LA CERTOSA
DI MONTSABOT
10 - RITORNO ALLA NORMALITÀ

Nella certosa c'erano ora duecentocinquantanove ragazzi che occupavano le undici casette restaurate. Gli adulti erano in tutto quarantuno, perché parecchi erano tornati dal fronte.

A Roland dava un po' fastidio vedere i soldati americani vagare, quando non erano in servizio, in tutto il territorio della certosa. A parte che, a differenza dei soldati tedeschi, spesso ne trovavi anche a torso nudo stravaccati un po' dappertutto, sui prati o lungo il ruscello, accanto al laghetto, nei boschi, e che, oltre a masticare continuamente gomme, quasi tutti fumavano e offrivano ai ragazzi non solo cioccolata e gomme da masticare, ma anche sigarette.

Aveva provato a protestare con i due capitani, che si erano installati nella cappella di San Bruno, ma senza apprezzabili risultati. Aveva perciò convocato tutti i capi-famiglia, invitandoli a spiegare ai ragazzi che era meglio non accettare quei regali, soprattutto le sigarette. Secondo lo stile educativo della certosa, non voleva proibirlo, ma sperava che spiegando quanto il fumo fosse nocivo, i ragazzi lo evitassero.

Gli americani non erano più indisciplinati dei tedeschi, ma erano più chiassoni, più allegri, forse ragazzoni cresciuti troppo in fretta. E più disordinati. Erano comunque affascinanti, agli occhi dei ragazzi della certosa, non solo per la loro allegra giovialità, ma anche perché mentre i tedeschi erano "tutti uguali", quasi fatti con uno stampo, gli americani erano un gruppo multietnico: neri, nativi, italiani, scozzesi, irlandesi, francesi, messicani... non ne vedevi due uguali.

"Hey, boy!" divenne un saluto che anche i ragazzi della certosa iniziarono a usare fra di loro, anche se i più grandi preferivano usare "hey, man!". Un'altra abitudine che presero, particolarmente quelli fra i dodici e i quindici anni, fu quella del "gimme five!". Abitudini insignificanti, ma che erano solo la punta dell'iceberg del tipo di rapporto che s'era instaurato in pochi mesi fra gli americani e i ragazzi, che non si era invece verificato con i tedeschi nonostante fossero restati alla certosa per quasi quattro anni.

Uno dei ragazzi che amava più degli altri gironzolare attorno ai soldati americani, e che sembrava conoscerli quasi tutti per nome, era Julien Roussel, un ragazzo di sedici anni dai tratti fini, quasi aristocratici, con un grande ciuffo di capelli castano chiaro e luminosi occhi verdi. Aveva un corpo ancora da efebo, nonostante i tratti virili già si preannunciassero in lui. Era sempre allegro, spiritoso, disponibile, curioso, e si muoveva con una grazia indolente. Era il classico "amico di tutti", fossero i suoi compagni o i giovani soldati.

"Hi, Julien!" lo salutò un giorno Jimmy Vaughan, uno dei soldati addetti alla tipografia.

"Hi Jimmy. Come tira?" rispose allegramente il ragazzo.

"Noia mortale. Qui non c'è niente da fare, quando uno non è di servizio."

"Non scendi in città?"

"Nah! Che ci vado a fare? A spendere soldi? Le puttane ti spellano vivo e non ti sanno fare godere come si deve, le ragazze la tengono stretta e devi fargli la corte per secoli e coprirle di regali."

"Tu sei già andato a puttane, Jimmy?" gli chiese Julien incuriosito.

"Sì, ma poche volte. Quando proprio non resistevo più... Sai, mica uno può menarselo tutto il giorno, no?"

Julien ridacchiò: "E come sono?"

"Te l'ho detto, non ci sanno veramente fare. A loro non interessa il tuo cazzo, ma solo il tuo portafoglio. Fanno finta di godere e ti prendono per il culo. Scommetto che tu non l'hai mai fatto con una donna, vero?"

"No, mai. Qui mica ce ne sono."

"E allora lo fate fra voi ragazzi, no?"

Julien stava per dire di sì, ma si ricordò delle lezioni riguardo a quello che pensano quelli di fuori, riguardo alle leggi... perciò rispose, mentendo: "No... ognuno si arrangia da solo."

"Hah, una mano non può mai sostituire una bella fottuta, parola mia!"

Cambiarono discorso. Ma pochi giorni dopo Jimmy incontrò di nuovo Julien e dopo essersi salutati, fu lui che tornò su quel discorso.

"Alla tua età, io già fottevo a destra e sinistra, sai?" gli disse guardandolo con aria maliziosa.

"È così facile trovare ragazzine che ci stanno, là al tuo paese?"

"Un po'... ma mica si faceva solo con le ragazzine. Il più delle volte... sai... lo facevamo fra noi... tanto per toglierci la voglia di dosso. Quando gli ormoni ruggiscono, specialmente alla tua età... un buco vale un altro, una bocca vale un'altra, capisci?"

"Ma... e adesso?" chiese incuriosito il ragazzo, pensando che tutto sommato gli sarebbe piaciuto provarci con Jimmy.

"Ci si arrangia come si può." gli rispose il giovanotto guardandolo dritto negli occhi con un sorrisetto.

Stavano passeggiando nel bosco alle spalle del laghetto, salendo su verso l'antenna trasmittente. Improvvisamente Jimmy sospinse Julien contro il tronco di un albero e gli mise una mano fra le gambe, palpandolo sfacciatamente.

"Mi piacerebbe farlo con te, Julien, sai?" gli disse con voce bassa e calda.

Il ragazzo fremette e non si sottrasse a quel tocco intimo e provocante.

"Ti piace baciare?" gli chiese il giovanotto e prima che Julien potesse rispondere, lo baciò in bocca con forza, continuando a impastargli i genitali attraverso la tela dei calzoni.

Julien si eccitò immediatamente.

"Ti piace, eh, ragazzo?" gli chiese Jimmy con un sorriso sfacciato e provocante. "T'è già venuto duro... Di' un po', non ti andrebbe di farlo con me?"

Julien annuì con il capo e Jimmy lo baciò di nuovo cercando di aprire i calzoni del ragazzo. Julien lo fermò, bloccandogli la mano con tutte e due le sue e allontanandola dal proprio pacco duro.

"Non qui... non adesso... potrebbe arrivare qualcuno." mormorò arrossendo.

"Hai ragione, Julien. Ma tu... sei un bocconcino delizioso. Me lo fai venire duro come una canna di fucile solo a guardarti, sai?"

"Tu mi vuoi fottere in culo?" gli chiese Julien sottovoce.

"Sicuro! Non ti piacerebbe?" gli rispose pronto il soldato.

Julien lo palpò fra le gambe e subito ritrasse la mano: "Ce l'hai grosso... mi faresti male."

"No... basta saperci fare, e io ci so fare. E ho una crema fatta apposta... se mi dici quando, la prossima volta la porto, così... Che ne dici?"

"Ma dove? È pericoloso... se ci vedono..."

"So io un buon posto. Su dove c'è l'antenna, ci sei mai stato?"

"No, per noi ragazzi è... off limits."

"Io sì, con un mio amico addetto alle trasmissioni. I tedeschi avevano costruito lassù anche un bunker, che ora è vuoto, che controlla la strada che sale da dietro. È piccolo, ma... più che sufficiente. Ha due piani. Quello sotto non ha finestre e nessuno ci può vedere. La porta di ferro cigola, se anche arrivasse qualcuno, si fa in tempo a vestirci e dire che stavamo curiosando. Ma non ci va mai nessuno."

"Tu ci sei già stato? Con un amico?"

"Sicuro."

"Per... per fare quelle cose?"

"Certo, per fottere. Allora, ci vieni? Domani a quest'ora?"

"Come si fa ad arrivarci?"

"Continui dritto su, attraverso il bosco. Arrivi alla rete di cinta e giri intorno e ti trovi proprio al bunker. Io ti aspetto dentro, al piano di sotto. Va bene? D'accordo?"

"Sì."

Julien era eccitato. Tornando alla sua casetta, cercò di nascondere la propria eccitazione. Sapeva che se Henri, il capo-famiglia, fosse venuto a saperlo, avrebbe fatto del tutto per dissuaderlo.

Finalmente, il giorno seguente, Julien salì oltre il laghetto, traversò il bosco continuando a salire, giunse alla recinzione di rete di ferro e filo spinato e la aggirò fino alla parte opposta. Ecco lì il bunker di cemento armato. Aveva basse e larghe feritoie su tutto il perimetro e la porta di ferro era sul davanti. La sospinse con forza e questa si aprì lentamente, con un gemito stridente che rimbombò all'interno. Quando ci fu abbastanza spazio vi si infilò dentro e sospinse di nuovo la porta con entrambe le mani, accostandola in modo che sembrasse chiusa.

Si guardò attorno: dalle feritoie entravano lame di luce che rendevano surreale l'interno vuoto a cupola. Dalla parte opposta dell'ingresso c'era una scaletta che scendeva in basso. Traversò in tre passi il piccolo ambiente e prese a scendere. Sotto era buio.

A metà scala, chiamò sottovoce: "Jimmy?"

La voce del soldato americano arrivò dal buio: "Sì, vieni."

"È buio..." disse Julien scendendo lentamente un paio di gradini.

"Segui la scala... non c'è nessun pericolo, è tutto vuoto." disse la voce di Jimmy con tono caldo e invitante.

Julien scese lentamente, sfiorando con una mano la fredda e ruvida superficie di cemento della parete ricurva. Finalmente i gradini erano finiti.

"Dove sei?" chiese Julien cercando di forare il buio con lo sguardo: non riusciva a vedere assolutamente nulla.

"Qui." rispose la voce di Jimmy. "Stendi le braccia e vieni verso la mia voce... dai... è tutto vuoto, non puoi inciampare."

Julien avanzò lentamente, quasi strisciando i piedi. Il cuore gli batteva furiosamente ed era già eccitato, sentiva il proprio membro premere con vigore sotto la tela dei suoi abiti. Improvvisamente le sue braccia, che muoveva lentamente a semicerchio davanti a sé, toccarono le braccia dell'americano. Le loro mani si trovarono e l'americano lo tirò a sé.

"Sei pronto per fare una bella fottuta?" gli chiese con voce carica di erotismo.

"Sì..." sussurrò il ragazzo.

Le mani dell'americano cominciarono a spogliarlo. Julien sotto la giacchetta e i calzoni non aveva indossato nulla. In breve i suoi calzoni erano accumulati attorno alle sue caviglie e la sua giacchetta era aperta. Le mani dell'americano lo palparono un po' dappertutto.

"Sei già eccitato, ragazzo!" disse l'americano. "Chinati, che ti spalmo la crema nel culetto... vedrai che non ti dimenticherai facilmente questa avventura."

Sentì le dita del giovanotto frugargli fra le natiche, poi lubrificargli il foro. Poi un dito lo penetrò muovendosi avanti e dietro, poi due.

"Quanti cazzi hai già preso, qui, ragazzo?" gli chiese Jimmy ridacchiando. "Tu non sei vergine, sei troppo rilassato..." aggiunse ora infilandogli dentro tre dita.

Julien non rispose.

"E quanti cazzi ci vuoi prendere, adesso?" insisté il soldato continuando a fotterlo con tre dita.

"Il tuo..." sussurrò Julien provando piacere a quelle manovre, un piacere che il senso di mistero del buio parevano amplificare, come amplificava le loro voci.

"No... non solo il mio... vero ragazzi? Ne prenderai quattro, per questa volta!"

Julien ebbe appena il tempo di chiedersi perché il suo amico Jimmy avesse detto quelle parole, che si accesero due torce elettriche e il ragazzo vide avvicinarsi altri tre soldati, fra cui riconobbe Malcolm, uno dei tre soldati negri, e tutti e tre con il cazzo fuori dai calzoni, dritto e duro.

"Ehi, Jimmy... no... lasciami andare!" esclamò Julien spaventato.

Ma Jimmy lo bloccò per le braccia e gli altri tre gli furono addosso. Julien sentì le loro mani dappertutto, che un po' lo tenevano, un po' lo palpavano, mentre i quattro, parlando ora in inglese, si scambiavano battute e risate.

"No, non così, non così... io ero venuto solo per te, Jimmy." protestò ancora il ragazzo.

"Ma Jimmy è nostro amico e noi amici condividiamo tutto, anche i bei culetti come il tuo!" gli disse ilare Joseph, un soldato di origine italiana.

"Dai, che ti piace prendere cazzi in bocca e in culo! E oggi te ne puoi godere di tutti i colori e di tutte le misure!" gli disse Kevin, un soldato che veniva dal Kentucky.

"No, vi prego..." gemette Julien cercando di divincolarsi, benché sapesse che non poteva nulla contro quei quattro giovanotti forti e, soprattutto, arrapati.

Si rese conto che lì non solo non aveva alcuna possibilità di sfuggire ai quattro, ma che se anche avesse gridato, nessuno l'avrebbe potuto sentire.

Così dovette sottostare alle voglie dei quattro giovanotti, che a turno lo presero prima davanti poi di dietro, finché tutti e quattro si furono sfogati e divertiti a sufficienza. Malcolm gli venne due volte nel culetto, e Joseph gli venne prima in bocca poi nel sedere.

Mentre lo prendevano lo toccavano, lo palpavano per tutto il corpo, gli davano pizzicotti o schiaffi sul sedere... e commentavano ad alta voce, facendo battute che Julien non capiva ma che suscitavano risate dagli altri soldati.

Non gli fecero male, a parte forse un po' Joseph che l'aveva più grosso di tutti, ma Julien si sentiva umiliato, usato, trattato peggio di una prostituta, come un oggetto, e nonostante cercasse per orgoglio di controllarsi e non avesse emesso neanche un lamento, lacrime cocenti gli scesero dagli occhi.

Quando finalmente si furono sfogati tutti e quattro, i soldati si ricomposero le uniformi e anche Julien fu lasciato in pace a rivestirsi. Poi i quattro risalirono, senza neppure aspettare il ragazzo.

Solo Jimmy si girò a metà scala e gli disse con tono ilare: "Alla prossima volta, ragazzo! Sei bravo di bocca, e hai un bel culo! Mi sa che ci divertiremo ancora! Ah... e non provare a dirlo a nessuno, o rischi di trovarti con un coltello nella pancia, chiaro?"

"Ma va a fa 'n culo, tu e i tuoi compagni di merda!" gli gridò Julien cercando di non far sentire il pianto che aveva nella voce.

Di nuovo al buio, Julien ritrovò la via del ritorno. Mentre usciva dal bunker sentì il rumore del motore di una jeep scendere dall'altra parte della montagna. Traversò il bosco e tornò lentamente verso la sua casetta, ora concedendosi il lusso di singhiozzare forte, per sfogare la sua rabbia.


Finalmente anche gli americani lasciarono la certosa. Quello che l'istituto ci aveva guadagnato dalle due successive occupazioni erano i tre capannoni, con un buon impianto di cucina da usare quando volessero preparare il cibo per molte persone (ma di solito ogni "famiglia" si preparava il cibo da sola) con annesso refettorio, l'attrezzatura per trasmettere e le macchine della tipografia, cosicché Roland decise di trovare alcuni istruttori esperti per farci lavorare i ragazzi, che mentre da una parte potevano imparare un mestiere, dall'altra potevano cominciare a produrre i propri libri e anche a fare una piccola radio privata. Inoltre gli americani avevano anche lasciato una macchina da proiezione, cosicché si decise di usare il refettorio come saletta cinematografica per i ragazzi.

Quello che ci avevano rimesso era che dovevano togliere tutte le murature che chiudevano il porticato per ripristinarlo, restaurare la cappella di San Bruno, in cui si decise di fare un'aula magna e uno spazio per le feste, e smaltire quintali di cose inutili abbandonate lassù dagli americani.


Nel 1946 tutto era finalmente di nuovo in ordine. Decisero allora di fare una festa a cui invitare tutti gli ex allievi. Per l'occasione Serge ebbe un'idea: con i ragazzi si iniziò a fare un'accurata ricerca fra tutte le carte dell'Istituto per trovare vecchie fotografie dei ragazzi che erano passati per la certosa. Di alcune si fecero ingrandimenti, di altre copie, tutte delle stesse dimensioni, in modo che ogni "famiglia" potesse appendere sulla parete del soggiorno della propria casa tutte le foto che si era riusciti a trovare, scrivendoci sotto, sulla cornice, il nome e cognome e la data di nascita di ognuno. Quella parete fu chiamata "l'album di famiglia".

Parecchi ex allievi risposero, e qualcuno, vedendo che mancava la propria foto, si impegnò a spedirla. In quell'occasione le cucine e il refettorio dei soldati furono provvidenziali. Poiché i ragazzi avevano voluto anche fare un giornale della certosa, quasi tutti chiesero di riceverlo e pagarono un abbonamento, a volte più che abbondante, con vero piacere. Parecchi degli ex allievi erano andati con le loro famiglie, moglie e figli, qualcuno con un "amico" che, confidarono a Roland o a Serge, era in realtà il loro amante.

Nel 1947 arrivò alla certosa un'automobile color rosso bordeaux con la targa della Germania. Ne scese un giovanotto biondo, che aveva un po' meno di trenta anni, vestito con eleganza. Al ragazzo che era andato a riceverlo, chiese se poteva vedere il rettore.

Roland era assente, perché era andato a Parigi per chiedere al nuovo ministro dell'educazione quali fossero i requisiti perché la loro scuola fosse riconosciuta dallo stato e per avere, in quanto orfanotrofio, un sussidio per aiutarli a fare anche meglio il loro lavoro. Perciò il nuovo arrivato fu ricevuto da Serge.

"Molto probabilmente lei non si può ricordare di me," disse il giovanotto con un sorriso schivo, in un francese abbastanza buono, "mi chiamo Nikolas Gundram, ero uno dei soldati della compagnia tedesca che è stata qui alla certosa al tempo di guerra."

"Ah, piacere. Non ricordo il suo nome, ma ora che mi dice questo... ho la vaga sensazione di ricordarla. Si accomodi. In che cosa posso esserle utile?" gli disse Serge con cortesia.

"Vede... anche se il nostro comandante, il maggiore von Schwerin, ce lo aveva proibito esplicitamente," disse il giovanotto e arrossì lievemente, "io avevo stretto amicizia con uno dei vostri ragazzi... e ora vorrei poterlo ritrovare."

"Ah, il maggiore von Schwerin, sì. Ha notizie di lui?"

"Ha fatto due anni di prigione, ma ora è di nuovo libero. Era un brav'uomo, non c'erano accuse contro di lui."

"Non ne dubito. Se avessimo saputo, avremmo potuto testimoniare anche noi in suo favore. Con noi si è comportato da vero gentiluomo." disse Serge annuendo. "E lei? Ha avuto problemi, lei?"

"No, io ero un semplice soldato, addetto alle trasmissioni. Sono stato semplicemente rimandato a casa."

"Mi diceva, allora, che vorrebbe rintacciare uno dei nostri ragazzi? Di chi si tratta?"

"Si chiama Maurice, ora ha ventitré anni... Maurice Cavrel."

"Vedo subito se abbiamo ancora il suo indirizzo. Cosicché avevate fatto amicizia."

"Sì, cercando di non farci scoprire, specialmente dai miei superiori."

"A quanto pare ci siete riusciti." disse con un sorriso Serge.

Il giovanotto arrossì di nuovo lievemente, poi disse: "Sì... e l'amicizia di Maurice è stata assai preziosa per me, era un ragazzo molto dolce, che mi ha fatto pesare molto meno la lontananza da casa... e che a differenza di molti, non mi ha mai visto né fatto sentire come un... come un nemico."

"Capisco. Se mi vuole seguire, posso controllare nei nostri schedari."

Si spostarono nella segreteria, uscendo sulla piazza ed entrando nella vecchia Foresteria.

"Avete restaurato tutto... È bello, adesso, qui. Il portico murato era veramente deprimente da vedere... e magari anche la nostra presenza lo era."

"Grazie a dio fa parte del passato. La guerra è una gran brutta cosa... sia per chi la vince che per chi la perde."

"Concordo pienamente con lei, signore."

Entrarono nella segreteria.

"Robert, mi puoi controllare la scheda di un ex allievo? Si chiama Maurice Cavrel, dovrebbe essere nato nel 1934, anno più anno meno." chiese Serge al ragazzo che vi lavorava.

"Sì, ecco la sua scheda, Serge."

"Dunque... Sì, qui risulta che lavora nelle vigne di monsieur Rodier. Ha partecipato l'anno scorso alla nostra festa per gli ex allievi, confermando questo indirizzo. Attenda che glielo scrivo... Sa dove sono le vigne Rodier?"

"No..."

"A circa trenta chilometri da qui. Robert le farà vedere su una carta stradale come fare ad arrivarci. Non è difficile."

"La ringrazio infinitamente, signore."

Così Nikolas arrivò con la sua VolksWagen alle vigne Rodier. Qui chiese se potevano chiamargli Maurice. Dovette attendere quasi un'ora, ma finalmente il ragazzo comparve. Si riconobbero immediatamente e, incuranti degli sguardi del personale, corsero nelle braccia l'uno dell'altro.

"Nikolas! Sei venuto davvero!"

"Te l'avevo promesso, Maurice." gli disse con dolcezza il tedesco, "Dio, quanto ti sei fatto bello!" gli sussurrò poi.

"Hai tempo, spero."

"Sì, ho preso una settimana di ferie."

"Vado a chiedere un permesso... poi... io non ho un appartamento mio, condivido una stanza con altri lavoranti... ma magari... tu dove sei?"

"Non ho ancora cercato un posto."

"C'è un alberghetto, fra qui e la città. Possiamo prendere una stanza lì, che ne dici."

"Una? Non credi che lo trovino... strano?"

"Ma no, capita a volte... e poi, oltre a costarci meno... Ma come stai, dimmi?"

"Molto bene, specialmente ora che ti ho ritrovato."

Quando salirono nella stanza d'albergo, furono di nuovo nelle braccia l'uno dell'altro e questa volta poterono anche baciarsi a lungo, pieni di gioia e di passione.

"Ti sei fatto un ragazzo, in questi anni?" gli chiese Nikolas con un tono sommesso e timoroso.

"No. T'avevo promesso che t'avrei aspettato, no? E tu?"

"Neanche io... non ho fatto che pensare a te."

"Ma raccontami... Che fai ora, in Germania? Sei tornato, no? Sapessi quante volte mi sono chiesto se ti era andato tutto bene, quante volte ho pregato tutti i santi che non ti fosse successo niente."

"Sono tornato, hanno sciolto l'esercito, sono stato congedato. Sono andato a Francoforte, dove viveva la mia famiglia prima della guerra. La città era quasi completamente distrutta dai bombardamenti. I miei erano morti tutti, alla fine della guerra. Forse ho altri parenti altrove, ma non li ho cercati. Ho trovato lavoro come interprete, guadagno benino. E ora sono qui... e se mi vuoi ancora... ora vorrei vivere con te, come avevamo detto."

"Se ti voglio ancora? Certo! Te l'ho detto che ti ho aspettato in questi anni, no? Ma dimmi... vuoi che venga io in Germania, o vuoi venire tu in Francia?"

"In Germania non mi lega più nulla, proprio nulla. Tutto quello che ho sei tu, ormai, sei tu la mia famiglia. E poi tu non parli tedesco, io invece parlo francese. Se solo potessi trovare lavoro qui, io mi fermerei molto volentieri in Francia... se tu vuoi."

"Dio, Nikolas! Voglio, voglio, voglio! Nikolas, il mio uomo!"

"Maurice, il mio ragazzo... lo sai che ti amo tantissimo?"

"Perché allora non mi porti su quel letto e non me lo dici col tuo corpo, come sai dirlo tu!" gli chiese con aria procace il giovane francese, sorridendogli felice e, presolo per mano lo portò verso il letto.

Si spogliarono l'un l'altro, lentamente, carezzandosi e baciandosi e assaporando quei dolci momenti che ancora li dividevano dalla tanto desiderata unione.

"Quanto sei diventato bello, amore mio!" mormorò Nikolas guardano il corpo nudo del suo innamorato.

"Ti piaccio davvero?" chiese un po' civettuolo il giovane francese.

"Mi sei sempre piaciuto, ma oggi più che mai!" gli disse Nikolas chinandosi a baciarlo.

"Ti sei mai guardato allo specchio?" gli chiese Maurice.

"Sì... perché?"

"Perché tu sei bello come un dio! Altro che me."

"Lo sai che ogni amante è lo specchio della bellezza del suo amato?" gli chiese con tenerezza il giovane tedesco, sfiorando con i polpastrelli il corpo quasi glabro del suo ragazzo.

"E allora... rendimi anche più bello amore... prendimi!" mormorò Maurice eccitatissimo.

Ripiegò le gambe portando le ginocchia di fianco al suo petto e offrendosi così al suo amante. Nikolas si inginocchiò sedendo sui talloni e fece scivolare in avanti le ginocchia allargandole ai lati del piccolo e sodo sedere che il ragazzo gli offriva. Il suo bel membro duro come granito, caldo come il sole d'estate, si affacciò al foro palpitante in avida attesa.

"Dai... riempimi!" mormorò con occhi luminosi il bel ragazzo francese.

"Eccomi, amore." rispose in un sussurro emozionato Nikolas scivolando ancora in avanti, ponendo la mani sulle spalle di Maurice e tirandolo a sé.

Man mano che gli scivolava dentro, invadendolo, riempiendolo, il bel volto di Maurice si illuminò in un gioioso sorriso e quando finalmente la lenta e lunga corsa giunse al termine, Maurice emise un lungo e tremulo sospiro pieno di passione.

"Finalmente... sono di nuovo tuo!"

"Sei contento?"

"Felice... ti amo, Nikolas, ti amo tanto!"

"Anche io." mormorò il giovane tedesco cominciando finalmente a pompargli dentro.

Maurice sollevò leggermente il capo dal cuscino, protendendolo verso quello di Nikolas. Il giovanotto abbassò il suo e le loro bocche si unirono. Quasi alternando le spinte del membro e della lingua, Nikolas lo prendeva contemporaneamente dalle due parti e Maurice fremeva con crescente intensità per quella doppia, bellissima penetrazione.

Quando le loro bocche si staccarono, il bel ragazzo francese, sussurrò: "Mio dio, non mi ricordavo che fosse tanto bello! Mi fai morire dal piacere, amato mio."

"Mi sei mancato terribilmente, lo sai? Lontano da te mi sentivo perso... inutile... completamente spento."

"Sei tutto mio, Nikolas!"

"Sì, sono tutto tuo! Ci cercheremo una casa assieme? Non voglio mai più separarmi da te. Oh, Maurice, è splendido essere di nuovo uniti... così..."

Fecero l'amore fino a sera, mai sazi l'uno dell'altro. Decisero di scendere per cena, ma dopo essersi ripromessi che avrebbero di nuovo fatto l'amore appena tornati in camera.

Il giorno dopo, Maurice volle andare su alla certosa: aveva avuto un'idea. Chiese di vedere Serge e, alla presenza di Nikolas, gli espose la sua richiesta.

"Serge, so che se potrai lo farai, e che se ci dirai di no è perché davvero non puoi. Perciò ti faccio questa richiesta: Nikolas e io, quando avevo ancora diciassette anni, siamo diventati amanti, qui alla certosa. Quando io ho dovuto andare via, ci siamo promessi che lui mi avrebbe cercato, una volta finita, in un modo o nell'altro, la guerra, per poter vivere assieme. Ora, Nikolas ha mantenuto la sua promessa e ci siamo finalmente ritrovati e siamo anche più innamorati di prima, se possibile.

"Nikolas vorrebbe poter trovare lavoro in Francia, perché si possa restare insieme. Ora lui lavora come interprete del comando francese a Berlino. Allora io pensavo che, dato che conosce perfettamente il francese e molto bene l'inglese, oltre logicamente al tedesco... magari potrebbe venire a lavorare come insegnante di tedesco qui alla certosa. Almeno siamo vicini... io non devo lasciare il mio lavoro in vigna... Pensi che sia possibile?"

Serge l'ascoltò e rispose: "Non posso decidere io, devo aspettare che torni Roland e che si riunisca il consiglio. Io appoggerò la tua richiesta molto volentieri. Potrebbe essere una buona idea insegnare anche il tedesco a quelli dei nostri ragazzi che lo volessero imparare. Tu te la sentiresti, Nikolas? E ti piacerebbe lavorare con i nostri ragazzi?"

"Cercherei di fare del mio meglio... mi documenterei, mi preparerei. E mi piacerebbe sì. Sia pure indirettamente... devo molto alla certosa: devo il mio amore."

Tornato Roland, che portava ottime notizie, affrontarono la richiesta di Maurice e Nikolas. Furono tutti d'accordo e anzi, uno degli insegnanti propose di dare anche a Maurice un lavoro alla certosa: avrebbe potuto piantare una piccola vigna per insegnare ai ragazzi a lavorarci, e fare un po' di vino da vendere assieme ai loro prodotti.

Quando Roland fece sapere a Maurice che cosa avevano deciso, i due giovani furono felici. Maurice accettò la proposta. Così, nella vecchia foresteria, furono assegnate due stanze comunicanti a Nikolas e Maurice e furono assunti. Roland svolse anche tutte le pratiche necessarie per far avere a Nikolas il visto di lavoro in Francia.


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