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una storia originale di Andrej Koymasky


VIAGGIO IN NUOVA ZELANDA 3 - Leggenda Maori

Eravamo saliti con la "gondola" in cima a Port Hills, da cui si vedeva tutto il panorama di Chrstchurch a 360 gradi, compresa la pianura di Canterbury e il porto di Lyttleton. Poi pranzammo al Monte Bell's Restaurant.

Si chiacchierava animatamente, si rideva, ci si raccontava un sacco di cose. Sembravamo due vecchi amici... o due amanti in luna di miele.

Poi scendemmo di nuovo in città dove io affittai un'auto per tutto il tempo in cui potevo restare in Nuova Zelanda. Decidemmo di visitare alcuni musei anche perché io ero curioso di vedere qualcosa dell'arte dei maori. Christchurch era stata fondata nel 1850, era quindi, per me che venivo dall'Italia, una città incredibilmente giovane. Aveva comunque le sue bellezze da mostrare... a parte Graeme, che non smettevo mai di ammirare.

Graeme abitava in Aikmans Road, proprio dietro il Mac Donalds, e aveva una stanzetta in affitto presso un vedovo rimasto con una casa troppo grande dopo che i figli si erano sposati. Quel giorno io gli proposi di restare con me, nella mia stanza di albergo, per tutto il tempo in cui potevo restare in Nuova Zelanda.

Graeme accettò subito e mi disse che avrebbe lasciato la stanza e portato da me le sue cose, perché aveva solo due valigie. Gli chiesi se non gli conveniva tenere la stanza: come avrebbe fatto quando io me ne fossi andato? Mi disse che non gli sarebbe stato difficile trovare un'altra stanza: nella peggiore delle ipotesi poteva andare all'YMCA. Ma almeno avrebbe risparmiato i soldi dell'affitto.

Così passammo in Aikmans Road, disdisse l'affitto della stanza, prese tutte le sue cose, le caricammo in macchina e lo portai in albergo. Sistemò le sue cose. Soprattutto quando mise il proprio spazzolino da denti nel bicchiere assieme al mio, questo mi dette un senso di calda intimità... e lo abbracciai da dietro.

"Di nuovo voglia?" mi chiese lui con aria birichina.

"Perché, tu no?" ribattei io con un sorriso.

"Sì... è tutto il giorno che... non penso ad altro. Starti vicino e desiderarti è un tutt'uno, sai?"

"Mi trovi dunque così desiderabile?" gli chiesi.

"Più ti conosco, più ti trovo desiderabile, Sergio, irresistibile!" mormorò lui stringendosi a me e strofinando il suo bacino contro il mio, facendomi sentire attraverso la tela dei nostri calzoni che già aveva una bella erezione.

"Tentatore... se continui così, io ti spoglio nudo, ti spingo sul letto e ti salto addosso!" gli dissi facendogli sentire a mia volta la mia erezione.

"Un ottimo programma." mi disse continuando a strofinarsi contro di me. "Devo continuare ancora a lungo, prima che tu gli dia inizio?" mi chiese con aria provocante.

No, non dovette continuare a lungo. Sempre toccandoci e baciandoci, cominciammo a spogliarci l'un l'altro. Per un po' restammo lì in piedi, completamente nudi, toccandoci, carezzandoci, stuzzicandoci a vicenda.

Poi io mi inginocchiai davanti a lui e cominciai a prendermi cura del suo bel palo dritto, caldo e duro, baciandolo, mordicchiandolo lievemente, leccandolo. Ogni volta che gli passavo la lingua sul glande gonfio e liscio come seta, Graeme emetteva un sommesso gemito di piacere. Presi il glande fra le mie labbra e, postegli le mani a coppa sulle piccole natiche sode e nervose, lo tirai a me, in modo che il suo palo scivolasse interamente dentro la mia bocca.

Allora Graeme prese la mia testa fa le mani e iniziò a muovere a ritmo il bacino avanti e dietro fottendomi in bocca. Io avevo sollevato gli occhi e lo guardavo. Lui abbassò il capo, incontrò il mio sguardo e mi sorrise teneramente. Mi piaceva stargli inginocchiato davanti, come il devoto di un dio pagano, a dargli piacere. Volevo che Graeme sentisse quanto era diventato importante per me.

Dopo un po' mi fece sollevare e mi baciò in bocca. Poi mi carezzò una guancia.

"Mi prendi qui... in piedi?" mi chiese in un sussurro.

"Come desideri." gli risposi.

Si girò e appoggiò le mani sul bordo del lavandino, protendendo indietro il suo bel culetto. Mi guardava attraverso l'ampio specchio che aveva di fronte e mi sorrideva invitante. Diressi il mio membro dritto e duro fra le sue natiche e ne sfregai su e giù la punta, passando e ripassando sul suo foro nascosto, palpitante in avida attesa. E finalmente mi fermai su di esso e iniziai a spingere. Il suo sorriso si fece più ampio e spinse il bacino indietro per incontrare la mia spinta.

Iniziai a scivolargli dentro e a immergermi in lui con studiata lentezza. Lo abbracciai, con un braccio attorno alla vita e l'altro attorno il petto, addossandomi a lui e iniziai a muovere avanti e dietro il bacino entrando e uscendo da lui con colpi vigorosi, ora lunghi ora brevi. Graeme dimenava lievemente il bacino e a ogni mio colpo emetteva un breve gemito di piacere, appena udibile.

Continuavamo a guardarci attraverso lo specchio: era bello vederci così uniti, muoverci all'unisono, sorriderci contenti per il piacere che ognuno di noi due stava donando all'altro.

"E così bello sentirti dentro di me, Sergio!" sussurrò.

"E per me sentirmi così ben accolto dentro di te. Mi fai sentire dieci anni più giovane, sai?"

"Più forte, Sergio... più forte..." implorò lui.

Aumentai il vigore dei miei colpi, "Così? Così va bene?" gli chiesi iniziando ad ansare.

"Sì... sì... così... dai... Tu sì che sei un uomo... mi paci... dai... battimi dentro... martellami dentro... fammelo sentire tutto... Mi piace il tuo cazzo... è della giusta misura... e lo sai usare bene... dai... così... dai... sì... così... sì..." mi incitava lui quasi sussurrando.

Con una mano gli stuzzicavo i capezzoli, con l'altra gli manipolavo i genitali caldi e duri. Lui faceva palpitare l'ano aumentando così il mio e il suo piacere. Mi guardava nello specchio con occhi luminosi. Poi girò indietro il capo e prima giocammo un po' con le nostre lingue, poi ci baciammo a fondo con tenera passione.

Improvvisamente mugolò, i suoi suoni attutiti dal nostro bacio, la mia mano che gli sfregava il membro lo sentì guizzare e forti getti del suo tiepido seme la riempirono. Le contrazioni del suo orgasmo scatenarono il mio e mi svuotai in lui, iniziando a gemere anche io per l'indescrivibile intensità del piacere.

Restammo immobili per un po'. Le nostre bocche si staccarono ed entrambi ansavamo lievemete, soddisfatti ma, lo sapevo, ancora non pienamene appagati. Quando i nostri corpi si calmarono e il mio membro si ritirò lentamente da lui tornando morbido, Graeme si girò, mi abbracciò, mi dette un altro, lungo bacio, poi emise un basso sospiro.

"Non ne ho mai abbastanza di te!" mi sussurrò.

"Neanche io, Graeme. È così bello farlo con te!"

"Ma ora vestiamoci... Stanotte lo faremo di nuovo, vero?"

"Ci puoi scommettere!" gli risposi sorridendogli luminoso.

Ci rivestimmo. Lo accompagnai in città perché doveva avere due colloqui di lavoro e lo aspettai in un bar. Tornò dopo un po'. Era sereno.

"Niente da fare. Mi hanno detto che terranno in evidenza il mio curriculum, ma per ora non hanno nulla da offrirmi."

"Speriamo che trovi presto qualcosa. Prima che io debba tornare in Giappone. Sarei molto contento di saperti sistemato." gli dissi carezzandogli lieve e brevemente la mano che aveva poggiato sul tavolino.

"Già... a volte non ci penso che presto dovrai andare via." disse con tono di rammarico.

"Sì, purtroppo... ancora un paio di settimane. Vorrei poter stare di più, ora che ho trovato te."

"Mi mancherai terribilmente." sussurrò e abbassò lo sguardo.

"Anche tu, Graeme... anche tu." gli dissi e sentii forte l'impulso di mettermi a piangere.

Ma non volevo rattristarlo più di quello che evidentemente era, perciò cercai di reagire e di assumere nuovamente un tono allegro e spensierato.

"Dove andiamo domani?" gli chiesi allora con tono forzatamente sereno.

"Ti porto al museo all'aperto della civiltà maori. Ci sono case antiche restaurate, con tutte le parti in legno scolpite... sono molto belle. C'è anche una casa per gli incontri della comunità, forse la più bella di tutte." mi disse.

"D'accordo. E stasera, che facciamo?" gli chiesi allora.

"Prima di tornare in camera d'albergo a fare l'amore?" mi chiese lui con un sorrisetto malizioso e provocante.

"Sì, e prima di cena. Abbiamo ancora un po' di tempo."

"Andiamo al giardino botannico e, se la troviamo aperta, possiamo visitare la galleria McDougall. Forse facciamo ancora in tempo."

Andammo, ma la galleria chiudeva alle 4,30 del pomeriggio, perciò non la potemmo visitare. Allora passeggiammo per il giardino, che è sito in un'ansa del fiume Avon, chiacchierando. Graeme a un certo punto, continuando a camminare, mi prese per mano e quel piccolo gesto di intimità, così mostrato in pubblico con noncuranza, mi dette una forte emozione. L'avrei anche abbracciato e baciato, lì nei vialetti del parco... ma forse era meglio non esagerare.

Poi tornammo indietro e decidemmo di prendere il tram che faceva il giro del centro storico, tanto per passare il tempo. Poi andammo a mangiare al Friday's, vicino alla cattedrale. Passammo al Country Ways dove io comprai un bel maglione di lana, policromo e allegro, fatto nello stile tipico locale. E finalmente tornammo in albergo.

Guardammo un po' la televisione, semiabbracciati sul sofà, carezzandoci in modo sempre più intimo, finché nessuno di noi due la guardava più. Allora ci alzammo per rifugiarci l'uno nelle braccia dell'altro, sentendoci felici, bene come mai eravamo stati.


Il giorno seguente Graeme andò a vedere per altri lavori, purtroppo sempre senza nessun risultato, poi andammo a vedere il museo maori all'aperto.

"Graeme..." gli dissi mentre eravamo fermi davanti a una delle belle costruzioni tipiche maori ad ammirarla.

"Sì?"

"Sto così bene, con te!"

"Anche io con te. Non sono mai stato bene con nessuno come con te, Sergio. E non parlo solo di quando facciamo l'amore."

"Sì, è vero. E io, Graeme... io..."

"Sì? Dimmi."

"Non so se faccio bene a dirtelo, ma... non riesco più a tenerlo dentro di me. Forse renderà tutto più difficile, però... Io, Graeme... io sento che mi sto terribilmente innamorando di te!"

"Mio dio, Sergio... non volevo dirtelo, però... a questo punto... Il problema è che anche io... anche io mi sto innamorando perdutamente di te."

"Ma come facciamo? Come possiamo fare? Io in Giappone, tu qui... Questa non ci voleva proprio. Mi sento così triste, Graeme, sapendo che presto ti dovrò lasciare... che chissà se e quando ci si potrà rivedere."

Il ragazzo emise una specie di singhiozzo soffocato. Per un po' tacque, probabilmente incapace di profferire parola, tanto era emozionato.

Poi disse, con un tono basso e triste: "Ho cercato di non pensarci, ma... perché dobbiamo essere così sfortunati? Forse era meglio non incontrarci, quel giorno al Mac Donald. O forse accontentarci di una scopata e via. Ho cercato di non innamorarmi di te, sai? Ma tu sei troppo speciale. Cosa possiamo fare, ora?"

"Forse ho fatto male a dirtelo, abbiamo fatto male a dircelo."

"No... non potevamo... prima o poi sarebbe venuto fuori: è troppo forte quello che sentiamo."

Andammo a sedere su una panchina. E allora Graeme mi raccontò di due uomini che si amavano, probabilmente vissuti realmente attorno alla prima metà del 1800, di nome Tütänekai e Tiki, attorno ai quali era nata una leggenda maori.

Al centro del lago Rotorua, su nel nord della Nuova Zelanda, c'è un'isola di nome Mokoia. Circa cento ottanta anni fa ci viveva una famiglia che aveva diversi figli, il più giovane dei quali si chiamava Tütänekai. La loro madre era Rangiuru, e il loro padre Whakaue Kaipapa, l'antentato della tribù Ngäti Whakaue che ora vive a Ohinemutu, sulle rive del lago Rotorua. Rangiuru aveva però tradito il marito giacendo con Tüwharetoa, l'antenato della tribù Ngäti Tüwharetoa che ora vive attorno al lago Taupo. Tüwharetoa proveniva da un'altra tribù, e dalla loro unione era nato Tütänekai. Il marito di Rangiuru, Whakaue Kaipapa, che era un uomo di buon cuore e generoso, aveva comunque accettato di allevare e amare Tütänekai come uno dei suoi figli, nonostante fosse un bimbo illegittimo.

Quando era piccolo, Tütänekai aveva conosciuto Tiki, un altro ragazzino che abitava da quelle parti, ed erano diventai presto amici intimi, tanto che "i loro spiriti s'erano uniti come quelli di due fratelli". E presto i due ragazzi cominciarono anche a fare l'amore fra di loro e così divennero amanti.

Tütänekai suonava il pütörino, un flauto che era stato fatto con l'osso di una gamba di Murirangaranga, il prete che lo aveva consacrato alla sua nascita, ma che era stato sorpreso a mangiare troppo presto dopo la cerimonia, prima che fosse permesso, e perciò messo a morte per avere violato il tabù. Questo fatto aveva sicuramente dato un potere speciale al suono di quel flauto.

Anche Tiki suonava un flauto, ma più piccolo, chiamato köauau, che aveva un suono più delicato del flauto di Tütänekai. I due giovani amanti dopo aver fatto l'amore, suonavano l'uno per l'altro, sedendo sulla piattaforma che Whakaue aveva costruito su un dirupo di scogli sulla riva sud dell'isola di Mokoia, che sorge al centro del lago Rotorua.

In quel tempo viveva sull'isola anche una bella ragazza figlia di un uomo di alto rango, chiamata Hinemoa. La ragazza era la figlia di un capo molto importante. La sua famiglia viveva a Owhata, sulla riva est del lago Rotorua. A causa del suo alto rango la ragazza venne dichiarata puhi, cioè sacra. Le sarebbe stato scelto un marito dagli anziani della sua tribù e dalla sua famiglia non appena avesse raggiunto la pubertà. Molti giovani uomini andavano a vederla, provenendo anche da molto lontano, sperando di ottenere la mano di Hinemoa, la cui fama di bellezza e grazia era giunta fin nei più lontani villaggi. Però nessuno dei tanti spasimanti aveva ancora ottenuto l'approvazione della famiglia della ragazza né degli anziani della sua tribù.

Ognuno dei fratelli maggiori di Tütänekai aveva dichiarato il proprio amore per la bella Hinemoa ed erano tutti decisi a ottenere la sua mano. Ma nessuno di loro riuscì a ottenere la necessaria approvazione dalla gente di Hinemoa.

Tütänekai era estremamente bello ed eccelleva nei giochi che in quel tempo i maori usavano fare per sviluppare il coordinamento e le abilità necessari per i tempi di guerra. Questi giochi si tenevano proprio a Owhata, dove viveva Hinemoa. Così la fanciulla vide Tütänekai e fu conquistata dalla sua abilità, e ancor più dal suo bellissimo aspetto. La fanciulla si innamorò perciò perdutamente di Tütänekai, e ogni volta che la tribù si riuniva e lei lo poteva vedere di nuovo, entrambi si sentivano sempre più attratti l'uno dall'altro. Ma entrambi potevano comunicarsi il reciproco sentimento unicamente lanciandosi sguardi e nessuno dei due aveva ancora mai avuto la possibilità di parlare con l'altro.

Era una situazione triste, poiché nessuno dei due riusciva a immaginare un modo per poter esprimere all'altro il proprio amore, una situazione senza speranza. Tütänekai allora andava a sedere sulle rive dell'isola Mokoia con il suo amato Tiki e suonava musiche tristi con il suo flauto. La sua musica fluttuava sulle acque del lago e raggiungeva Hinemoa che stava seduta sull'altra riva, piena di tristezza anche lei per la sua passione per il bellissimo ragazzo. La sua tristezza veniva dal fatto che lei non avrebbe voluto sposare nessun altro che il bel Tütänekai ma non sapeva come fare per dar corpo al suo desiderio. La sua gente iniziò a sospettare la ragione del suo stato d'animo e per impedire che lei potesse fuggire per gettarsi fra le braccia di quel bel ragazzo, aveva tirato a secco tutte le canoe del villaggio, che erano troppo pesanti perché lei da sola ne potesse rimettere in acqua una.

Notte dopo notte lei ascoltava le note delle canzoni del ragazzo che amava, finché il suo cuore fu talmente sopraffatto dalla tristezza che non riuscì più a sopportarla. Allora la ragazza decise che, se non poteva usare una canoa, avrebbe raggiunto il ragazzo a nuoto. Così una notte la fanciulla disse ai suoi familiari che andava a vedere le danze, ma in realtà, dopo aver sottratto di nascosto sei grossi recipienti di zucca dalla cucina, si diresse alla riva del lago. Si riposò sulla roccia Iri Iri Kapua, che ancora si può vedere a Owhata e legando assieme le zucche ne fece un galleggiante.

Quando sentì il suono del flauto di Tütänekai, la nobile Hinemoa scivolò con il suo improvvisato galleggiante nell'acqua, dalla spiaggia chiamata Wairerewai, e si mise a notare in direzione dell'isola Mokoia. Era notte fonda, molto buia, e lei si dirigeva solo seguendo la direzione da cui proveniva il suono del flauto suonato dal suo amato Tütänekai e che aleggiava fluttuando sulle acque e giungendo fino a lei.

Si riposò un poco su un largo ceppo che sorgeva dalle acque del lago, poi, sempre guidata dal suono della musica, riprese a nuotare. Finalmente raggiunse l'isola di Mokoia, ma il suo corpo si era congelato a causa del lungo tempo passato in acqua a nuotare, cosicché si diresse immediatamente alle sorgenti di acque calde di Waikimihia, non lontane dalla casa di Tütänekai. Una volta che si fu riscaldata e riposata, Hinemoa però si rese conto di essere nuda, ed era troppo vergognosa per avvicinarsi in quello stato alla casa di Tütänekai, cioè senza abiti con cui coprire il suo giovane corpo.

Ma accadde in quel momento che a Tütänekai venne sete, così mandò il suo amante Tiki a prendergli una ciotola di acqua. Tiki doveva così passare molto vicino a dove Hineamoa era seduta per scaldarsi.

Mentre, tornando, il ragazzo camminava accanto alla sorgente calda, una voce sommessa gli chiese: "Per chi è quell'acqua?"

Tiki rispose: "È per Tütänekai."

"Dalla a me." gli chiese Hinemoa, ma appena Tiki le porse la ciotola di zucca, lei la spaccò su una pietra della sorgente.

Quando Tiki tornò da Tütänekai e gli disse quello che era successo, Tütänekai lo mandò di nuovo a prendere acqua. Di nuovo Hinemoa sfidò Tiki e nuovamente ruppe la ciotola di zucca. Questa volta Tütänekai si arrabbiò e decise di andare di persona alla sorgente per vedere chi fosse quella persona così maleducata. Si rivestì, prese la sua arma di pietra verde, e si diresse verso la sorgente. Una volta giuntovi, sfidò chiunque si nascondesse nella sorgente di mostrarsi. Nessuno rispose, nessuno si mosse.

Hinemoa si era spostata sotto una roccia cava che garantiva un minimo di protezione al suo corpo nudo. La ragazza restò immobile come un topolino. Allora Tütänekai esplorò la roccia finché giunse dove Hinemoa era nascosta. La afferrò per i capelli e cercò di tirarla fuori dal suo nascondiglio.

"Chi sei?" gridò irato, "Chi sei per osare infastidirmi così?"

La ragazza rispose: "Sono io, Hinemoa, e sono venuta per vedere te."

Tütänekai non credeva alle proprie orecchie. Quando lei finalmente uscì fuori dall'acqua della calda sorgente, il ragazzo fu sicuro di non avere mai visto una donna così bella. Tütänekai si tolse il mantello e lo avvolse attorno al corpo di Hinemoa quindi la portò a casa sua per dormire con lui, e farne così di fatto la propria sposa.

Il mattino seguente la gente di casa si alzò per preparare il pasto del mattino e notò che quella mattina Tütänekai stava dormendo fino a tardi. Era strano, perché di solito il ragazzo era uno dei primi della casa ad alzarsi. Dopo un po' il padre cominciò a pensare che forse suo figlio era ammalato perciò mandò Tiki, il ragazzo di suo figlio, a vedere. Tiki andò alla capanna di Tütänekai e quando guardò dentro vide uscire da sotto la coperta quattro piedi invece di due. Allora Tiki corse dal padre dell'amico a dirgli quello che aveva visto e l'uomo lo rimandò indietro per investigare.

Tornato alla capanna, Tiki riconobbe la bella Hinemoa. Fu talmente sorpreso e infuriato nel trovarla a giacere con il suo amante, che si mise a gridare: "Sta con Hinemoa. È Hinemoa che sta nel letto di Tütänekai!"

I fratelli di Tütänekai non volevano credere alle parole di Tiki, e neppure gli altri, ma nella confusione Tütänekai uscì dalla sua capanna tenendo Hinemoa per mano. Proprio allora si accorsero che c'erano canoe che stavano remando alla volta dell'isola, e immaginando che fosse la famiglia di Hinemoa, temettero che sarebbe scoppiate una guerra e dissero a Tütänekai che comunque Hinemoa gli sarebbe stata tolta per sempre.

Invece, all'arrivo della famiglia di Hinemoa, la gente della ragazza accettò il fatto compiuto così, radunati tutti, si celebrò una grande festa e fu celebrato il matrimonio dei due ragazzi, poi fu dichiarata pace eterna fra le due tribù.

Ma Tiki era molto arrabbiato, per il fatto che Tütänekai sposandosi lo avrebbe certamente abbandonato. Quindi minacciò di lasciare l'isola e di andarsene a vivere lontano, perché lo amava troppo per vederlo ogni giorno ma sentirsi escluso dalla sua vita. Preferiva vivere per sempre da solo, con il suo amore confinato dentro il cuore. Tütänekai ne fu molto addolorato e lo pregò di restare ancora per un poco. Andò allora subito dal suo padre adottivo e gli disse che lui provava una profonda pietà e amore per il suo amico-amante Tiki e che non intendeva separarsi da lui e non poteva perderlo così.

Whakaue allora ci pensò su un poco, finché trovò la soluzione perché i due ragazzi potessero restare assieme: dette in moglie a Tiki la sua figlia minore Tupa, in questo modo le due coppie vissero assieme nella stessa capanna. Così Tütänekai non abbandonò Tiki e i due giovani poterono continuare ad amarsi.

Quando Graeme ebbe terminato di raccontarmi questa storia, gli dissi: "Sì, ma non vedo come possiamo fare noi due. Tu devi stare in Nuova Zelanda, io in Giappone o addirittura in Italia, che è agli antipodi, più lontano di così non è neppure possibile... come potremmo noi stare nella stessa capanna? Se la nostra capanna comune è il mondo... è troppo vasta perché si possa riuscire a incontrarci e continuare a fare l'amore, tu ed io."

Graeme sorrise: "Non intendevo fare un parallelo fra la storia di Tütänekai e Tiki e noi due, Sergio... e purtroppo noi non abbiamo un padre adottivo che ci risolva il problema. Ma quello che ti volevo dire, a parte l'interessante leggenda riguardo ai due leggendari ragazzi maori che si amavano, è che comunque, anche se dovremo vivere lontani, io sono sicuro che l'amore che sto provando per te, non finirà mai."

"Sì, è vero... ma è una ben magra consolazione." gli risposi sentendomi ancora più triste.

D'altronde era vero, che altra consolazione ci poteva restare se non il fatto che il ricordo di quei giorni così belli che stavamo passando assieme sarebbe restato rinserrato per sempre nei nostri cuori?

Comunque uno di quei giorni volli andare a visitare il lago Rotorua su nel nord, che in Nuova Zelanda, essendo nell'altro emisfero, è più caldo del sud. Noleggiata una barca andammo anche sull'isola di Mokoia. Il posto è suggestivo, e anche quel nostro pellegrinaggio fu suggestivo. Avrei voluto sedermi sulle rocce e suonare il flauto con Graeme, per dare voce alla tristezza che sentivo dentro il cuore, ma nessuno di noi due lo sa suonare.

La storia dei due amanti maori mi aveva comunque fatto riflettere: vivevano in un mondo in cui un uomo poteva sposarsi e al tempo stesso mantenere il suo rapporto con il suo amante maschio, alla luce del sole, senza problemi. Doveva sposarsi o per amore o solo per dare continuità alla tribù, a seconda dei casi. Non so, la leggenda non lo dice o al massimo lo lascia appena intravedere, se uno dei due ragazzi fosse bisessuale e l'altro gay... a quei tempi queste etichette non esistevano, siamo solo noi occidentali di oggi che dobbiamo etichettare tutto. Quello che contava in quei tempi era da una parte il rispetto per un sentimento d'amore e dall'altra il rispetto delle regole sociali. Tiki accettava anche le regole tribali, perché di fatto rispettavano il suo sentimento di amore.

Ne parlai con Graeme, là sulle rocce che avevano visto i due ragazzi amanti suonare i loro flauti. Era d'accordo con me. Quello che mi piaceva in Graeme, quando si parlava, era che si scambiavano idee, concetti, valori e che a volte, spesso, li condivideva con me, ma a volte aveva un punto di vista diverso: allora ognuno di noi due cercava di spiegare all'altro il perché del proprio punto di vista, senza mai cercare di "convertire" l'altro alla propria idea. C'era cioè un profondo rispetto reciproco.

Graeme nei giorni seguenti girò ancora cercando un lavoro, ma purtroppo tornava sempre a mani vuote. Io ero via via più preoccupato per lui, ma Graeme sembrava non perdere mai né la speranza né la serenità.

Mi diceva: "Se non trovo qualcosa che mi piace, andrò a lavare i cessi, oppure i piatti in un ristorante, o a fare lo spazzino comunale... non importa. Ma in un modo o in un altro qualcosa troverò, non ho paura." Anche se aveva una laurea.

Anche per questo lo ammiravo e lo stimavo. Rispetto, ammirazione e stima sono le basi indispensabili perché vi sia veramente amore. Ma anche il fatto di poter vivere assieme è essenziale per poter alimentare questo amore. E noi, come avremmo potuto fare? Questo pensiero mi crucciava, e più ci pensavo meno mi sembrava possibile trovare una soluzione, e questo mi rattristava profondamente.

Graeme sentiva, col passare dei giorni, quanto in me stesse crescendo questa tristezza, nonostante io cercassi di nasconderla. Ma chi ama ha una speciale sensibilità, sa vedere, o almeno sentire, anche cose accuratamente nascoste. Così come anche io sentivo la sua tristezza crescere. Perciò tutti e due si cercava di lenirla facendo l'amore con crescente tenerezza. A volte, in camera, si stava semplicemente abbracciati, di solito Graeme si accucciava contro di me e io lo carezzavo lieve e lo cullavo quasi, mentre si parlava, o si comunicava in silenzio, o si guardava assieme la televisione.

Non so dove, durante uno dei suoi giri per cercare lavoro, Graeme mi aveva trovato una scultura in legno rosso, un bassorilievo a traforo con inclusioni di avorio e conchiglie, che rappresentava Tiki e Tütänekai, ricoperti dei caratteristici tatuaggi che anticamente coprivano tutto il corpo dei maori, circondata da un arco di simboli totemici. Era molto bella, gli chiesi quanto avesse speso, dicendogli che non doveva, nelle sue condizioni economiche, spendere soldi per me.

Lui sorrise e mi disse che non poteva non farlo, perché io ero più importante anche dei suoi risparmi, e mi disse che, anche se noi due non eravamo nella situazione dei due giovani amanti maori, quella scultura per lui rappresentava proprio noi due. I due erano rappresentati seduti uno davanti all'altro, che si abbracciavano e uno guardava verso l'esterno ma l'altro guardava verso il suo amante con la coda dell'occhio. Pur nel suo stile primitivo, era una scultura molto raffinata.


Un giorno, eravamo in un bar sulla Bealey Avenue, un giovane maori ci chiese se poteva sedere al nostro tavolo. C'erano molti tavoli liberi, perciò la sua richiesta mi sorprese un poco, ma poiché era il primo maori che mi rivolgeva la parola, dopo aver dato un'occhiata a Graeme che con gli occhi mi dette il suo assenso, annuii.

Il giovane posò sul tavolo il suo boccale di birra e sedette con noi. Ci guardò, poi mi chiese: "Tu non sei di qui, vero?"

"Infatti, io sono italiano e sono qui per turismo. Ma lui invece è neo zelandese." gli risposi.

"Già. E voi due siete amanti, non è vero?" chiese in tono tranquillo.

Un po' sorpreso, guardai Graeme, che rispose: "Ci piacerebbe esserlo, ma lui presto deve andare via."

"Perché deve andare via? Che cosa fa lui?"

"Insegna italiano in Giappone e deve tornare al lavoro." spiegò Graeme.

"Ecco perché vedo dai vostri occhi che nelle vostre anime c'è sia amore che tristezza." commentò il giovane maori.

"Hai una vista penetrante." gli dissi allora io.

"Sì... per questo vi ho chiesto di sedere un po' con voi."

Il barista disse ad alta voce: "Hemi-anaru, lascia in pace i clienti o non ti faccio più entrare qui dentro!"

Graeme allora disse al barista: "Non ci sta importunando, anzi... siamo lieti che si sia seduto con noi."

"Beve un po' troppo e allora dà fastidio alla gente! Ma contenti voi..." commentò il barista con un'alzata di spalle.

"Quell'uomo vede solo la lunghezza del proprio naso," disse Hemi-anaru, "Ma non è cattivo. Si diverte a sgridarmi. Così si sente importante." commentò con un sorriso lieve.

Non era bello, quel giovane maori, per lo meno non lo era per i miei canoni di bellezza, però aveva un volto franco e un'espressione simpatica. I suoi occhi scuri erano particolarmente belli, comunque, e il suo sguardo penetrante, ma aperto e amichevole.

"Così, tu sei un professore." disse il giovane maori rivolto a me.

"Sì." risposi io.

"Ah. E vieni dall'Italia."

"Sì. Sai dove è l'Italia? È il paese più lontano che ci sia dalla Nuova Zelanda."

"Sì, lo so. È il paese a forma di stivale, un po' come la Nuova Zelanda. E lì ci abita il papa di Roma, il capo di tutti i cattolici. Quando ero piccolo ero andato a scuola dai preti cattolici, ma poi ho smesso presto di studiare. Non mi piaceva quello che mi insegnavano, e comunque dovevo mettermi a lavorare per aiutare i miei."

"Che lavoro fai, adesso?" gli chiese Graeme.

"Il giardiniere all'Everglades Golf Club. Oggi è il mio giorno di riposo. Quando ho il mio giorno di riposo vengo sempre qui. A volte si fanno anche incontri interessanti. Come oggi voi due. Ma non dovete essere tristi, a volte la vita dà le risposte che uno cerca."

"Ma a volte non le dà." ribattei io.

"No, è che a volte noi non le stiamo a sentire, piuttosto. Ma no, voi due non avete veramente ragione di essere tristi. Non fate come il barista che non sa vedere più lontano della punta del proprio naso." disse lanciandogli un'occhiata con un lieve sorriso.

Poi si alzò e, senza salutare, andò a sedersi a un tavolo, da solo, e riprese a sorseggiare lentamente la sua birra.


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