era la residenza dell'abate. La costruzione dietro era lo scriptorium e la biblioteca, e al di qua del cancello c'era l'erboristeria con il negozio-farmacia. Dall'altro lato della chiesa, a destra, c'era la foresteria per i visitatori illustri e, qui verso il belvedere, il salone dei pellegrini, e al di qua dell'altro cancello, un altro negozio in cui credo che vendessero manufatti vari, come ceramiche... non so..." "Come sai tutte queste cose?" chiese Roland incuriosito e in parte affascinato da quelle costruzioni. "Mi sono fatto mandare dall'ufficio del catasto copie delle antiche piante. Tutto questo sperone fino a valle e buona parte su verso la montagna, fa parte dei beni della certosa." "E tu vorresti trasformare queste costruzioni in albergo? E che ne faresti, della chiesa?" "No, questa parte costituirà solo la reception, gli uffici e i servizi, gli ambulatori medici, ristoranti, bar, eccetera. La chiesa, una volta restaurata, conterrà palestre al chiuso, con i più moderni apparati, compresa una piscina. E nella cripta ci saranno le caldaie." "Ma... e le stanze?" "Questa è la parte più bella. Vieni!" disse l'uomo con voce piena di entusiasmo. Passando per il cancello semidistrutto e arrugginito fra la biblioteca e l'erboristeria, si inerpicarono per un viottolo in salita. Traversarono un ponticello di pietra. "L'acqua di questo ruscello viene da un laghetto che c'è più su, alimentato dalla sorgente di acque curative... lo incanaleremo in parte per mandare l'acqua nella piscina." continuò a spiegare l'uomo. Lo stradello poco oltre il ponte si divideva in tre viottoli quasi paralleli, ognuno a quota più alta degli altri. E lungo questi viottoli, esattamente alle spalle della chiesa, sorgevano file di casette a due piani, identiche, in pietra, alcune ancora in buono stato, altre semidiroccate. "Qui risiedevano i monaci. Ogni casetta aveva quattro appartamenti, due davanti e due dietro, vedi, ci sono le scale di accesso. Ora, ogni piano conterrà una suite per gli ospiti dell'albergo, quindi almeno inizialmente ci saranno ventidue suite, perché in tutto ci sono diciannove casette, di cui solo undici ancora facilmente ristrutturabili. Le altre otto le rimetteremo a posto in seguito ed eventualmente c'è il posto per costruirne altre sette, nello stesso stile, portando così la capienza totale a cinquanta suite, il che significa fra cinquanta e centocinquanta ospiti. Che ne dici?" Entrarono in una delle casette. Ogni piano era un rettangolo scandito all'esterno da colonne distanti due metri l'una dall'altra, per un totale di cinque colonne sui lati brevi, comprese quelle agli angoli, e sette in quelli lunghi. Perciò all'interno erano visibili tre colonne per cinque, essendo le parti finali occupate dalle scale anteriore e posteriore. "È affascinante... e ci verrebbero delle suite molto belle... Ma mancano tutti gli impianti: acqua, luce, riscaldamento, fognature..." "Certo, e si farà tutto. Grazie al cielo, essendo tutto il complesso quasi in rovina, non ci sono vincoli delle belle arti, perciò pur mantenendo il più possibile l'aspetto antico degli esterni, gli interni saranno tutti modernissimi e forniti delle più moderne comodità. Faremo anche installare un impianto di telefoni, si capisce... ma adesso vieni, c'è ancora un paio di cose che ti voglio far vedere." Salirono fino al viottolo superiore e di qui, procedendo verso est, raggiunsero il laghetto. Al di là di questo, in una radura, sorgeva una cappella ottagonale, sempre in pietra, sopra a un roccione. "Quella era la cappella dedicata a san Bruno, il fondatore dei certosini. Riattandola ci si può fare un elegante bar, magari con un'orchestrina e una piccola pista da ballo... che ne dici?" "Sì... ma Il tutto comunque non costerà poco." "Certo, ma molto meno che costruire un albergo nuovo e comunque, conservando il più possibile l'aspetto originario di certosa, un albergo molto, molto elegante e originale. E visto che tutto il terreno con il bosco e con queste rovine mi verrebbe a costare meno di un normale terreno in pianura su cui costruire un albergo, avremo qualcosa di molto lussuoso, spendendo relativamente poco." "Hai idea di quanto tempo ci vorrà per fare tutti i lavori?" "Devo contattare una buona impresa e un bravo architetto... ma penso che in un paio di anni, massimo tre, potremo inaugurare l'albergo. Per prima cosa voglio che tutto il terreno sia circondato da un muro. Hai visto la casetta giù a valle dove comincia la strada che porta quassù? Anche quella fa parte della proprietà. Lì ci sarà la reception. Bisognerà fare asfaltare la strada, pavimentare la piazza in granito e anche gli stradelli che portano quassù, e lì fare una bella scalinata di pietra che unisca i tre stradelli e che scenda verso l'ex chiesa-centro sportivo. Sì... Già lo vedo... sarà fantastico!" Roland sorrise per l'entusiasmo del padre: da anni non lo vedeva così eccitato per qualcosa. "E come lo chiamerai, questo albergo?" "Oh, semplicemente Hotel de la Chartreuse de Montsabot. Allora? Che ne dici?" "Papà, tu hai il fiuto per gli affari. Se dici che ne vale la pena, ne varrà certamente la pena. Credo che in breve riavrai abbondantemente tutto il denaro che ci investirai." "Che ci investiremo, figlio mio. Tutto quello che è mio un giorno sarà tuo, come sai. Per cominciare, quindi, acquisterò questo terreno a nome tuo e anche l'albergo sarà registrato a nome tuo. Almeno su questo non dovrai pagarci le tasse di successione. Sei d'accordo, no?" "Certo papà, quello che decidi tu per me va bene, lo sai." "Non mi sembri molto entusiasta." "Sì, papà... semplicemente m'hai colto di sorpresa. Dalle acciaierie agli alberghi... non me lo aspettavo, ecco. Ma mi pare una brillante idea." Così monsieur Laforest trovò l'impresa in grado di fare un accurato lavoro di restauro-ammodernamento, incaricò un architetto di stendere un progetto e dette inizio alla costruzione del muro di cinta e all'asfaltatura dello stradello. Ottenne tutti i permessi necessari e così si fecero anche i lavori per portare fino alla certosa l'acqua, la luce, il telefono, e fare anche un ottimo impianto fognario. Roland andava avanti e dietro per osservare il procedere dei lavori.
"Ehi, Serge! Che succede?" chiese Roland preoccupato, andando a sedere accanto al ragazzino. "La mamma... ha la febbre alta... i medici... sta male... sta morendo." "Ma no... capita di avere la febbre, non ti devi preoccupare, Serge." "No, hanno detto... li ho sentiti... hanno detto... che la medicina che le danno non sempre... non sempre..." "Serge, tesoro mio, forse hai capito male." cercò di consolarlo Roland impietosito dal profondo stato di prostrazione del ragazzino. "Vieni, entriamo. Vado io a parlare con i medici e vedrai..." disse. Entrò e Serge lo seguì, mogio mogio. Mentre salivano lo scalone a forbice che portava al primo piano, il padre di Roland stava scendendo. Il giovanotto lo guardò negli occhi con espressione interrogativa. "Ho chiamato immediatamente i medici, appena ho saputo... appena sono tornato a casa." mormorò l'uomo con voce piatta. "Che dicono?" chiese allora Roland, preoccupato nel vedere il volto teso del padre. "Febbre terzana, pare. Le hanno somministrato il chinino, ma..." poi si interruppe guardando Serge. "Vieni con me, Serge, dobbiamo andare in cucina a prendere delle pezzuole bagnate per la mamma... vieni." Il ragazzino guardò Roland. Il giovanotto annuì. "Sì, Serge, vai a dare una mano a papà." gli disse sospingendolo verso suo padre. Il ragazzino si girò e seguì il padre di Roland verso la cucina. Roland finì di salire la scala e quando stava per entrare nella camera di Madeleine, un medico venne fuori. "È lei il marito di madame?" chiese l'uomo. "Sì... mi dica... che cosa ha Madeleine?" "Malaria... e temiamo del tipo pernicioso." "Ma riuscirete a..." "Non lo sappiamo ancora, ma... ma ne dubitiamo." "È contagiosa?" "No. Si prende per la puntura di una zanzara. Bisognerà che accendiate zampironi in tutta la villa per evitare che siano infettate altre persone." Roland entrò nella stanza. Accanto al letto di Madeleine c'erano altri due medici. "Le posso parlare? È cosciente?" chiese sottovoce Roland guardando verso la pallida forma distesa sul letto. "Sì... lei è?" "Il marito. Potreste lasciarci soli per pochi minuti?" "Certamente. Ma veda di non farla stancare, è molto debole." Roland si accostò al letto di Madeleine e le prese una mano fra le sue. Scottava. La giovane donna aprì gli occhi e quando lo riconobbe gli fece un debole sorriso. "Sei qui..." mormorò. "Sì... come ti senti?" "Ti ricordi... cosa mi dicesti... di Hervé... poco prima che... se ne andasse?" "Cosa?" chiese Roland sentendosi stringere il cuore. "Che sapeva... che stava andandosene... Anche io..." "No..." gemette Roland. "Non puoi... i tuoi figli..." "Hanno te, ora. Giurami... che continuerai... a prenderti cura... di loro." "Certo, ma..." "Non volevi... arrenderti... con Hervé. E non ti vuoi... arrendere... neanche ora... vero? Ma tra poco... sarò con lui... e di lassù... vi aspetteremo." "Madeleine..." "Grazie per tutto... per tutto... per tutto..." Dopo pochi giorni di febbri intermittenti, Madeleine cadde in coma e in breve lasciò questo mondo.
Roland fu terribilmente scosso per la morte di Madeleine. Lei aveva solo trentadue anni. Quando Serge e i gemelli chiesero di vedere la madre morta, il padre di Roland si oppose. Ma Roland ricordò quanto gli aveva detto Hervé: che la cosa più crudele era stata che non gli avessero permesso di vedere per un'ultima volta i genitori e la sorellina morta. Perciò, dopo essersi assicurato che Madeleine fosse stata composta in modo acconcio sul letto, prese per mano Michel e Jean-Marie, e con Serge, entrò nella camera della loro mamma. "Ecco... vedete quanto è bella? Pare che stia dormendo, vero?" sussurò Roland cercando di trattenere la commozione e il dolore che provava. "È così pallida!" mormorò Michel. "Però è bella davvero... pare un angelo." disse Jean-Marie. "Sì, adesso è veramente un angelo... e ci sta guardando... e ci proteggerà." disse Serge avvicinandosi di più al letto e carezzando la mano della madre. Questo richiamò alla memoria di Roland quando lui aveva carezzato la mano esanime di Hervé, là in mezzo al campo di battaglia, e dovette fare uno sforzo incredibile per non mettersi a piangere. Serge si girò, lo guardò e dall'espressione del suo volto capì quanto stava provando Roland. "Se hai voglia di piangere... fallo, Roland. Almeno anche noi possiamo piangere tranquillamente." "Perché mamma se n'è andata?" chiese Jean-Marie. "Perché così presto?" disse Michel. "Perché il buon dio l'ha chiamata. E perché sa che c'è Roland che penserà a noi. Perché sa che non siamo soli." mormorò Serge. "Papà... tu non te ne andrai, vero?" chiese Michel. "Tu non ci lasci, vero?" insistette Jean-Marie. "Per quanto dipende da me, tesori miei, non vi lascerò mai. Anche la mamma non avrebbe voluto lasciarvi, ma purtroppo... purtroppo... s'è ammalata e... nessuno l'ha potuta aiutare." Più tardi, Serge si accostò a Roland che stava solo seduto sul divanetto dello studio e gli sedette a fianco. "Roland?" "Dimmi, Serge." "Tu eri vicino al papà quando è morto, là in guerra, vero?" "Sì, certo, fino al suo ultimo respiro." "E anche vicino alla mamma quando è morta, no?" "Certo, anche vicino a lei." "E anche tu provi dolore quanto noi... se non di più, vero?" "Certo. Avrei voluto morire io al posto di tuo padre... e avrei voluto poter fare qualcosa per tua madre." "Sì, la mamma me l'aveva detto. Me l'aveva detto che tu amavi papà davvero. E hai anche voluto tanto bene alla mamma, l'ho visto." "E voglio tantissimo bene anche a voi." "Lo so. Sarei contento se avessi ancora qui il mio papà... ma anche se io non ci riesco a chiamarti papà, perché io lo ricordo troppo bene, sono contento di avere te qui vicino a me. Questo volevo dirti. Anche se non posso chiamarti papà... ti voglio tanto bene... almeno quanto al mio papà." "Lo so, Serge, e non è affatto necessario che tu mi chiami papà, anzi, è giusto così. Per i tuoi fratellini è diverso, perché loro non l'hanno conosciuto." "Sì, certo, lo so. Siamo fortunati ad avere te." "Lo sai che tu assomigli moltissimo al tuo papà? E non solo fisicamente, ma anche come carattere. Io l'ho conosciuto che era più grande di te, ma scommetto che quando aveva la tua età, doveva essere proprio come te." "Anche lui aveva perso il papà e la mamma, vero?" "E una sorellina... sì... quando aveva solo dieci anni." "E lui non aveva uno come te a prendersi cura di lui." "Aveva una vecchia zia." Serge fece un sorriso lieve: "Preferisco mille volte te a una vecchia zia." gli disse con dolcezza, guardandolo negli occhi. Roland lo abbracciò e lo strinse a sé con tenerezza. Serge gli si accucciò contro ed emise un sospiro. Roland gli carezzò i capelli. Restarono così per parecchio tempo, dandosi conforto l'un l'altro semplicemente con la loro presenza, con quel contatto pieno di tenerezza.
Pur non avendo mai avuto un rapporto molto stretto né particolarmente affettuoso con il padre, Roland ne fu profondamente scosso. Pregò la segretaria di chiamare lei un medico per constatare il decesso del padre e di vedere quanto fosse necessario fare. Quindi telefonò in villa dando la notizia al maggiordomo, pregandolo di avvertire lui la servitù e di dire all'autista di famiglia di non andare a prendere i piccoli a scuola: ci sarebbe andato lui personalmente. Scese a prendere la vettura. La voce si era già sparsa nella fabbrica e molti del personale gli fecero le condoglianze. Arrivò davanti alla scuola elementare poco prima che i ragazzi uscissero. Aspettò e prese a bordo i due gemelli, che furono molto contenti che fosse andato a prenderli Roland. Quindi guidò fino alla scuola di Serge, che usciva mezz'ora più tardi, e aspettarono anche lui. Il ragazzetto, quando vide Roland, si illuminò in un ampio sorriso. "Che bello! Sei venuto tu oggi a prenderci!" esclamò allegro. "Come mai, tuo padre ti ha lasciato libero, oggi?" "Serge, Jean-Marie, Michel... mio padre stamattina... è morto. Volevo essere io a dirvelo." I tre ragazzetti ammutolirono. Poi Serge disse: "Mi dispiace molto, Roland... mi dispiace davvero." "Ma era così vecchio, il nonno?" chiese Michel. "No... era abbastanza anziano, ma... molto probabilmente è stato il cuore che ha ceduto... forse il suo cuore era più vecchio del suo corpo." cercò di spiegare Roland. "Come può il cuore essere più vecchio del corpo?" chiese Jean-Marie. "In una macchina, ci sono parti che invecchiano e smettono di funzionare prima e altre che invecchiano dopo. E il nostro corpo è un po' come una macchina." spiegò allora Serge. "Ma una macchina si può aggiustare, basta cambiare il pezzo che non funziona." obiettò Jean-Marie. "E chissà che un giorno non si possano sostituire anche le parti del corpo di una persona che non funzionano. Ma per ora non si può. I medici non sanno ancora fare tutto." disse Serge. "Già, come non hanno saputo aiutare la mamma, vero?" disse allora Michel. "Proprio così. La vita e la morte sono due cose di cui ancora sappiamo molto, molto poco." disse Roland.
Roland incaricò la segretaria del padre di rispondere a tutti a nome suo. Poi, presa in disparte la donna, le chiese: "Josiane, io credo che mio padre avesse un'amante... anche se non me ne ha mai parlato. Se voi ne sapete qualche cosa, vorrei sapere chi è... non vorrei che si trovasse improvvisamente in ristrettezze economiche, ora che papà è morto." La segretaria lo guardò un po' sorpresa, poi, esitante, disse: "Sì, monsieur Roland, non vi sbagliate... Volete davvero sapere chi era?" "Oh mio dio, Josiane... non vorrei che... avrei dovuto essere più prudente, più attento..." La donna sorrise scuotendo la testa: "No, monsieur Roland, anche se spesso si pensa che la segretaria sia anche... no, non sono io." Il giovanotto sospirò: "Meno male, temevo di avervi messo in imbarazzo. Scusatemi. Allora, perché esitate a dirmelo?" "No... se lo volete sapere... Vostro padre mi aveva imposto il silenzio... ma data la ragione per cui lo volete sapere, e dato che lui ormai non c'è più... Ecco, qui c'è il suo nome e il suo indirizzo." disse la donna scrivendo, con la sua bella calligrafia, su un foglio di carta e porgendolo al giovanotto. Roland vi dette un'occhiata: "Sapete chi sia? Cosa faccia, come viva?" "No, monsieur Roland. So solo questo che vi ho scritto, perché vostro padre mi incaricava di fare delle compere e di mandarle a casa i suoi regali." "Compere, regali? Che genere di cose?" "Tagli di stoffa, cibo, vini... a volte anche qualche cosa per la casa, che so io... un pezzo di mobilia, o un orologio a pendolo... un servizio di bicchieri..." "Vi ringrazio, Josiane... Non mi resta che andare a trovarla... e vedere se posso fare qualcosa per lei." "Voi avete un cuore d'oro, monsieur Roland." commentò la donna. Poi aggiunse: "Ah, ha telefonato il notaio di vostro padre e ha chiesto quando potete andare da lui." "Ah... ditegli che fissi lui l'appuntamento, guardate voi sul carnet quando non ho altri impegni." "Sarà fatto." Roland si recò all'indirizzo che la segretaria aveva segnato. Era una casa del centro che si affacciava su uno stretto vicolo. Una costruzione antica ma dignitosa. Salì la scala e al secondo piano vide su una porta il nome: Odette Féraud. Non vi era campanello, perciò bussò. Dopo poco venne ad aprire una donna vestita in modo semplice ma elegante. Alle sue spalle c'era un ragazzetto sui dieci anni che si teneva alle sue gonne. "Madame Féraud, presumo." "Mademoiselle... sì sono io. Che desiderate?" "Io mi chiamo Roland Laforest, sono il figlio di..." "Voi? Che posso fare per voi?" "Posso entrare, per cortesia?" "Prego... accomodatevi." Roland entrò: l'appartamento era dignitoso, non ricco, non povero. Mademoiselle, aveva detto la donna. Doveva avere sui quaranta anni, era piuttosto piacente. E aveva un figlio... per caso figlio di suo padre? si chiese Roland. "Scusate se mi permetto di disturbarvi, ma... so che voi... eravate la compagna di mio padre, e così..." "Mi aveva detto che non lo sapevate..." disse la donna a bassa voce, guardandosi le scarpe. "Non lo sapevo, infatti... ma avevo immaginato... e dopo la morte di mio padre, ho avuto il vostro nome dalla sua segretaria." "Capisco." "Lo scopo della mia visita... ecco, non vorrei sembrarvi... indelicato. Ma mi sono chiesto se, per caso, ora che mio padre è morto... se per caso voi... non sapevo che aveste anche un figlio... come si chiama?" chiese Roland per prendere tempo, non sapendo come affrontare l'argomento. "Si chiama Edmond." "Come mio padre..." notò Roland. "No... cioè, sì, ma per puro caso. Non è figlio di vostro padre." "Ne siete certa?" chiese Roland, poi arrossì, "Vi chiedo scusa, non intendevo..." La donna scosse il capo: "Certo che ne sono sicura, l'ho fatto io, no? No, è nato un anno prima che io conoscessi vostro padre. È solo un caso che si chiami come lui. Proprio solamente un caso." "Quindi... sono circa otto, nove anni che voi e mio padre..." "Esattamente dieci anni... in maggio." "E... se mi permettete di chiedervelo, perché non vi ha sposata, se è stato con voi così a lungo... e se siete ancora signorina?" La donna sorrise mestamente: "Non me l'ha mai chiesto... e non stava a me farlo. Sapevo che aveva voi... forse è stato per voi che non l'ha fatto, ma non so." "Ed ora voi... perdonate il mio ardire, ma... voi che lavoro fate?" "Lavoro? Lui non voleva che io lavorassi... voleva trovarmi a casa, in qualsiasi momento avesse deciso di venire, capite?" "Ma così, ora... ora come farete?" "Non lo so davvero. L'affitto della casa non devo pagarlo... la casa apparteneva a lui... perciò ora a voi. Mi cercherò un lavoro, penso, anche se alla mia età... forse come commessa in un negozio mi prenderanno... spero." "Ascoltatemi, mademoiselle Odette... se mio padre per dieci anni è stato con voi, significa che vi ha voluto bene... che stava bene con voi... e ora non voglio che vi troviate improvvisamente in mezzo a una strada. Perciò, se me lo permettete... io penserei... di chiedere al notaio di farvi intestare questo alloggio. Inoltre, anche se il piccolo non è figlio di mio padre... vorrei che accettaste una rendita a suo nome, almeno finché raggiungerà la maggiore età e potrà pensare lui a mantenervi." La donna lo guardò stupita: "E io che credevo... temevo... Perché fate questo per me, per noi? In fondo siamo due perfetti estranei, per voi." "Non lo eravate per mio padre, e tanto mi basta. Vi siete presa cura di lui per tanti anni... credo che quanto vi offro vi sia semplicemente dovuto." "Che posso dirvi... siete molto gentile e generoso. Certamente la vostra offerta mi permetterebbe di vivere senza troppi problemi. Io comunque posso veramente cercarmi un lavoro, e mantenere me stessa e mio figlio... Non è necessario che voi..." "No, non è necessario, è vero. Ma mi sembra giusto e mi fa piacere farlo... se non altro in memoria di mio padre. Vi prego di accettare. Tanto meglio se lavorerete. Ma se il vostro piccolo, un giorno, volesse fare studi superiori ... costano cari... così almeno li potrà fare, non credete? Accettate per lui, se non altro. Io non intendo affatto offendervi o mettervi in imbarazzo." "Vi ringrazio... accetto, allora. Ma non volete sapere come ci siamo conosciuti, vostro padre ed io? Perché sono signorina eppure ho un figlio?" "Se me lo volete raccontare... ma non è affatto necessario." Odette allora gli raccontò la sua storia.
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