Quando la notizia del terribile incendio raggiunse l'ovile di ziu Cosimu, la costernazione fu generale: nessuno si era salvato, nell'inspiegbile rogo erano periti don Antonio e suo nipote don Ettore, ziu Santo e sua figlia donna Martina e donna Tana. Solo Matteo, Damianu e Renzino erano scampati alla disgrazia.
Damianu, quando udì la notizia, perse i sensi. Matteo a sua volta ne fu terribilmente scosso: nessuno capiva come l'incendio potesse essere scoppiato, ma il ragazzo, che ancora conservava il biglietto di Ettore, che Primus gli aveva consegnato in gran segreto, ora aveva capito tutto.
"Matteo, per l'amore di dio e di nostro padre, devi prendere con te Damianu e Renzino, e portarli assolutamente su da zio Cosimu, prima che faccia sera e dovete dormire lì. È di estrema importanza! Non dire nulla a nessuno di questo biglietto. Non mi tradire, almeno tu. Capirai il perché entro domattina. Mi raccomando, Matteo, conto su di te, non mi tradire e fa' quello che ti chiedo! Tuo fratello Ettore."
Quando aveva letto quel biglietto, due cose l'avevano colpito: quel riferimento esplicito a "nostro padre" e quel "tuo fratello"... quello che tutti sapevano, dicevano, anche se mai ad alta voce, era per la prima volta scritto su quel biglietto in modo chiaro: Matteo era veramente il fratellastro di don Ettore. Poi quell'insistenza e urgenza a portare via suo figlio e il suo amante e quel cenno "capirai entro domattina".
Questo pensava Matteo mentre si prendeva cura di Damianu. Dio santo, Ettore doveva essere proprio disperato per giungere a una tale decisione! Mentre Rosa, la figlia di ziu Cosimo si prendeva cura di Renzino, che continuava a chiedere dove fosse il suo babbo, Matteo guardava il volto esangue di Damianu di cui teneva la testa in grembo. Ponendogli una pezzuola bagnata d'aceto sotto il naso, tentava di fargli riprendere i sensi.
Damianu emise un gemito. Dopo poco aprì gli occhi e dentro vi si leggeva una disperazione talmente profonda che fece sanguinare ancora di più il cuore di Matteo.
"Perché? Perché l'ha fatto? Perché non ha portato via anche me?" gemette il ragazzo.
Matteo gli carezzò il volto, e si chiese che cosa potesse dire, che cosa potesse fare per alleviare l'angoscia di Damianu.
"Perché, Matteo, perché? Perché Ettore l'ha fatto?" gemette ancora il ragazzo.
Matteo scosse il capo, incapace di rispondere a quell'angosciata domanda. Poi si rese conto che Damianu aveva capito quello che lui ormai sapeva: a differenza degli altri che parlavano di una terribile disgrazia, Damianu sapeva come realmente erano andate le cose.
Istintivamente Matteo prese a cullare il ragazzo dondolando lieve il bacino avanti e dietro. Che mai poteva dirgli? Come poteva rispondere a quella domanda?
Quando aveva letto il biglietto del fratellastro, Matteo aveva pensato che forse Ettore voleva portare via Damianu con il figlio, fuggire con loro. Farlo andandosene dall'ovile di ziu Cosimo sarebbe stato più semplice che fuggire da casa. Pensava che Ettore avesse questo piano e che gli chiedesse, con il biglietto, di aiutarlo a coprire la fuga. E invece...
"Se mi amava, mi portava via con sé... sapeva che l'avrei seguito, anche nella morte l'avrei seguito, lo sapeva. Ma non m'ha portato via con sé, m'ha lasciatato qui, da solo."
"Non t'ha lasciato solo, t'ha lasciato con me, t'ha affidato suo figlio Renzino: una parte di lui." mormorò Matteo, sopraffatto dall'intensità del dolore che sentiva permeare tutto l'essere di Damianu.
"Tu sapevi..." gemette il ragazzo e la sua era un'affermazione, una domanda, un'accusa.
"No, Damianu, non sapevo..."
"Perché ci hai portati quassù, Matteo, allora?"
"Me l'aveva chiesto Ettore, ma non sapevo, te lo giuro."
"Dovevo restare con lui, dovevo morire con lui... Ma lui non m'ha voluto con sé, non m'ha voluto!"
"Tu... tu hai sempre fatto tutto quello che Ettore ti chiedeva."
"Sì... tutto."
"Ebbene, lui ora voleva questo, da te, da noi." gli disse con dolcezza Matteo. "Lui voleva che tu vivessi, che noi vivessimo, che ci prendessimo cura di Renzino, non capisci? Lui voleva che attraverso noi tre, qualcosa di lui continuasse a vivere, non capisci? In te il suo amore, in Renzino e me la sua carne. Questa è l'ultima cosa che ha chiesto, Damianu."
"In me il suo amore?" chiese quasi stupito Damianu, non tanto dal fatto che Matteo, con quelle parole, dimostrava di essere a conoscenza del loro amore, quanto perché in quel momento si sentiva tradito dall'uomo proprio nel suo amore.
"Sì, per disperazione ha deciso di... di far finire tutto così. Per amore, ha deciso che tu, che noi, si continuasse a vivere, non lo capisci?"
"Bastava che dicesse a te di portar via Renzino e mi lasciasse morire con lui. Fra le sue braccia."
"Non poteva, non lo capisci? Per lui tu eri più importante della sua stessa vita, non lo capisci? Tu avresti fatto lo stesso per lui: saresti morto tu pur di salvare la sua vita, no? È proprio quello che ha fatto lui, niente altro."
Damianu scosse il capo, si sentiva tradito da Ettore in quanto aveva di più sacro, tradito nell'amore. Chi veramente ama non toglie all'amato quanto ha di più prezioso. E lui non aveva altro che Ettore, la vita non gli aveva mai dato nulla altro di prezioso.
Frattanto Rosa stava parlando con suo padre, ziu Cosimu: "Sono rimasti senza niente, i poveri ragazzi. Che possono fare, ora?"
"Staranno qui con noi... io lo devo a don Antonio buon'anima, lo devo ai Dore. Resteranno qui con noi, finché non saranno in grado di pensare a se stessi... anche per sempre, per quanto mi riguarda."
"Che brutta disgrazia, che brutta disgrazia. Tutti morti così, fra le fiamme! Che orribile morte." mormorò Rosa facendosi rapidamente il segno della croce, quasi a esorcizzare la mala sorte.
L'indagine dei carabinieri aveva chiuso il caso come disgrazia: molto probabilmente la vecchia donna Tana aveva inavvertitamente rovesciato il lume e tutti erano stati sorpresi nel sonno. I resti di Ettore erano stati trovati accanto al letto di donna Tana, gli altri tre ognuno nel suo letto, anche se tutto era crollato.
Due giorni dopo, nella chiesa parrocchiale di Arbatax, si tennero i funerali della famiglia Dore. Le cinque bare scure che contenevano i resti dei corpi carbonizzati, erano allineate nella chiesa, e c'era tutto il paese e parecchia gente era venuta dai paesi vicini, quando s'era sparsa la notizia.
Sul banco dei Dore, il primo a destra, ora addobbato da drappi neri con bordi argentati che coprivano lo stemma e il nome della famiglia, sedevano solamente Matteo e Damianu, e fra loro Renzino che Damianu teneva accanto a sé, con un braccio attorno alle spalle in un gesto spontaneamente protettivo.
Il bambino aveva la grossa testa appoggiata al fianco di Damianu. I due giovani sedevano eretti, i loro volti impassibili.
"Qual è la cassa del babbo?" chiese in un sussurro il bimbo.
"È quella in centro." gli rispose Damianu a voce bassa.
"Perché il babbo è più importante di tutti, vero?"
"Sì, per quello." annuì Damianu.
"E adesso, è andato dalla mamma?" chiese il piccolo.
"Sì..." rispose Damianu e, nella sua mente si formò un pensiero a cui però non diede voce: sì, ha preferito lei a me!
Quando uscirono sul sagrato, seguirono tutti e tre la teoria delle cinque casse, e il mesto corteo li accompagnò fino al cimitero.
Poi, tornati al villaggio, prete Portolu e il sindaco chiesero ai due ragazzi di andare con loro e con il bambino in municipio. Con loro andò anche il brigadiere dei carabinieri. Il sindaco tirò fuori alcune carte, ne ruppe i sigilli e, di fronte ai presenti ne lesse il contenuto.
Donna Tana aveva lasciato tutto il suo denaro, che era conservato dalla banca Stella di Cagliari sotto forma di titoli di stato, al piccolo Lorenzo Dore, dando disposizioni che l'amministratore dei fondi fino alla maggiore età del bimbo fosse affidata a uno dei Dore "escluso Ettore Dore". La vecchia aveva voluto dare un'ultimo schiaffo morale al giovane uomo, anche se ora non aveva più alcuna importanza. L'amministratore dei fondi era autorizzato a usare solo la rendita per il mantenimento del piccolo, ma non poteva toccare il capitale finché Renzino non avesse raggiunto la maggiore età.
Un altro documento era il testamento di don Antonio: lasciava tutti i beni al nipote Ettore... ma questo significava che ormai non lasciava più nulla, perché la Banca Agricola avrebbe preteso come pagamento parziale dei debiti l'unico terreno che restava e l'appezzamento su cui sorgevano le annerite rovine della casa. Poi vi era un documento in cui si dichiarava che Matteo era il figlio del suo primogenito, quindi un Dore, e infine un altro era la carta con cui, anni prima, don Antonio aveva legalmente adottato Damianu.
Consegnati tutti i documenti a Matteo e Damianu e fatti firmare gli atti a prete Portolu e al brigadiere Accossato, il sindaco chiese a Matteo che intendessero fare a questo punto.
"Non sappiamo ancora. Per il momento torniamo su da ziu Cosimo e lavoreremo per lui, almeno per un po'. Ma non è ricco, ziu Cosimo, non potremo stare a lungo da lui, per quanto ci abbia detto di non preoccuparci." rispose il giovane.
"Non avete più nulla, a parte un po' di danaro per allevare Renzino... Ve la sentite di prendervi cura di lui?" chiese prete Portolu.
"Certo che ci prenderemo cura di Renzino!" rispose Matteo con fierezza.
"Se voleste metterlo in collegio..." suggerì il prete, "io posso mettere una buona parola per voi dalle suore di Santa Caterina, a Nuoro."
"No. Renzino resterà con noi. Mi sono sempre preso cura io di lui, dopo tutto... oltre a donna Martina." disse Damianu in tono deciso.
"Povero piccolo... È malato di idropisia, lo sapete, anche se don Ettore, pace all'anima sua, non voleva che se ne parlasse..." disse prete Portolu, "Non è grave, per grazia di dio, ma il piccolo non sarà mai normale, lo capite? In un collegio, forse..."
"Don Ettore non l'avrebbe mai messo in collegio e noi non ce lo metteremo." lo interruppe in tono determinato Damianu guardando Matteo che annuì.
"Siamo noi a sua famiglia, no?" disse Matteo con voce decisa, "Dalle carte che il sindaco ci ha letto, che ho qui, io sono suo zio, giusto? E anche Damianu, essendo stato a suo tempo adottato da mio nonno, è un Dore come noi: Renzino ha ancora la sua famiglia. E la famiglia Dore, a dispetto di tutto, è sempre stata unita e continuerà a esserlo. Renzino resterà con noi."
Damianu lo guardò con un senso di riconoscenza per quella determinata presa di posizione. Per la prima volta pensò che, al di là dell'indubbia somiglianza fisica con Ettore, in quel momento Matteo assomigliava al fratello anche come atteggiamento: nonostante l'aspetto più dolce e gentile, aveva negli occhi e nella voce la stessa determinazione del suo uomo... del suo uomo che non c'era più.
Prete Portolu annuì con espressione mesta: "Che Dio vi assista, ragazzi." disse a bassa voce.
"Quale dio? Quello che ha permesso che... che accadesse... tutto questo?" chiese Damianu con acredine dettata dal dolore che attanagliava il suo cuore.
"Quel dio che, anche se pare guardare altrove, non cessa mai di prendersi cura delle sue creature." rispose il prete.
"E da che parte guardava la notte in cui... in cui..." protestò Damiano, incapace di continuare.
"Un giorno forse capiremo..." suggerì Matteo provando un forte dolore nell'anima, accresciuto dal dolore che sentiva ancora bruciare nel cuore di Damianu.
"Un giorno certamente capiremo, quando anche noi saremo lassù." lo corresse con gentile sicurezza il prete.
"E allora che aspetta a chiamare lassù anche me?" chiese Damianu.
"Forse ti vuole dare il tempo perché tu capisca qualcosa in più." gli suggerì prete Portolu. Poi aggiunse: "Se tu venissi di più in chiesa, se tu pregassi di più, Damianu..."
Matteo scose il capo: "Non è questo il momento di fare questi discorsi, prete Portolu. L'incendio non è ancora del tutto spento, non lo capite?"
Il prete scosse il capo, ma non insistette, per rispetto del dolore dei due giovani. Li salutò e tornò in canonica.
Damianu guardò verso Renzino che, poco lontano, stava accoccolato a terra e osservava le formiche affaccendarsi attorno all'ingresso del loro formicaio. Il giovane lo chiamò. Il bimbo si girò a guardarlo e gli fece cenno, con il dito sulle labbra, di fare silenzio, per non disturbare le formiche.
Matteo a un tratto si ricordò della sua scatola di latta e si chiese se l'incendio si fosse mangiato anche tutti i suoi risparmi: doveva andare a controllare e se c'erano ancora, ora doveva toglierla dal nascondiglio in cui la conservava.
"Damianu, aspettami un attimo, devo fare una cosa." gli disse.
Damianu annuì e mentre Matteo andava a passo svelto verso lo stradello che correva fra le case e la foresta, andò ad accoccolarsi accanto a Renzino e si mise lui pure a guardare le formiche. Il bimbo lo guardò per un attimo e gli sorrise, poi tornò a osservare il via vai del formicaio.
Matteo giunse all'orto dietro le rovine della casa. Vi entrò, andò al muretto che lo separava dal cortile e vide che era ancora intatto. Smosse la pietra alla base, estrasse la scatola di latta e controllò velocemente il suo poco denaro. Tutto era in ordine. Rimise la pietra a posto, si alzò e, con la scatola in mano tornò sulla piazza. Chiamò Damianu e Renzino e, prendendo il piccolo fra loro per le due mani, presero a risalire lentamente verso l'ovile di ziu Cosimo.
Giunti alla casa accanto all'ovile, lasciarono il piccolo a giocare con i figli di Rosa, e Matteo fece segno a Damianu di salire con lui nella stanza che Rosa aveva preparato per loro tre. Matteo sedette sul proprio giaciglio, e aprì la sua scatola di latta mostrandone il contenuto al compagno.
"Sono andato a riprendere i miei risparmi. Vedi, Damianu, abbiamo qualche soldo e se andiamo da qualche parte, possiamo trovarci un lavoro e guadagnarci da vivere. Qui, ziu Cosimu, in cambio del nostro lavoro non ci può dare più che cibo e un tetto, ma non è in grado di darci denaro. Altrove, forse, riusciremo invece a guadagnare qualcosa. Che ne pensi?"
"Come decidi tu, per me va bene." rispose il ragazzo.
"Sì. La rendita del denaro di donna Tana basterà appena per provvedere a Renzino, ma noi due dobbiamo provvedere a noi stessi."
"Non nominare quella vecchia strega! Odiava Ettore. Non la voglio più sentire nominare. Se quella allargava i cordoni della sua borsa, Ettore e gli altri sarebbero ancora vivi." disse in tono aspro Damianu, "Spero che quella strega continui a bruciare all'inferno!"
"Non pensare più al passato, Damianu mio! Dobbiamo pensare al futuro." gli disse con dolcezza Matteo.
"Passato... futuro... non c'è più niente, più niente di niente."
"Ci siano noi, Damianu. Ci sei tu, ci sono io e c'è Renzino... il figlio del tuo Ettore."
Damianu lo guardò sorpreso: per la prima volta si rese conto in modo chiaro che Matteo sapeva.
"Il mio Ettore..." gli fece eco Damianu continuando a guardarlo negli occhi.
"Sì, il tuo Ettore, Damianu."
"E che ne sai, tu?"
"So."
"Cosa ne sai?"
"Ne so abbastanza. So quanto lo amavi, so quanto ti amava... e so che eri per lui... più di una sposa, anche se doveva dimostrartelo in segreto."
"No, non mi amava. Non mi amava o non se ne sarebbe andato; non mi avrebbe lasciato così. Non mi amava abbastanza. No, non mi amava. E d'altronde, non me l'ha neppure mai detto." disse Damianu sconsolato.
"Sì che ti amava, invece. Ti amava e anche se non te l'ha detto con le parole, te l'ha dimostrato, no? Con tutto il suo corpo te l'ha dimostrato, no?"
"Con tutto il corpo... questo sì... E tu, tu lo sapevi? Te l'aveva detto lui?"
"No, vi ho visti."
"Non hai mai detto niente..."
"Perché avrei dovuto? A chi avrei dovuto dirlo? Anche io so quanto, quelli come noi, devono sempre tenere segreti i propri sentimenti e i propri incontri. Ma soprattutto i sentimenti, perché se un incontro può essere perdonato, questo sentimento non lo è mai."
"Tu sai... tu sai tutto... Quelli come noi, hai detto, quindi anche tu... anche tu ami qualcuno... anche tu ami... un uomo."
Matteo annuì: "Non è un uomo, è un ragazzo come me, poco più giovane di me."
"Ma almeno lui è vivo." gli disse Damianu, del tutto ignaro che Matteo stesse parlando di lui.
"Sì, è vivo, ma lui non sa che lo amo, non gliel'ho mai potuto dire, non glielo posso dire."
"Perché? Lui non è come noi?" gli chiese Damianu, dimenticando per un breve momento i propri problemi, il proprio dolore.
"Sì che lo è, ma lui ama un altro. Lo ama troppo per potermi stare a sentire. Lo ama troppo perché io possa provare a dirgli quello che sento per lui."
"Perciò siamo soli, tu e io." commentò Damianu con un triste sorriso. "La vita non è che solitudine, non è che dolore. Tu e io non abbiamo nulla."
"Abbiamo l'uno l'altro e ora abbiamo Renzino a cui pensare. Siamo più fortunati di altri che non hanno nemmeno questo."
"Fortunati! Come puoi dire che siamo fortunati? Se questa è fortuna... cos'è la disgrazia? Che siamo noi, se non pietre sparse, calpestate dai cavalli, calciate dai passanti, lavate dalla pioggia e spaccate dal sole. Troppo piccole per essere utili, troppo grandi per passare inosservate."
"D'accordo, siamo pietre sparse. Abbastanza dure per non essere spezzate né dagli zoccoli dei cavalli né dai calci dei passanti. Ma basta metterle assieme con un po' di malta che possono diventare un muro, basta lanciarle con una fionda che dieventano un temibile proiettile, basta appoggiarle su dei fogli perché il vento non li porti via... Anche le pietre sparse, Damianu, possono essere preziose per mille cose."
Un lampo improvviso, che illuminò vividamente l'interno della stanzetta, e il tuono fortissimo che lo seguì a breve, fecero sobbalzare i due ragazzi. La pioggia incominiò a scrosciare con violenza.
"Renzino... Renzino è fuori!" disse Damianu balzando in piedi e si precipitò fuori seguito da Matteo.
Un lampo terribile e il rombo quasi immediato di un tuono riempirono l'aia di luce cruda suscitando ombre nette, quasi taglienti, dagli alberi e dalla casa. In mezzo all'aia Renzino stava fermo, il volto rivolto verso il cielo, e rideva. Damianu corse a prenderlo, lo sollevò fra le braccia e rientrò in casa correndo. Erano già zuppi entrambi.
Matteo gli disse: "Portalo subito in camera, dovete togliervi i panni fradici di dosso, mettervi sotto le coperte prima di prendere un malanno."
Mentre Damianu si levava gli abiti di dosso, Matteo li toglieva al piccolo: "Non dovevi restare sotto il temporale, è pericoloso." gli disse.
"Ma io non ho mica paura." rispose il piccolo. "Ci sono babbo e mamma lassù che mi guardano, e quaggiù ci siete Damianu e tu che mi guardate."
Matteo mise il piccolo, nudo, sul giaciglio e lo coprì con la copertella. Non poté fare a meno di vedere il corpo nudo di Damianu, un attimo prima che anche lui si stendesse a sua volta nel proprio giaciglio e si coprisse. Era bello, sensuale, attraente. Vederne la pelle glabra, il folto ciuffo di peli neri attorno al membro morbido, le forme snelle e agili, asciutte ma forti, lo fecero fremere lievemente e alimentarono il suo desiderio.
"State caldi?" chiese Matteo mentre fuori pareva che la natura scatenata si accanisse rabbiosamente contro la casa.
"Io no. Posso venire con te, Damianu?" chiese Renzino.
"Vieni." rispose il ragazzo.
Il bimbo sgattaiolò svelto sotto la coperta di Damianu e gli si addossò, accucciandoglisi contro. Il ragazzo lo abbracciò.
"Adesso sì, che sto caldo!" sussurrò il piccolo deponendo un lieve bacio sul petto nudo del ragazzo, fra la spalla e il capezzolo.
Matteo prese la copertella dal giaciglio di Renzino e la aggiunse sopra a quella di Damianu, sistemandola con cura e con tenerezza.
Damianu sentiva il piccolo corpo tenero e nudo del bimbo contro il suo. Pensò che se pure quella era carne della carne di Ettore, la sensazione era completamente diversa. Il contatto con il corpo nudo del padre gli avrebbe bruciato addosso facendolo divampare di desiderio, ora invece provava solo tenerezza. Eppure era una parte di Ettore che stava stringendo contro di sé.
Dalla finestrella continuavano a provenire bagliori di lampi, ma il rumore del tuono s'allontanava. A ogni lampo le figure dei tre parevano balzar fuori dal buio, per poi precipitare di nuovo nell'ombra scura della piccola stanza spoglia.
"Vuoi che accendo il lume, Damianu?" gli chiese Matteo.
"No, va bene così." rispose il ragazzo distolto dai suoi pensieri.
"Ti siedi qui, vicino a noi, Matteo?" chiese Renzino in tono sommesso, con la sua vocina che faceva pensare più a quella di una vecchina che a quella di un bimbo.
Matteo sorrise e sedette a terra accanto al giaciglio. Carezzò i radi capelli biondicci e umidi di Renzino, poi anche quelli folti e neri di Damianu.
"State bene?" chiese allora.
"Sì." risposero gli altri due, quasi sottovoce.
Sì... Matteo pensò che il suo desiderio aveva ora un sapore assai diverso. Quando gli capitava di potersi unire con uno dei suoi occasionali compagni il suo desiderio era colorato di libidine e di sete di godimento. Ora invece, nei confronti di Damianu il suo desiderio era colmo di tenerezza e di voglia di dare piacere e sollievo al compagno. Sollievo sia al suo corpo, che al suo cuore, che alla sua anima.
Forse era la presenza del ragazzino fra di loro, forse era il senso di tenerezza che i due corpi sotto le coperte gli facevano provare, forse era il senso di smarrimento che albergava nella mente e nel cuore di Damianu che facevano la differenza dentro di lui.
D'un tratto, così come il temporare era deflagrato improvviso e violento, il cielo tornò sereno. Le nuvole si squarciarono e colarono giù dietro la montagna. Il sole, dalla parte opposta, prima di scendere nel mare, sparse i suoi caldi raggi dorati e la natura riapparve nel silenzio attonito che segue la tempesta. Nella stanzetta tornò un po' di luce, calda e gradevole.
Matteo guardò Damianu, e vide che silenziose lacrime scendevano dai suoi occhi socchiusi, bagnando di nuovo le gote su cui poco prima la pioggia s'era asciugata. Istintivamente Matteo carezzò lieve una guancia di Damianu, tergendo così quelle lacrime. Il ragazzo riaprì i grandi occhi tristi e guardò il compagno.
"Come stai?" gli chiese Matteo guardandolo intensamente, e un sorriso triste e fugace palpitò per un attimo sul suo volto.
"S'è addormentato." sussurrò Damianu facendo cenno con gli occhi verso il piccolo.
"Bene. Ma tu, come stai?" insistette Matteo.
"Non lo so... Hai ragione, Ettore è ancora qui con me, grazie a lui... e grazie a te. A tratti tu mi sembri così diverso... ma a tratti mi pare di star guardando lui. Sto male, sono confuso... perché l'ha fatto? Perché Ettore non ha condiviso con me anche questo?"
"Perché voleva che tu fossi qui, ora... proprio così, con suo figlio fra le braccia, e con me accanto a voi due."
"Che ne sai, tu, di quello che voleva?" gli chiese in un lamento incredulo Damianu, continuando a guardarlo dritto negli occhi.
"Forse un giorno te lo dirò." gli rispose Matteo.
"Perché un giorno? Perché non ora? Quante sono le cose che sai, che non credevo che tu potessi sapere? Come il fatto che tu sei suo fratello: lo sanno tutti, lo sapevamo tutti, ma non se n'era mai parlato, prima del documento di don Antonio." chiese con voce affranta Damianu, "Perché chi veramente sa tace, e chi non sa chiacchiera? Perché nessuno dice pane al pane e vino al vino, invece di dire tante inutili parole?"
"Eh, quanti perché, Damianu mio! Dire o non dire non cambia la verità delle cose. E come diceva tempo fa prete Portolu durante una predica, c'è un tempo per ridere e uno per piangere, uno per dire e uno per tacere."
"Io conosco solo il tempo per piangere."
"No, Damianuzzo, tu hai anche consciuto il tempo per amare. Questo nessuno te lo può portare via."
"Ma quel tempo è bruciato con Domus Dore e non tornerà mai più." si lamentò il ragazzo.
"E che ne sai, tu? Prima che... prima che tu e lui vi trovaste, non immaginavi neppure che potesse accadere. Eppure è accaduto, hai provato cos'è la gioia, cos'è l'amore." gli disse Matteo, "Noi non sappiamo mai cosa ci riserva il domani. I nostri sogni, i nostri desideri, sono come le nostre paure, i nostri timori: sono solo dentro di noi e solo il domani ci dirà se e quali si realizzeranno, se e quali moriranno."
"Ho voglia di morire, Matteo, ho voglia di chiudere gli occhi e di non svegliarmi mai più." mormorò Damianu.
"Ma non puoi farlo, per te stesso, per Renzino... e anche per me." aggiunse Matteo e disse queste ultime parole sentendosi il cuore in gola e chiedendosi se non avesse sbagliato a dirgli anche questo.
"Quando mai possiamo fare quello che vorremmo?" chiese in tono triste il ragazzo.
"Quando vogliamo qualcosa che siamo in grado di fare." gli rispose con semplice saggezza Matteo. "Quando cerchiamo di fare ciò che è giusto fare."