LA CERTOSA
DI MONTSABOT
8 - LA CERTOSA APRE LE PORTE

Il mattino seguente si svegliarono l'uno nelle braccia dell'altro e si sorrisero radiosi.

"Ciao... amore." sussurrò Roland.

"Ciao, mio dolce amante... Hai dormito bene?"

"Splendidamente. E tu?"

"Mi sento... mi sento... un altro! Ora sono tuo, e sono felice."

"Sì... ma anche io sono tuo. E vorrei, prima di alzarci... vorrei che stamattina fossi tu a prendere me. Con Hervé si faceva così. Lui prendeva me e io prendevo lui. O meglio, lui si donava a me e io mi donavo a lui."

"Sì, ti capisco, è vero... non è tanto prendere, quanto donare, giusto? Fisicamente può essere uguale, ma in realtà è molto diverso."

"Certo, perché è l'amore che ci spinge, più che il desiderio."

"E tu mi ami, vero? Ora lo sai anche tu, non è vero?" gli chiese il ragazzo con occhi brillanti.

"Sì, ora lo so anche io... amato mio!"

"Io credo... credo davvero che... che sia stato il mio papà a fare in modo che noi due ci siamo innamorati. Era qui, è qui, che ci sorride, ne sono sicuro."

"È facile che tu abbia ragione."

"Vi siete amati molto, non è vero?"

"Sì, moltissimo."

"Per questo a me ha messo nome Serge Roland."

"Proprio così."

Entrambi erano felici, si sentivano pieni di amore, vedevano la vita con occhi nuovi. Anche se di fronte agli altri le manifestazioni del loro affetto dovevano limitarsi a quelle fra un patrigno e un figliastro, loro sapevano che ora un legame nuovo e bellissimo s'era instaurato fra di loro.

Finalmente poterono trasferirsi nella Torre dell'Abate, in cui era stato ricavato un bell'alloggio al primo e secondo piano e stanze per gli ospiti al terzo. A pianterreno, oltre al porticato, c'era una salone vuoto e la scala di accesso. All'ultimo piano la cella campanaria, con due archi su ogni lato ma senza campane, era come una terrazza coperta, un belvedere. Era, come tutta la parte più antica del complesso, una costruzione in pietra in stile tardo-gotico. Ma l'interno, arredato con alcuni bei mobili portati dalla villa, era moderno e funzionale.

Al secondo piano c'era la loro camera da letto e la camera da letto per i gemelli, che avevano ora dieci anni. Questi, quando videro che il loro fratello maggiore dormiva con Roland, gliene chiesero il perché.

"Ma tu dormi con papà?" chiese Michel.

"Sì." rispose tranquillo Serge.

"E come mai? Ci sono anche altre stanze, al piano di sopra... non ti sarebbe piaciuto avere una camera tua?" domandò Jean-Marie.

"No, preferisco dormire con Roland."

"Ma c'è solo un letto, nella camera di papà." notò Michel.

"Certo, io dormo con lui."

"Ma... perché?" chiese Michel aggrottando le sopracciglia cercando di capire.

"Ascoltate, vi devo spiegare una cosa molto importante. Ma voi mi dovete giurare che non ne parlerete mai con nessuno, a parte me e Roland."

"Certo, te lo giuriamo!" risposero i due ragazzini, seri.

Così Serge prima spiegò loro come alcune persone amano persone dell'altro sesso, alcune quelle del proprio sesso, e alcune indifferentemente una dei due sessi. Poi spiegò anche la differenza fra fare l'amore ed essere innamorati. Raccontò poi loro del loro vero padre, Hervé, di come avesse amato sia Roland che la mamma. E infine spiegò loro che lui e Roland si amavano e perciò facevano l'amore, quindi dormivano nello stesso letto. Poi li avvertì che la gente in maggioranza non ammette queste cose e rinnovò la richiesta che giurassero di non parlarne mai con estranei.

I due ragazzini accettarono con molta serenità il tutto.

Michel disse: "Mi fa solo un po' buffo pensare che Roland, che è in qualche modo il nostro papà, faccia l'amore con mio fratello."

"Ma sappiamo che il nostro vero papà era Hervé e non Roland... e poi forse è per questo che Serge non lo chiama mai papà." commentò Jean-Marie.


Finalmente, nel settembre del 1924 la Certosa fu inaugurata. Il governo assegnò alla Certosa ventisei ragazzini di età compresa fra i sei e i diciassette anni, che furono sistemati nelle prime tre casette ristrutturate. Frattanto Roland aveva trovato cinque insegnanti, reclutati tramite inserzioni e esaminati da Roland e Serge. Così si cominciò anche a insegnare ai ragazzi, benché la scuola interna non avesse ancora il riconoscimento dal Ministero dell'Educazione. Semplicemente si pensò che li si sarebbe mandati a sostenere gli esami nella scuola pubblica come privatisti.

Erano anche state preparate le uniformi per i ragazzi, che consistevano in una giacchetta blu chiaro corta a vita con solino inamidato, calzoni e ghette bianchi, képi con il pompon colorato e una mantellina nera. Il pompon era azzurro per i ragazzi fra i sei e i nove anni, bianco per quelli fra i dieci e i quattordici e rosso per quelli da quindici anni in su. Se e quando avessero avuto anche bimbetti piccoli, di meno di cinque anni, avrebbero avuto il pompon giallo... ma per ora non ce n'erano.

Presto però sorse un problema: un insegnante, che era andato in una delle casette per portare un libro a uno dei ragazzi, aveva sorpreso un ragazzo di sedici anni mentre ne stava scopando uno di quattordici. L'uomo, scandalizzato, aveva ingiunto ai due di rivestirsi e di aspettare lì in casa, poi era andato da Roland per raccontargli il fatto e chiedere che i due ragazzi fossero puniti.

Roland annuì e gli disse che avrebbe preso provvedimenti. Per prima cosa ne parlò con Serge. Poi convocò i cinque insegnanti.

"Allora, professor Fontenoy, ci vuole riferire che cosa ha visto?" gli chiese con tono tranquillo.

"L'allievo Revlon e l'allievo Charrier in atteggiamento sconveniente." disse secco l'uomo.

"Mi scusi, monsieur Fontenoy, le dispiace essere più preciso? Siamo tutti uomini adulti, non è necessario nascondersi dietro le parole, penso."

"Revlon stava buggerando Charrier, ecco cosa è successo." disse secco l'insegnante,

"Con buggerare intende che stavano avendo un rapporto anale?" insisté Roland.

"E che altro!?" sbottò l'uomo.

"Ha chiesto loro come fosse nata quella situazione?"

"Avrei dovuto? Che senso ha?"

"Certo che ha senso, monsieur Fontenoy. La cosa acquisisce un aspetto totalmente diverso se i due ragazzi erano consenzienti o se uno dei due ha usato violenza, fisica o morale, sull'altro." spiegò pazientemente Roland.

"Queste sono questioni di lana caprina!" disse il professore.

"Lo sono forse per lei, mio egregio professore, non per me. Se è vero, come è vero, che noi dobbiamo educare questi ragazzi, dobbiamo innanzitutto sapere come siano arrivati a questo, perché, quali giustificazioni possano avere. Solo così possiamo intervenire efficacemente sulla loro educazione."

"Bisogna punirli, dargli venti vergate a testa, poi metterli in segregazione! Ecco l'unica cosa sensata da fare." insisté l'uomo.

Un altro degli insegnanti intervenne: "A me sembra che abbia ragione il nostro rettore. Dovremmo comunque ascoltare i ragazzi, prima di decidere una punizione. Una punizione è efficace solo se è dettata da giustizia."

In breve la discussione divampò. Ma Roland, con molta pazienza e tranquillità, gradualmente la condusse dove lui voleva. E infine tirò fuori l'idea che gli aveva suggerito Serge.

"Il nostro problema non è solo educare questi due ragazzi, ma anche tutti i nostri ragazzi. Pertanto credo che dovremo in qualche modo coinvolgere tutti gli altri ragazzi della loro età o più vecchi. Sono... nove in tutto, mi pare. Quindi propongo che io con due di voi, si interroghi i due ragazzi in questione alla presenza degli altri sette, che fungeranno in qualche modo come giuria. E che, ascoltato ciò che Revlon e Charrier hanno da dire, ci propongano come risolvere la questione. Noi tre adulti, infine, prenderemo le nostre decisioni."

Così si fece. Roland scelse i due che durante la discussione gli erano sembrati più ragionevoli. Quindi, senza dire nulla a questi due, mandò Serge a parlare con Revlon e Charrier per consigliare loro di fidarsi ed essere sinceri. Poi Serge parlò anche con gli altri sette, spiegando loro come sarebbe avvenuto il "processo", quale sarebbe stato il loro ruolo. E invitò anche questi a essere sinceri e a dire quello che realmente pensavano.

Preparato così il terreno, Roland fece allestire nella sala a pian terreno della Torre dell'Abate un grande tavolo con tre sedie dietro, due davanti, una di lato per Serge che avrebbe funto da segretario, e sette dall'altro lato per la "giuria".

Per prima cosa Roland esordì: "Ragazzi, siamo qui riuniti per valutare quanto sapete che è accaduto e prendere a riguardo una decisione il più possibile giusta ed equilibrata. Ma affinché sia veramente giusta è necessario che ognuno di voi parli in totale sincerità e, oltre a dire come si sono svolti i fatti, apra il proprio cuore. Vi prego quindi, vi prego davvero, di essere onesti e sinceri fino in fondo, come lo saremo noi. Ora ascolteremo prima Charrier, poi Revlon, separatamente. Poi, dopo una breve discussione fra di noi, li sentiremo di nuovo congiuntamente. E tutto chiaro fin qui?"

Serge scriveva tutto quanto veniva detto. Tutti assentirono. Allora fu fatto uscire Revlon.

"Charrier, vuoi dirci tu come si sono svolti i fatti?" chiese Roland con un sorriso.

"Monsieur Laforest, io..." iniziò il ragazzo quattordicenne torcendosi le mani in grembo e guardando a terra, "io ero nella camera da letto e... e mi ha preso voglia... e allora... ho cominciato a menarmelo..." disse arrossendo.

Uno dei due professori chiese: "Eri solo?"

"Sì, monsieur, ero solo. E allora, me lo stavo... menando... quando è entrato Gilbert... Revlon, cioè... e mi ha chiesto se mi piaceva... gli ho detto di sì e lui mi ha detto che anche a lui piaceva fare... menarselo. E mi ha chiesto se mi andava di farlo insieme... cioè lui a me e io a lui... e io gli ho detto di sì e si è seduto sul letto vicino a me e si è aperto i calzoni... e ce lo siamo menato... Poi lui mi ha detto se sapevo che c'era un altro modo di... di... che si poteva fare anche altro e io gli ho chiesto cosa... allora lui mi ha chiesto se volevo provare e io ho detto di sì... e allora lui si è inginocchiato davanti a me e... e invece che con la mano... lo ha fatto con... con la bocca. E poi mi ha detto se lo facevo io a lui, in quel modo..."

"Ti ha costretto a farlo?" chiese l'altro professore.

"No, mi ha chiesto se volevo. Io ho detto di sì... e l'ho fatto a lui... e poi, dopo un po', lui mi ha chiesto se mi piaceva e io ho detto di sì... allora lui mi ha detto che c'era anche un altro modo... che magari mi piaceva anche di più e io gli ho chiesto come... e lui mi ha detto che era... che voleva mettermelo anche... anche... anche di dietro..."

"Voleva? Cioè che tu dovevi lasciarlo fare come voleva lui?"

"Non proprio... lui mi ha detto che a lui piaceva e che magari mi piaceva anche a me, se volevo provare. Allora gli ho detto di sì e... e lui mi ha detto di calarmi i calzoni e di mettermi... di stare in piedi e chinarmi giù e appoggiarmi con le mani sul letto... e allora mi è venuto dietro e... e ci ha messo lo sputo e... e me l'ha spinto dentro... e... e si muoveva avanti e dietro... finché è arrivato monsieur Fontenoy che ci ha detto... che ci ha detto che siamo due maiali pervertiti, che... che meritavamo di essere frustati per quelle cose schifose che stavamo facendo e ci ha fatto rivestire e ci ha chiuso in due camere..."

"Revlon... ti ha costretto in qualche modo?"

"No, signore, no."

"E... ti ha fatto male?" chiese allora l'altro professore.

"No, non mi ha fatto male."

"E dimmi, sinceramente... a te piaceva?" gli chiese allora Roland.

Il ragazzo arrossì fino alle punte delle orecchie, poi con voce quasi impercettibile, rispose: "Sì... molto più che fare quelle cose da solo... Gilbert mi aveva detto che mi sarebbe piaciuto... Mi dispiace..."

"Perché ti dispiace, Charrier?" chiese Roland.

"Perché io... io non voglio essere un maiale pervertito..." disse il ragazzo cominciando a piangere, "io non credevo di fare una cosa schifosa... Gilbert è un mio amico, e io non sono cattivo... e lui non è cattivo..." ora il corpo del ragazzo era scosso dai singhiozzi.

"Calmati... calmati, ragazzo." gli disse gentilmente Roland.

"Se dovete frustarci, monsieur, frustate me per favore, perché sono io che gli ho detto di sì... e se non me lo menavo magari lui non ci pensava neanche... Ma non frustate Gilbert, per favore..."

Fu fatto uscire Charrier e fu chiamato Revlon. Anche a lui fu chiesto di raccontare come si fossero svolti i fatti. Revlon pareva sicuro di sé.

"Io prima di essere mandato qui stavo nell'orfanotrofio di Orléans... ci sono stato quattro anni. E lì noi ragazzi si fotteva quasi tutti i giorni, fra di noi... e i sorveglianti ci vedevano e sorridevano... e sceglievano i più grandi di noi per fotterli... Mica tutti, solo due o tre, credo, ma gli altri sorveglianti lo sapevano e mica dicevano niente. Ma a noi, quando si fotteva fra noi ragazzi ci piaceva, perché eravamo amici... ma quando ci sceglieva un sorvegliante, eravamo solo... era solo per divertirsi loro, non gliene fregava un cazzo di noi. E Charrier è un mio amico, per questo gli ho chiesto... Fottere è fottere, uno può dire, ma fottere per forza o fottere per amicizia sono due cose diverse, ve lo giuro. Io a Charrier gli voglio bene, mica l'ho fatto solo per me... Voglio dire, certo che a me mi piace, ma volevo che gli piaceva pure a lui... Io non credo proprio che sono un maiale schifoso... quei sorveglianti sì che erano maiali schifosi. E se adesso mi volete scorticare vivo... tanto l'avete voi il coltello per il manico, no? Chi siamo noi? Solo orfani, che nessuno vuole, che mangiano a sbafo, che sarebbe meglio che fossero morti, no?" disse tutto d'un fiato, rosso in viso per la foga, e di colpo tacque e abbassò lo sguardo.

Roland allora disse: "Hai detto che Charrier è un tuo amico..."

"Certo che lo è. Lui e io non abbiamo nessuno, abbiamo solo l'un l'altro."

"Perciò... gli vuoi bene?" chiese Roland con gentilezza.

"A Charrier? No, non gli voglio bene, ma di più. Vorrei che fosse mio fratello, anche se due fratelli magari non si fottono, non lo so. Ma io... lui... Io volevo solo fargli sentire quanto mi piace stare con lui, ecco. Sì, certo, godere... ma uno gode quasi di più a sentire che hai un vero amico che a fottere e basta. Lui cercava di godere da solo... io gli ho detto che in due, per amicizia, è molto meglio, perché è molto meglio! Lui mi ha detto subito di sì e anche questo era godere, perché almeno lui non mi rifiuta, no?"

Uno dei due professori chiese: "Come punizione preferiresti venti colpi di canna o che Charrier sia mandato via da qui?"

Il ragazzo spalancò gli occhi: "Cento colpi di canna! Duecento, piuttosto!" disse d'impeto.

"E... lo rifaresti con lui?" gli chiese l'altro professore.

"Se questo gli merita una punizione a lui, no. Ma se nessuno ci vedesse... io lo rifarei, certo. Perché non dovrei rifarlo?"

"E perché lo rifaresti?" gli chiese Roland.

"Perché... perché è bello! Chi pensa che è schifoso, è lui che è schifoso... No, questo era meglio se non lo dicevo, mi dispiace... Ma ormai l'ho detto. Perché non basta dire a uno che è importante per te... parole se ne dicono tante... ma quando glielo dici con... con i fatti, allora è chiaro, no?"

"Vuoi dire che tu sei innamorato di Charrier?" gli chiese uno dei due professori.

Il ragazzo sollevò improvvisamente gli occhi e lo guardò stupito: "Non lo so. Ma se essere innamorati ti fa fare queste cose, allora sì, sono innamorato."

"Uno può fare queste cose per divertirsi, non perché è innamorato."

"Sì, chiaro, come i sorveglianti con noi, perché a loro non gliene fregava niente di noi ma solo di far godere il loro cazzo. Per loro noi eravamo solo un buco da riempire, no? Ma per me Charrier non è solo un buco da riempire, nossignori!"

"Sai che quello che stavate facendo non è ammesso né dalle leggi dello stato né da quelle della religione?" gli chiese uno dei professori.

"No, so solo che tutti sputano addosso a chi lo fa, anche se poi lo fanno anche loro. Ma le leggi che dite voi, cosa hanno fatto per noi? I preti e i grandi capi della Francia non hanno benedetto la guerra che ha ammazzato tutti e due i miei genitori? Charrier e io non abbiamo ammazzato nessuno, non abbiamo rubato a nessuno. No... che c'entra la legge in queste cose? Se deve punire qualcuno, perché non punisce i sorveglianti che ci fottevano anche se noi non volevamo? Almeno Charrier e io volevamo, no?"

"Ma scusa... eri tu che volevi farlo a lui... Se Charrier avesse voluto farlo a te, cosa gli avresti detto?" chiese uno dei professori.

Di nuovo il ragazzo lo guardò stupito: "È il mio amico, no? Se lui me lo chiede, certo che gli direi di sì."

"Bene, grazie Revlon. Ti spiace uscire per un po', ora?" chiese Roland.

Il ragazzo si alzò e uscì. Allora Roland si rivolse ai sette ragazzi della giuria.

"Ora, uno per volta, vorrei che ci diceste quali sono i vostri pareri in proposito e se e cosa potremmo ancora chiedere ai due ragazzi quando li faremo entrare."

"Io... quello che dice Revlon è vero. Anche nell'orfanotrofio di Charleroi dove ero... c'era di tutto. C'era chi lo faceva per amicizia, per sentirsi meno solo, per affetto... e chi, anche fra ragazzi, lo faceva solo per egoismo."

"E poi, a una certa età... uno mica può fare la monaca di clausura, no? La voglia c'è e come! E se non lo facciamo fra di noi... Sì, da noi a Cluzot c'erano i preti e dicevano che bisogna essere casti e puri... sì! casti e puri come loro! Io sono d'accordo che mica uno può fare qualsiasi cosa vuole, no, ma se non si fa male a nessuno, neanche a se stessi, beh... perché si deve proibire?"

"Una regola ci deve essere, dico io, ma una regola che non si può seguire è una regola cretina. Allora tanto vale che ci mettete le catene e ci appendete al muro, almeno non possiamo fare niente se non quello che decidete voi!"

"Io dico che se non punite Revlon e Charrier, Fontenoy... il professor Fontenoy, volevo dire, si incazza nero e potrebbe denunciarci..."

"Ma monsieur Laforest ha detto che lui vuole giustizia... sarebbe giusto punire qualcuno solo per... perché conviene farlo?"

"No, ma sai com'è la legge, no? Mica noi abbiamo leggi nostre... e poi, ce le lascerebbero avere? E allora che si può fare? A me pare che quei due ragazzi... forse potevamo esserci uno qualsiasi di noi al loro posto. Però... io piuttosto che essere rimandato dov'ero prima, preferirei che monsieur Laforest mi punisce ma mi lascia stare qui... sì, io lo preferirei, se non c'è un altro mezzo."

"Però ci insegnano a camminare, a mangiare, ad andare al cesso, a vestirci e spogliarci, a leggere e scrivere e un sacco di altre cose, ma mai nessuno ci insegna queste cose... e allora ce le insegnamo fra di noi... e magari le facciamo sbagliate, chissà!"

"Non fare questo, non fare quello... se ho fame, mi dicono: guarda puoi mangiare questo o quello o quell'altro... Se mi tira, mica mi dicono cosa posso fare... Sì, il prete diceva che ti fai il bagno gelato... e dopo ti tira come prima, anzi di più. E poi magari trovi uno per la strada, magari proprio un prete, che ti dice le parole giuste e che ti incanta e ti porta a casa sua e ti fotte finché si è levata la voglia e poi magari ti tratta da puttana."

"Sono solo colpevoli di essersi fatti fregare. Se non li vedeva nessuno..."

"Però una cosa dovrebbe essere giusta o sbagliata che ti vedono o no."

"Se monsieur Laforest ci ha voluto qui è perché a lui gli importa quello che abbiamo da dire e... e dobbiamo trovare una soluzione, io credo. Sennò li puniva e basta, giusto? E allora dobbiamo per forza pensarci su e trovare una soluzione. Perché il problema, siamo sinceri, mica sono solo Revlon e Charrier, siamo tutti noi... almeno, io so di esserlo."

"Ma adesso comunque si deve decidere per Charrier e Revlon."

"Io dico che dobbiamo sentire loro e chiedergli che punizione pensano di meritarsi. In modo che monsieur Fontenoy si metta il cuore in pace."

"Ma io, se me lo chiedono a me, direi che non mi merito nessuna punizione! Non per quello. Se avessi rotto un vetro o rubato qualcosa, allora sì, ma..."

"Bene, ragazzi, vi ringrazio. Tutto quello che avete detto credo che ci darà molto da riflettere. Ora sentiremo di nuovo Revlon e Charrier, poi prenderemo una decisione. Qualunque essa sia... cercheremo di fare in modo che sia giusta, ve lo prometto." disse Roland.


D'accordo con Revlon e Charrier, e con i sette ragazzi della giuria, si decise che per punizione i due ragazzi dovevano fare le corvé di pulizia e fare più ore di studio per due settimane, saltando tutti i loro turni di tempo libero. Fontenoy brontolò che quella era una punizione troppo blanda. Roland in gran segreto fece in modo che Fontenoy ricevesse un'ottima offerta di lavoro, così lo allontanò dalla certosa. Con i due insegnanti che lo avevano affiancato, e che si erano dimostrati intelligenti e comprensivi, cercò altri due insegnanti disposti ad andare a lavorare alla certosa nonostante il basso stipendio.

Poi Roland, incaricò Serge di organizzare i ragazzi perché da una parte affrontassero il problema dell'educazione alla sessualità e all'amore, e dall'altra cominciassero a darsi delle regole. Gli adulti sarebbero stati a disposizione dei ragazzi come consulenti. Roland decise, con l'accordo degli insegnanti, che, anche se le regole che si davano i ragazzi fossero sembrate errate, bisognava lasciarli fare e, la prima volta che fosse sorto un problema, avrebbero chiesto ai ragazzi di migliorarle.

Così, a poco a poco, nacque l'idea di organizzare i ragazzi in piccole comunità con un sistema di democrazia interna, pur tenendo conto della loro diversa età e maturità. Si organizzarono anche gli speciali corsi di educazione alla sessualità e all'affettività. Si parlò di sesso, di desiderio, di amore. Si parlò di attrazione verso il proprio sesso, verso l'altro e verso tutti e due. E si prepararono accuratamente i ragazzi a rendersi conto che all'esterno della certosa vigevano regole e leggi diverse e assai severe, e mentalità a cui dovevano essere preparati una volta usciti dalla certosa.

Ognuna delle casette avrebbe ospitato fino ad un massimo di venti ragazzi, possibilmente tutti di diversa età, che avrebbero costituito una "famiglia" in cui il membro più vecchio, un ragazzo di diciotto anni, sarebbe stato il capofamiglia, e via via gli altri grandi sarebbero stati i responsabili delle quattro fasce di età. Ogni cinque capifamiglia avrebbero eletto un Sindaco e i sindaci eletto un Presidente, che a sua volta avrebbe scelto i suoi Ministri, ognuno dei quali avrebbe affiancato uno degli adulti nella gestione della certosa. Il Presidente affiancava il rettore, cioè Roland.

Nel 1931 inoltre si presero tre importanti decisioni.

La prima fu di istituire una moneta e una banca interna: i ragazzi avrebbero ricevuto una paga, in parte proporzionale alla loro età, in parte al lavoro che svolgevano per la comunità, in parte ai loro risultati scolastici. I loro risparmi sarebbero stati convertiti in franchi quando, avendo compiuto i diciannove anni, avessero dovuto lasciare la certosa: almeno avrebbero affrontato la vita esterna senza dover partire da zero.

La seconda decisione, votata quasi all'unanimità dai ragazzi, fu che tutte le attività di educazione fisica che si svolgevano nella ex chiesa, in cui c'erano un campo da pallacanestro, uno da pallavolo, uno da tennis, la piscina oltre a cavalline, spalliere, anelli, assi di equilibrio, ostacoli eccetera, sarebbero state svolte completamente nudi. Gli istruttori adulti avevano la scelta se stare anche loro nudi come i ragazzi o se indossare un costume da bagno.

La terza decisione presa dai ragazzi fu che i ragazzini fino alla pubertà potevano giocare con il proprio sesso anche se in compagnia dei coetanei, ma senza toccarsi a vicenda. Dopo la pubertà potevano anche fare sesso fra di loro, ma solo se l'altro era pienamente consenziente, solamente in due e in privato, e che solo il più giovane poteva chiederlo al più vecchio e non viceversa. Nessuna forma di pressione psicologica o fisica era permessa.

Roland era molto contento di come i ragazzi stavano decidendo e organizzandosi, e l'atmosfera nella certosa era sempre più serena e anche gioiosa, pur regnandovi una notevole autodisciplina. I ragazzi, responsabilizzati, reagivano molto positivamente. I nuovi arrivati erano accolti e "indottrinati" dai loro compagni, con ottimi risultati. Le "famiglie" erano molto solidali, i ragazzi si aiutavano fra di loro anche per gli studi e si prendevano veramente cura gli uni degli altri.

Gradualmente Roland riuscì anche a formare un corpo insegnanti estremamente aperto e positivo, generoso e disponibile, grazie al fatto che, quando c'era bisogno di un nuovo insegnante, erano gli insegnanti stessi a cercare la persona adatta fra i loro amici e a proporla a Roland. Soprattutto, tutti gli adulti condividevano completamente l'impostazione della vita nella certosa e vi partecipavano con intelligente entusiasmo.

Un'altra iniziativa utile, sia per i ragazzi che per l'economia della certosa, fu l'idea di mettere in piedi una serie di "produzioni" di articoli da mettere in vendita all'esterno. La prima a essere iniziata fu l'erboristeria, che aveva contraddistinto l'antica comunità dei certosini, per cui i ragazzi, sotto la guida di un esperto botanico, impararono a riconoscere, raccoglie e trattare le erbe facendoci poi liquori, tisane, creme, infusi e così via.

Poi fu aperto anche un atélier di ceramica, quindi uno di oggetti in cuoio. Presto aprirono perciò un negozio in città e gli affari cominciarono a girare. Su alla certosa invece aprirono un negozio per i ragazzi, un bazar in cui si vendeva un po' di tutto, e la merce si poteva acquistare solo usando la moneta locale, lo scudo, diviso in centesimi di scudo.

E arrivò il 1937. La certosa ora ospitava ottantatré ragazzi che occupavano sei case e aveva diciassette fra professori e istruttori. Frattanto i tre ragazzi di Roland crescevano. Serge, sempre innamoratissimo di Roland e da questi ricambiato, aveva ora ventinove anni, si era laureato ed era tornato alla certosa come insegnante. Michel e Jean-Marie, che avevano ventitré anni, avevano conosciuto due ragazze giù in città, si erano sposati nello stesso giorno, e abitavano a valle, a una decina di chilometri dalla certosa, in due alloggi limitrofi. Michel e la moglie gestivano il negozio dei prodotti della certosa. Jean-Marie, invece, era diventato un ottimo meccanico e aveva una sua officina.

Il periodo in cui Serge aveva dovuto lasciare la certosa per laurearsi era stato pesante per tutti e due gli amanti, che comunque cercavano di approfittare di ogni occasione per passare almeno un po' di tempo assieme. Ma capivano quanto fosse importante che Serge avesse una buona preparazione pedagogica per lavorare nel miglior modo possibile con i ragazzi della certosa, perciò entrambi sopportarono gli anni di separazione, facendo di necessità virtù.

Ma nubi nere si stavano addensando per la seconda volta sull'Europa e sul mondo. La Germania, sotto la guida di Hitler, si era riarmata e avanzava sempre maggiori pretese territoriali. Gli animi erano inquieti e anche Roland, memore della precedente guerra, leggeva ogni giorno i giornali con crescente apprensione, prevedendo il peggio.

Purtroppo Roland aveva visto giusto: la guerra scoppiò. Contro ogni speranza, le truppe tedesche invasero rapidamente la Francia e anche la certosa ne subì le conseguenze. Infatti il comando tedesco decise di piazzare sul monte alle spalle della certosa un'antenna trasmittente per le proprie comunicazioni il cui centro operativo fu posto proprio nella certosa.

Da una parte ci fu una certa forma di rispetto nei confronti dell'orfanotrofio, però i tedeschi, oltre a costruire dietro al salone dei pellegrini e al negozio dei ragazzi due lunghi capannoni prefabbricati a due piani, contenenti uno le cucine e il refettorio per i soldati, e l'altro le sale di ascolto e trasmissione, murarono tutto il porticato sulla piazza della chiesa per ricavarne camerate per i soldati. Il maggiore dell'esercito tedesco, inoltre, requisì la cappella ottagonale di san Bruno e la fece trasformare nel proprio alloggio.

I ragazzi decisero che le attività di educazione fisica nella ex chiesa si sarebbero svolte indossando calzoncini e maglietta. Roland e il maggiore ebbero un lungo incontro in cui fissarono i limiti sia per i ragazzi che per i soldati. Il maggiore era di origini nobili, un uomo di profonda cultura, che apprezzò l'opera svolta nella certosa e che si dimostrò abbastanza disponibile nei confronti dell'istituzione. In pratica i tedeschi erano confinati lungo una striscia a sud-est, adiacente alla scarpata, e usavano come accesso alla loro zona il cancello fra il salone dei pellegrini, dove c'erano le aule e le residenze degli insegnanti, e il bazar.

Il laghetto accanto alla cappella fu deciso che sarebbe stato usato, a giorni alterni, dai ragazzi e dai soldati. Il maggiore chiese anche l'uso delle istallazioni sportive dell'ex chiesa, e si decise che sarebbero state a disposizione dei soldati il sabato e la domenica. In cambio, il maggiore decise che avrebbe fornito la metà del cibo necessario per dare da mangiare ai ragazzi.

Inoltre il maggiore radunò tutti i suoi uomini e disse loro che chi avesse in qualsiasi modo infastidito i ragazzi o il personale della certosa, sarebbe stato gravemente punito.

A causa dell'occupazione tedesca, un rappresentante della comunità degli ebrei fece chiedere in segreto a Roland se avrebbe accolto alcuni dei loro ragazzi che erano restati senza famiglia, rastrellata dai tedeschi. Roland radunò gli insegnanti e i capi dei ragazzi: decisero di accoglierli, scrivendo sui registri di ammissione nomi falsi, in modo che non si capisse che erano ebrei. Ne accolsero così ventuno.

Un giorno il maggiore andò a bussare alla porta della Torre dell'Abate. Serge andò ad aprire.

"C'è il signor rettore?" chiese il maggiore con il suo francese quasi perfetto anche se con un forte accento tedesco.

"Sì, è su nel suo studio."

"Mi vorrebbe annunciare, per cortesia?"

"Certo, mi segua."

Serge bussò alla porta dello studio di Roland, per fargli capire che non era solo.

"Avanti!"

"Il maggiore von Schwerin." annunciò Serge.

"Entrate!" disse Roland facendo così intendere che voleva che Serge rimanesse. "Dai una sedia al maggiore, Serge." aggiunse poi.

"Rettore Laforest, buongiorno."

"Buongiorno a lei. Posso esserle utile in qualche cosa?"

"Ecco, ho notato che in questi ultimi tempi il numero dei ragazzi vostri ospiti è aumentato."

"Certo, è il risultato della guerra: ogni guerra ha come conseguenza che il numero degli orfani aumenti, maggiore."

"Sì, è vero, purtroppo è come lei dice. Ho notato comunque che alcuni dei nuovi ragazzini che avete accolto hanno tratti somatici, come dire, non propriamente ariani."

"Non badiamo mai alle fattezze dei nostri ragazzi, maggiore. Per noi sono tutti uguali, belli o brutti che siano, intelligenti o no. Cerchiamo solo di fare del nostro meglio per loro."

"Sì, ho avuto modo di apprezzare la vostra opera... davvero encomiabile. Ma come certamente lei sa... ci sono leggi che siamo tenuti a rispettare. Leggi che ha emesso lo stesso vostro governo, anche se su nostra richiesta."

"Sì?"

"Leggi che impongono di segnalare alle autorità competenti tutte le persone di razza ebraica."

"Sì, ne ho avuta comunicazione. Nessuno dei nostri ragazzi ha un nome e soprattutto un cognome ebraico, che io sappia. Se si eccettua forse qualche David... ma anche fra voi tedeschi c'è qualche David, mi risulta. Sbaglio?"

"Capisco... sono certo che se le chiedessi di farmi consultare i vostri registri, le vostre carte... risulterebbe esattamente quanto che lei mi dice, signor rettore Laforest."

"Sicuramente. Se vuole controllare..."

"No, no, le credo. D'altronde, in questi tempi di guerra... un povero orfano abbandonato o sperso per la strada... molto raramente ha con sé un qualche documento, non è vero?"

"Proprio così, maggiore. A volte non sono neppure in grado di dare il loro indirizzo, ammesso che la casa in cui vivevano sia ancora in piedi."

"Già già, come immaginavo. Semplicemente, come le dicevo, i tratti somatici di alcuni di quei ragazzini potrebbero far pensare... Non vorrei che qualche mio sottoposto, per eccesso di zelo, potesse magari prendere una cantonata e... Perciò le consiglio vivamente di... tenere quei ragazzini lontano dalla vista dai miei uomini, mi capisce, non è vero?"

"Certo, maggiore, certo. La ringrazio per il suo prezioso consiglio."

"Molto bene, molto bene. Mi farebbero l'onore, lei e suo figlio di essere ospiti su da me per cena, questa sera?"

"Con molto piacere, maggiore. La ringrazio. Siamo stati fortunati ad avere lei come comandante qui alla certosa."

"Un militare deve fare il proprio dovere, obbedire agli ordini. Un ufficiale deve agire con intelligenza e correttezza. Un uomo deve essere fedele ai valori morali. Questo mi hanno insegnato e a questo io mi attengo, signor rettore... come so che anche lei fa con tanta devozione." disse l'ufficiale alzandosi con un lieve sorriso sulle labbra e, salutato Roland, uscì.

Serge lo accompagno fino a pianterreno, all'uscita.

Qui il maggiore si girò un attimo e disse: "Il suo padre adottivo è un uomo molto in gamba, lei è molto fortunato ad aver trovato un padre come lui."

"Ha perfettamente ragione, maggiore. Concordo pienamente." rispose Serge.

Il maggiore fece il saluto militare e a passo svelto si avviò verso il cancello da cui poteva salire alla propria residenza.

Serge tornò subito al primo piano.

"Ti fidi di lui, Roland?"

"Credo che ci si possa fidare. Hai qualche dubbio?"

"No... ma sai... i tedeschi sono pur sempre nostri nemici... hanno ucciso mio padre... non è facile dimenticarlo."

"In guerra, chi è senza peccato? Per lo meno il maggiore, oltre a cercare di essere un buon soldato e un buon ufficiale, cerca anche di essere un uomo, e questo, specialmente in tempo di guerra, è qualcosa di molto positivo."

"Tu, Roland, perdoni sempre tutti."

"Non ti dimenticare la preghiera che ti hanno insegnato da piccolo: perdonaci come noi sappiamo perdonare gli altri. Le parole non sono esattamente queste, ma il succo sì. Chi non sa perdonare gli altri, mio caro Serge, non merita il perdono di dio. E ognuno di noi, per quanto cerchi di agire sempre nel migliore dei modi, ha anche troppe cose da farsi perdonare."


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