LA CERTOSA DI MONTSABOT |
12 - L'ULTIMO ADDIO A ROLAND |
Nel 1959 Roland cadde gravemente ammalato. I medici gli diagnosticarono una forma di leucemia. Nonostante tutte le cure, il suo declino, lento ma inarrestabile, lo costrinse presto a letto. Serge lo accudiva con amore e anche se cercava di non darlo a vedere, era sempre più triste e abbattuto. "Serge... amore... vai a riposare. Sto bene." "Non mi sento stanco, Roland. E mi piace stare qui con te." "Hai tutto il peso della certosa sulle tue spalle... non ti puoi stancare così per colpa mia. Il dottore, l'infermiere vengono qui spesso... e se avessi bisogno, posso suonare il campanello, no? Non puoi trascurare così la certosa... i ragazzi hanno bisogno di te, lo sai." "Amore, la certosa è organizzata bene, c'è il presidente, c'è il consiglio, ci sono i ministri e i sindaci... Se avessero bisogno di me, mi verrebbero a chiamare. Non ti devi preoccupare. Ah, sai, siamo finalmente arrivati ad avere cinquecento diciannove ragazzi. Tutte le casette sono piene, e girano bene. Ogni anno escono circa venticinque ragazzi e ne possiamo accogliere altrettanti." "Bene." "Qualcuno ha discusso se costruire altre casette per accoglierne di più, ma è prevalsa l'idea che non è opportuno, perché più la certosa diventa grande e più rischia di diventare anonima. Tu che ne pensi?" "Sì, avevamo previsto di arrestarci a cinquecentoventi ragazzi. Credo che sia giusto. Stiamo facendo un bel lavoro, vero, Serge?" "Sì, stiamo facendo del nostro meglio... e ne sono soddisfatto." "Il tuo papà, di lassù... Hervé sarà contento. Ci ha assistiti, fino a ora. E tra poco andrò a trovarlo... e vi assisterò anche io, di lassù." "Non parlare di queste cose, amore." "Perché no? La morte fa parte della vita; un essere vivente è per definizione quello che prima o poi muore. Non mi fa paura la morte. Ho cercato di vivere bene, credo di esserci riuscito. E quando mi presenterò lassù, dal Padre Eterno, sono convinto che mi dirà: ne hai fatte di cazzate in vita tua, ma tutto sommato sei un bravo ragazzo; entra dai!" "Hai solo sessantadue anni, chissà quanti anni ancora camperai. Il Padre Eterno mica ha fretta, sai? Lui è paziente, ti aspetterà." "No, amore... in queste condizioni... prima me ne vado e prima smettiamo di soffrire, tu e io. Non è che io soffra molto, fisicamente... ma stare tutto il giorno qui, su questo letto, senza poter fare niente, senza poter essere utile... questa sì che è una sofferenza. Io aspetto la morte con serenità... aspetta anche tu la mia morte con altrettanta serenità, ti prego." "Roland..." "Lo so, amore mio, che non ti piace sentirmi fare questi discorsi... ma credo che invece sia importante farli. Cosa abbiamo sempre insegnato ai nostri ragazzi? Che bisogna affrontare la vita, in ogni suo aspetto, con serenità e coraggio, no? E allora... cerca di essere coraggioso e sereno." "Roland, ti amo." "Lo so. Il tuo amore e quello di tuo padre sono le cose più belle che mi abbia dato la vita. Sono stato molto fortunato." "Tu sei tutto, per me." "E resterò con te anche dopo che il mio corpo avrà smesso completamente di funzionare, te lo prometto." "Sì..." "Ma prima di andarmene... devo dirti una cosa." "Cosa, amore?" "Quando eri un ragazzino, ricordi? Ti dicevo che assomigliavi moltissimo a Hervé, a tuo padre, sia fisicamente che come carattere." "Sì, ricordo." "Ma io non ti ho amato per quello, in te non ho cercato un sostituto di tuo padre, sai? Io ti ho amato per te stesso. E non è poi così vero che somigli ad Hervé, né come carattere né come fisico, ora che sei cresciuto... eppure mi piaci e ti amo anche più di prima." "Bene." "Volevo che tu lo sapessi. E... un'altra cosa... Quando Hervé si è sposato, mi ero sentito un po' tradito... perché allora non sapevo che in quel modo stava facendo nascere te... per me." "Sei dolce, amore mio." Nel 1961, nel pomeriggio del 19 settembre, Roland si spense serenamente. Era ridotto all'ombra di se stesso. Molti dei ragazzi della certosa piansero, quando si sparse la notizia della morte di Roland. Ai suoi funerali intervenne una vera e propria folla, si calcolò che fossero sfilate davanti alla bara più di ventimila persone. Gli Avi decisero di fare una sottoscrizione per ricordare Roland e con il denaro raccolto regalarono alla certosa otto campane che furono poste all'ultimo piano della Torre dell'Abate, una per ognuno degli archi dell'antica cella campanaria. Da quel giorno le ore del giorno e i segnali delle attività della certosa furono scanditi dai rintocchi delle campane. Ogni campana aveva una nota, dal La7 al La8 così nelle feste si potevano anche suonare semplici e belle melodie.
Venne il 1962 e in marzo una moto arrivò su fino al piazzale della certosa. Ne scese un giovanotto sui trenta anni, che indossava abiti in pelle attillati. Si tolse il casco e il ragazzo che era accorso per riceverlo lo guardò con occhi sbarrati: il nuovo arrivato aveva un viso molto bello: occhi di un celeste intenso, un gran ciuffo di capelli castano chiaro ondulati come se fossero mossi dal vento, fattezze regolari, labbra sensuali con gli angoli lievemente piegati in su come se fossero perennemente illuminate da un sorriso. "Ciao!" il giovanotto salutò allegramente il ragazzo. "Ciao!" rispose il ragazzo continuando a contemplare il nuovo arrivato. "Come ti chiami?" "Sono Fabien Mercier della Ruota." "Della Ruota? Che significa?" chiese il giovanotto incuriosito." "Che faccio parte della casa-famiglia R." spiegò il ragazzo. "Quanti anni hai?" "Quindici. Posso esserti utile? Cerchi qualcuno?" "Io... sono andato via da qui undici anni fa. C'è ancora il rettore Roland? Ah no, aveva lasciato il posto a Serge, è vero." "Roland è morto, l'anno scorso. Non l'hai saputo? Serge c'è ancora. Vuoi parlare con lui?" "Morto? Ma non era così vecchio! Di che cosa è morto?" "Leucemia. Se sei un Avo, come mai non l'hai saputo?" "Ho perso i contatti, sono stato via, lontano." "Allora, vuoi parlare con Serge?" "Eh, magari." "Se ti devo annunciare, devi dirmi come ti chiami." "Philippe Maraudin." "Aspetta un momento, vado a vedere se ti può ricevere." disse il ragazzo e di corsa salì fino al primo piano della Torre dell'Abate. Tornò dopo poco e guidò il giovanotto su, nello studio di Serge. "Philippe! Sono felice di rivederti... avevamo perso le tue tracce." "Ciao, Serge. Condoglianze per la morte di Roland, l'ho saputo solo ora. Deve essere stata dura per te, perderlo." "Per me... e per tutti, qui. I ragazzi stanno facendo un libro su di lui, perché anche in futuro tutti lo ricordino. Era molto amato da tutti." "Sì, hai ragione. Anche ai miei tempi, non c'era uno di noi ragazzi che non ti invidiasse Roland." "Ma dimmi, dove sei finito? Che hai fatto in questi anni?" "Uscito da qui, avevo fatto un corso per diventare indossatore... a Parigi. Ho mandato il mio book ai più grandi stilisti, con poco successo, finché uno stilista italiano mi ha chiamato... un certo Rinaldo Zorzi... non era molto famoso. Comunque almeno cominciavo a lavorare. Prima Firenze, Milano, Roma. Poi New York, Londra, Parigi... A Milano ho conosciuto un corridore di formula uno inglese... mi ha voluto con sé... come amante. Per cinque anni ho fatto... il mantenuto. Stavo bene, mi viziava. Poi lui... nel circuito di Montecarlo... un incidente. Dopo tre giorni di coma... se n'è andato. Mi sono trovato senza arte né parte, in mezzo ad una strada. "Tre anni fa ho conosciuto un regista teatrale italiano, a una festa. Mi ha offerto di entrare nella sua compagnia, mi ha insegnato il mestiere di attore. In cambio... dovevo scopare la moglie mentre lui scopava me. Mi sono stufato, ero solo un oggetto sessuale, un vibratore per la moglie e un buco per lui. Così due mesi fa li ho mandati a quel paese... e di nuovo ero in mezzo a una strada, di nuovo senza arte né parte. Non so fare niente, capisci? Mi sono detto: eccomi qui, a trenta anni, solo come un cane randagio. "L'unico periodo veramente bello, pieno di calore, della mia vita è stato qui, con voi. Questa è casa mia... lo era. E allora ho pensato... di provare a tornare. E volevo chiederti... se mi volete di nuovo qui, magari per fare le pulizie, lo sguattero in cucina... qualsiasi cosa. Potrei andare a fare lo sguattero altrove... ma vorrei... vorrei tornare a casa!" concluse Philippe e una lacrima brillò nei suoi begli occhi. "Philippe, tu hai un diploma di media superiore, conosci, credo bene, anche l'italiano e l'inglese, hai fatto esperienze interessanti, hai girato all'estero. Che ne diresti se... Dopo la morte di Roland, che si occupava della nostra biblioteca, non abbiamo più un bibliotecario a tempo pieno. Se ti interessasse, potrei chiedere al consiglio se ti possiamo dare il posto. Che ne dici?" "Lo accetterei volentieri e con gratitudine. Ma qualsiasi cosa, davvero qualsiasi cosa. La gioventù passa, la bellezza svanisce, i piaceri... spesso sono solo illusioni. Voi siete la mia famiglia, l'unica mia famiglia... Qualsiasi cosa, Serge, ma datemi una mano, riprendetemi con voi." Così Philippe divenne il nuovo bibliotecario della certosa. Vi si applicò con dedizione, serietà ed entusiasmo. Vedendo il problema dei "libri speciali" cioè dei testi che era meglio nascondere in caso di ispezioni, propose di tenerli tutti, compreso il loro schedario, in due stanze dell'ultimo piano, il cui accesso si poteva nascondere con uno scaffale pivottante. La sua idea fu subito accolta e si fecero le necessarie modifiche. Frattanto Philippe, oltre a essersi ben inserito nella vita della certosa, aveva stretto amicizia con Fabien Mercier della Ruota, il ragazzo che l'aveva accolto al suo arrivo. E Fabien aveva perso la testa per lui. Perciò per un anno, divenne un frequentatore assiduo della biblioteca, per avere la scusa di vedere Philippe e di stare con lui. Il giovane uomo si rese conto di quanto il ragazzo stava provando nei suoi confronti, perciò un giorno ne andò a parlare con Serge. "Serge, devi darmi una mano." "Qualche problema?" "Sì e no. Sai chi è Fabien Mercier della Ruota, no?" "Certo, è il nostro receptionist." "Sì. Ho la netta impressione che il ragazzo abbia perso la testa per me... e che mi stia facendo una corte molto discreta ma serrata." "Non mi stupirebbe, sei un gran bell'uomo, sei simpatico, sexy..." "Non so come comportarmi con lui. Da una parte non vorrei dargli una delusione, rifiutandolo. Ma dall'altra..." "Tu, che cosa provi per lui?" "Amicizia... affetto... anche una certa attrazione. Ma lui ha solo sedici anni, io trentuno." "Sai che non incoraggiamo, ma neppure scoraggiamo queste cose, no?" "Certo, lo so, come ai miei tempi... Ma cosa gli posso offrire, io? E poi, fra tre anni dovrà andarsene, e per cinque anni non potrebbe tornare qui... le regole sono sempre quelle, no?" "Sì... Ma se tu vivessi e lavorassi fuori di qui, e se tu lo avessi incontrato fuori di qui... mettiamo se fosse un tuo vicino di casa, o il figlio di amici... cosa faresti?" Philippe sorrise: "Sinceramente? Quel ragazzo mi piace un sacco, però... è troppo giovane. E poi qui è diverso, siamo una famiglia." "Una famiglia molto particolare, comunque. Cercheresti di scoraggiarlo? O lo incoraggeresti? O lo lasceresti fare e vedresti come va a finire?" "Non sono un pezzo di legno... È molto carino, e ben sviluppato... l'ho visto nella palestra... Se lui non fosse interessato a me, non avrei nessun problema, non sarei certo io a corrergli dietro. Da una parte mi dispiacerebbe deluderlo, dall'altra non me la sento di incoraggiarlo. Davvero non so come comportarmi, con lui." "Perché non gli dici tutto questo chiaramente? Non è forse la verità la cosa migliore? Digli tutto e ragionane con lui, e giungete a una decisione insieme. Qualunque sia, so che tu non approfitterai di lui e tanto meno gli farai del male." "Certo che no. Ma potrei fargliene involontariamente, se mi comportassi in modo imprudente." "Il fatto stesso che tu me ne parli mi dice che non sarai imprudente." Così Philippe invitò Fabien a fare una passeggiata con lui su per il bosco. Il ragazzo era eccitatissimo, raggiante. "Fabien?" "Dimmi." "Tu ti sei preso una cotta per me, non è vero?" Il ragazzo si illuminò in un ampio sorriso: "Sì... speravo che te ne accorgessi." "Tu mi piaci, mi piaci parecchio. Ma ci sono alcune cose che devo dirti. Primo, tu sei ancora un po' troppo giovane per me... o forse sono io ad essere troppo vecchio per te. No, aspetta, fammi parlare. Secondo, fra tre anni tu dovrai andare via da qui e per cinque anni non potrai tornarci. Quindi se anche io accettassi la tua corte, sarebbe una relazione destinata a finire... o per lo meno a interrompersi. Terzo, tu mi piaci molto, ti voglio bene, ma non sono ancora... innamorato di te. Io, nella mia vita, ho passato anche troppe esperienze in cui ho accettato una relazione senza amore... per convenienza, per piacere, per... per altro e tutte sono fallite, lasciandomi ogni volta col culo per terra. Non ci voglio più cascare. Se comincerò una relazione, sarà solo per amore. Magari potrà fallire ugualmente, ma almeno ne uscirò senza rimorsi e senza rimpianti." "Potresti però... magari un po' per volta... innamorarti di me. Non puoi escluderlo." "Certo, e quel giorno ne riparleremo. Ma ora le cose stanno così. Per te provo molta simpatia, amicizia... e devo ammetterlo, anche un certo desiderio, anche una certa attrazione. Ma questo non basta, almeno da parte mia, per cominciare una relazione. E nello stesso tempo è troppo per fare semplicemente un'allegra scopata. Mi capisci?" "E allora? Che cosa dovrei fare, io, adesso?" chiese Fabien un po' mogio. "Restiamo amici, se per te va bene. Smettila di farmi la corte. E semplicemente vediamo come la cosa evolve. Tu ti sei preso una cotta per me, e questo mi lusinga... ma un cotta non è ancora... amore. Ve le fanno ancora le lezioni sulla sessualità e sui sentimenti, no? Rifletti su quello che ti hanno insegnato: non sono solo cose teoriche, cerca di calarle nella tua vita, in questa situazione. E ti dico questo perché ti voglio bene, perché desidero che tu capisca, e maturi, e stia bene con te stesso... oltre che con gli altri." "Maturare è doloroso." "A volte lo è. Ma è un po' come le doglie del parto: sono inevitabili se deve nascere un bimbo." "E se... se maturerò... magari le cose fra te e me potranno un giorno cambiare? Migliorare?" "Ne sono più che convinto, Fabien. Mi dispiace se questo che ti ho detto, adesso ti fa stare male... ma dovevo dirtelo, proprio perché per me tu non sei un estraneo, uno qualsiasi, qualcuno di cui non mi interessa." "Ho capito, Philippe. Va bene come dici tu, smetterò di farti la corte... di farmi illusioni... cercherò di maturare... e sono sicuro che un giorno ne riparleremo." "Sì, è molto probabile, Fabien."
Il 13 maggio del 1964, il capo-famiglia della Luna si accorse che Alain Raffet, il ragazzo di diciassette anni, mancava da casa. Lo mandò a cercare nei dintorni, lo chiamarono, ma non si trovava. Allora andò da Serge per avvertirlo che non riuscivano a trovare Alain. Serge prese il microfono e provò a chiamarlo con gli altoparlanti: ovunque fosse stato nell'ampio recinto della certosa, non poteva non sentirlo. Ma dopo più di un'ora Alain era ancora assente. Provarono a chiedere in giro se qualcuno l'avesse visto o se potesse avere idea di dove fosse andato, ma senza alcun risultato. Ora Serge era preoccupato, era la prima volta, nella storia della certosa che un ragazzo scompariva così, senza lasciare traccia. Le sue cose erano tutte a posto, nella casa. Alla fine Serge, se pure a malincuore, si decise a scendere in città e ad andare alla gendarmerie per denunciare la scomparsa del ragazzo. Non era contento di doverlo fare, ma d'altronde, se al ragazzo fosse accaduto qualcosa, quello era il solo modo per non avere conseguenze penali. Il commissario prese nota e disse che l'indomani avrebbero iniziato le ricerche, se nel frattempo il ragazzo non fosse tornato a casa. Serge, un po' agitato, tornò alla certosa. Quella notte né Serge né il capo-famiglia dormirono. Alain era uscito alla chetichella dal recinto della certosa quel pomeriggio tardi, facendo ben attenzione a non farsi vedere. Tagliando per i campi, aveva raggiunto la città poco dopo l'imbrunire, come voleva. Quindi, sempre facendo molta attenzione a non farsi notare, raggiunse la casa in cui era l'appartamento di Théodore. Salì al quarto piano, dove questi abitava, individuò la porta con su appiccicato un rettangolo di carta su cui era stato battuto a macchina "Théodore Savigny - imbianchino" e girò la manopola del campanello. Nessuno rispose. La girò altre due, tre volte, invano. Allora sedette sul pavimento del pianerottolo, davanti alla porta e si mise ad attendere. Il tempo passava, lento. La luce delle scale s'era già spenta automaticamente da un bel po' e Alain stava al buio. A volte da uno degli appartamenti veniva una voce ovattata, o zaffate di odori di cucina. Alain cominciava a sentire fame. Sentì suonare, al campanile della vicina chiesa, dieci rintocchi. Si chiese se per caso Théo fosse fuori città... che poteva fare se fosse stato così? Tornare alla certosa? A quest'ora sicuramente avevano notato che era scomparso e lo stavano cercando... e si sarebbe preso una solenne lavata di capo e una punizione. Sapeva di meritarla... ma non poteva fare diversamente da quanto aveva fatto. Non era ancora suonato il rintocco delle dieci e mezza che la luce delle scale si accese con un secco clac, poi Alain sentì un rumore di passi che salivano. Il cuore gli saltò in petto, aveva riconosciuto i passi di Théo, ne era sicuro. Si alzò in piedi e guardò nella direzione in cui finiva la rampa di scale che saliva dal basso. Un'ombra si disegnò sulla parete, proiettata dalla nuda lampada del pianerottolo di mezzo e dopo poco vide comparire la testa di Théo. Il giovane uomo guardava qualcosa che aveva in mano, perciò non lo vide. Stava scegliendo una chiave dal mazzo, la chiave di casa. Arrivato sul pianerottolo guardò verso la porta di casa sua e vide Alain, si fermò interdetto. "Alain! Che cavolo ci fai, qui a quest'ora?" "Volevo vederti..." disse il ragazzo sentendosi improvvisamente impacciato. Aveva sperato che Théo gli sorridesse, si dimostrasse contento di vederlo lì, che lo attendeva, e invece il giovane uomo aveva un'aria accigliata. "Ma che, sei scappato dalla certosa?" "No... ho chiesto il permesso." "Non contare palle! Credi che non lo sappia che a quest'ora non te lo avrebbero dato? Allora?" "Sì... volevo vederti." ripeté il ragazzo abbassando gli occhi, vergognandosi di aver detto una bugia. "E non potevi aspettare domenica? Ti avrebbero lasciato venire, no?" "Ma tu la domenica non ci sei mai... Non mi fai entrare? Dobbiamo restare qui sul pianerottolo?" "No... spostati, che apro. Dio quanto sei... ma ti rendi conto..." brontolò a bassa voce il giovane, girando la chiave nella toppa della porta. La aprì e la sospinse contro il muro: "Dai, entra, scemotto!" Lo seguì dentro e lo sospinse verso la cucina-soggiorno. "Scommetto che non hai cenato." "No..." "Io ho cenato fuori, con gli amici. Aspetta, vah, che ti preparo qualcosa." "Tu la domenica non ci sei mai... sono venuto a cercarti un sacco di volte." "Vado in giro con gli amici. Che ci starei a fare a casa da solo? Ad ammuffire." "Ti sei fatto la ragazza?" gli chiese Alain che s'era seduto al tavolo, guardandolo di sotto in su. "La ragazza? Ma va là! Proprio tu dovresti saperlo, no?" "Che c'entra. La maggioranza, quando esce, si fa la ragazza, si sposa. Lo sappiamo tutti." "Non io... mi piacciono troppo i ragazzi." "Allora ti sei fatto il ragazzo." "Primo, mica è così facile, qui fuori. Secondo, per ora non mi interessa." "Sei già uscito da due anni... vuoi dire che in due anni... niente?" "Esatto, in due anni niente! Qualche volta la voglia si sente, ma... me la sono tolta da solo. Credi a me, là in famiglia era una pacchia. Ce l'avevano detto che fuori è diverso, ma non credevo che fosse... tanto diverso. Magari a chi gli piace andare con le ragazze qui fuori la vita può essere più facile, ma per quelli come me, non lo è proprio per niente... almeno per quanto riguarda il sesso." "Ma per il resto?" "Ah, il resto va tutto bene. Sì, va bene. Questo appartamento è minuscolo, ma costa anche poco e con quello che guadagno... magari il prossimo anno mi posso comprare anche una due cavalli, chi sa?" "E ti piace fare l'imbianchino?" "Sì... mica si dà solo il bianco... si mettono su belle carte da parato, a volte si fanno fregi a più colori, con i rulli o con i pennelli. Non proprio un lavoro da pittori, da artisti, ma comunque bello... E tu?" "Al solito." "Ecco, comincia a mangiare questo. Poi ti faccio un paio di uova strapazzate." "Grazie." "Ti sei fatto un altro ragazzo?" "No... Tu sei stato il primo... e anche l'unico." "L'unico? Ma come, ce n'erano di ragazzi belli, nella nostra famiglia!" "Che c'entra belli o non belli... Tu eri speciale." "Oh via, speciale!" "Sì, Théo... tu eri speciale! E io voglio solo te. Per questo sono venuto... Io sono innamorato di te, non gliela faccio a stare lontano da te." Il giovanotto si fermò, smise di strapazzare le uova e si girò a guardarlo, studiandone l'espressione e si accorse che il ragazzo stava disperatamente cercando di non mettersi a piangere. "Alain... ma dai! Siamo stati solo un anno assieme." "No! Siamo stati sedici anni assieme! Io sono entrato che avevo un anno e tu eri già lì. Siamo cresciuti assieme... e io sono secoli che ti amo... per questo quando ho compiuto quindici anni ho chiesto a te di farlo con me... E l'abbiamo fatto solo per un anno, ma io ero già innamorato di te!" gli gridò quasi Alain, non per la rabbia quanto per l'intensità delle emozioni che stava provando. "Non lo sapevo... non me l'hai mai detto." "Credevo che non fosse necessario, credevo di dimostrartelo abbastanza... credevo. E tu, quando scopavamo, qualche volta l'hai detto: ti amo! E io ci ho creduto. Avevo bisogno di crederci. E adesso... adesso tu mi dici che erano solo parole." "Alain... non ti ho detto questo." "No... e allora, cosa m'hai detto?" "Alain, per me... tu sei il più importante di tutti quanti eravamo lì dentro, in casa nostra." "Ma tu mi hai detto ti amo!" gli disse in tono di rimprovero il ragazzo. Théodore spense il gas, scodellò le uova strapazzate davanti al ragazzo, poi gli si sedette di fronte, al di là del piccolo tavolo. "Alain... dopo te... non ho avuto nessun altro ragazzo... e sai perché? perché nessuno era come te." "No, hai detto che era perché qui fuori non è facile. Non mi cambiare le carte in tavola, adesso. Se non te ne frega niente di me, dimmelo chiaro e tondo, no? almeno so... so..." Il giovane scosse la testa lentamente, guardandolo e si chiese come facesse a trattenere le lacrime che evidentemente gli stavano premendo dietro gli occhi. Provava una tenerezza infinita verso quel ragazzo, un affetto profondo... e sì, gli era mancato, da quando era uscito dalla certosa. "Alain..." "E piantala di ripetere Alain, Alain!" disse a voce bassa, con tono un po' irritato, il ragazzo e si mise a mangiare a grosse forchettate le uova strapazzate e morsi di pane, morsi quasi rabbiosi. "Nessuno era come te, Alain, te lo giuro." Poi aggiunse a mezza voce, "Nessuno è come te." "Perché ti piaceva scoparmi?" chiese Alain ancora irritato. "Mi piaceva, sì... almeno quanto piaceva a te. Ma non era solo quello. Mi piaceva anche scopare Lucien... ma tu eri diverso, tu eri speciale. Con te non era soltanto scopare." "E cos'era allora?" "Era... era... Buon dio, Alain, era sentirmi bene dentro come non m'ero mai sentito. Credi che non mi sia dispiaciuto dovermene andare, quando ho compiuto diciannove anni? Credi che non abbia sentito la tua mancanza? Credi che anche adesso, non sto morendo dal desiderio di stringerti fra le mie braccia, di fare l'amore con te? Di poterti ripetere quelle parole?" "Allora... perché non lo fai?" chiese Alain alzandosi, e finalmente due lucciconi gli solcarono le gote. Théodore si alzò in piedi, lo prese fra le braccia, lo strinse a sé e lo baciò. "Portami di là... Théo... Ti prego, portami di là." In silenzio, sempre tenendolo abbracciato, quasi incespicando tanto stavano stretti, il giovane uomo portò il ragazzo in camera da letto. Baciandolo e carezzandolo, lo spogliò, mentre Alain emozionato e con mani tremanti spogliava lui. Poi lo sospinse sul letto e gli si stese sopra. E finalmente cominciarono a fare l'amore. Mentre Théodore lo penetrava, gli sussurrò: "Ti amo, Alain." "Ripetimelo. Pensaci bene però e, se è proprio vero, ripetimelo." sussurrò il ragazzo. "Ti amo, Alain, ti amo!" mormorò il giovane uomo e finalmente cominciò a muoversi su e giù dentro il suo ragazzo. Quando finalmente si rilassarono, momentaneamente appagati, tenendosi teneramente abbracciati e continuando a baciarsi, il sorriso di nuovo era fiorito sul volto di Alain. Un sorriso dolcissimo, pieno di luce. "Tienimi qui con te, Théo." lo pregò il ragazzo. "Sai che non è possibile... amore. Ma una cosa ti prometto: ti aspetterò." "Ancora due anni..." "Sì, e saranno lunghi, ma... sai che dobbiamo farlo, non è vero?" "Non voglio saperlo, Théo!" disse con tono triste il ragazzo. "Non vorrei neppure io. Ora è troppo tardi, la certosa è chiusa e io non ho il telefono. Quel che è fatto è fatto. Ma domattina andrò dal capo a chiedergli mezza giornata, poi ti accompagnerò su. Mi prometti che mi aspetterai?" "Ma... almeno la domenica... ti farai trovare in casa?" "Certo, te lo prometto. D'ora in poi ne ho motivo." Si addormentarono, sentendo un misto di tristezza e di allegria: tristezza per doversi nuovamente separare, allegria perché si erano ritrovati. Il mattino seguente Théodore riaccompagnò Alain alla certosa e chiese di parlare con Serge. L'uomo, visto che Alain era con lui, per prima cosa telefonò alla polizia dicendo che il ragazzo era tornato... che era stata soltanto una marachella e si scusò. Poi mandò Alain alla sua casa. Théodore, finalmente, gli spiegò che cosa era successo e perché. E gli spiegò anche che aveva convinto Alain di non farlo più, di aspettare i due anni come tutti gli altri, e che lui la domenica l'avrebbe aspettato a casa sua, giù in città... per rendergli l'attesa meno lunga. Serge lo ringraziò per quanto aveva fatto: "Ti sei comportato molto bene, Théo. Hai agito nel modo migliore." "Serge... mi prometti che non lo punirai?" "Sai che devo farlo, ma sai anche che sarà Alain a scegliere la punizione giusta. Ma ora dimmi, Théo, onestamente, tu davvero lo ami?" "Sì, Serge... io lo amo davvero." "Quindi anche per te questi due anni saranno duri, immagino." "Ora che ce lo siamo detto, saranno da una parte più duri di prima, ma dall'altra, forse, un po' meno." "Io credo che a questo punto qui alla certosa dovremmo forse modificare un poco le nostre regole... almeno per casi come il vostro." "Modificare? E come?" "Per esempio... ma non sta a me decidere, io posso solo proporre... permettere che tu venga su alla certosa, magari anche tutti i giorni, o quando puoi, la sera, e che voi due possiate stare insieme, anche solo un'oretta o due... in intimità." "Sarebbe bellissimo, Serge... e ci renderebbe molto più facile aspettare, superare questi due anni." "Alain ormai ha una stanzetta tutta per sé, alla casa... potreste trovarvi lì, in pace... se il regolamento cambiasse." "Spero che tu riesca a farlo cambiare, te ne saremmo tutti e due grati, e forse anche altri ragazzi... ma anche se non si potesse, faremo del nostro meglio per superare questi due anni anche con le vecchie regole, te lo prometto." "Sei un ragazzo in gamba, Théodore." "Beh, tutto merito vostro, di come ci avete tirato su, no?" rispose il giovane con un ampio sorriso. La modifica alle regole proposta da Serge fu discussa sia dai ragazzi che dagli adulti, poi si fece una riunione congiunta e, dopo un'ulteriore dibattito, fu messa ai voti. E fu approvata con la maggioranza assoluta dei voti. Con grande gioia di Alain e Théodore.
|