LA CERTOSA
DI MONTSABOT
9 - LA GUERRA VOLGE AL TERMINE

Nonostante le regole stabilite da una parte da Roland e dall'altra dal maggiore, sia da parte di alcuni dei ragazzi della certosa, sia da parte di alcuni fra i soldati tedeschi, la curiosità di vedere l'altro e di poterci parlare era piuttosto forte.

Un po' il fascino dell'uniforme, antiquata ma elegante dei ragazzini, e di quella sempre perfettamente a posto dei soldati, un po' il fascino dello straniero, un po' anche il sottile desiderio che molti provano di violare le regole, spingevano inesorabilmente alcuni ragazzi e alcuni soldati a cercare di comunicare fra di loro.

Così, e gli uni e gli altri cominciarono a gironzolare sempre più vicino alla linea di demarcazione delle due zone, segnata dal cosiddetto "rio piccolo", cioè quello che dal laghetto alimentava sia la piscina che la fonte sulla piazza davanti alla chiesa. All'inizio erano solo sguardi lanciati da una parte all'altra, poi abbozzi di sorriso, poi qualcuno cominciò anche a fare un cenno di saluto con la mano...

I più intrepidi, cominciarono a sedere da una parte e dall'altra del rio e a scambiarsi un saluto, poi dopo qualche volta qualche breve frase, da parte dei soldati nel francese più o meno rozzo e approssimativo che avevano imparato in quei mesi di occupazione. Qualche soldato cominciò a regalare una barretta di cioccolato, che si passavano sempre senza varcare il confine segnato dal rio.

Fra questi, c'era un soldatino tedesco, un ragazzo di ventidue anni, un po' esile, biondo chiaro chiaro, con occhi di un celeste cielo di primavera, e un ragazzo di diciassette anni della casa C.

"Ciao." disse il soldato.

"Ciao!" rispose allegramente il ragazzo.

"Come ti chiami?"

"Maurice, e tu?"

"Nikolas. Quanti anni hai?"

"Io diciassette. E tu?"

"Te ne davo diciannove o venti. Io ne ho ventidue."

"Se ne avevo venti, non potevo più stare qui alla certosa."

"È bello, qui alla certosa. A me piace. A te?"

"È casa mia, certo che mi piace."

"Tu fumi?"

"Nessuno di noi fuma. Fa male alla salute. E poi sono soldi buttati via."

"Sì... ma ormai ho preso il vizio. Prima non fumavo, sai?"

"Prima di cosa?"

"Che mi chiamassero per fare il soldato."

"Ti piace fare il soldato?"

"Ti piace essere orfano?"

"Ah, ho capito. Sono cose che mica scegli tu... le decide la vita per te."

"La vita... o gli altri. Hai tanti amici, qui?"

"Più o meno siamo tutti amici. E tu ne hai tanti, di amici?"

"Più o meno sono tutti solo compagni. Amici ne avevo a casa."

Erano seduti sull'erba, il soldato girato verso le baracche, il ragazzo verso la chiesa, come se ognuno stesse per conto proprio, anche se ogni tanto si giravano per un attimo e si lanciavano un'occhiata e un sorriso.

"Se il caporale vede che parlo con te, si incazza."

"Sì, lo so. Anche noi non dovremmo parlare con voi."

"Chissà perché?"

"Perché siamo nemici, no?"

"Io non ti sono nemico."

"Neanche io, ma i nostri popoli sì... e più ancora i nostri capi."

"Però il vostro capo parla con il nostro maggiore."

"E anche noi adesso stiamo parlando... anche se di nascosto."

"Mi piacerebbe poter parlare con te... guardandoti negli occhi, senza problemi, senza fare finta che io guardo il panorama e tu pensi ai cazzi tuoi."

"Anche a me. Mi sembri un tipo simpatico."

"E tu mi sembri molto bello."

"Anche se ho solo diciassette anni?" chiese Maurice sogguardandolo con un sorrisetto.

Si rividero così due o tre volte, e ogni volta chiacchieravano sottovoce, quasi senza neanche guardarsi. A volte uno dei due aveva un giornale o un libro in mano e fingeva di leggerlo, altre uno dei due stava sdraiato con le braccia sotto la testa come se riposasse o guardasse pigramente il cielo.

Una volta Nikolas disse: "Maurice... lo sai che il tuo nome mi piace e quando mi sento solo, me lo ripeto in mente e mi sento meno solo?"

"Ti senti spesso solo?"

"Specialmente quando sono in mezzo ai miei compagni. Loro parlano sempre di ragazze, o di altre stupide cose... Tu non ti senti mai solo?"

"No, fra noi ragazzi ci vogliamo bene, siamo tutti come fratelli anche più che se fossimo veramente fratelli."

"È bello, così. Mi piacerebbe avere un ragazzo che mi vuole bene, a cui voler bene, sai?"

Maurice tacque. Si chiese se il soldatino tedesco stesse per caso tentando di lanciargli un messaggio... quel messaggio... e pensò che gli avrebbe fatto piacere: Nikolas era davvero un bel ragazzo e aveva il volto buono.

"Forse lo trovi, un ragazzo disposto a volerti bene." suggerì allora Maurice.

"E dove? Non fra i miei compagni, te lo assicuro. E quando siamo in libera uscita, giù in città... tutti ci evitano... a parte le puttane."

"Tu ci vai a puttane?" gli chiese allora Maurice.

"No no. Non ci sono mai andato con una puttana. Anzi... non l'ho ancora mai fatto con una ragazza, sai?"

"Eppure sei un gran bel ragazzo, non dovrebbe essere difficile per te trovarti una ragazza che ci voglia provare con te."

"Dici? Ti sembro un bel ragazzo, io?"

"Altro che! Anche se non ti ho mai visto nudo... penso che devi anche avere un gran bel corpo."

"Noi non possiamo toglierci l'uniforme in pubblico. Solo quando andiamo a fare attività sportiva nella chiesa, o nella vostra piscina."

"Ma quando ci andate voi, non ci possiamo andare noi, perciò non ti potrei vedere senza uniforme."

"Ti piacerebbe?"

"Sì..."

Alcuni giorni dopo, sempre lì accanto al rio, Nikolas disse a Maurice: "Forse... forse so come si potrebbe fare."

"Cosa?" chiese il ragazzo incuriosito.

"Per vederci... tu e io... senza che gli altri ci vedano."

"Davvero? E come?"

"Ti interessa?"

"Sì, certo. Come e dove?"

"Ho visto, quando il capitano mi manda a portare le taniche di nafta alle caldaie per l'acqua calda, giù nella cripta, che la porta non è mai chiusa a chiave... e che a metà della scala c'è una portina che dà in uno stanzino pieno di casse di legno vuote."

"Sì, è così."

"Se potessimo arrivare fino a lì senza farci vedere..."

"È abbastanza facile... tu sei libero verso le tre di pomeriggio?"

"No, finisco alle quattro."

"Anche alle quattro va bene per me. Domani?"

"Va bene, Maurice. Il primo che arriva aspetta lì dentro?"

Così, il giorno dopo, il ragazzo, assicuratosi che nessuno lo vedesse, scivolò svelto giù per la scala, spinse la porticina e la richiuse alla sue spalle trovandosi nel buio quasi totale. Si fermò cercando di abituare gli occhi.

"Nikolas?" chiamò in un bisbiglio.

Si accese una luce: il soldatino tedesco aveva posato una torcia elettrica su una delle casse, rivolgendone lo stretto raggio contro la parete, cosicché Maurice ne vide la snella figura illuminata di riflesso.

"Sì, Maurice, sono qui." sussurrò il giovane tedesco.

Maurice avanzò di pochi passi e i due si trovarono di fronte, a pochi centimetri l'uno dall'altro. I loro occhi si guardavano sorridenti. Nikolas sollevò le braccia, cinse la vita del ragazzo, lo tirò a sé, e lo baciò in bocca, intimamente. Maurice accolse con un fremito la lingua inquisitrice del soldato e rispose con passione al bacio. I loro corpi aderirono e ognuno dei due sentì chiaramente la forte erezione dell'altro.

"Ti voglio, Maurice." mormorò il tedesco.

"Sono qui... per te."

Si carezzarono sulla schiena, si posero le mani sul sedere tirandosi con forza l'uno contro l'altro e sfregarono con vigore i propri bacini l'uno contro l'altro ricominciando a baciarsi travolti dal desiderio.

"Ti voglio." ripeté Nikolas al ragazzo.

"Sì..." rispose Maurice staccandosi un poco dall'altro e cominciò a sbottonargli la divisa. "Sì..." ripeté emozionato.

Nikolas lo fece girare e gli si addossò da dietro, spingendogli contro il sedere il suo palpitante turgore. Con le mani frattanto cominciò a sbottonare i calzoni del ragazzo. Maurice piegò indietro il capo, appoggiandolo su una spalla del soldato che prese a baciargli la guancia. Il ragazzo girò un po' la testa e le loro bocche si incontrarono di nuovo, mentre le mani febbrili del bel soldato gli finivano di aprire gli abiti. Il ragazzo si fece calare i pantaloni dell'uniforme e le mutande sulle ginocchia, mentre Nikolas si sbottonava a sua volta i calzoni e li abbassava assieme alle sue mutande. Quindi gli aderì di nuovo col pube contro il piccolo sedere nudo sfregando ora il suo membro nudo nel solco delle sode chiappette del ragazzo.

"Prendimi..." mormorò Maurice sentendosi tutto in fiamme e spinse indietro le mani per guidare il forte palo sul suo ambito obiettivo.

"Aspetta... ho portato la vaselina... non voglio farti male. Aspetta, Maurice."

Il ragazzo sentì il soldato trafficare, poi un suo dito penetrò nel solco e, individuato il forellino nascosto, vi spalmò il fresco unguento e saggiò la resistenza dello stretto sfintere, titillandolo, spingendo finché la falangetta del dito del soldato gli scivolò dentro.

"Ooohhh..." gorgogliò il ragazzo spingendo indietro il bacino a incontrare la lieve spinta del dito, "Prendimi, Nikolas, dai!"

Il soldato aderì col petto alla schiena del ragazzo e guidando il suo forte palo con la mano, individuò il foro palpitante in attesa e iniziò a spingere muovendo in avanti il bacino. Maurice spinse con vigore indietro e il membro, superata la prima debole resistenza, allargò le elastiche pareti e vi si insinuò dentro in un unico scivoloso movimento, finché i peli del pube del soldato sfregarono contro le piccole e lisce natiche del ragazzo.

"Oh sì!" mormorò Maurice facendo palpitare l'ano attorno alla radice del membro che l'aveva finalmente invaso e dimenando lievemente il bacino.

"Ti piace? Sei contento?"

"Sì, Nikolas. E tu?"

"Sono giorni che sogno questo momento. Mi piaci da morire."

"Dai... fammi godere, Nikolas."

"Sì..." disse il giovane e bel soldato.

Fece passare una mano sotto la maglietta del ragazzo e prese a carezzargli il ventre e il petto, a stuzzicargli i capezzoli, mentre con l'altra gli palpava i giovani genitali turgidi. Quindi iniziò a stantuffargli dentro, ondeggiando il bacino avanti e dietro, mentre Maurice gli si spingeva contro a ogni affondo, gemendo lieve la propria gioia e il proprio piacere.

"Oohh, Nikolas, è troppo bello!" mormorò il ragazzo in estasi.

"È vero? Anche per me è bellissimo. Mi piaci da morire, Maurice... mi piaci!" ansimò il giovane soldato agitandosi con virile determinazione in lui.

Erano entrambi talmente eccitati che in breve raggiunsero un forte orgasmo mugolando a bassa voce l'intensità di quanto l'uno stava facendo provare all'altro. Si scaricarono in una serie di vigorosi getti, poi si fermarono, ansando lievemente, i loro cuori che battevano come impazziti.

Poi si staccarono lentamente e entrambi provarono quel senso di lieve melanconia nel non essere più connessi. Maurice si girò fra le braccia del soldato e si baciarono a lungo, mentre i loro corpi tornavano gradualmente alla calma.

"Sei contento?" gli chiese Maurice sorridendogli lieve.

"Incredibilmente contento. E tu?"

"Nikolas, sei splendido. Ci vedremo ancora, vero?"

"Ogni volta che potremo. Sai... sei meglio del mio ragazzo, tu. Mi piace come partecipi con passione."

"Hai un ragazzo?" chiese Maurice lievemente deluso.

"L'avevo... Ma lui ora è morto... E tu?"

"Mi dispiace... Io no... non ho un vero ragazzo. A volte lo faccio con gli amici... ma non è mai stato bello come adesso con te. Era un soldato?"

"No. Era un mio compagno di studi, un ebreo... l'hanno ucciso le camicie brune."

"Mi dispiace... deve essere stato terribile."

"Sì, lo è stato. Vorrei non essere un tedesco. Anche i tuoi genitori... siamo stati noi tedeschi?" chiese con espressione triste mentre entrambi si riassettavano le uniformi.

"È stata la guerra... sì, i tuoi compagni."

"E non provi odio per noi?"

"Non per te... Neanche per voi... ma per quelli che hanno deciso di fare questa guerra. Tu mi piaci... e non solo per come fotti bene."

"Per che cosa allora?"

"La tua voce... il tuo sorriso mi hanno fatto... mi hanno conquistato. E io, perché ti piaccio?"

"I tuoi occhi, la tua allegria... il fatto che anche se sono uno dei vostri nemici non mi hai chiuso la porta in faccia."

"Prima di tutto siamo esseri umani... quando ci ricordiamo di esserlo."

"Giusto, quando ci ricordiamo di esserlo."


Nikolas e Maurice riuscivano a vedersi molto spesso e anche a fare l'amore abbastanza spesso. Nel piccolo stanzino dove c'erano le casse vuote, le avevano spostate in modo di ricavare uno spazio libero sul fondo, ben riparato, dove avevano anche portato un paio di vecchie coperte. Avevano anche trovato il modo di bloccare la porticina dall'interno, cosicché potevano chiudersi dentro, spogliarsi nudi e fare l'amore stesi sulle coperte. Là sotto, anche in inverno, non faceva mai freddo, perché una parete dello stanzino confinava con il locale dei bruciatori di nafta.

Continuarono a vedersi per quasi due anni. Una volta, dopo aver fatto l'amore, Maurice dette a Nikolas un portafoglio di cuoio.

"Questo l'ho fatto io. Voglio che tu lo tenga, per ricordarti di me."

"È molto bello, Maurice... Ma se i compagni lo vedono, possono pensare che l'ho rubato, c'è lo stemma a fuoco della certosa."

"Giù in città li vendono, nel nostro negozietto di fianco alla cattedrale. Puoi dire che l'hai comprato lì. Ma voglio che tu lo tenga, almeno ogni volta che lo userai penserai a me."

"Parli come se non ci dovessimo vedere più."

"Sto per compiere diciannove anni... perciò dovrò lasciare la certosa... e non ho idea dove andrò. Se anche potessi rimanere nei paraggi, diventerà molto difficile vederci."

"Questo mi rende terribilmente triste."

"Potrai trovare un altro ragazzo."

"Mai come te... io... io mi sono innamorato di te, Maurice!"

Il ragazzo spalancò gli occhi, poi lo baciò, poi gli chiese: "Dici davvero?"

"Non scherzerei mai su qualcosa di tanto importante come l'amore."

"Mio dio... e io che non avevo il coraggio di dirtelo."

"Che cosa?"

"Che anche io sono innamorato di te, Nikolas. Innamorato... dal primo momento in cui tu mi hai rivolto la parola."

"Perché non avevi il coraggio di dirmelo? Perché sono tedesco?"

"No, sciocco. Ma perché sei un soldato, oggi qui, domani chissà... Credevo di essere solo un'avventura, per te."

"All'inizio forse un po' lo eri, sinceramente. Ma poi tu mi hai conquistato completamente. Sei un ragazzo magnifico, e non dico solo il tuo corpo. Non voglio perderti."

"Ma come possiamo fare? Io dovrò lasciare la certosa. Tu non puoi lasciare l'esercito."

"Ma questa guerra finirà, prima o poi, no? E allora... allora ci cercheremo, ci troveremo, e potremo finalmente vivere assieme, no?"

"Sarebbe bello... Davvero tu lo vorresti?"

"Con tutto il cuore. Promesso, allora? Tu dovrai lasciare la tua traccia, in modo che io possa venirti a cercare."

"Ogni volta che dovessi cambiare indirizzo, lo farò sapere qui alla certosa."

"Ti giuro che, se sarò vivo, dopo la guerra ti verrò a cercare, amore mio!"

"Ripetilo..."

"Amore!" disse con un sorriso dolce Nikolas e si abbracciarono e baciarono di nuovo.


La guerra stava volgendo al termine, la sconfitta dei tedeschi era sempre più vicina, anche se Hitler e gli alti comandi tedeschi ancora non lo volevano ammettere, anche se si illudevano ancora di poter capovolgere l'andamento della guerra. Gli alleati iniziarono pesanti bombardamenti non solo sulla Germania ma anche sulle maggiori istallazioni tedesche nel resto d'Europa.

Verso la fine del 1943, nel vano tentativo di colpire l'antenna trasmittente che i tedeschi avevano piazzato sul monte alle spalle della certosa di Montsabot, un obice, uno solo, fu lanciato in modo assai maldestro e colpì un gruppo di case alla periferia della città.

In una di queste viveva Jean-Marie Laforest-Brout, uno dei gemelli fratelli di Serge, con la moglie e i suoi due figli maschi di uno e di quattro anni. Chi abitava nei dintorni corse a spegnere le fiamme, a cercare i superstiti. La casa in cui abitava Jean-Marie era semidistrutta. Trovarono il giovane uomo che abbracciava la moglie, cercando di ripararla con il proprio corpo, ma erano morti entrambi. Poco più in là trovarono i due piccoli, miracolosamente illesi, che piangevano terrorizzati.

Qualcuno li prese, qualcun altro andò a chiamare Michel che accorse immediatamente. Michel aveva tre figli, e in quei tempi di guerra riusciva a mala pena a mantenere la propria famiglia. Avrebbe voluto tenere i figli del fratello, ma la moglie gli fece notare che non se la sarebbero potuta cavare. Così, alcuni giorni dopo, Michel prese in braccio i due piccoli e salì fino alla certosa.

"Papà..." disse a Roland, "io avrei voluto tenerli... ma davvero non posso, abbiamo a mala pena di che mangiare noi cinque... così ho pensato che se poteste tenerli voi..."

"Certo, Michel, non ti preoccupare. Serge e io ci prenderemo cura di loro. Hai fatto benissimo a portarli qui. Ma voi, avete bisogno di una mano?"

"No, ce la caviamo."

"Se aveste bisogno... noi siamo la vostra famiglia, non lo dimenticare mai."

"Lo sappiamo, papà. Mi dispiace non poterli tenere io, davvero... Ma so che qui staranno bene."

Così, Serge e Roland decisero di affidare i piccoli ad una delle "famiglie", lasciandoli logicamente assieme, dove c'era posto per due bimbi della loro età. C'erano ormai alla certosa cento novantotto ragazzi, divisi in undici famiglie. Fra insegnanti e assistenti, c'erano anche ventisei adulti.

E venne il 1944. Un giorno il maggiore von Schwerin chiese di parlare con Roland e questi, come sempre, volle che fosse presente anche Serge.

"Signor rettore, quanto sto per dirle deve rimanere strettamente confidenziale. Posso avere la vostra parola di gentiluomini che manterrete il segreto?"

"Si fida di noi, maggiore?" chiese Roland con un lieve sorriso.

"Vi conosco abbastanza per sapere che lei e suo figlio siete due persone d'onore e degne di fiducia. Da uomo ad uomo, so che mi posso pienamente fidare di voi... o non sarei qui."

"Ha la mia parola che nulla di quanto ci dirà uscirà da questa stanza... o dalle mie labbra. Vero Serge?"

"Certamente, ha anche la mia parola, maggiore."

"Bene. Gli alti comandi hanno ordinato un ripiegamento tattico. Questo, per chi come me, pur non essendo nelle alte sfere, grazie al nostro centro di comunicazioni, è al corrente di molte cose, è un modo elegante per dire che il nostro esercito è in rotta. Noi, per garantire la ritirata dei nostri uomini, dovremo essere gli ultimi a lasciare questo posto. Ce ne potremo andare solo quando le truppe alleate saranno alle porte della città. Gli ordini che ho ricevuto sono di far saltare tutto subito prima di abbandonare Montsabot."

"Tutto? Tutta la certosa?" chiese Roland preoccupatissimo.

"No, le nostre istallazioni, l'antenna, i centri di ascolto... Ma minando l'antenna e soprattutto facendo saltare i capannoni o incendiandoli, anche le vostre costruzioni rischiano di essere, se non distrutte, gravemente danneggiate. Voi ci avete ospitati con molta cortesia e disponibilità, e..."

"Veramente vi abbiamo ospitati perché ci avete obbligati a farlo." notò con un lieve sorriso ironico Serge.

"Sì, sono d'accordo, comunque non vi siete mai dimostrati ostili nei nostri confronti. Ci siete venuti incontro... come noi abbiamo cercato di fare con voi. Perciò ho deciso... noi piazzeremo le cariche esplosive come è nostro dovere fare. Ho segnato in questa mappa i punti esatti... saranno comandate da un timer, uno per ciascuna carica... in modo che noi si abbia il tempo di allontanarci. Appena l'ultimo nostro automezzo avrà lasciato la certosa, andate a fermare i timer... qui ci sono le istruzioni per farlo... poi, vi prego, bruciate tutte queste carte. Dovrete dire che siete stati fortunati, che siete riusciti a individuarle e a disinnescarle in tempo. Capite che se per caso noi si dovesse tornare qui... io andrei sotto corte marziale per alto tradimento."

"Perché ha deciso di fare questo, di rischiare così, maggiore?" chiese allora Serge.

"Ricorda che cosa le ho detto un tempo, giovanotto, proprio in questa stanza? Che un militare deve obbedire agli ordini. Un ufficiale deve agire con intelligenza e correttezza. Un uomo deve essere fedele ai valori morali... L'ordine di queste tre cose, a mio parere, è inverso. L'uomo deve innanzitutto essere fedele ai propri valori morali. Io ho sempre cercato di esserlo."

"Pensavo, maggiore... che se noi trovassimo tutte le cariche esplosive, sarebbe un po' sospetto. Almeno una sarebbe bene farla saltare... non crede?" disse allora Serge.

Il maggiore sorrise: "Lei è un giovanotto in gamba, l'ho sempre saputo. Ebbene, potete lasciar saltare quella che sarà posta qui, sul lato est del refettorio. Farò in modo che faccia un bel botto ma che non combini troppi guai. Siamo d'accordo, allora?"

"La ringrazio, maggiore. E spero che, quando questa assurda guerra sarà finita, siamo ancora entrambi vivi e ci si possa incontrare di nuovo... da amici."

"Se saremo ancora entrambi vivi, sì... Tolgo il disturbo, signor rettore, ho molte cose da fare, ora."

"Maggiore von Schwerin?"

"Dica?"

"Non ho mai saputo il suo nome..."

Il maggiore sorrise: "Sieghart, mi chiamo Sieghart. Ai miei piacevano nomi classici della cultura tedesca."

"Buona fortuna, Sieghart." disse Roland tendendogli la mano.

"Buona fortuna... Roland. Buona fortuna Serge."

Due settimane dopo i tedeschi abbandonarono la certosa. Immediatamente Serge con altri insegnanti e assistenti andarono a disinnescare le cariche esplosive e lasciarono saltare quella sulla parete est del capannone del refettorio dei soldati tedeschi, che fece salire una grande e nera colonna di fumo nel cielo. Poi Serge bruciò tutte le carte che il maggiore aveva dato loro.

Tre giorni più tardi, arrivarono in città le forze armate alleate, composte essenzialmente di americani, delle truppe del generale De Gaulle e seguite da formazioni partigiane che erano scese dalle montagne.

Una jeep del comando americano, con anche un ufficiale di collegamento francese a bordo, arrivò nel piazzale davanti alla chiesa della certosa. Il comandante annunciò a Roland che suoi uomini sarebbero arrivati a vedere quanto restava del centro trasmissioni tedesco, per rimetterlo in funzione a uso delle truppe di liberazione. E che quindi avrebbero dovuto ospitare nella certosa una compagnia di soldati americani.

"Abbiamo qualche scelta?" chiese con tono lievemente ironico Roland.

"Scelta? Quale scelta?" chiese l'americano senza capire.

"Nulla. Quando arriveranno i vostri uomini mostreremo loro quanto c'è da vedere. Solo vi prego... questo è un orfanotrofio, abbiamo bambini anche molto piccoli. Con il comandante tedesco si era delimitata una zona per i suoi uomini, in modo di... non trovarceli continuamente fra i piedi, in modo che non interferissero con le nostre attività come noi non si interferiva con le loro. Vorrei che si giungesse ad un simile accordo."

"Molto semplice: tutte le costruzioni che resteranno in vostro uso sono off limits per i nostri soldati così come tutte le costruzioni che useremo noi devono essere off limits per voi e i ragazzi."

"E cosa riguardo a tutto il resto, bosco, prati, eccetera? Non sarebbe meglio stabilire una... linea di confine?"

"No. Che facciamo, stendiamo un filo spinato? Ci mettiamo delle sentinelle? Suvvia, i nostri ragazzi non sono mica una manica di pericolosi nazisti!" disse l'ufficiale mettendosi a ridere.

Roland non insistette, ma chiese: "Sarà lei a comandare il contingente che si installerà qui?"

"No, sarà il capitano Douglas Pebbleton del genio trasmissioni. Un ottimo ufficiale della Luisiana, che parla francese anche meglio di me. Sua madre era una cajun."

"Una... cosa, prego?"

"Sì, un'americana di discendenza francese. Noi li chiamiamo cajun."

Due giorni dopo arrivò alla certosa il capitano Pebbleton, il cajun, che parlava un francese un po' arcaico ma assai corretto ed elegante, con una decina di soldati. Accompagnati da Serge e altri insegnanti della certosa, fecero un accurato sopralluogo.

"Ho saputo che siete stati voi a salvare tutte le istallazioni che i tedeschi avevano abbandonato. Molto bene. Con pochi adattamenti potremo rimettere in funzione tutto l'impianto, ricostruire la parte del refettorio saltata in aria, e anche ripulire gli alloggiamenti per i soldati ricavati dal porticato. Avevano fatto un buon lavoro, i kartofeln, devo ammetterlo. Ho visto che in quella chiesa sconsacrata avete ottimi impianti sportivi. Penso che non abbiate nulla in contrario se li useranno anche i miei uomini, vero?"

"Quando c'erano qui i tedeschi, loro li usavano il sabato e la domenica, quando non erano usati dai nostri ragazzi." rispose Serge.

"No, i miei uomini hanno bisogno di fare molto esercizio fisico, specialmente dato il lavoro sedentario che devono fare. Li useranno tutti i giorni ma di sera, dopo una certa ora. I vostri ragazzi mica li usano ventiquattro ore al giorno, no?"

"Possiamo metterci d'accordo." disse incerto Serge.

"Certo. Ah, ho visto che gli alloggiamenti per i soldati nel portico possono ospitare il doppio dei miei uomini. Il maggiore vuole installare in città anche la nostra tipografia per il giornale per le truppe e per altre nostre necessità e stava cercando il posto adatto. Gli dirò che qui c'è posto in abbondanza. Il capitano Glickman e i suoi uomini possono sistemarsi qui."

"Sì, ma... e dove possono mettere i macchinari?" chiese un tenente.

"Un nuovo capannone dopo quello usato per il refettorio. C'è abbastanza spazio. Prendi nota, McGrover."

Prese le sue decisioni, il capitano lasciò la certosa, facendo fermare un paio dei suoi uomini giù in basso alla casa del guardiano per controllare e azionare l'asta di accesso alla strada che saliva fino alla certosa.


DIETRO - AVANTI