IL RAGAZZO ALBANESE CAPITOLO 6
LA LUNGA STORIA DI YLLI

Bene, ecco dunque la storia che mi raccontò Ylli...

Cominciò a raccontarmi di quando aveva dieci anni. Suo padre si occupava poco di lui, sua madre in realtà era la matrigna, perché la sua vera madre era morta dandolo alla luce. Lui era cresciuto quasi abbandonato a se stesso, e non si sentiva amato, in casa. Non era maltrattato, né il padre né la matrigna avevano mai alzato le mani su di lui.

Come mi aveva detto, poiché la sua famiglia faceva parte della piccola comunità cristiana in un paese a forte maggioranza mussulmano, non aveva neanche mai avuto amici. Quando aveva dodici anni era arrivato nel suo villaggio un insegnante giovane. Anche se era un musulmano lui pure, l'insegnante aveva preso a ben volere Ylli e a proteggerlo. Così Ylli si era affezionato sempre più a quel giovane professore che gli dimostrava un affetto che non aveva mai ricevuto a casa.

Per due anni Ylli pensò di aver trovato un amico, in quel professore, e si attaccò sempre più a lui. Aveva quattordici anni, era andato, come altre volte, a casa del professore dove poteva leggere bei libri, parlare con lui di cose interessanti, a volte aiutarlo in qualche piccolo lavoro domestico.

Ma quel giorno il suo professore iniziò a fargli strani discorsi, a circuirlo, finché, approfittando dell'ingenuità e della fiducia del ragazzino, era riuscito a portarselo a letto. La prima volta, e per qualche volta in seguito, il giovanotto fu molto dolce con il ragazzino, che gli si affidò completamente. Lo portava a letto e facevano cose molto soft: poco più che baciare, carezzare, provocarsi l'un l'altro l'orgasmo con le mani.

Ma un giorno il giovanotto lo fece ubriacare... e una volta a letto lo violentò. E dopo lo minacciò: se avesse provato a parlarne con qualcuno, lui avrebbe fatto in modo di mandare in galera il padre, perché lui aveva le prove che era un anti-comunista, e di far chiudere lui in un orfanotrofio o in un carcere minorile, perché il giudice era suo amico e lui l'avrebbe convinto che Ylli si prostituiva.

Per il ragazzetto questo fu uno shock anche peggiore che non essere stato violentato dall'unica persona di cui si fidava ciecamente.

Il professore, inoltre, lo obbligò a tornar da lui ogni volta che aveva voglia di fotterlo. Questa storia andò avanti per due anni.

Quando Ylli aveva sedici anni, decise di fuggire. Così ci provò. Era riuscito ad arrivare fino a Valona e stava cercando il modo di imbarcarsi clandestinamente: aveva deciso di venire in Italia. Ma gli scafisti che era riuscito a contattare, gli chiedevano troppi soldi, e lui non ne aveva.

Uno di quegli uomini gli disse che lui gli poteva trovare il modo di guadagnare abbastanza soldi per pagarsi il passaggio. Lo condusse in una casa dove c'erano altri tre ragazzetti più o meno della sua età e gli disse che doveva accogliere i clienti e farli divertire... doveva cioè prostituirsi.

A quel punto Ylli pensò che, visto che comunque se non fuggiva era nelle mani del suo professore e doveva lasciarsi fottere da lui, tanto valeva che si lasciasse prendere da altri se questo era il solo modo di poter guadagnare la propria libertà. Quindi accettò.

Doveva accontentare un paio di clienti al giorno, qualche volta tre... questi pagavano metà della tariffa ai ragazzi e metà la davano al padrone di quella casa.

A differenza degli altri tre che lo facevano o dicevano di farlo esclusivamente per i soldi, quando Ylli doveva concedersi ad alcuni dei clienti, ne provava anche piacere. Si rese conto, cioè, di essere gay.

Forse propio perché gli piaceva, gradualmente fu il più richiesto dei quattro ragazzi, e riusciva lentamente a mettere da parte i soldi. Per risparmiare, Ylli aveva trovato il modo di farsi dare da mangiare i resti dei piatti dei clienti dal cuoco di un ristorante del porto. Anche l'uomo, in cambio del cibo che gli dava, se lo portava a letto.

Aveva già quasi messo da parte i soldi necessari per pagare lo scafista, quando lesse sul giornale che il padre era stato messo in galera con l'accusa di attività anti-governative e che la matrigna era scomparsa. Aveva preso la pagina del giornale e l'aveva tenuta. Ma soprattutto aveva una terribile paura che il suo ex professore lo stesse facendo ricercare... e ora la sua accusa che lui si prostituiva sarebbe anche risultata vera.

Ylli ebbe la buona idea di parlarne con il cuoco, che, nonostante tutto, si dimostrò più generoso di quanto si sarebbe potuto pensare: gli regalò i soldi che gli mancavano, così Ylli poté finalmente imbarcarsi assieme a una dozzina di altri clandestini.

Il gommone li lasciò non lontano da Brindisi, in piena notte. Mentre gli altri si disperdevano e si nascondevano, Ylli trovò la litoranea e camminò deciso verso nord, in direzione di Brindisi. Infatti il cuoco gli aveva detto che doveva presentarsi ai carabinieri, fargli vedere i propri documenti e il foglio del giornale e chiedere asilo politico.

Giunse a Brindisi di prima mattina. Girò finché vide un carabiniere e andò a parlargli. Conosceva già un minimo di italiano, perché in Albania si riceveva la radio italiana e a forza di ascoltarla per anni, qualcosa era riuscito a imparare, ad assimilare. Gli fece capire che cosa volesse e il carabiniere lo portò al comando. Qui fu chiamato un assistente sociale che parlava albanese e che lo assistette per tutte le pratiche, finché, dopo alcuni mesi, ottenne lo status di rifugiato politico.

Finché restò nel centro sociale, aveva da mangiare, vestiti, un tetto. Ma quando fu dimesso... si trovò praticamente in mezzo a una strada: lo stato non si occupava più di lui.

Riuscì a trovare qualche lavoretto, era disposto a fare di tutto. Ma non era sufficiente per sopravvivere. Era un bel ragazzo, giovane, e presto trovò qualcuno che gli offrì soldi per portarselo a letto. A Ylli non piaceva granché l'idea di doversi nuovamente prostituire, sperava di riuscire a trovare un lavoro, di potersi guadagnare la vita in un altro modo... ma quando restava senza una lira in tasca, si piegava anche a ricorrere a quel sistema.

Sentiva dire che su a nord era più facile trovare lavoro, perciò gradualmente si spostò andando sempre più a nord lungo l'Adriatico. Così si trasferì a Bari, poi a Foggia, poi andò a Pescara: le grandi città gli offrivano più possibilità di trovare un lavoro e anche, nella peggiore delle ipotesi, di trovare un cliente a cui prostituirsi.

Si fermò per un po' in Ancona, poi a Rimini, a Bologna, a Parma, a Piacenza... E finalmente, dopo poco più di due anni, arrivò qui. Mentre girava per la città cercando lavoro, e continuando a prostituirsi per poter mangiare, sempre però con la speranza di poter finalmente smettere di vendersi, passando di negozio in negozio conobbe un certo Giorgio Accossato, un sellaio che aveva un negozio di articoli in cuoio in via Barbaroux.

L'uomo lo aveva assunto come apprendista, gli aveva insegnato a lavorare il cuoio, lo lasciava dormire nel retro-bottega e, soprattutto, non aveva mai tentato di portarselo a letto. Non lo pagava molto, il mensile non era alto ma, non dovendosi pagare l'affitto, Ylli se la cavava e finalmente aveva una vita semplice ma serena.

Era rimasto a lavorare per tre anni in quella bottega. Però, due anni prima, l'Accossato aveva deciso di trasferirsi in Australia, dove uno zio era morto lasciandolo erede delle sue terre. Aveva perciò venduto il negozio. I nuovi proprietari non avevano rinnovato il contratto a Ylli, che si trovò così nuovamente senza lavoro.

Accossato però gli aveva insegnato un mestiere, che oltretutto gli piaceva, e gli aveva anche regalato sia alcuni attrezzi che alcuni pezzi di cuoio, così Ylli pensò di mettersi in proprio. Non era certo in grado di aprire un proprio negozio, non aveva né i soldi per pagarsi una licenza né, soprattutto, per affittare un locale. Perciò decise di chiedere al comune la licenza di ambulante e di mettersi a vendere in strada.

Così era sopravvissuto in quegli ultimi due anni. Non gli riusciva di mettere da parte qualche risparmio, ma per lo meno non doveva più prostituirsi per mangiare. Finché gli era accaduto quel fatto: era stato derubato e sbattuto fuori dalla pensione.

Frattanto aveva conosciuto me...

Se già prima mi ero lasciato gradualmente prendere dalla sua storia, ora mi feci doppiamente attento: ero curioso di sentire come lui avesse "vissuto" quanto c'era stato fra lui e me.

Quando aveva perso tutto, aveva deciso di fare il possibile per non tornare più a battere la strada, anche se era ancora giovane e più che piacente. Perciò, se pure con una certa vergogna, aveva deciso di chiedere l'elemosina.

Finché l'avevo riconosciuto e gli avevo fatto la mia proposta.

E qui era successo un grosso equivoco!

Quello che Ylli mi raccontò mi fece rivedere sotto una luce completamente nuova tutto quanto era accaduto fra noi due in quei nove giorni in cui avevamo vissuto assieme.

Ylli all'inizio aveva scambiato il mio interessamento per lui e la mia gentilezza con un tentativo di portarmelo a letto. Si era detto che, comunque, non potendo esserne sicuro, valeva la pena di vedere come sarebbe andata.

Già la prima notte era stato piacevolmente sorpreso quando non solo gli avevo dato una camera invece di "offrirgli" il mio letto, ma non ero andato in camera sua, non gli avevo fatto nessuna proprosta.

A poco a poco aveva imparato a conoscermi, e si era aperto con me. Poi, aveva visto, fin dal primo giorno, le mie "segrete" visite mattutine. Se la prima volta aveva fatto finta di dormire solo per vedere come mi sarei comportato, cosa avrei fatto, poi, vedendo che comunque non facevo nulla, che mi comportavo come sempre, che non pretendevo nulla da lui, ne provò piacere e... sentì che si stava innamorando di me!

Aspettava con piacere le mie visite mattutine, si scopriva apposta appena sentiva la mia sveglia, si faceva trovare da me in una posa "allettante", si lasciava ammirare, pensando così di farmi decidere, prima o poi a... corteggiarlo.

Pensava che non toccasse a lui, mio ospite e più giovane, fare il primo passo, e frattanto si sentiva sempre più attratto e innamorato di me. Aveva pensato che io potessi essere, finalmente, la persona giusta. Sentiva che ero sempre più attratto da lui, che ero sempre più "vicino" a lui.

Ma la sera prima che se ne andasse, io gli feci la mia proposta di dargli dei soldi... e gli crollò tutto addosso: ancora una volta aveva trovato solo un uomo che voleva divertirsi con lui, che non voleva il suo affetto ma il suo corpo, che non gli offriva il suo affetto, ma soldi.

Da una parte sentiva che doveva in qualche modo ripagarmi per tutto quanto avevo fatto per lui fino a quel momento, dall'altra aveva provato una profonda e cocente delusione.

Perciò, quella notte, aveva deciso di "ripagarmi" ma poi di andarsene. Era venuto in camera mia, aveva fatto l'amore con me... poi aveva atteso che io dormissi e, in piena notte, era andato via.

Aveva ripreso a chiedere l'elemosina, ma s'era spostato in altre zone, perché non voleva più incontrarmi.

Però non era riuscito a dimenticarmi, non era riuscito a smettere di essere innamorato di me. Era stato combattuto per tutti quei due mesi. Mille volte sarebbe voluto tornare, mille volte s'era imposto di non farlo.

Frattanto era finalmente riuscito a mettere da parte i soldi necessari per andare a riprendere le sue cose dal signor Alfredo, il padrone della pensione. Perciò quella sera era tornato là per andare a sistemare le sue cose... ed era arrivato poco dopo la mia aggressione. Aveva visto il capannello di gente, s'era accostato per curiosità e mi aveva visto in quello stato... e aveva sentito che non poteva ignorarmi, aveva sentito che era ancora innamorato di me. S'era detto che forse doveva accettare di stare con me, anche se io lo facevo solo per divertirmi con lui, anche se io l'avevo trattato da marchetta, offrendogli i miei soldi.

Fu a questo punto che, finalmente si chiarì che cosa era successo.

Io gli avevo detto che era meglio che lui accettasse soldi da me invece che da sconosciuti. Nelle mie intenzioni volevo dire che era meglio che accettasse il mio aiuto finanziario invece che continuare a chiedere l'elemosina.

Lui aveva capito che gli volessi dire che era meglio che prendesse soldi da me per fare sesso, che non prenderli andando a letto sconsciuti.

Infatti mi aveva chiesto: "Soldi? Da te?"

Io, pensando di chiarire quello che intendevo dire, gli dissi che lui mi piaceva (come persona, intendevo io, sessualmente, capì lui) e che il mio aiuto era qualcosa che era giusto dargli, che lui si meritava (perché era un ragazzo buono e doce e sfortunato, intendevo dire io; che lui si sarebbe meritato venendo nel mio letto, capì lui...) e per colmo, gli dissi che io sarei stato contento di dargli i soldi e gli chiesi se lui non voleva farmi contento (accettando il mio aiuto, intendevo dire io; farmi contendo lasciandosi scopare da me, capì lui...)

Insomma, o io non m'ero spiegato bene, o lui aveva travisato le mie parole... così, senza volerlo, io l'avevo deluso e ferito. Anche perché io non potevo lontanamente immaginare che cosa lui avesse dovuto sopportare anche troppe volte, nella sua vita, sul piano sessuale.

Perciò mi si era dato, per "ripagarmi" e poi se n'era andato così, senza dirmi niente, senza una parola, senza un biglietto, sentendosi ferito e deluso.

Ma ora, oltre al fatto di essersi accorto di essere, malgrado tutto, innamorato di me, la sera prima IO gli avevo detto di essermi innamorato di lui... e ora, dopo le mie spiegazioni, aveva anche capito che cosa veramente io gli avessi voluto dire.

Così mi chiese, con una luce di implorazione negli occhi, se non era troppo tardi per ricominciare tutto da capo.

Io allora gli spiegai il mio comportamento, il mio "spiarlo" ogni mattina, il mio sentirmi sempre più attratto da lui... e la mia completa ignoranza e ingenutità (nonostante la mia età) per quanto riguardava il sentirmi attratto e più ancora innamorato di un ragazzo, di una persona del mio sesso.

A quel punto tutta la mia rabbia e delusione nei suoi confronti era completamente svanita, tutta la sua delusione e tristezza per il mio comportamento era scomparsa, e tutti e due non si faceva che chiederci perdono l'un l'altro.

"Ma tu... non sei gay..." mi disse con voce incerta Ylli, guardandomi negli occhi.

"Lo sono... non lo sono... sinceramente non me lo sono chiesto, non lo so... so solo che ti voglio un sacco di bene, so solo che mi è piaciuto incredibilmente fare l'amore con te, so solo che non ti vorrei perdere più, che vorrei che tu e io potessimo finalmente amarci in pace, condividendo tutto, compresi i nostri corpi, la nostra sessualità... tutto! So solo che ti desidero, che ti amo!" gli dissi profondamente commosso. Poi aggiunsi: "Che ho bisogno di te, del tuo amore."

"E io del tuo, Marco..."

Notai con piacere che era tornato a darmi del tu, spontaneamente.

Ci alzammo quasi contemporaneamente e fummo l'uno nelle braccia dell'altro. Ci baciammo, ci stringemmo, e dimenticammo tutto.

Poi lui mi disse, con un'aria birichina: "Sono già le nove... ho parlato più del tempo che mi avevi dato. Non devi telefonare e andare dal dottore?"

"Sì. Ora telefono, poi mi accompagni dal dottore, d'accordo?"

"Sì."

"Poi andiamo a prendere a tua roba alla pensione e porti tutto qui."

"Mi vuoi ancora con te?"

"Se tu vuoi ancora stare con me, dopo il modo in cui ti ho trattato..."

"E dopo quello che di brutto ho pensato io di te, come ho capito male quello che mi dicevi..."

"Beh, finché tutti e due riconsciamo le nostre colpe, credo che possiamo stare bene assieme, Ylli. Dio, ritrovarti, ora... mi fa dimenticare tutto quello attraverso cui sono passato in questi due mesi."

"Sì, anche a me. Ma tu sei davvero un uomo troppo buono."

"No, Ylli, non troppo. Non si è mai 'troppo' buoni. Mi accontenterei di esserlo abbastanza."

"Lo sei abbastanzissimo!"

"Non si dice in italiano, non si può attaccare -issimo alla parola abbastanza..."

"Lo so..." sorrise Ylli, poi aggiunse: "Ma tu mi correggi quando sbaglio davvero? Voglio parlare bene la tua bella lingua."

"Ylli?"

"Sì?"

"Sai che sono davvero felice di averti di nuovo qui?"

"E io? Io davvero quasi non ci speravo più, però... dovevo parlarti, dopo che ieri sera m'hai detto che mi ami."

"Per fortuna sei testardo, non ti lasci smontare facilmente da un vecchio brontolone come me."

"Sarai vecchio... sarai brontolone... ma qui..." disse Ylli carezzandomi fra le gambe, "sei giovanissimo e molto gradevole. E anche qui." aggiunse mettendomi una mano sul cuore.

"Attento: se mi tocchi così... mi fai venire voglia." gli dissi allora.

"Vedi che Ylli ha ragione: sei ancora giovane se basta una carezza piccola piccola per farti venire voglia! Ma forse è meglio se aspettiamo più tardi, no?"

"Sì... purtroppo." sopirai staccandomi dal bel ragazzo.

Telefonai in ufficio avvertendo che avevo avuto un incidente, poi andammo dal mio medico che mi visitò accuratamente, e che mi disse che fortunatamente non avevo nulla di rotto, ma che comunque mi diede dieci giorni di convalescenza.

Avvertii di nuovo l'ufficio, quidi andammo alla pensione di Ylli. Qui, pagato il dovuto al padrone, finalmente Ylli tornò in possesso di tutte le sue cose. Io volli chiamare un taxi così trasportammo i suoi pochi pacchi fino in via Valeggio 3, a casa mia.

"Marco?"

"Sì, Ylli?"

"Devo dormire nella stanzetta di là?" mi chiese il ragazzo con un sorriso accattivante.

"No... nella stanzetta tieni le tue cose personali, attrezzi e materiali invece li metti nel laboratorio. Ma tu, se ti fa piacere, dormi con me: in camera mia c'è il letto matrimoniale, è abbastanza grande per tutti e due."

"Io non calcio di notte... puoi stare tranquillo."

"E io non russo... almeno spero." gli risposi allegramente.

"Marco?"

"Sì, Ylli?"

"Dio, quanto ti amo!"

"Come dice la canzone? Sì, anche io ti amo, ragazzo mio. Ma vedi, dobbiamo stare attenti: l'amore non è un punto di arrivo, ma di partenza. Se vogliamo continuare ad amarci, dobbiamo avere pazienza uno con l'altro e costruire giorno dopo giorno questo amore, non farlo avvizzire, morire."

"Che significa avvizzire?"

"Come una pianta o un fiore senza acqua... che piano piano muore, diventa secco e perde tutta la sua bellezza."

"Gli daremo acqua tutti i giorni, allora!" esclamò allegro il ragazzo e mi prese fra le braccia, mi baciò in bocca. Poi il ragazzo mi disse: "Sono proprio state stronze la tua prima e terza moglie... come hanno potuto essersi lasciato scappare via un uomo come te? Lasciare uno come te?"

"All'inizio pareva funzionare tutto bene, con loro."

"Ma loro forse non hanno dato acqua al vostro amore... giusto?"

"Forse. Ma non le posso giudicare... anche se mi hanno fatto soffrire."

"Io pure ti ho fatto soffrire, ma prometto che starò più attento."

"Basta che ci diciamo sempre tutto, quando c'è qualcosa che non va. E che stiamo a sentire l'altro, quando ci spiega qualcosa. Non ti sto rimproverando, Ylli, ma se tu invece di andare via, invece di arrabbiarti con me, mi dicevi subito quello che avevi capito e che non ti piaceva, forse potevamo chiarire tutto subito e non soffrire né tu né io."

"Sì, hai ragione. Ma adesso ho imparato la lezione, Marco. Che facciamo ora, Marco?"

"È quasi ora di preprare il pranzo."

"Sì... e dopo mangiato?"

"Pensavo di andare un po' a lavorare di là in laboratorio... o magari, invece, di uscire per andare a comprare del cuoio per te, come preferisci."

"Mi piace lavorare con te, però... vorrei anche ricominciare a lavorare cuoio per guadagnare qualcosa, non voglio pesare su te."

"Puoi fare un po' una cosa e un po' l'altra... anche me piace lavorare con te. E poi, potresti anche insegnarmi a lavorare il cuoio."

"Sì, una bella idea. Andiamo domani mattina a comprare cuoio, allora? E poi?"

"Poi viene l'ora di cena... poi ancora un po' di lavoro in laboratorio..."

"Non possiamo fare l'amore prima?" mi chiese sottovoce il ragazzo arrossendo lievemente.

"Non è più bello aspettare, far aumentare il desiderio, poi goderci assieme il piacere di stare nelle braccia l'uno dell'altro?"

"Forse... ma il mio desiderio è già aumentato tanto."

"Beh... allora dopo pranzo possiamo..."

"Sì, possiamo!" esclamò trionfante Ylli.


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