IL RAGAZZO ALBANESE | CAPITOLO 3 DAL SECONDO GIORNO IN POI |
La mattina seguente mi svegliai presto, come sempre: erano le sette. Andai a farmi una doccia, mi rasai, poi andai a fare colazione, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare il ragazzo. Da parecchio non dormiva più in un letto e pensavo che avesse bisogno di rimettersi un po' in sesto. Poi andai in quello che io chiamo, un po' pomposamente, il mio "laboratorio". Stavo facendo una casa in miniatura, la classica casa di bambola, per il gusto di costruire tutti i mobili in legno, in scala 1:12, con tutti i dettagli, tagliando, scolpendo, incastrando, verniciando. Di solito lo facevo la sera al ritorno dal lavoro, o nei week-end, ma dato che avevo preso due giorni di permesso, decisi di approfittarne finché Ylli non si fosse svegliato. Stavo costruendo i cassettini di uno scrittoio ad antina in stile ottocento. In parte mi ispiravo ai mobili che avevo in casa, in parte prendevo i modelli dalle fotografie di una enciclopedia di arredamento che avevo comprato a buon prezzo alla bottega dell'Ebreo in Galleria San Federico. Dopo un po' che lavoravo guardai l'orologio: erano le dieci! Il tempo era volato via. Mi chiesi se Ylli fosse già sveglio ma non uscisse dalla camera per non disturbarmi. Così mi alzai dal tavolo di lavoro, e andai in camera sua. Bussai lievemente alla porta, due, tre volte ma non ottenni risposta. Allora aprii la porta, la socchiusi. Ylli dormiva sul letto, un braccio ripiegato sotto la testa che vi era appoggiata sopra, girata di lato verso la porta. Aveva indosso solo il paio di boxer che gli avevo dato. Il corpo era bello, forse un un po' esile; era glabro, a parte una lievissima peluria sulle cosce che s'infittiva sulle gambe, sotto il ginocchio. Aveva l'altro braccio lungo il corpo con la mano infilata sotto la coscia, una gamba un po' sollevata, l'altra ripiegata sì che le cosce erano aperte. Aveva capezzoli scuri, grandi e piatti, il ventre incavato, l'ombelico perfetto. Sotto l'ascella del braccio sollevato si vedeva un ciuffo di peli radi e corti di un castano lievemente ramato. Il volto era sereno, quasi dolce. Notai anche che il padiglione dell'orecchio era perfetto. Al collo aveva una corta catenina di metallo, forse d'argento o forse solo argentata. Lo contemplai per un po': era una visione piacevole. Avrebbe forse dovuto prendere pochi chili di peso e sarebbe stato perfetto. Notai che anche i suoi piedi erano perfetti, snelli, ben fatti. Sotto il mento già si intravedeva un velo di barba che rendeva più virile il suo dolce volto. Richiusi silenziosamente la porta, pensando che l'avrei chiamato solo un po' prima dell'ora di pranzo e tornai al mio laboratorio per continuare a lavorare al mio scrittoio ad antina. Erano circa le uncici e mezzo quando sentii un lieve bussare alla porta aperta del laboratorio. Mi girai e Ylli era lì, in piedi, i capelli lievemente scarmigliati, gli occhi ancora un po' assonnati, la mia camicia bianca indosso, abbottonata, che gli copriva in parte i boxer, senza calzoni e a piedi nudi. "Bene alzato, Ylli. Hai dormito bene?" gli chiesi con un sorriso. "Molto bene, grazie. E lei, Marco?" "Anche io." "Posso andare a fare un doccia, per favore?" "Certo, non devi neppure chiederlo. Ti serve qualcosa?" "No, grazie, mi ha già dato tutto." "Credo che a quest'ora sia un po' tardi per fare colazione. Vuoi che cominci a preprarare il pranzo?" "Che ora sono?" chiese il ragazzo passandosi una mano nei capelli. "Le undici e mezzo." "Così tardi? Ho dormito molto." "Evidentemente ne avevi bisogno. Allora, ti va bene se preparo il pranzo o preferisci mangiare più tardi?" chiesi ancora. "Come crede, Marco." "Ma hai fame?" "Sì, un poco." "Bene, allora mentre ti lavi, io vado in cucina e preparo." "Sta lavorando?" mi chiese Ylli sempre restando sulla soglia. "No, questo è solo un mio hobby. Oggi non lavoro, sono libero. Torno domani in ufficio." "Ah... Allora io vado a mi lavare." disse e andò in bagno. Terminai quello che stavo facendo e andai in cucina. Arrivò che era quasi pronto. Avevo già anche apparecchiato, e gli dissi di sedere a tavola. Aveva messo i calzoni e le scarpe. Mentre mangiavamo mi chiese del mio hobby, del mio lavoro e io gli illustrai sia l'uno che l'altro. Mangiò di buon appetito, ma con calma. Gli versai anche mezzo bicchiere di vino che apprezzò. Ma non ne volle altro perché non era abituato a bere alcolici. Dopo pranzo volle lavare i piatti. Lo lasciai fare, perché capivo che voleva in qualche modo sdebitarsi. Poi mi chiese se poteva venire con me a vedere che cosa facevo. Lo portai in laboratorio e gli feci vedere quanto avevo già fatto. Lui guardò ammirato i piccoli mobili in miniatura, e mi disse che erano molto belli. Mi chiese se li avrei venduti, ma gli dissi di no, che avrei poi costruito una casetta apribile in cui metterli dentro. "Ci mette dentro anche le lampade? Impianto elettrico?" mi chiese sgranando gli occhi. "Penso di sì. Ma devo ancora fare il progetto." "E poi mi ha detto che vuole anche fare bagno? Come lo fa?" "I sanitari li farò in ceramica, li faccio cuocere al forno, poi li decoro con i colori per ceramica quindi li faccio cuocere di nuovo." Mi alzai e presi un libro, lo aprii dove avevo messo un segno e gli indicai una foto: "Ecco, vedi, li voglio fare come questi, più o meno. Magari con una decorazione un po' diversa." "Lei sa lavorare ceramica anche, Marco?" mi chiese stupito. "Sì, abbastanza. Ma non so lavorare il cuoio." gli dissi con un sorriso. "Posso aiutarla? Mi piacerebbe provare a fare qualcosa... se lei spiega." "E perché no? Volentieri." Così iniziai a spiegarli e a dirgli che cosa doveva fare e come. Aveva veramente mani d'oro e un'intelligenza pronta, capiva subito quanto gli dicevo e lo eseguiva svelto e bene, con accuratezza e molta precisione. Lavorammo assieme per parecchie ore e Ylli si stava entusiasmando. Mi piaceva vederlo lavorare, guardare le sue mani, il sorriso con cui accoglieva un mio complimento quando aveva portato a termine qualcosa. Dapprima gli affidai compiti semplici, ma, vista la rapidità con cui imparava e li eseguiva, man man passai a fargli fare cose un po' più complesse. Ylli si stava divertendo e anche io mi accorsi di star lavorando con maggiore piacere. Ogni tanto gli chiedevo un parere, discutevo con lui un dettaglio o possibili soluzioni. Arrivammo all'ora di cena senza neppure accorgerci del passare del tempo. Mentre mangiavamo, continuammo a discutere sul progetto della mia casetta in miniatura. Era un piacere parlare con quel ragazzo. Era un piacere stare con lui. Dopo cena e dopo aver rigovernato, gli chiesi se preferiva guardare un po' la TV o tornare con me nel mio laboratorio. "Se per lei è bene, prefero venire di nuovo ad aiutare." mi disse con un sorriso pieno di aspettativa. "Molto bene, andiamo allora." Riprendemmo a lavorare, finché decidemmo che era ora di andare a letto. Allora Ylli mi disse: "Se domattina, quando si alza, viene a mi svegliare, almeno io mi preparo e posso uscire con lei." "E dove vai? Che fai tutto il giorno?" gli chiesi. Arrossì, e disse: "Vado... in strada... a chiedere soldi... Che altro posso fare?" "No, mi dispiace... Fuori fa freddo... Piuttosto resti qui a casa, mi aspetti." "No, grazie. Io non voglio stare a casa sua quando non c'è lei." "Io... io credo di potermi fidare di te." "E fa male, non mi conosce ancora, non deve fidarsi così. Lei è troppo buono, Marco. No, davvero, prefero tornare in strada." "Allora, a un patto, anzi, due." Mi guardò incuriosito. "Primo, ti prendi il mio giaccone, per avere meno freddo. Secondo, mi aspetti alle dodici e trenta fuori dal mio ufficio e andiamo a pranzare assieme. E domani sera torni qui e dormi qui." "Ma allora... allora Marco, quando si deve fare la spesa per mangiare, io le do miei soldi." "No, te li tieni, così riesci a risparmiare e puoi riprendere le tue cose, e magari anche comprare il cuoio e ricominciare. Non voglio neanche una lira da te, tu ne hai molto più bisogno di me." Mentre si parlava così eravamo in piedi in corridoio. Ylli d'impulso mi abbracciò, mi dette un bacio su una guancia e altrettanto precipitosmente si staccò da me. Poi mi disse: "Grazie, Marco. Lei davvero è un buon uomo!" Sorrisi: "Scusa se correggo il tuo italiano, Ylli, ma... un buon uomo in italiano significa stupido, un uomo buono significa un uomo di buon cuore. Ora, io magari sono anche un po' stupido, ma non credo che tu volessi dirmi..." Arrossì: "Oh no! Lei non è un buon uomo ma un uomo buono! Sì, un uomo buono!" "Tutti dovremmo cercare di essere uomini buoni, se vogliamo essere davvero uomini." gli concessi con un sorriso. Ci demmo la buona notte e andammo a dormire, ognuno in camera sua. Mentre mi mettevo a letto e mi rincantucciavo sotto la coperta ripensai a quel breve, rapido abbraccio, a quel lieve bacio sulla guancia e provai un profondo senso di piacere, di tenerezza. Mi addormentai pensando che quell'abbraccio era stato bello, un dono inatteso, gradevole. Mi rammaricai di non aver abbracciato anche io il ragazzo, in modo di far durare un po' di più quel contatto così tenero e così umano. Il mattino seguente, quando mi svegliai, andai a lavarmi, poi andai a bussare alla camera di Ylli. Non rispose. Allora aprii di nuovo la sua porta e lo guardai: dormiva, come la mattina precedente, con le sole mutande indosso, ma questa volta aveva indossato le sue: un piccolo slip bianco che metteva in risalto i suoi attributi virili, tanto più che aveva la classica erezione del mattino. Non potei fare a meno di notare che madre natura l'aveva fornito bene. Il suo membro era ripiegato su verso l'alto e tendeva la telina elastica degli slip, sì che se ne vedevano distintamente la forma e le dimensioni. Dormiva supino, aveva le gambe un po' divaricate e stese, un braccio ripiegato sul petto e l'altro sopra la testa, sul cuscino. Lasciai che i miei occhi scorressero su e giù per il suo corpo, provando una lieve e confusa sensazione di piacere e tenerezza. Poi richiusi pian piano la porta, senza far rumore e bussai di nuovo, più forte, finché sentii la sua voce, ancora impastata dal sonno, rispondermi. Allora andai a preparare la colazione per tutti e due. Uscimmo e andammo assieme fino alla stazione. Io gli ripetei l'appuntamento quindi entrai nel mio ufficio, mentre lui andava verso Via Roma per chiedere l'elemosina. Per tutta la mattina, lavorando, ripensai a Ylli. Mi dispiaceva pensarlo là fuori che, al freddo, si umiliava a chiedere soldi ai passanti. A volte, quando ero passato davanti a qualcuno che chiedeva l'elemosina, avevo tirato dritto, anche se non sempre. Ma quel giorno ne provai una specie di rimorso e mi ripromisi che non l'avrei mai più fatto, che da quel momento in poi avrei sempre dato qualcosa a chi mi tendeva la mano! Ci rivedemmo per pranzo e lo portai a mangiare al self-service di Piazza Carlo Felice. Poi ci rivedemmo all'ora di chiusura del mio ufficio e tornammo assieme a casa mia. Avevo voglia di chiedergli quanto aveva racimolato, ma poi pensai che sarebbe stato poco delicato, perché gli avrei ricordato la sua umiliazione, perciò non gli chiesi nulla. Dopo cena andammo di nuovo a lavorare un po' nel mio laboratorio e di nuovo restai ammirato dalla sua abilità manuale. Lavorando, chiacchierammo un po' su vari soggetti, finché decidemmo di andare a dormire. Non so perché, ma quasi mi aspettavo che mi abbracciasse di nuovo, come la sera prima; logicamente non lo fece e ne rimasi lievemente deluso, anche se mi davo dello stupido: la sera prima era stato un moto di gratitudine, un gesto impulsivo, spontaneo. Quella sera non c'era nessun motivo per farlo. Però mi sarebbe piaciuto... Sì, mi sarebbe piaciuto, continuavo a pensare mentre mi addormentavo. La mattina dopo, ripetei quella specie di rituale: bussai lieve alla sua porta, lui non rispose, la socchiusi e guardai dentro. Questa volta Ylli dormiva sullo stomaco. Notai che aveva spalle larghe, vita e bacino stretti, e le sue attillate mutande di maglina elastica fasciavano un piccolo sedere perfetto, facendo anche vedere il lieve avvallamento fra le due natiche. Le gambe erano snelle ma forti, come le altre volte un po' divaricate. Aveva le braccia unite sul cuscino e la testa appoggiata sopra, girata di lato verso la porta, sì che ne vedevo il bel volto sereno. La curva del collo e della nuca erano anche perfette. Nell'insieme era davvero una piacevole visione... un corpo snello e ben proporzionato, una pelle liscia e senza difetti. Anche la schiena e il dietro delle cosce erano perfettamente glabri. Lo ammirai per un po', quindi richiusi la porta e bussai con più forza finché si svegliò. Come il giorno prima, ci vedemmo a pranzo, poi alla chiusura del mio ufficio e tornati a casa, "giocammo" un po' nel mio laboratorio a fare i mobili in miniatura e cenammo, chiacchierando. Stavo bene con lui. Era piuttosto riservato e alternava slanci di confidenza in cui era sorridente, allegro, con momenti in cui pareva timido, schivo, quasi chiuso. Sentivo che era un po' un solitario, anche se non per una sua scelta, e che in qualche modo stesse lottando, forse con se stesso, per uscire da quella solitudine. Mentre si lavorava assieme nel mio laboratorio notai che a volte, quando credeva che non lo vedessi, che non lo guardassi, mi osservava, mi studiava... Un po' come, in fondo, stavo facendo anche io con lui. La mattina, prima di svegliarlo, aprivo la sua porta e, dalla soglia, lo guardavo. Quella mattina aveva indosso di nuovo i miei boxer. E di nuovo dormiva supino, le gambe divaricate, la coperta, scivolata via dal suo bel corpo, ammassata a terra accanto al letto. Di nuovo aveva l'erezione del mattino e questa volta il suo membro turgido faceva capolino dall'apertura frontale dei boxer. I lembi di tela erano lievemente scostati e lasciavano intravedere il membro semi-turgido adagiato rivolto verso l'alto, quasi come un uccello accovacciato nel suo nido. Era, almeno per quanto potevo ricordare, la prima volta che vedevo, guardavo, il membro di un uomo oltre al mio. Non saprei dire perché, ma cogliere quella visione, direi quasi "rubarla", sucitava in me un senso di caldo piacere, di quella lieve eccitazione che coglie una persona quando fa qualcosa di proibito. Non era niente di morboso, era più simile alla curiosità che può provare una persona quando "spia" un topolino che sta accudendo un suo piccolo e continua a farlo, ignaro di essere osservato. Non saprei spiegarmi meglio... era quel sottile piacere che si prova nel poter ammirare qualcosa che non si è "autorizzati" a vedere... come poter entrare in un museo chiuso al pubblico, come passeggiare in un giardino privato in cui non si è ammessi e in cui si è entrati di straforo... accompagnata dal timore di essere sorpresi dal guardiano ed essere messi alla porta. Era un po' come guardare dal foro della serratura una stanza che non si può visitare, come quando, da studentelli, si andava a spiare la stanza del preside, in cui nessuno studente era ammesso. Allora ci si poteva vantare con i compagni, o anche solo con sé stessi, "lui non lo sa, ma io ho visto anche lo studio del preside... io so come è." Voglio dire che, nell'ammirare quella quasi completa nudità di Ylli non c'era, almeno a livello cosciente, nulla di sessuale, ma piuttosto il gusto di sfidare il proibito e di entrare così in una sfera di intimità normalmente non permessa. Ricordo che quella mattina notai anche che il membro di Ylli si stava muovendo lievemente, quasi si stesse sistemando più comodamente nel suo caldo giaciglio costituito dai boxer semi-aperti e dal pube sottostante che non potevo vedere. Non era qualcosa di erotico, piuttosto qualcosa di... tenero, di vagamente piacevole, di intimamente bello. Sì, pensai, anche lì quel ragazzo era ben fatto, anzi, bello. Mi ritrassi quasi malvolentieri, richiusi la porta e lo svegliai bussando, poi andai come sempre a preparare la colazione. Ma quella visione "rubata" a Ylli mi faceva provare un piacevole intimità, un senso di calda colpevolezza che mi faceva sorridere e pensare "lui non lo sa, ma io ho visto anche il membro di Ylli... io so come è." Venne il week-end e così passammo tutte e due le giornate assieme. Quel ragazzo mi piaceva sempre più e mi chiedevo come fare per proporgli di restare con me, di condividere con me la sua solitudine. Ricordo che eravamo nel soggiorno e lui stava di nuovo suonando il mandolino di mia madre. Mi dissi che potevo proporgli di andare a pagare il padrone della pensione in modo che potesse riprendere le sue cose, i suoi attrezzi. Gli avrei volentieri dato io i soldi che gli servivano... magari gli avrei anche anticipato i soldi per comprare del buon cuoio in modo che potesse ricominciare a lavorare... Avrebbe accettato? O si sarebbe rifiutato? In fondo, mi dicevo, se chiede l'elemosina in strada, può anche accettare che io gli dia una mano. Ma chiedere l'elemosina è qualcosa di umiliante, perciò potrebbe sentirsi umiliato dalla mia offerta. Quindi ero indeciso, combattuto fra il mio desiderio di aiutarlo e la mia volontà di non metterlo a disagio. Forse avrei dovuto aspettare qualche altro giorno, aspettare che fra di noi si istaurasse un rapporto più intimo, meno formale... In fondo se lui mi dava ancora del lei, questo era il segno evidente che fra noi c'era ancora un confine non valicato. Sì, ecco, quello era il primo passo che dovevo fare... E toccava a me fare quel passo, dato che ero più vecchio di lui e anche il padrone di casa. "Ylli?" "Sì?" disse lui smettendo di lucidare l'antina dello scrittoio a cui stava lavorando. "Senti, io ti ho sempre dato del tu, ma tu invece continui a darmi del lei. Perché non mi dai del tu, invece?" "Io sono solo ragazzo, lei uomo maturo." si scusò Ylli. "Che importa? A me farebbe piacere, specialmente ora che ci conosciamo. Non ti voglio forzare a fare qualcosa che non senti Ylli, si capisce, ma a me farebbe veramente piacere." gli dissi con un sorriso e, senza pensarci, istintivamente, gli posai una mano sulla sua che teneva ferma l'antina a cui stava lavorando. Ylli mi sorrise dolcemente e annuì: "Se le fa piacere... se ti fa piacere, io sono contento, Marco." "Molto bene, allora. Vorrei che tu ti sentissi... a casa tua, qui con me." gli dissi allora. "Io sono molto contento di averti qui, di averti conosciuto e... di poterti dare amicizia, oltre che una mano." "Lei... tu sei molto gentile, Marco. Ma non vorrei essere un peso per te." "No che non lo sei! Al contrario. Tu mi piaci molto, sto davvero bene con te." "Anche tu mi piaci, Marco, anche io sto bene con te. Ma... cosa posso darti io in cambio di tua gentilezza? Ben poco..." "Oh no, Ylli, tu invece mi puoi dare molto: la tua giovinezza, la tua gentilezza, la tua compagnia." gli dissi provando un profondo senso di tenerezza nei suoi confronti. Ylli mi guardò incerto, poi annuì. Sembrava pensieroso, sentivo che un'ombra offuscava in qualche modo il ragazzo. Non capivo che cosa fosse, ma sentivo che dovevo fugarla, per avere la sua amicizia, per farlo sentire veramente a suo agio con me. Allora aggiunsi, cercando le parole giuste: "Non ti sto proponendo di farti da padre, io vorrei essere il tuo amico... un amico vero con cui condividere sempre di più e non solo un piatto di cibo, non solo un letto in cui dormire." "Sì, capisco." mi rispose annuendo di nuovo.
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