IL RAGAZZO ALBANESE CAPITOLO 7
NON TUTTI SANNO CAPIRE

Vedete, la seconda volta in cui Ylli e io facemmo l'amore, fu davvero speciale. Perché? Perché la prima volta io ero stato colto di sorpresa, aveva reagito più il mio corpo che la mia anima, m'ero, per così dire, arreso agli abili allettamenti di Ylli. Sì, è vero, se pure in modo inconscio ero già attratto da lui, mi stavo già innamorando di lui, ma, appunto, in modo inconscio.

Da parte di Ylli, poi, mi si stava dando per rabbia, per "pagarmi" infatti, a pensarci ora, da parte sua c'era solo sesso, non calore, benché anche lui fosse innamorato di me. Ma la delusione che stava provando, aveva raffreddato il suo calore.

La seconda volta, invece, in quel pomeriggio (infatti non aspettammo la sera) eravamo entrambi pieni di amore e di calore, di desiderio di ricominciare tutto da capo, ed eravamo entrambi consci fin da prima di cominciare a fare l'amore che, appunto, compivamo un gesto d'amore.

Perciò la seconda volta fu incredibilmente più bella della prima. Già solo l'attesa di arrivare a quel momento era bella. Il guardarci negli occhi, il sorridere l'uno all'altro, il leggere il desiderio nello sguardo dell'altro... Poiché vi amate, ragazzi, credo che possiate capire quello che sto cercando di dirvi.

Vedete, io non ho esperienza in queste cose... da quanto mi avete racontato, voi ne avete molta più di me. Ma vi ho riflettuto a lungo: credo che il modo di accostarsi di due esseri che vogliono giungere all'unione sessuale, sia molto diverso se quello che li spinge è solo un'attrazione fisica, il desiderio o il bisogno di provare certe emozioni, certe sensazioni, o se invece ciò che li spinge uno nelle braccia dell'altro sia il bisogno di dare all'altro il proprio amore. Credo che siano due esperienze profondamente diverse... a tutto vantaggio della seconda.

Per questo, quando presi per mano il mio Ylli e lo condussi nella nostra camera, sul nostro letto, ogni passo lungo il corridoio, ogni passo verso quel letto, era un gradino verso... verso la perfezione. Una perfezione molto limitata, se mi permettete questo bisticcio di parole, perché noi essere umani siamo per nostra natura limitati. Eppure era un sollevarci verso il paradiso.

Quando si parla di paradiso in relazione a un rapporto di amore, un rapporto fisico di amore, voglio dire, si pensa subito all'intensità del piacere fisico... che pure c'è. Ma in realtà è un paradiso molto più spirituale, che ci assimila sempre più a qualcosa di angelico. È una festa dell'anima... che si esprime attraverso la festa dei sensi, della carne.

Così quel giorno, spogliarci l'un l'altro, svelare ai nostri occhi le forme amate, far riscoprire al nostro tatto la dolcezza vellutata, serica, calda eppure soda, virile, forte dell'altro... udire la voce, i gemiti, i sospiri, i mugolii dell'altro e anche quelli del suo cuore... bearsi dell'odore del corpo dell'altro, odore virile e muschiato, e dell'odore dell'amore che sorge dall'anima, gustare il sapore del corpo dell'altro, quel salato-dolce, soave e pungente dell'altro, e gustare l'impeto di passione che sgorga dal cuore dell'altro... ebbene erano sì festa della carne, dei sensi che però manifestavano così la festa delle nostre anime.

Forse pensate che sono toppo romantico, troppo sentimentale... forse anche troppo sdolcinato... ma se vi riflettete onestamente non credo che potete essere in disaccordo con me. Anche quando il corpo di Ylli accolse nuovamente il mio... benché accogliesse solo alcuni centimetri della mia carne, mi stava in realtà dando il benvenuto, a me tutto intero, al cento per cento.

Il nostro linguaggio è limitato, parliamo di prendere, dare, penetrare... o in termini apparentemente più crudi di scopare, fottere, farsi fottere... inculare, fare una pompa... pensateci: in realtà non c'è uno che dà e uno che prende, non uno attivo e uno passivo, non uno che domina e uno che è dominato... ma, nello stesso atto fisico, entrambi danno e ricevono nello stesso momento. Perché in questo consiste l'amore e perciò anche il sesso fatto come espressione di amore.

Ma ora, lasciatemi tornare alla nostra storia.

Eravamo assieme da qualche mese. Ylli aveva ripreso a produrre e vendere i suoi oggetti di cuoio e questo gli permetteva, pur senza dargli grandi guadagni, di non pesare finanziariamente su di me, di contribuire alla nostra vita comune. Inoltre come a volte io l'aiutavo a produrre gli oggetti belli che vendeva, lui continuava ad aiutarmi a costruire i miei mobili in miniatura e la casetta che li doveva contenere.

Io sentii il bisogno, a un certo punto punto, di condividere la mia gioia con mio figlio e mio nipote. Prima di portare Ylli con me perché si conoscessero, decisi di affrontare l'argomento con Vanni e Marco, la prima volta che andavo a pranzo da loro.

Stavamo finendo di mangiare, quando dissi a Marco: "Sai, ho ritrovato quel ragazzo albanese che fa gli oggetti in cuoio pirografato."

"Figo! E dove vende la sua roba, nonno?" mi chiese Marco contento.

"Un giorno sì uno no stende il suo panno sotto i portici di Porta Nuova, quasi all'angolo con via Sacchi. L'altro giorno invece sta in Piazza Statuto, all'angolo con via Garibaldi."

"Anche il sabato e la domenica?"

"No, esclusi il sabato e la domenica."

"Peccato, sarebbe stato più comodo... ma va bene, lo dirò ai miei compagni di scuola, ai miei amici."

"Sei ben informato su quel ragazzo albanese, papà." mi disse Vanni.

Lo guardai: non l'aveva detto con un secondo significato.

"Sì, certo che lo sono: da un po' vive a casa mia." gli dissi.

"Ah. Gli affitti una stanza? Dorme nella stanza dove stavo io o in quella degli ospiti?"

"No, Ylli dorme nella mia camera da letto." gli dissi, forse affrontando l'argomento un po' troppo direttamente.

"E tu, dove dormi, adesso?" mi chiese un po' stupito, ma ancora tranquillo, mio figlio.

"In camera mia, si capisce. Con Ylli."

Questa volta Vanni mi guardò veramente accigliato: "Cosa vuoi dire, papà?"

"Che Ylli e io dormiamo nello stesso letto." risposi tranquillo.

"Non capisco..." disse mio figlio che, secondo me aveva capito perfettamente.

Infatti Marco, con aria stupita, ma neanche troppo, devo dire il vero, mi chiese: "Vuoi dire, nonno, che tu e Ylli fate l'amore?"

"Proprio così, Marco. Vedi, Ylli e io..." gli risposi con un sorriso.

"Papà, ma che discorsi fai? Che cavolo dici?" mi interruppe Vanni.

"Vuoi dire, nonno, che siete gay? Tu e lui siete..." mi chiese Marco spalancando gli occhi

"Marco, vai di là. Non sono discorsi per te, questi! E tu papà, piantala, è uno scherzo di cattivo gusto." ci interruppe mio figlio.

"Non è affatto uno scherzo, né di cattivo gusto." gli risposi.

Marco, quasi contemporaneamente a me disse: "Ma dai, papà, queste cose le so, fra compagni se ne parla, che credi? Mica siamo nati ieri."

"Ti ho detto di andare di là!" abbaiò quasi Vanni.

"Ma dai, papà, che c'è di male se il nonno sta bene con quel ragazzo? Sono maggiorenni tutti e due, no?"

"Marco!" urlò mio figlio.

"Vanni... il fatto che Marco vada di là o no non cambia nulla."

"Ma... t'ha dato di volta il cervello, papà? Che cazzo di discorsi mi vieni a fare? Mio padre frocio! Ecco perché non sei riuscito a tenerti neppure una moglie!"

"Senti chi parla... e tu, hai saputo tenertela, la mamma? Allora anche tu sei gay, papà?" gli disse Marco con una faccia da schiaffi che... l'avrei abbracciato!

Vanni invece gli tirò un ceffone, per fortuna a vuoto perché credo che Marco se l'aspettasse e lo schivò spostandosi con un guizzo.

"Vanni, per favore! Non è alzando le mani su Marco che risolvi i tuoi problemi. Io non ti ho mai messo le mani addosso."

"Io non ho mai scopato con un maschio!" rispose rosso in viso mio figlio.

"No, è vero... hai solo fatto un figlio a sedici anni, l'età che ha ora Marco." gli dissi io senza alzare la voce.

"Ma almeno io non sono frocio!" ribatté pronto Vanni.

"Neanche io sono frocio." gli risposi.

"E cosa saresti, allora, se ti fai scopare da quell'albanese?" mi ritorse contro sarcastico mio figlio.

"A parte il fatto che chi scopa chi non ha nessuna rilevanza. Io non sono gay. Io sono innamorato di Ylli e perciò ci faccio l'amore."

"E questo non fa di te un gay?" controbatté mio figlio.

"No, fa di me un uomo che, in questo caso, si è innamorato di un altro uomo."

"Cioè un gay!" insité mio figlio arrabbiato.

"Vedi, Vanni... gay è solo un'etichetta... e tu mi stai appiccicando addosso un'etichetta perché così puoi non guardarmi in faccia, non riconoscere che sono un essere umano, così puoi anche sputarmi sopra, puoi anche buttarmi via senza rimorsi. Ebbene no, io la rifiuto questa etichetta, io sono e resto un essere umano, e non ti permetto di trattarmi come un'etichetta, cioè meno di un oggetto. Mi vuoi appiccicare un'etichetta per guardare solo l'atto sessuale, come su un'illustrazione, e non vedere il gesto di amore che questo atto implica, almeno per Ylli e per me..."

"Ma piantala papà... Il gesto di amore! Sì!" mi disse con sarcasmo, "La tua è... è solo demenza senile, ecco cos'è! Quello t'ha raggirato, si sta servendo di te, delle tue voglie per sfruttarti, per..."

"Piantala tu, Vanni! La mia demenza senile... o magari, sono io il pervertitore di un ragazzo, sono io il corruttore! E se avessimo tutti e due la tua età, quale etichetta inventeresti, dato che queste due non funzionano? La vuoi piantare di cercare disperatamente di appiccicarmi addosso un'etichetta o no?"

"E cosa dovrei fare, allora?" tuonò mio figlio.

"Forse solo stare a sentire il nonno e cercare di capire..." suggerì Marco, tenendosi pronto a schivare un altro ceffone del padre.

"Ma stai zitto tu! Stai zitto, almeno!"

"Sì, almeno parli solo tu. A te non te ne frega niente di quello che dicono gli altri, stai solo a sentire te stesso, papà..." gli disse Marco.

Misi una mano sul braccio di mio nipote: "Non esagerare, adesso, Marco... è tuo padre..." gli dissi con dolcezza.

"E perché, nonno, tu non sei suo padre? Se io devo stare a sentire lui, perché lui non deve stare a sentire te?"

Feci cenno di nuovo a mio nipote di non insistere, anche se ammirai il suo coraggio. Per un attimo nessuno di noi parlò.

Poi Vanni, cercando di controllarsi, disse: "Vedi cosa fai? Che esempio sei per mio figlio? Che gli insegni: inculiamoci allegramente, che importa! Gay? Frocio? Ricchione? Non esiste, ognuno ha diritto di portarsi a letto chi cazzo vuole! Tu fai quello che cazzo vuoi, incula o fatti inculare da chi vuoi, ma non voglio che fai questi discorsi a mio figlio!"

"Ti faccio notare, Vanni che li stai facendo tu questi discorsi... io ho solo detto che Ylli e io ci amiamo." gli dissi.

"E poi dice a me di non dire parolacce..." commentò a mezza voce Marco.

"Marco, ti ho già ordinato di andar di là!" gli disse con voce minacciosa Vanni.

"Jawol, mein fuerer. Heil Hitler!" disse Marco facendo il saluto nazista, e uscì dalla stanza.

"Vedi che hi fatto?" mi disse allora Vanni, "Soddisfatto? Hai messo mio figlio contro di me!"

"No, Vanni, sei tu col tuo comportamento che hai appena messo tuo figlio contro di tè." gli feci notare.

"Mi dispiace, papà, ma... devo chiederti di andare via da casa mia e di non tornarci più... e di non vedere Marco, di non parlare con lui..."

"È casa tua, è tuo figlio... Posso non venire più qui, posso non cercarlo. Ma se mi cerca lui, scordatelo che io gli chiuda la porta in faccia o che gli sbatta il telefono sul muso. Ma lo farò con te... se non cambi atteggiamento."

"O mi prometti..."

"Che fai, ora mi minacci? Vuoi andare alla polizia a denunciarmi? Per cosa? Ylli ed io siamo maggiorenni."

"Ma mio figlio è minorenne!"

"E allora? Mi vuoi accusare di pederastia? Di corrompere tuo figlio? Solo perché ho detto che amo un uomo? Non esser ridicolo. Tu ordina a tuo figlio quello che vuoi, e se ti obbedisce, buon per te. Ma, ripeto, se non ti obbedisce, è un problema tuo, non mio. Io non rifiuterò mai, MAI capisci, di vederlo, di ascoltarlo, di parlare con lui. Vai, vai dalla polizia, dai carabinieri, da chi cavolo vuoi, però ricordati: se provi di nuovo ad alzare le mani su tuo figlio, sarò io a denunciarti! Non mettere di mezzo lui in un problema che riguarda solo te... o solo te e me se preferisci. Come credo di aver allevato bene te, ti puoi immaginare se cercherei di 'corrompere' mio nipote! Sai che ti dico, Vanni? Se c'è un posto in cui devi andare... è da un buono psicologo perché ti aiuti a superare il tuo razzismo, i tuoi pregiudizi e la tua incapacità di... di essere un uomo!"

Detto questo mi alzai deciso ad andarmene.

"E credi di cavartela così, papà?" mi bloccò Vanni alzandosi e prendendomi per un braccio per farmi fermare.

Mi girai gelido: "Non ti azzardare a toccarmi, Vanni! Non ti ho mai messo le mani addosso, ma questa volta lo faccio, quant'è vero iddio. Toglimi quella mano di dosso, immediatamente!"

Vanni mi lasciò e arretrò di un passo e notai, con un certo piacere segreto, che aveva capito che non gli conveniva sfidarmi.

"Fuori di qui." disse allora Vanni a bassa voce.

"Se non mi fermavi tu, a quest'ora sarei già stato fuori." ribattei tranquillamente.

Uscii dalla stanza mentre Vanni sedeva di nuovo. Mentre in corridoio mi infilavo la giacca, si schiuse silenziosamente la porta della camera di Marco e mio nipote, con un sorriso, mi fece il gesto con il pollice in su... Io gli feci l'occhiolino e uscii.

Ero stranamente calmo... nonostante mio figlio mi avesse buttato fuori da casa sua. Tornai a casa e quando vidi Ylli gli raccontai tutto. Il mio ragazzo era molto preoccupato per me, sì che dovetti faticare non poco per tranquillizzarlo. Forse la mia calma veniva proprio dal fatto di sapere che ero amato da Ylli.

Come prevedevo, non dovetti aspettare molto per sentire mio nipote Marco. Due giorni dopo mi telefonò in ufficio.

"Nonno... scusa se ti chiamo al lavoro, ma da casa non posso chiamarti... per non litigare con papà. Perciò ti devo chiamare quando esco da scuola, prima di tornare a casa."

"Ti picchia?"

"No... però guai se provo a parlare di te."

"E tu non parlargli di me, è meglio."

"Tu adesso puoi parlare liberamente? Qualcuno ti sente?"

"No, nessuno, sono solo nel mio ufficio."

"Perché... io ti dovevo dire una cosa, nonno."

"Cosa?"

"Vedi... avevo ragione io a pensare che non potevo parlarne con papà..."

"Di cosa?"

"Che io sono... proprio come te."

"Proprio come me?" chiesi 'temendo' di capire.

"Sì... anche io conosco un ragazzo e... siamo innamorati."

"Ma, Marco... hai solo sedici anni..." obiettai, forse stupidamente.

"Papà ha scopato con mamma a sedici anni. Sedici anni come me... Perché non io, allora? E poi, almeno, io non rischio di mettere incinta Sergio né lui me." disse ridacchiando mio nipote.

"Un tuo compagno di scuola?" gli chiesi divertito.

"No, un compagno di squadra di pallacanestro, anche se lui ha diciannove anni."

"Vi volete bene?"

"Sì, nonno... ma ci piace anche scopare."

"Beh, direi che è piuttosto logico."

"Mi piacerebbe raccontarti di lui e di me... ma ho poco tempo, adesso... Però ti telefono ancora... posso?"

"Ogni volta che vuoi, Marco."

"Mi piacerebbe anche vederti, nonno. Adesso che so che... siamo fatti della stessa pasta. Parlare con te... e anche conoscere il tuo ragazzo."

"Marco, sai che casa mia è sempre aperta per te. Se riesci a venire da me senza che papà si arrabbi..."

"Beh, vedrò come posso fare. Ciao, nonno, ti voglio bene!"

"Anche io, Marco. E non solo perché siamo fatti... della stessa pasta!"

Mio nipote ridacchiò, mi mandò un bacio e posò il telefono.

Riuscì a venire da me, con Sergio, più di un mese dopo. E finalmente conobbe il mio Ylli. Bene o male ci si sentiva spesso per telefono, anche se doveva sempre chiamarmi lui, e qualche volta ci si riusciva anche a vedere.

Poi, quando Marco compì diciotto anni, Sergio lo lasciò e per il mio Marco fu un brutto colpo. Allora, sfidando il padre, mi venne a trovare per sfogarsi, per chiedermi un consiglio e un appoggio morale.

Ma quando il padre scoprì che Marco era venuto a trovarmi (mi chiedo ancora come abbia fatto a scoprirlo) gli fece una terribie scenata. Marco a un certo punto, per l'esasperazione, gli disse che anche lui era come me anche da prima che io parlassi loro del mio amore per Ylli (e quindi non era per "colpa" mia... come immediatamente aveva pensato Vanni) e allora il loro litigio divenne ancora più violento... tanto che alla fine Marco decise di andarsene da casa. Ormai poteva farlo: era maggiorenne.

Arrivò da me, mi raccontò tutto e mi chiese ospitalità. Logicamente lo accolsi con piacere e gli preparammo la stanza che era stata di Vanni. Però gli dissi anche che secondo me avrebbe dovuto cercare di riconciliarsi col padre, che aveva avuto torto a trattarlo male, dopo tutto era pur sempre suo padre, anche se di mentalità così chiusa.

"Nonno, mio padre ha trattato male te: ha solo avuto quello che si meritava! Il giorno in cui lui verrà a chiedere scusa a te... ti prometto che gli chiederò scusa anche io."

Vanni, per ritorsione, smise di pagare la scuola a Marco, e mio nipote aveva deciso di cercarsi un lavoro. Ma Ylli e io, e fu Ylli a propormelo, decidemmo di pagargli gli studi in modo che non dovesse smettere. D'altronde Marco si mise a studiare anche più seriamente di prima e andava molto bene a scuola.

Marco e Ylli sono sempre andati molto d'accordo, veramente come due fratelli. Per me è sempre stato un piacere vederli assieme. Fu in quel periodo che Marco prese a firmarsi "Marco II" per distinguersi da me. Per prenderlo in giro io gli chiesi se credeva di essere un re...

"Sì che lo sono! Voi due mi trattate proprio come un re!" rispose lui allegro.

"Siamo i tuoi devoti sudditi..." lo prese in giro Ylli.

"Beh... spero di essere un buon re, allora." concluse Marco.

Sì, stiamo proprio bene tutti e tre assieme. E fu Marco che un giorno disegnò quel poster con su scritto "Giovane - Anziano - Ylli!" sì che le tre iniziali formano in verticale la parola "gay"...

Per prenderlo in giro gli dissi: "Marco, sai che a me non piacciono certe etichette..."

"Nonno, tu lo sai bene l'inglese, no? Gay significa felice... e chi è più felice di noi tre!"

È proprio vero... chi è più felice di noi tre?


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