IL RAGAZZO ALBANESE CAPITOLO 1
SOTTO I PORTICI DELLA STAZIONE

Non ricordo bene che giorno fosse, ma era sicuramente la fine dell'ottobre del 1998, perché avevo compiuto da poco cinquantasette anni. Allora lavoravo come direttore della sede dell'Ufficio Provinciale del Turismo che c'era nella hall della stazione di Porta Nuova.

Avevo lasciato le consegne all'impiegata ed ero uscito perché dovevo andare a fare qualche commissione. No, non per me, non ho mai fatto qualcosa di personale durante l'orario di lavoro, era per l'ufficio, anche se ora non saprei dirvi di che si trattasse: capirete, dopo cinque anni...

Comunque, dicevo, ero uscito e sotto i portici avevo notato i soliti venditori ambulanti con i loro quadrati di panno di vari colori, che esponevano sul marciapiede le loro merci: braccialetti, disegni, oggetti vari di presunto artigianato locale. A volte c'erano anche oggetti discreti, benché la maggior parte fossero cose di cattivo gusto, almeno secondo me.

Quel giorno notai, su un telo di panno verdone scuro, alcuni oggetti di cuoio: cinture, borse, borsette e borsellini, portafogli, porta-carte e altri oggetti decorati col sistema della pirogafia. Erano belli, eseguiti con notevole buon gusto. Mi fermai un attimo a guardarli, poi sollevi lo sguardo per vedere il venditore.

Era un ragazzo sui venticinque anni (non m'ero sbagliato granché a giudicarlo, seppi poi che ne aveva ventiquattro), piuttosto alto, aveva capelli castano scuri con larghi e soffici ricci e sopracciglia dritte, un po' rade e ben separate. Quello che mi colpì furono i suoi occhi di un grigio chiaro chiaro, quasi luminosi, e le sue labbra dritte e lievemente carnose. Aveva un'espressione seria, ma non imbronciata né dura. Indossava una tuta da ginnastica di lana grigio chiaro, con un giaccone di felpa nera sopra. Aveva calze di lana e scarpe da ginnastica.

"Quanto vuoi per questa?" gli chiesi sollevando una cintura che mi piaceva.

"Dieci."

"Diecimila?" chiesi pensando che non era cara.

"Sì, signore, dieci mille." rispose il ragazzo.

Sentii che aveva un accento straniero: dal volto non l'avrei detto, anche se aveva una pelle molto rosea, gli zigomi alti e i pomelli coloriti.

"Bene, la compro..." gli dissi tirando fuori il portafogli.

"Non tira su prezzo?" mi chiese con espressione un po' stupita.

"No, mi pare un buon prezzo. Prendi." gli dissi porgendogli due biglietti da cinquemila.

"Le do mille di resto." disse il ragazzo.

"Ma no, tienile... ti offro un caffè." gli dissi con un sorriso.

Il ragazzo annuì con un cenno del capo e mi ringraziò con un timido sorriso, che rese anche più gradevole il suo simpatico volto.

Me ne andai e non ci pensai più. Per lo meno fino al mese di novembre, quando lo notai di nuovo, mentre andavo in ufficio, al solito posto. Pensai di fare un regalo a mio nipote, il figlio di mio figlio Vanni, che si chiama Marco come me, e che aveva allora quindici anni. Infatti avevo visto che aveva un brutto (almeno secondo me) e vecchio portafogli di plastica un po' sformato e consumato.

Quindi mi fermai davanti al suo panno verde ed esaminai i portafogli che il ragazzo aveva esposto.

Ne vidi uno che mi piaceva: "Quanto costa questo?" gli chiesi.

"Quindici mille, signore, però quello è più forte." mi disse il ragazzo.

"Ma è uguale." obiettai io.

"Cucito meglio, prezzo uguale." mi spiegò lui.

"Va bene, allora prendo quello." gli dissi e gli porsi i soldi. Mentre li prendeva, gli chiesi: "Di dove sei, tu?"

"Albània, signore." disse lui ponendo l'accento sulla seconda "A".

"È molto che sei in Italia?" gli chiesi

"Quasi sette anni, signore."

Pensai che, per essere sette anni che viveva in Italia, parlava ancora in modo non molto corretto. Presi il portafogli, lo salutai e me ne andai. Ricordo che mi chiesi anche se avesse il permesso di soggiorno o se fosse un clandestino. Mah... forse, se erano già sette anni che stava in Italia, non era un clandestino... oppure era sempre riuscito a sfuggire ai controlli di polizia... chissà.

Non so perché, ma quando si vede un extra-comunitario, si pensa subito che sia un clandestino. Nella testa di molti, compresa la mia, vi è questa ingiusta equazione: immigrato = clandestino. E invece parecchi di loro, specialmente quelli che provengono dai paesi dell'est, sono rifugiati politici.

Verso fine novembre rividi di nuovo il ragazzo albanese. Non avevo bisgno di nulla, quella volta, però mi fermai ugualmente davanti alla sua merce per comprargli qualcosa. Decisi di comprare un'altra cintura. Ce n'era una bella, intrecciata, con piccoli disegni circolari impressi a fuoco.

"Salve, Anche questa costa diecimila?" gli chiesi.

"No signore, questa è dodici mille, ma lei buon cliente, tre volte che compra, faccio dieci mille. Va bene?" mi disse con un sorriso.

Lo guardai un po' sorpreso che si ricordasse di me e anche di quante volte mi fossi fermato a comprare la sua merce.

"Sì, certo, grazie... Come ti chiami?" gli chiesi, forse come gesto di cortesia nei suoi confronti, forse per dirgli che se lui si ricordava di me, non era più un estraneo.

"Mio nome è Ylli Bardhi. Ylli è nome, Bardhi cognome."

"Ylli? Come il russo Ilya?"

"Sì, esatto, proprio come russo Ilya. In italiano credo che è Elia, come profeta di Bibbia."

"Sei cristiano, tu?"

"Mia famiglia cristiana ortodossa, sì."

"Sei qui con la tua famiglia?"

"No, sono io solo." mi rispose.

Dopo tante domande, mi sentii in dovere di dirgli il mio nome: "Io mi chiamo Marco... Marco Cerri."

"Piacere, signore Marco Cerri." mi disse il ragazzo porgendomi la mano.

Aveva una bella stretta, franca, forte, virile... insomma piacevole e il suo sorriso era gentile, dolce. Secondo me il sorriso di una persona e il modo in cui stringe la mano rivelano molto sul suo carattere.

In ufficio, avvicinandosi il Natale, c'era molto lavoro e avevamo un impiegato in più per tutto il periodo delle feste. Un ragazzo con un contratto di tre mesi. Senza volerlo mi trovai a paragonare quel ragazzo con Ylli... a tutto vantaggio dell'albanese. Purtroppo non dipendevano da me le assunzioni, inoltre ancora non sapevo se Ylli avesse un regolare permesso di soggiorno e di lavoro o se fosse un clandestino.

Quando cominciai a pensare che fosse tempo di programmare l'acquisto dei regali di Natale, mi venne un'idea: quell'anno avrei acquistato tutto da Ylli; aveva cose belle e originali, e le vendeva a prezzi onesti, così gli potevo dare una mano, comprandoli da lui. Sì, mi pareva proprio una bella idea.

Perciò ai primi di dicembre trovai il tempo di fermarmi di nuovo davanti al panno verde di Ylli. Aveva più o meno il solito assortimento di cose, oggetti adatti sia a uomini che donne, sia a ragazzi che a persone mature. Quell'anno, per lo meno, avrei fatto regali originali senza spendere un capitale.

Scelsi parecchie cose, pensando ai vari regali che dovevo fare sia ad amici, che a colleghi, che a parenti. Man mano che davo un oggetto al ragazzo dicendogli "Prendo anche questo", vedevo il suo sorriso accentuarsi e colorarsi di stupore. Ogni volta scriveva il prezzo su un foglietto di carta che aveva in mano. S'era accoccolato davanti a me e, mentre sceglievo, di tanto in tanto mi dava un consiglio indicandomi i pezzi migliori.

A un certo punto gli chiesi: "Ma li fai tutti tu questi oggetti, Ylli, o li compri per venderli?" Dissi il suo nome appositamente, per fargli vedere che lo ricordavo.

"Tutti io signore Marco, tutti io. Compro cuoio, taglio, faccio decorazioni, cucio, tutto io." disse con una certa fierezza.

Notai che anche lui si ricordava il mio nome e mi fece molto piacere.

"Sei molto bravo! Complimenti."

"Grazie, signore." mi disse lui e vidi che arrossiva lievemente.

Pensai che quella verecondia fosse deliziosa, specialmente in un ragazzo della sua età.

"Quanti anni hai, Ylli?"

"Ventiquattro, signore." mi disse con una certa fierezza, quasi fosse un merito avere quell'età.

"Ah, beata età! Io ho il doppio della tua età... più nove anni..."

"Cinquantasette? Pensavo che lei è più giovane, neanche cinquanta, davvero. Lei porta molto bene sua età, signore Marco. Io pensavo solo due volte mia età, davvero."

"Sei molto gentile."

"No gentile, signore Marco, è proprio così, lei sembra molto più giovane, davvero." insisté il ragazzo.

Quando ebbi finito di scegliere, mi chiese: "Tutti regali di Natale, signore Marco?"

"Sì."

"Io non ho bella carta, purtroppo... ho solo stupidi sacchetti di plastica."

"Non ti preoccupare, ci penso io a fare i pacchetti. Allora, quanto ti devo, in tutto."

Il ragazzo fece il conto, due volte per essere sicuro di non sbagliare, poi mi disse il totale e mi fece uno sconto. Io lo ringraziai e gli dissi che non era necessario che mi facesse nessuno sconto, il prezzo che mi aveva fatto mi pareva più che buono.

"Lei un po' strano italiano. Italiani sempre tirano su prezzo. Specialmente donne, però. Uomini un po' meno."

Prese i miei soldi, poi si chinò, scelse un bel portafogli e me lo porse: "Questo è regalo di Ylli a signore Marco. Mio regalo di Natale!" mi disse con un ampio sorriso.

"Grazie, sei molto gentile. Lo metterò sotto l'albero di Natale e dopo Natale lo userò. Grazie davvero." gli dissi.

In un primo momento avevo pensato di rifiutarlo, mi dispiaceva prendere quell'oggetto senza pagarlo, ma poi pensai che forse, rifiutandolo, l'avrei offeso, mortificato. Perciò lo accettai. Comunque era davvero un bel portafogli, l'avrei usato volentieri.

"Così quando usa questo portafoglio, pensa a Ylli." aggiunse lui e, nuovamente arrossì un poco.

"Sicuro che penserò a te. Grazie di nuovo." gli dissi.

"Grazie a lei, signore Marco. E se non vedo più, buono Natale, signore."

"Anche a te, Ylli, anche a te. Buon Natale." gli risposi e gli strinsi con calore la mano.

Non avrei avuto bisogno del portafogli del ragazzo per pensare a lui: ultimamente era sempre nei miei pensieri. Mi aveva davvero colpito quel ragazzo con la sua faccia pulita, il suo sguardo gentile, il suo sorriso sincero. Mi chiedevo che vita potesse fare, senza famiglia in un paese straniero. Aveva amici? Aveva una ragazza? Che progetti poteva avere per il futuro?

Due o tre giorni prima di Natale mi fermai in alcuni dei negozietti che ci sono vicino a Porta Nuova, sotto i portici, e comprai una confezione di torroncini Condorelli (di cui io sono molto goloso) e un piccolo presepio di legno della Val Gardena da regalare a Ylli, pensando che, poiché il ragazzo mi aveva detto di essere cristiano, gli poteva far piacere averlo. Infatti volevo che gli restasse qualcosa di mio, per ringraziarlo per il bel portafogli che mi aveva voluto regalare.

A casa confezionai con cura un bel pacchetto, scegliendo una carta bianca decorata con fili di seta d'oro e lo chiusi usando due nastri parzialmente sovrapposti, uno verde e uno rosso... faceva un po' "bandiera italiana", pensai, ma faceva anche Natale...

Quindi andai al solito angolo sotto i portici della stazione dove Ylli stendeva la sua roba. Era là, come sempre. Quando mi vide arrivare mi salutò di lontano con un bel sorriso. Arrivato vicino a lui, ci stringemmo la mano. Prima gli comprai un altro dei suoi oggetti, pagai, e solo dopo tirai fuori il pacchetto del regalo e glielo porsi.

"Questo è per te, Ylli. Buon Natale."

"Per me?" mi chiese spalancando gli occhi. Lo prese in mano, lo guardò, poi mi disse: "Io non ho albero di Natale, ma metto vicino a mio cuscino e durante notte di Natale lo apro. Grazie mille, signore Marco. Questo è prima volta che ho anche io regalo di Natale. Grazie mille, davvero, grazie mille!"

Vidi che era commosso, e questo fece commuovere anche me. Mi dissi che non avevo mai pensato che qualcuno, per lo meno qui da noi in Italia, non avesse mai ricevuto neppure un regalo di Natale! Questo significava che forse davvero non aveva amici, oltre a non avere la famiglia, almeno in Italia. D'altronde, se mancava da sette anni dall'Albania come mi aveva detto, probabilmente erano sette anni che non rivedeva più né la famiglia né gli amici. Ero contento di aver pensato a fargli un regalo di Natale.

Venne Natale. Come sempre, andai a passarlo a casa di mio figlio Vanni e mio nipote Marco.

Vanni s'era sposato quando aveva sedici anni, perché aveva messo incinta una ragazza, una sua compagna di scuola. Dopo sette anni, però, la moglie se n'era andata via, lasciandogli una lettera sul comodino... e il figlio di sette anni. Perciò Vanni aveva allevato Marco da solo. Non aveva più voluto sposarsi, dopo quella volta, e non solo perché non era divorziato. Aveva avuto qualche breve relazione, ma, mi diceva, non aveva trovato nessuna donna con cui pensasse che poteva valer la pena di legarsi.

In parte lo capivo. Io avevo avuto Vanni quando avevo venticinque anni, cioè due dopo essermi sposato. Quando Vanni aveva quattro anni, mia moglie aveva deciso di divorziare perché aveva un altro e il tribunale aveva affidato nostro figlio a lei. Ma poi, quando Vanni aveva undici anni, la mia ex moglie mi aveva detto che intendeva mettere nostro figlio in collegio, perché Vanni non andava d'accordo col suo nuovo marito. Io mi ero opposto ed ero riuscito a farmi affidare Vanni dal tribunale, quindi l'avevo allevato io.

Frattanto però io m'ero sposato di nuovo e mia moglie aveva accolto Vanni proprio come un figlio anche perché noi due, nonostante fossimo sposati da cinque anni, non avevamo avuto figli. Quando Vanni aveva quindici anni e io quaranta, mia moglie era morta... una leucemia fulminante ce l'aveva portata via in pochissimo tempo.

Io poi m'ero sposato di nuovo quando avevo quarantasei anni, e avevo avuto un altro figlio, Dario... ero felice. Ma Dario, aveva appena compiuto sette anni, era stato investito da un'automobile ed era morto, dopo sei giorni di coma. Questo aveva scosso molto sia me che mia moglie. Forse più lei che me, perché era con Dario quando era accaduto l'incidente e lei se ne faceva una colpa.

Due anni più tardi mia moglie aveva voluto il divorzio. Non per andare con un altro uomo... semplicemente non mi sopportava più... perché si sentiva in colpa anche nei miei confronti. Credo che non mi avesse mai perdonato di... di non darle la colpa per quell'incidente. Non so.

Quindi, da due anni, ero di nuovo solo. Nonostante il rapporto fra me e Vanni fosse molto buono, e anche con mio nipote Marco, né io né Vanni avevamo voluto andare a vivere assieme. Però ci si vedeva abbastanza spesso, almeno un paio di volte al mese, e ci si telefonava un paio di volte alla settimana. E si passava il Natale assieme.

La sera di Natale, tornato a casa, aprii i regali, compreso il portafogli di Ylli e mi chiesi se anche lui stesse aprendo quello che gli avevo fatto io.

Per tutto il giorno non avevo pensato a lui, solo in quel momento m'era tornato in mente. Presi il mio vecchio portafogli, trasferii tutto il contenuto in quello che aveva fatto e che mi aveva regalato Ylli e lo misi in tasca, provando un vago senso di piacere.

Passate le feste, quando riaprii l'ufficio, allungando un po' la strada, passai quasi tutti i giorni sotto i portici dove solitamente Ylli stendeva la sua merce, sperando di vederlo, per salutarlo, per sapere se gli era piaciuto il mio regalo.

Ma non c'era. Dopo diversi giorni che non lo vedevo al solito posto, provai a chiedere agli altri venditori se conoscessero Ylli, se avessero sue notizie, ma pareva che nessuno lo conoscesse se non, al massimo, solo di vista. Mi chiesi se fosse malato... o se fosse tornato in Albania... o forse, mi dissi, la polizia l'aveva pizzicato e gli aveva dato il foglio di via.

Non avevo modo di saperlo e me ne dispiacque. Non avevo mai pensato di chiedergli dove vivesse, quindi non avrei saputo dove cercarlo. Sperai che non gli fosse accaduto nulla di spiacevole, nulla di male.

Per tutto il mese di gennaio passai quasi ogni giorno sotto i portici, nella speranza di rivedere Ylli, ma non c'era traccia di lui. Devo dire che ero un po' preoccupato: se stava male, c'era chi si occupava di lui? Ogni volta che usavo il portafogli ripensavo ad Ylli. Pur conoscendolo, in fondo, molto poco, m'ero affezionato a quel ragazzo, al suo sorriso, alla sua faccia pulita, alla sua stretta di mano.

Ricordo che, proprio in quell'occasione, ne parlai per la prima volta con Vanni. Mi infastidì lievemente il fatto che mio figlio non desse peso alla cosa, non condividesse la mia preoccupazione... che in fondo non gli interessasse granché di quel ragazzo albanese. Vanni commentò, con un'indifferenza che mi diede fastidio, che magari era in galera. Mio nipote Marco, invece, pareva un po' più interessato e anche un po' più partecipe.

"L'hai comprata da lui la cartella di scuola che m'hai regalato per Natale? L'ha fatta quell'albanese?" mi chiese Marco.

"Sì, proprio lui."

"Sai, nonno, quasi tutti i miei compagni, al liceo, me la invidiano. È proprio figa. Volevano sapere dove l'avevo comprata. Io gli ho detto che non lo sapevo, che era il tuo regalo di Natale."

"Se Ylli era ancora lì, sotto i portici, potevi dirlo ai tuoi compagni, almeno magari ne vendeva altre."

"Beh, magari sta solo poco bene, magari torna. Se lo vedi di nuovo, me lo fai sapere? Mi telefoni?"

"Certo, Marco. Promesso."

"Bene, così almeno io posso dire ai miei compagni dove possono trovare altre borse così belle."

"Allora t'è piaciuto davvero il mio regalo di Natale." gli dissi compiaciuto.

"Te l'ho detto, no? Certo che m'è piaciuta, nonno."

Verso fine gennaio cominciò a cadere la neve e tutta la città era imbiancata. A me piace molto la neve, anche se crea problemi per il traffico e per i mezzi di trasporto, e un po' anche per i pedoni. Ma per fortuna io abito vicino a Porta Nuova, per cui potevo andare al lavoro a piedi senza problemi. Da via Valeggio 3, cioè da casa mia, ero subito sotto i portici di via Sacchi e di lì in pochi minuti potevo raggiungere la stazione.

Nevicava quasi tutti i giorni, a volte solo per pochi minuti, a volte anche per ore. Nonostante il comune facesse passare gli spazzaneve e spargesse il sale per le strade, la neve si accumulava. Gli unici veramente contenti erano gli sciatori, a quanto pareva. E mio nipote Marco, oltre a me.


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