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una storia originale di Andrej Koymasky


VIAGGIO IN NUOVA ZELANDA 4 - DUE TENERI RAGAZZI

Un giorno andammo a visitare il parco nazionale di Arthur's Pass. È un parco alpino, con ripide montagne tagliate da profonde valli con al fondo torrenti che scorrono rapidi. La flora è splendida, e sul versante ovest, che è più umido, le valli sono molto belle e piene di piante sempreverdi.

Seduti sull'erba, Graeme mi chiese di raccontargli di quando mi sono reso conto di essere gay.

Gli raccontai: fin da piccolo a me aveva sempre attratto molto più la figura maschile che non quella femminile. Fisicamente l'uomo mi sembrava molto più bello e attraente della donna, anche prima che sentissi sorgere in me gli stimoli sessuali.

Un giorno, ero a casa di un mio compagno di scuola per studiare, avevamo entrambi sedici anni, poiché eravamo soli lui ha tirato fuori una rivista pornografica che aveva nascosto, con uomini e donne impegnati in varie pose sessuali. Allora mi resi conto che mi eccitavo guardando gli uomini nudi, e non le donne come invece accadeva al mio compagno. Io sapevo già, per sentito dire, che esistevano gli omosessuali. Allora non si usava ancora il termine gay.

Quel giorno capii chiaramente che io sono gay, ma la cosa non mi colpì affatto, accettai subito il fatto e capii anche che non sarei mai cambiato. Il mio compagno mi disse ridacchiando che ce l'aveva duro. Io gli dissi che ero eccitato anche io, senza però dirgli che era a causa delle foto degli uomini. Lui allora mi toccò... dopo poco ci stavamo masturbando a vicenda continuando a guardare quelle foto.

Dopo quella volta lo facemmo ancora assieme, e ogni volta spingevamo più in là le nostre esplorazioni sessuali, finché cominciammo anche a succhiarcelo, e infine anche a mettercelo di dietro, l'uno all'altro. Ci piaceva. Anche se lui si mise poi anche con una ragazza e infine smise di farlo con me perché gli piaceva di più farlo con lei.

Avevo diciassette anni quando, avendo smesso di farlo con quel mio compagno, cominciai a cercare altri con cui farlo. Fra compagni si diceva che in un certo parco ci andavano "i froci" per scopare, così cominciai a frequentarlo. Ma non trovai niente, probabilmente perché io ci potevo andare solo di giorno e invece, capii poi, gli incontri avvenivano di notte.

In estate, durante le vacanze da scuola, cominciai a frequentare la piscina comunale non lontano da casa mia. Lì incontrai un ragazzo di ventuno anni. La prima volta ci vedemmo nelle docce, dove c'eravamo solo lui e io. Ci siamo guardati, lui mi ha sorriso, ci si è messi a parlare. Lui ce l'aveva dritto e duro e io non riuscivo a distogliere il mio sguardo da lì. E anche il mio membro presto si sollevò e diventò duro.

Lui se ne accorse e mi sorrise. Allungò una mano e me lo toccò, invitandomi a toccare anche il suo. Mi disse che gli piacevo, che aveva voglia di fare qualcosa con me. Lì però era troppo pericoloso farlo, poteva entrare qualcuno da un momento all'altro. Per un po' ci vedemmo lì in piscina e anche fuori, ma nessuno di noi due aveva un posto dove andare a farlo, anche se entrambi ne avevamo sempre più voglia.

Poi una volta un suo compagno d'università gli ha dato la chiave di una sua mansarda, pensando che l'amico ci volesse portare la sua ragazza. Così finalmente potemmo fare l'amore, su un letto. Devo dire che ne fui un po' deluso, perché quello pensava solo al proprio piacere e mi sentii usato da lui. Però tenni duro, perché era l'unico che avevo a disposizione e comunque quel ragazzo aveva un bel corpo.

Poi lui mi portò in un bar gay dove mi presentò ad altre persone. Così conobbi un ragazzo di Genova che aveva ventisei anni e uno di Novara che ne aveva ventiquattro. Anche da loro mi sentivo molto attratto, ma non mi ero ancora mai veramente innamorato. Il ragazzo di Genova veniva spesso nella mia città per lavoro, così ci si vedeva, si andava assieme al bar, in giro, al cinema. Quando si andava al cinema di mattina non c'era quasi mai nessuno, allora si andava in galleria nelle ultime file e lì si riusciva a fare qualcosa, aprendoci solo i calzoni. Se anche fosse arrivato qualcuno l'avremmo visto in tempo per ricomporci.

Però col ragazzo di Genova durò poco. A lui io piacevo molto, ma non era possibile continuare a vederci così di nascosto e in fretta e sempre con gli occhi fissi sulla pesante tenda di velluto da cui si entrava nella parte bassa della galleria del cinema. Così alla fine smettemmo di vederci.

Con il ragazzo di Novara andò meglio. Anche lui frequentava l'università e aveva una stanza in affitto con due suoi compagni di corso. Così a volte mi portava lì, quando sapeva che non c'era nessuno degli altri due. I compagni sapevano che lui era gay, perciò non c'era nessun problema. Per sicurezza ci si chiudeva dentro, almeno se tornava uno dei compagni non ce lo saremmo trovato davanti proprio sul più bello. Si andava nella loro camera da letto, ci si spogliava poi si saliva sul letto di Paolo e si cominciava a fare l'amore.

A lui piaceva sia prenderlo che metterlo e questo mi andava abbastanza bene. L'unico problema con lui era che, a parte quando ci si vedeva per scopare, non avevamo altri momenti in comune. Così dopo un po' mi stancai anche di lui. Infatti quello che cercavo era... amore e non solo sesso.

L'amore è sempre stato piuttosto importante nella mia visione della vita, anzi, man mano che crescevo era sempre più importante. Inoltre a me piacciono i tipi piuttosto alti, con un corpo atletico ma non gonfiato in palestra, e di modi e aspetto piuttosto virile anche se gentile... e mi piacciono i tipi che hanno un buon senso dell'umorismo e una sana allegria.

Non eravamo innamorati e io sapevo che lui non mi era fedele... così decisi che neanche io ero tenuto a esserlo e cominciai di nuovo a guardarmi attorno. Cominciai perciò ad avere altri incontri, alcuni solo per una volta, altri un po' più duraturi.

Dopo che il ragazzo di Novara si fu laureato e che tornò a vivere a Novara, conobbi il primo ragazzo di cui mi sono innamorato. Aveva ventitré anni, si chiamava Marcello e faceva il rappresentante di commercio di prodotti per la toeletta: saponi, bagno schiuma, shampoo. Girava con un furgone, dentro al quale c'era sempre un odore di... bagno schiuma. Non spiacevole, comunque.

Nel retro del suo furgone aveva un materassino da spiaggia di spugna sintetica, pieghevole. Ci si chiudeva dentro, lo stendeva, ci si spogliava e si face l'amore lì dentro, parcheggiati da qualche parte. Mi piaceva l'idea che lì fuori ci fossero passanti, ignari che a pochi centimetri da loro due ragazzi completamente nudi stavano facendo l'amore.

Dicevo che mi ero innamorato di lui e anche lui di me. A volte veniva ad aspettarmi fuori da scuola. Salivo sul suo furgone, guidava per un po' cercando un posto tranquillo, poi si andava nel retro del furgone che era isolato dai due sedili anteriori solo da una tenda. Ci piaceva spogliarci lentamente a vicenda, e frattanto carezzarci, baciarci, leccarci qua e là finché eravamo tutti e due eccitati e su di giri.

A lui piaceva prendermi per primo e mi faceva mettere a quattro zampe, poi gli dava dentro con vigore. Ci metteva poco a venire, di solito era talmente eccitato che dopo pochi minuti raggiungeva l'orgasmo. Poi toccava a me prendere lui. Io preferivo che si mettesse sulla schiena e tirasse su le gambe, perché mi piaceva guardarlo in viso mentre lo prendevo. E io ci mettevo abbastanza più tampo di lui prima di raggiungere l'orgasmo. Anche se il nostro modo di fare l'amore era un po' una routine, tutto sommato mi piaceva farlo con lui.

Anche perché dopo si stava stesi per un po', abbracciati a farci le coccole e a sussurrare, magari anche cose sciocche, ma che aumentavano la nostra intimità. Quando faceva freddo, dopo aver fatto l'amore, e non sentivamo il freddo in quei momenti di passione, lui metteva sopra ai nostri corpi nudi una coperta di lana e si stava per un po' rincantucciati là sotto.

Però poi Marcello trovò un lavoro migliore in Francia, così andò via. In seguito ebbi altre storie, anche in Giappone ne ho avuta qualcuna, ma niente di veramente lungo e veramente soddisfacente al cento per cento... come invece era quella che era nata fra me e Graeme.

Graeme mi chiese: "Secondo te è importante essere fedeli, quando si è in coppia e ci si ama?"

"Penso di sì. Non parlo tanto di una fedeltà fisica, ma del cuore. Uno potrebbe forse avere una piccola avventura, anche se è pericolosa perché potrebbe mettere in crisi l'amore che si sente per l'altro. E secondo te? È necessario essere fedeli?"

"Credo di sì... anche se concordo con te. Se un'avventura ti colpisce in modo particolare, se ti senti 'troppo' attratto dall'altro, o fisicamente o per il suo carattere, la fedeltà consiste nel troncare immediatamente questa nuova relazione. E poi a me darebbe fastidio se il mio amante andasse con un altro quando ci sono io lì. Sarebbe forse diverso se fossimo lontani."

"Io credo che se si è veramente innamorati dell'altro, non ci si accorge neppure dell'esistenza di altri ragazzi. Cioè, voglio dire, uno non può fare a meno di vedere un ragazzo bello e simpatico, non può fare a meno di apprezzarlo, ma credo che non gli può nemmeno venire in mente di andarci a letto. La fedeltà non è una cosa che uno si deve imporre, ma qualcosa che sorge spontanea dal cuore." gli dissi io.

"Sì, sono d'accordo con te. E tu, che cosa cerchi in un amante?"

"Vedi, Graeme, non solo buon sesso, ma anche e forse soprattutto rispetto, amicizia, sincerità assoluta, pazienza, disponibilità... tutte qualità che sento che tu hai. Per questo sono tanto innamorato di te." gli dissi carezzandogli con tenerezza una mano e guardandolo negli occhi.

"E la voglia di fare la strada assieme, di costruire una vita dalle due che erano, di adattarsi sempre più all'altro. Io credo che una coppia che vive assieme da anni ha come risultato che i due si assomigliano sempre più... non credi?"

"Sì, anche se ognuno resta se stesso. Una diversità che diventa sempre più complementare, secondo me."

"Hai ragione, sono d'accordo con te. E ognuno deve cercare di andare verso l'altro e non cercare di cambiare l'altro."

Sì, avevamo la stessa visione della vita e dell'amore, e questo mi riempiva di gioia. Ma presto ci si sarebbe dovuti separare e questo mi riempiva di tristezza. Proprio per rompere quel doloroso senso di impotenza, di tristezza, ci alzammo e ci mettemmo a camminare, in silenzio, tenendoci per mano, salendo più in alto, fuori dal sentiero, attraverso il bosco.

Stavamo camminando in silenzio, quando Graeme mi strinse la mano fermandosi e facendomi fermare. Mi fece cenno di tacere e seguii la direzione del suo sguardo, mentre lui si spostava di lato e io lo seguivo. Quando arrivammo dietro un folto di cespugli avevo appena fatto in tempo a vedere che cosa avesse attratto la sua attenzione.

Poco più in basso del nostro punto c'erano due ragazzi, forse sui diciotto anni. Avevano entrambi i calzoni abbassati sulle anche e la T-shirt tirata su sul petto. Stavano in piedi, uno dei due, che indossava una T-shirt azzurra, era appoggiato al un tronco di un albero e l'altro, abbracciato a lui, gli si sfregava contro baciandolo in bocca. Accanto a loro giacevano in terra due zainetti neri da escursione, uguali, di quelli che i ragazzi della loro età usano anche quando vanno a scuola per portare i loro libri.

Io non sono un guardone, ma quei due ragazzi erano belli da vedere, e guardandoli mi eccitai. Poi quello di fronte al ragazzo appoggiato con le spalle al tronco dell'albero, si accoccolò a terra e prese a leccare e baciare il bel membro eretto del compagno, che stava con la nuca appoggiata al tronco e aveva gli occhi chiusi, godendo in modo evidente il trattamento che il suo compagno gli stava prodigando.

Quello accoccolato giù, che aveva una T-shirt rossa, sollevò le mani a stuzzicare i capezzoli del compagno e si fece scivolare completamente dentro la bocca il bel membro duro, poi cominciò a muovere la testa avanti e dietro. I suoi folti e morbidi capelli, biondi come il grano maturo, ondeggiavano lievi a ogni movimento del suo capo.

Era davvero una scena molto bella, lì nella natura, dove il sole filtrava fra i rami degli alberi creando un suggestivo gioco di luci e ombre. Il ragazzo appoggiato all'albero carezzava la testa e le spalle del suo compagno. Il tutto avveniva in un incantato silenzio rotto solo dal richiamo degli uccelli e dal mormorio del non lontano torrente che in quel punto formava una serie di cascatelle.

Guardai verso Graeme e vidi che era assorbito dalla scena che stavamo guardando e che un lieve sorriso con un che di tenero aleggiava sul suo bel volto. Ne richiamai l'attenzione toccandolo su una spalla. Si girò verso di me e mi sorrise. Avvicinai il mio capo a lui e lo baciai in bocca. Rispose la mio bacio con calore e passione. Con una mano scesi a carezzarlo fra le gambe e sentii con piacere che anche lui aveva una bella erezione.

Tornammo a guardare verso i due ragazzi. Quello con la T-shirt rossa, ancora accoccolato a terra, continuava a succhiare il membro del compagno. Era bello vedere apparire e scomparire fra le labbra del ragazzo quel bel palo di soda carne. Ogni volta che il ragazzo spingeva in avanti con il capo, premeva il naso contro il pelo scuro e folto del pube del compagno e scuoteva lievemente la testa a destra e sinistra. Il suo compagno emetteva qualche gemito che riuscivamo appena a sentire... La scena era altamente erotica.

Poi si staccarono, dissero qualcosa sottovoce, sentimmo il suono delle voci ma non ne distinguemmo le parole, quindi si scambiarono le posizioni e il ragazzo con la T-shirt azzurra si accoccolò davanti al compagno che s'era appoggiato al tronco, e si mise a succhiargli il membro con altrettanta dedizione.

Graeme mi sussurrò all'orecchio: "Sono belli, vero?"

"Sì, belli e teneri." assentii io sottovoce.

"Quale ti piace di più?" mi chiese ancora Graeme in un sussurro.

"Non lo so... forse quello con la T-shirt azzurra e i capelli scuri."

"Sì, anche a me. Però anche l'altro è carino, vero?"

"Sì." gli risposi e gli feci cenno di tacere.

Ci rimettemmo a guardare i due ragazzi. Quello accoccolato a terra si era alzato e ora erano di nuovo abbracciati e si baciavano, le mani di entrambi sul sedere dell'altro che si stringevano e si sfregavano l'uno contro l'altro con evidente passione e piacere. Mi chiesi se erano solo due che si stavano divertendo o due amanti... chissà?

All'improvviso, sbucato da chissà dove, arrivò accanto ai due ragazzi un uomo sui quaranta anni, grosso e muscoloso. Indossava una camicia di tessuto scozzese rosso e nero, jeans e stivali e aveva un'ascia poggiata su una spalla. Ne sentimmo la voce bassa e forte.

"Ehi, voi due frocetti, dove cazzo credete di essere? A casa vostra?" disse.

I due ragazzi si staccarono precipitosamente e cercarono di tirarsi su i calzoni, ma l'uomo li fermò facendo un secco gesto.

"Fermi lì, se non volete grane!" ordinò brusco.

I due lo guardarono, preoccupati più che spaventati. Uno dei due si guardava attorno, probabilmente cercando una via di fuga.

L'uomo arrivò vicino ai due: "Così, vi piace succhiare cazzi, ho visto... e magari anche prenderlo in culo, vero?" chiese con tono sarcastico.

I due ragazzi non avevano ancora parlato.

L'uomo allora disse: "Cos'è, vi si è consumata la lingua per spompinarvi? Rispondete, frocetti, vi piace prenderlo anche in culo?"

"Ci lasci in pace, per favore." disse ma non in tono di preghiera, quello con la T-shirt rossa.

"Eh no, non devi avere quel tono con me, checchina. Girati, fammi vedere il tuo culetto da puttanella, dai."

"Ci lasci in pace." ripeté il ragazzo e si chinò per tirarsi su i calzoni.

Ma l'uomo lo afferrò per un braccio con rudezza e lo strattonò: "Ti ho detto di girarti, stronzo!" gli gridò. "E tu," disse all'altro, "Adesso mi apri la cerniera lampo e me lo tiri fuori, me lo bagni con la bocca che poi io fotto il tuo amichetto." disse con tono autoritario.

"Ma va a fa 'n culo!" gli rispose il ragazzo con la T-shirt azzurra.

L'uomo lasciò l'altro e sollevò minacciosamente la scure.

A quel punto Graeme e io ci guardammo e in fretta uscimmo dal nostro nascondiglio scendendo decisi verso il trio. Quando fummo vicini, si accorsero tutti e tre di noi. L'uomo abbassò l'ascia e ci guardò con durezza.

"Che cazzo volete, voi due?" ci chiese minaccioso.

Parlò Graeme: "Siamo due giornalisti," inventò e indicò la macchina fotografica Nikon che io avevo appesa al collo, "e abbiamo visto e fotografato tutta la scena. O ora lei lascia subito in pace questi due ragazzi e se ne va di corsa, oppure noi la denunciamo." disse in tono deciso.

"Ma questi due stavano facendo porcate qui nel parco... io sono un impiegato del Dipartimento di Conservazione e..."

"E voleva approfittare di loro! Vuole una denuncia per minacce?"

"Posso denunciarli io."

"No, perché avrebbe la testimonianza di quattro persone contro la sua, più la foto in cui li minaccia con l'ascia. Sarebbe lei ad andare in galera, glielo assicuro, non i due ragazzi. Ora fili via in fretta e non si faccia più vedere!" insisté Graeme con voce dura.

L'uomo ci guardò accigliato, poi rimise l'ascia a spalla e scese verso valle a passo deciso, senza aggiungere una sola parola e senza mai girarsi indietro. Finalmente i due ragazzi si tirarono su i calzoni e si sistemarono gli abiti.

Poi quello con la T-shirt azzurra, ci guardò e disse: "Grazie... siete arrivati appena in tempo... quello ci voleva violentare."

"Sì, ce ne siamo resi conto, vi stavamo osservando da un po'." disse Graeme con un sorriso.

Il ragazzo con la T-shirt rossa commentò: "Allora... avete visto... tutto." e arrossì.

"Beh, sì, abbiamo visto abbastanza... e abbiamo pensato che eravate molto belli mentre facevate l'amore, ragazzi."

"Non... non ci giudicate due pervertiti, allora?" chiese ancora il ragazzo con la T-shirt rossa.

"Noi? No, perché anche fra noi due ci piace fare le stesse cose. Noi due siamo gay, ragazzi. Perciò potete stare tranquilli." spiegò Graeme con un sorriso.

"Beh, ci è andata proprio bene, allora." disse il ragazzo con la T-shirt azzurra tirando un udibile sospiro di sollievo e abbozzando per la prima volta un sorriso.

Ci presentammo. Il ragazzo biondo si chiamava Keith e aveva diciotto anni, il suo compagno Arden e ne aveva diciassette. Ci raccontarono la loro storia. Abitavano entrambi a Greymouth a pochi isolati l'uno dall'altro. Erano compagni di scuola e da due anni erano diventati amanti. Era stato Arden che aveva sedotto Keith, facendogli una corte assidua per quasi sei mesi.

Arden aveva visto Keith all'ingresso della scuola e ne era stato subito colpito, se ne era sentito terribilmente attratto: lui aveva già capito di essere gay, ma non aveva ancora avuto esperienze di sesso con nessuno, neppure solo masturbarsi con qualche compagno. Ma si era subito sentito innamorato di Keith e aveva deciso di conquistarlo.

A entrambi piaceva il rugby e così divennero amici. Andavano a vedere le partite assieme, e Arden entrò a far parte della squadra della scuola, in cui già giocava Keith. Un giorno, dopo un allenamento, Keith invitò Arden a casa sua per fargli vedere la sua collezione di foto autografate dei giocatori della nazionale. In casa sua non c'era nessuno. Stavano guardando le foto, stesi sul ventre sul letto di Keith, quando Arden improvvisamente abbracciò il compagno, e lo baciò in bocca.

Il compagno dapprima ne fu talmente sorpreso che si irrigidì... ma poi finalmente rispose al bacio dell'amico. E allora Arden gli disse di essere innamorato di lui, e che voleva essere il suo ragazzo, il primo con cui faceva l'amore.

Keith sapeva anche lui di essere gay e aveva già avuto qualche esperienza con due compagni di squadra che però non erano gay, e che facevano sesso con lui solo per sfogarsi, anche se comunque non lo disprezzavano per essere gay. Ma Keith non aveva mai avuto un'esperienza con un altro ragazzo gay e tanto meno con qualcuno che gli diceva di essere innamorato di lui e non solo di aver voglia di scopare.

Così fecero l'amore già quel primo giorno e a poco a poco anche Keith si innamorò di Arden. Ma a parte quella volta, i due ragazzi non erano quasi mai soli in casa, perciò avevano difficoltà per trovarsi nella necessaria intimità e fare l'amore. Stavano anche molto bene semplicemente assieme, e le loro famiglie non sospettando la vera natura della loro amicizia, vedevano anzi di buon occhio la loro frequentazione. Però i due ragazzi sentivano in modo acuto il naturale desiderio di dimostrarsi l'un l'altro il loro amore anche fisicamente.

Così avevano preso a fare escursioni e quando trovavano un posto abbastanza isolato, si concedevano qualche momento di tenera intimità, come quel giorno che li avevamo prima sorpresi noi, poi quel boscaiolo. Nei mesi freddi invece potevano appartarsi più di rado. Qualche volta erano fortunati e, facendo escursioni in montagna, trovavano che nel rifugio alpino non c'erano altri escursionisti e allora potevano fare l'amore in santa pace.

Non vedevano l'ora che anche Arden diventasse maggiorenne, per potersene andare da casa e vivere assieme, anche a costo di lasciare gli studi e mettersi a lavorare per potersi mantenere. Le loro famiglie, infatti, e specialmente quella di Arden, avrebbero reagito male alla notizia che i due ragazzi erano gay e si amavano e volevano vivere assieme.

Il padre di Keith era un medico, proprietario di una clinica privata e anche la madre era medico. Aveva altri due fratelli e una sorella. Il padre di Arden era il proprietario di un negozio di liquori e la madre era casalinga. Arden aveva solo una sorella più grande di lui, che stava per sposarsi.

Ci chiesero se eravamo davvero giornalisti e se davvero io avevo scattato loro le foto. Graeme rise e disse che non era vera ne una cosa né l'altra, che aveva inventato tutto per spaventare l'uomo e che per fortuna c'era riuscito. I due ragazzi risero e ci ringraziarono di nuovo. Poi vollero sapere la nostra storia e gliela raccontammo.

"Siete più sfortunati di noi, allora!" disse Keith simpatizzando con noi.

"Ma per lo meno, in questi giorni, possiamo fare l'amore tranquilli, nella sua camera d'albergo." disse Graeme e aggiunse: "Bisogna sapersi accontentare di quello che ci dà la vita."

I due ragazzi ci chiesero se gli scattavamo qualche foto, vestiti si intende, poi ne vollero scattare anche a noi. Keith dette a Graeme il suo indirizzo, pregandolo di mandargli le foto, sia quelle in cui c'erano loro, sia quelle in cui c'eravamo noi.

"Spero che resteremo in contatto, almeno per lettera. Avete l'e-mail, voi due?" chiese Arden.

"Io ce l'ho, in Giappone. Graeme non ancora. Comunque anche io avrei piacere di restare in contatto con voi." dissi.

"Ci scriveresti dal Giappone? Magari una di quei bei cartoncini che fanno là... Una volta ne ho visti un paio: sono molto belli." chiese allora Arden.

"Promesso. E ci scambieremo anche qualche e-mail, d'accordo?" dissi io.

Scendemmo assieme fino al centro abitato di Arthur's Pass, dove i due ragazzi avevano lasciato le loro motociclette e noi l'auto, e io li invitai a fermarsi a mangiare con noi, prima di separarci.

Durante il pranzo chiacchierammo come vecchi amici: i due ragazzi erano davvero molto simpatici, due teenager puliti e gentili, e con una grossa vena di allegria. Arden fisicamente era un po' meno grazioso di viso del suo ragazzo, ma aveva un bel sorriso, e occhi e denti splendidi. Keith era veramente attraente. Forse Keith aveva un carattere un po' più dolce di Arden, che comunque era gentile.

Ci salutammo e noi tornammo verso Christchurch mentre i ragazzi andavano verso Greymouth. Per la strada parlammo ancora dei due ragazzi, scambiandoci le nostre opinioni. Eravamo tutti e due inteneriti per la storia dei due ragazzi e anche lieti di averli potuti togliere, grazie allo strattagemma di Graeme, da una brutta situazione.

Nei giorni seguenti andammo al The Court Theatre a vedere la commedia "The importance of being Earnest" e ci divertimmo molto, anche se io persi qualche battuta. Comunque Graeme mi fece i complimenti per il buon livello del mio inglese.

Poi andammo anche ad Akaroa dove salimmo a bordo di una barca, che faceva il giro delle coste, su cui anche pranzammo. La guida era un buffo ragazzo sui venticinque anni leggermente grassottello e con una faccia simpatica, che faceva continue battute, ma molte erano in relazione a fatti locali, così ne potei apprezzare solo alcune, ma tutti ridevano... anche Graeme, e mi piaceva guardarlo ridere spensierato e felice. Anche durante quella escursione chiedemmo ad altri turisti se per favore ci scattavano qualche fotografia.

Sì, più ci stavo assieme più quel ragazzo mi piaceva e non solo per la sua bellezza fisica, né solo per il modo meraviglioso con cui continuava a fare l'amore con me quando a sera si ritornava nella mia camera d'albergo. Aveva una gioia di vivere che contrastava con l'immagine seria e pensierosa che avevo avuto di lui quando l'avevo visto per la prima e la seconda volta al Mac Donald.

Quel giorno sembrava già lontano e invece si avvicinava sempre più il giorno della mia partenza.

Poi una sera Graeme mi portò al gay bar "Buddies" in Lichefield Street. L'ambiente era abbastanza simpatico e Graeme conosceva diversi fra gli avventori. Mi presentò ai suoi conoscenti e chiacchierammo per tutta la sera. Sul tardi, quando decidemmo di tornare in albergo, uno dei ragazzi seduto al nostro tavolo mi venne accanto.

"Avrei piacere di rivederti, Sergio... Io non l'ho mai fatto con un italiano." mi disse chiaro e tondo.

"Eh no, Harvey, Sergio è mio!" esclamò Graeme guardandomi con un sorriso.

"Beh... te lo ruberei solo per una notte... che amico sei?" ribatté l'altro.

"No no, noi in questo caso non siamo amici proprio per nulla. Mi dispiace, Harvey, ma devi rinunciare a Sergio." insisté Graeme.

Quando uscimmo gli dissi in tono scherzoso: "Come ti sei permesso di decidere tu per me? E se io avessi voluto andare a letto con Harvey?"

Graeme mi guardò, dapprima sorpreso, poi ferito: "Non credevo che... mi dispiace... se vuoi tornare dentro..." balbettò quasi.

Scoppiai a ridere: "Ma Graeme! Stavo solo scherzando. Non mi interessa affatto quel ragazzo, te lo giuro, finché posso stare con te. Se non glielo dicevi tu, gliel'avrei detto io! Mica mi hai preso sul serio, no?"

Graeme mi guardò serio, poi sorrise: "Sono stupido, vero? Sì, ti avevo preso sul serio... e ci sono stato male, devo essere sincero."

"Mi dispiace, amore. Non volevo ferirti. Davvero." gli dissi intenerito e, del tutto incurante del fatto che eravamo per la strada, lo abbracciai.

Ci staccammo quasi subito. Graeme era di nuovo sereno.

Andando verso la macchina, gli chiesi: "Mi perdoni, amore?"

Lui mi guardò con un sorriso birichino e provocante: "Vedremo... sai cosa devi fare per farti perdonare, appena siamo in camera, no?"

"Sì che lo so. E vedrai che ti faccio dimenticare questo stupido incidente. Io ti amo davvero, Graeme, non ti avrei mai fatto una cosa del genere. Neanche se fossi stato da solo in quel bar, neanche se tu non lo fossi venuto a sapere."

"Ma quando saremo lontani... se vedrai qualche bel ragazzo... puoi anche andarci a letto, se ne hai voglia." mi disse quasi sottovoce.

"Non lo so... ma non credo. Sono troppo innamorato di te."

"Sì, ma dopo un po'... la lontananza... dopo tutto siamo di carne e di sangue, il desiderio è una cosa naturale."

"Ascoltami bene, Graeme. Non posso giurarti che non accadrà, chi di noi conosce il futuro? Ma per come mi sento adesso, non ho nessuna intenzione che accada, te lo assicuro. Proprio nessuna intenzione."

"Ma se capitasse... me lo farai sapere? Sarai completamente sincero con me... anche se saremo lontani? E magari un giorno ti innamorerai di un altro. Io... Se me ne parlerai io capirò e sarò anche felice per te, visto che non posso essere tuo come vorrei... visto che non posso farti felice come vorrei."

"Non lo so, ma se capitasse, che sia un'avventura o qualcosa di più serio, tu sarai il primo a saperlo, Graeme, te lo giuro!"

"Bene. Lo stesso per me. Anche io credo che sarà difficile che possa sentirmi attratto da un altro, ora che ho conosciuto te. Ma la vita è lunga e... chi lo sa? Ma anche io ti scriverò tutto quello che sento, che penso, che provo... e anche tu sarai il primo a saperlo, se dovesse capitare qualcosa."

Quella notte facemmo di nuovo l'amore con tutta l'intensità e il trasporto delle prime volte, quasi a rassicurarci l'un l'altro del nostro reciproco amore, quasi a sancire la promessa che ci eravamo fatti.


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