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una storia originale di Andrej Koymasky


PIETRE SPARSE CAPITOLO 7

A cane bonu non faltat padronu, e a chie hat pane non li faltat cane
A cane buono non gli manca il padrone, e chi ha del pane non gli manca un cane

Era fatta! Matteo aveva il senso degli affari, e sapeva essere convincente: era riuscito a ottenere da don Zua non solo il permesso, ma anche ottime condizioni. Avevano discusso tutti i particolari fin nei più minuti dettagli, per ore. Ma alla fine s'erano accordati.

Così i due ragazzi erano tornati da ziu Cosimu. Grazie ai suoi buoni uffici erano riusciti a comprare un carrettino e un asinello, vi avevano caricato su il piccolo e null'altro, in quanto non possedevano niente oltre gli abiti che avevano indosso. Rosa però gli aveva donato i tre pagliericci e le copertelle, qualche pezzo di sapone e un po' di tela, oltre a un cesto pieno di buon cibo. Zio Cosimu aveva anche voluto regalare ai ragazzi due suoi vecchi mantelli.

Giunti a Lula, coi i pochi soldi che restavano a Matteo, si comprarono qualcosa di prima necessità per cominciare la loro nuova vita. Quindi presero la strada verso la miniera.

Renzino sedeva quieto e pensieroso nel carretto e si guardava attorno, osservando con i suoi grandi occhioni sgranati quel panorama per lui così alieno. Dopo un po' chiamò Damianu e il giovane si girò a guardarlo.

"Di qui non si vede il mare, però!" disse il piccolo con voce un po' lamentosa.

"No, di qui non si vede. Ma è dietro quei monti, laggiù. Il mare puoi non vederlo, ma sai che c'è sempre, anche se non lo vedi più." gli disse Damianu con un sorriso triste.

"Proprio come babbo e mamma, allora." commentò il piccolo con un lieve sospiro di sollievo.

"Sì, proprio come il tuo babbo e la tua mamma, Renzino. Proprio come loro." confermò Damianu.

Giunsero alla bicocca incastonata fra due grandi rocce, e videro che v'era davanti un carro colmo di tavole di legno e che tre uomini vi stavano lavorando: rifacevano gli infissi, e costruivano tavole e panche per l'interno. Don Zua s'era dato da fare, senza perdere tempo, come aveva promesso. Dietro alla bicocca poi c'erano due muratori che stavano riparando il forno. Altri due erano sul tetto che ne sistemavano le tegole.

I due ragazzi scaricarono le loro poche cose e le portarono in una delle due stanzette dietro la cucina. Poi Damianu prese per mano Renzino e lo portò a girare attorno alla bicocca mentre Matteo andava a parlare con gli operai che risitemavano la casa.

"Vedi, qui ci faremo un bell'orto, e qui ci metteremo le stie per polli e per i conigli, e magari laggiù possiamo anche fare un chiuso per tenerci qualche pecora, se avremo abbastanza soldi per comprarla." spiegava al piccolo, "Più cose siamo capaci di coltivare e allevare da soli, Renzino, più denaro possiamo guadagnare, capisci?"

"Oh, guarda, laggiù c'è pure il pozzo!" esclamò allegro il piccolo. "Lo andiamo a vedere, Damianu?"

Il ragazzo pensò che il pozzo potesse costituire un pericolo per il piccolo: "Più tardi ci andremo assieme. Ora vieni, andiamo a vedere gli uomini che stanno facendo bella casa nostra." gli disse.

"Però... la casa del babbo era più bella." obiettò pensoso il bimbo.

"Diventerà bella anche casa nostra, Renzino, vedrai!" gli disse il giovane, facendogli un sorriso rassicurante.

Sempre tenendolo per mano, andò dagli uomini e chiese loro che provvedessero immediatamente a fare un coperchio per il pozzo e che lo fornissero di un catenaccio e di un lucchetto: non voleva che Renzino rischiasse di caderci dentro. Sapeva quanto il piccolo, se pure fondamentalmente obbediente, pareva sapersi cacciare nei guai e quando lui e Matteo avrebbero dovuto occuparsi dei clienti, non lo potevano tenere d'occhio continuamente.

Matteo aveva chiesto agli uomini di costruire anche una tettoia per l'asinello e il carretto, oltre la roccia che delimitava sulla destra la stalla. I due ragazzi si misero a lavorare per ripulire l'interno della bicocca. C'era parecchio da fare, ma questo non li spaventava. A torso nudo, Damianu e Matteo lavoravano sodo, in silenzio, senza mai perdere d'occhio il piccolo che, a modo suo, cercava di rendersi utile, anche se a volte era più di intralcio che d'aiuto.

Però Matteo lasciava spesso vagare il suo sguardo sul torso nudo di Damianu, sentendosi lievemente e piacevolmente eccitato: davvero desiderava il suo compagno. Avrebbe voluto passargli le mani sul bel petto glabro, non muscoloso ma neppure flaccido, ben definito. Avrebbe voluto toccarlo fra le gambe per saggiarne la virile consistenza che aveva già intravisto, ma ancora mai in stato di erezione. Avrebbe voluto baciarne le belle labbra sensuali, piene ma non troppo carnose... Ma soprattutto avrebbe voluto vederne il bel volto rischiarato da un sorriso, e non più velato di tristezza.

Solo la vicinanza di Ettore pareva aver avuto il potere di far risplendere di una luce speciale i begli occhi di Damianu. Sarebbe mai riuscito, lui, a far riaccendere quella dolce e intensa luce? A far piegare lievemente in su gli angoli della sensuale bocca del suo compagno in un sorriso lieto? Avrebbe mai potuto pensare a lui come al suo amante, al suo amato?

A sera, dopo aver mangiato qualcosa, avevano steso a terra i tre vecchi pagliericci avuti in dono e s'erano messi a dormire, stanchi ma soddisfatti. Il fatto di aver lavorato quasi tutta la giornata per se stessi, per casa loro, aveva infuso nei due giovani una maggiore energia.

"Dormi, Matteo?" chiese a un certo punto Damianu, e la sua voce sorse lieve nel buio intenso che permeava la stanza.

"No, non ancora."

"Pensavo... Dovremmo anche fare una pergola davanti alla bicocca, che quando il tempo è bello e fa caldo, magari agli uomini piacerebbe di più mangiare all'aperto. Che ne dici?"

Matteo pensò che era un buon segno che Damianu pensasse al futuro, che facesse progetti: "Mi pare un'ottima idea. C'è abbastanza spazio prima della strada. Sì, possiamo piantare dei pali e fare un traliccio. Che pensi di piantare, per fare la pergola? Viti?"

"No... richiedono troppa cura. Io pensavo a glicini. A quest'altezza dovrebbero ancora crescere bene. E mi piace il fiore di glicine." rispose il giovane.

"Sì, hai ragione. Glicini saranno. Se ne può piantare uno accanto a ogni palo e in un paio d'anni, magari tre, formeranno un bel tetto di foglie e di fiori. Dieci, quindici piante dovrebbero bastare. Non credi?"

"Sì, forse. Anche la bicocca sembrerà più bella, per chi arriva. Hai pensato a un nome? Un nome par la nostra cantina, voglio dire."

"No, non ancora. E tu?" gli chiese Matteo, sempre più compiaciuto che il compagno avesse pensato anche a questo.

"No, non proprio. I nomi che mi vengono in mente non mi sembrano adatti, non mi paiono buoni."

"Per esempio? Dimmene qualcuno, Damianu." lo incitò Matteo.

"Da Matteo e Damianu... oppure, Dai Tre Dore... o anche La Bicocca... O... Alla Pergola, se e quando avremo pure la pergola."

"Mi paiono tutti buoni. Perché non ti piacciono, Damianu?"

"Penso agli uomini della miniera, che si dicono l'uno l'altro, andiamo a... Dev'essere un nome che da solo fa già venire voglia di venirci, non credi?"

"Sì, capisco che intendi. Credo che tu abbia ragione. Qualcosa come: andiamo dagli amici, vuoi dire, o andiamo a casa... no?"

"Sì, ma che sia pure un nome originale, un nome meno comune... però non mi viene nulla in mente. Ti va di pensarci anche tu?"

"Certo, Damianu. Ma visto che sarai tu che preparerai il mangiare, Da Damianu mi pare un buon nome."

"No, a qualcuno potrebbe non piacere il mio nome, o anche non piacergli io."

"Come puoi non piacere a qualcuno, tu?" gli rispose Matteo istintivamente, pensando che a lui avrebbe dato certamente una gradevole sensazione poter dire "andiamo da Damianu".

Il giovane non rispose. Ma quella frase gli girava e rigirava in mente, e anche il tono dolce con cui Matteo l'aveva pronunciata.

"Sa pinnetta..." mormorò Damiano in tono pensoso.

"Quale pinnetta?" chiese Matteo, pensando subito a quante volte s'era infilato in uno di quei ripari provvisori di pietra e paglia con qualche pastorello per fare l'amore.

"Il nome. Gli uomini della miniera sono stati quasi tutti pastori, prima di venire a lavorare qui. E per loro la pinnetta era il riparo, il luogo dove riposare, dove ripararsi, quasi come una casa lontano da casa... Che ne dici?"

"Sì, mi piace." rispose Matteo dicendosi che gli sarebbe piaciuto portarci Damiano, in una pinnetta, per fare l'amore. "Però non ci sono pinnette qui nei dintorni."

"Ne costruiamo una noi, davanti alla tettoia dell'asino, a filo della strada... Raccogliamo le pietre sparse e la tiriamo su, un po' per volta: sarà il simbolo della nostra cantina."

"Sì... è proprio una bella idea, la costruiremo, certo. E poi... riporterà alla loro memoria di quand'erano ragazzetti, di quando ci si rifugiavano in due e sul mantello di pelle di pecora, al buio, facevano quelle piacevoli cose."

"Dici davvero? Questo non lo sapevo." mormorò Damianu. "Ma tu andavi su ai pascoli... tu le sai queste cose. Magari, chissà quante volte anche tu..."

"Sì, anche io." ammise Matteo.

"Anche con quel ragazzo di cui mi avevi parlato?" chiese Damianu con voce soffice.

"No, con lui no... lui non veniva mai su al pascolo. Ce lo porterei volentieri, però, se solo potessi, se solo lui ci volesse venire con me." gli rispose Matteo passando inconsciamente al presente.

"Ti manca?" gli chiese allora Damianu.

"Sì, mi manca."

"Ora è lontano..." gli disse Damianu.

"Non è questo il problema. È che lui... lui non pensa a me. Il suo cuore è preso da un altro, come ti ho già detto." sussurrò Matteo non sapendo se sperare che Damianu capisse o se sperare che non capisse che in realtà stava parlando di lui.

"Già, è vero, me l'avevi detto. Ma se quel ragazzo ti avesse detto di sì, tu gli saresti stato... fedele?"

"Sicuro che gli sarei fedele."

"E l'avresti portato qui con noi?" gli chiese allora Damianu.

Ora Matteo non sapeva che rispondere, senza scoprire troppo le sue carte. Poi, esitante, rispose: "Mi piacerebbe costruire una pinnetta e portarcelo dentro, sì. Mi piacerebbe molto. Una pinnetta solo nostra."

Tacquero, ognuno immerso nei suoi pensieri, finché il sonno colse prima Damianu, poi anche Matteo.


Finalmente poterono aprire la cantina e iniziarono il loro nuovo lavoro. Dovevano correre tutto il giorno; gli uomini, terminati i loro turni di lavoro, andavano volentieri a passare il loro tempo a "Sa Pinnetta". I due giovani, nei ritagli di tempo, avevano iniziato sia a costruire il pergolato sia a erigere la pinnetta, aiutati da Renzino che andava a raccoglie le pietre sparse nei dintorni che i due amici accumulavano ad arte facendone un muro a secco.

Avevano formato un ampio cerchio, sufficiente per ospitare senza problemi due corpi stesi. Avevano spianato la terra all'interno e piantato in centro il palo che avrebbe sostenuto il cono di paglia del tetto. All'interno, alla destra della stretta entrata avevano anche fatto un focolare. Renzino era eccitato e felice.

"Damianu, chi ci abiterà qui?" gli chise il piccolo.

"Nessuno. E solo per bellezza che la facciamo."

"Peccato. A me piacerebbe abitarci, una volta che è finita." disse il bimbo. Poi chiese: "Ci potrò giocare?"

"Certo, Renzino."

"Anche tu e zio Matteo ci giocherete?"

Damianu pensò a quanto gli aveva detto Matteo riguardo ai "giochi" che i ragazzini facevano nelle pinnette e sorrise dentro di sé.

"Ci giocate anche voi due?" insistette il piccolo.

"Siamo grandi, ormai, zio Matteo e io." gli rispose Damianu.

Il giovane si chiese come sarebbe stato farlo davvero con Matteo: fisicamente assomigliava abbastanza a Ettore, era molto ben fatto; ma come carattere era abbastanza diverso... e, gradualmente aveva dovuto ammetterlo, era migliore del fratello. Il ricordo di Ettore non era scomparso, ma ora Damianu era meno tormentato da quelle memorie.

Matteo aveva trovato una vecchia pala di un mulino ad acqua, un rettangolo di legno che l'uso e il tempo aveva dilavato facendone risaltare le venature, vi aveva inciso con il coltello il nome "Sa Pinnetta" e nel solco dell'incisione aveva fatto colare un po' di vernice rossa: l'avrebbero messa sul fianco della pinnetta, una volta terminata, come insegna della loro cantina.

Poiché i due giovani sapevano scrivere, avevano anche preso a stilare per poche monete le lettere che gli uomini volevano mandare a casa, e che Matteo portava alla posta ogni volta che scendeva in paese. Le mogli o le famiglie dei minatori, che quasi sempre erano analfabeti, se le sarebbero fatte leggere dal parroco, poi loro leggevano le risposte agli uomini.

Avevano anche fatto, in un angolo della stalla un bancone, con un piccolo emporio, in cui vendevano ai minatori tabacco da fiuto, da masticare o da fumare, pezzi di sapone, pipe di coccio, piccoli specchi rettangolari per guardarsi quando si rasavano, carte da gioco e altre povere cose che potevano essere utili agli uomini.

Gli affari andavano bene. Riuscirono a restituire a don Zua Pisanu il denaro che aveva loro anticipato, e ora ogni mese gli potevano anche versargli una piccola somma con cui, a poco a poco, avrebbero acquistato la bicocca e il pezzetto di terra che la circondava. L'orto iniziava a produrre, e avevano anche cominciato ad allevare polli e conigli. La struttura del pergolato era completata e i glicini stavano crescendo a poco a poco.

La pinnetta era quasi terminata, il muro perimetrale era già arrivato all'altezza della testa dei due giovani, quindi mancava solo il tetto per finirla. Ci avevano messo parecchio per costruirla, perché avevano avuto poco tempo da dedicarle.

Matteo aveva notato il lento cambiamento nel suo amico: ora pareva più sereno, a volte un raro sorriso affiorava sul suo volto, illuminava per un breve tratto i suoi occhi, e Matteo si sentiva sempre più attratto da Damianu e sempre meno capace di nascondere i propri sentimenti.

Non sapeva, il giovane e forte uomo, che anche Damianu stava iniziando a provare qualcosa per lui. Damianu era forse più abile nel nascondere quanto sentiva timidamente sbocciare dentro di sé. O forse semplicemente non era ancora pienamente cosciente del mutare dei propri sentimenti. Una delle cose che univa sempre più i due giovani e che sempre più li avvicinava, oltre la vita e il lavoro comune, era il loro affetto e il loro senso di protezione nei confronti di Renzino.

Finalmente anche la pinnetta fu completata. Matteo vi affisse la tavola di legno con il nome. Appesero una pelliccia di pecora sull'ingresso, ne misero dentro una arrotolata, Damianu preparò la legna nel focolare, disponendo tutto come se fosse pronta per essere usata. Gli uomini della miniera apprezzarono la cosa, e a poco a poco la arredarono all'interno, chi costruendo un ripiano per mettervi le forme di cacio, chi donando una brocca o un boccale di coccio, chi portandovi dalle loro baracche un vecchio lume che avanzava.

Una sera, dopo aver messo a letto Renzino e dopo che gli ultimi clienti erano rientrati alle loro baracche, Matteo e Damianu portarono fuori due sedie e sedettero davanti alla bicocca, come avevano preso l'abitudine di fare prima di andare anche loro a dormire.

"Sei stanco, Matteo?" gli chiese Damianu.

"Un poco, ma tu sarai anche più stanco di me. Non ti fermi mai un momento."

"No, non sono troppo stanco. Mi piace la vita quassù. Sono contento di averti dato retta. Pare che la vita abbia preso finalmente un'altra direzione."

"Sì... e siamo una bella famiglia, dopo tutto. Anche Renzino sta crescendo bene, pare felice anche lui, benché non abbia altri bambini con cui giocare."

"Fin da piccolo è sempre stato piuttosto solitario. L'unico che vedeva sempre con piacere era suo padre."

"E anche te." gli disse Matteo.

"Sì, anche me. E ora s'è attaccato a te." rispose Damianu, "Hai preso tu il posto di Ettore, nella sua vita."

"Pensi ancora spesso a Ettore?" gli chiese Matteo, un po' stupito che, dopo tanti mesi, per la prima volta Damianu avesse di nuovo pronunciato quel nome.

Damianu si alzò in piedi: "Vieni un attimo." disse a Matteo.

Andò verso la pinnetta e si fermò davanti allo stretto ingresso. Si girò a guardare Matteo. Nel buio a mala pena attenuato dalla luna al primo quarto, i suoi occhi brillarono.

"Ho perdonato a Ettore... come mi avevi detto tu che avrei dovuto fare. Finalmente l'ho perdonato: ora posso pensare a lui senza che mi sanguini il cuore."

"Bene."

"E sto meglio, come avevi predetto tu. Manca solo una cosa, per stare veramente bene..."

"Che cosa?" chiese Matteo e si sentì battere il cuore come la grancassa della banda del paese alla festa patronale.

"Perché non porti quel ragazzo dentro alla pinnetta... e non fai con lui quello che da troppo tempo avresti voluto fare?" gli chiese con voce soffice il giovane uomo.

"Non so se lui ci verrebbe dentro, con me." gli rispose incerto ma emozionato Matteo.

"È tutto pronto, là dentro. Le pietre sparse le abbiamo messe tutte assieme. Basta accendere il fuoco, srotolare la pelliccia... e che tu lo prendi fra le tue braccia. Non ti dirà di no. Il suo cuore è libero, non è più prigioniero dei ricordi."

Matteo prese una mano di Damianu, scostò la tenda di pelle di pecora ed entrò con il ragazzo nella pinnetta.

"E così buio, qui dentro..." mormorò.

"Ho messo l'acciarino accanto al focolare, a terra, sulla destra. Prova ad accendere il fuoco, Matteo. Poi srotola la pelliccia... Io aspetto qui, accanto alla porta."

Matteo credeva di sognare. Tentoni, trovò il focolare, si accoccolò ed esplorò con le mani finché trovò l'acciarino. Lo batté più volte finché riuscì ad accendere l'esca che pose sotto la legna e in breve si levarono le prime fiamme. Al tremulo chiarore, senza girarsi a guardare Damianu, si spostò oltre il palo centrale e srotolò la pelliccia. Poi si alzò, si girò e guardò verso Damianu.

Il giovane era restato ritto, immobile, accanto allo stretto ingresso, davanti alla pelle di pecora che era ricaduta chiudendo il passaggio. Le fiamme traevano dalla sua figura mobili ombre e dai suoi occhi scintille di luce.

Matteo avanzò fino davanti all'amico, lo prese fra le braccia e, un attimo prima di posare le sue labbra su quelle di Damianu, gli sussurrò con voce piena di desiderio: "Ti voglio..."

Damianu sentì le labbra bruciati di Matteo posarsi sulle sue, la lingua del compagno cercare la sua, ne sentì il corpo fremere, poi la forte erezione cercarlo con lievi movimenti del bacino.

Quando le loro bocche si staccarono, Damianu mormorò: "Prendimi, fammi tuo!"

"Davvero lo vuoi?" gli chiese emozionato il bel giovane.

"Sì, ma a un patto, Matteo."

"Dimmi..."

"Che sia per sempre. Sii onesto, ti prego. Se non te la senti, siamo ancora in tempo a uscire di qui."

"Per sempre, Damianu, per sempre. E solo tu e io, te lo giuro."

"Non mi abbandonerai come ha fatto Ettore?"

"Mai, mai! Non per mia volontà, comunque. Sono anni che sogno questo momento, Damianu!"

"Anni?" chiese il giovane stupito.

"Sì, da quando io avevo diciassette anni e tu quindici."

"Non me l'hai mai fatto capire..."

"Dapprima ero troppo timido... poi ho visto che t'eri dato a mio fratello. Perciò non potevo fartelo capire. E comunque tu non mi avresti ascoltato, non è così? Tu non sei come ero io, non ti saresti dato a me dopo che t'eri dato a mio fratello. Ma ora anche io sono cambiato, maturato. Ora voglio anche io essere solo tuo."

Lentamente iniziò a spogliare Damianu e il giovane aprì gli abiti di Matteo. Il fuoco nel focolare stava riscaldando l'ambiente e i due non sentirono il freddo della notte. E forse non l'avrebbero comunque sentito, perché i loro corpi ardevano di desiderio. Nudi, si guardarono l'un l'altro e si trovarono reciprocamente belli, i loro membri erano già eretti e duri. Il fumo del focolare fluiva fuori filtrando lieve attraverso il tetto di paglia.

Matteo guidò Damianu fino alla pelliccia e vi scese sopra con lui. Si stesero e Matteo gli andò sopra e lo baciò di nuovo, stringendolo fra le sue forti braccia.

"Prendimi, Matteo..." gli sussurrò Damianu.

"Sì... dopo... lasciami prima sentire tutto il tuo corpo, tutto il tuo desiderio."

Si carezzavano, si toccavano, si palpavano, i loro corpi si cercavano in un crescendo di desiderio e di piacere. Si esploravano a vicenda in una sinfonia di passione. Si baciavano, letteralmente assetati l'uno dell'altro.

Damianu pensò che Matteo era diverso da Ettore, meno avido di piacere, eppure non meno passionale. I lunghi preliminari in cui, forse per la fretta dei loro incontri segreti, Ettore non s'era mai attardato, stavano ora provocando un intensissimo senso di piacere in Damianu.

"Fammi tuo, Matteo..." implorò il giovane, sentendo che il desiderio stava raggiungendo in lui e nel suo compagno un'intensità che non credeva più di poter provare.

"Sì... fra poco." mormorò con voce bassa e calda l'amico.

Damianu pensò che quell'attesa a cui Matteo lo stava sottoponendo era quasi una tortura, ma un bellissima tortura. Però a un certo punto non fu più capace di sostenerla. Divaricò le gambe, le sollevò e appoggiò le caviglie sulle spalle dell'amico.

"Prendimi, ti prego... non resisto più... prendimi, Matteo, fammi tuo!" lo implorò Damianu.

Matteo finalmente cedette all'insitente preghiera del giovane uomo che sentiva di amare e si accinse a unirsi a lui.

Damianu pensò che era nella stessa posizione in cui Ettore l'aveva preso per la prima volta, in quel pomeriggio di maggio lassù sotto la tomba del gigante. E pensò che era giusto così: avrebbe ricominciato proprio in quel modo; nella fresca notte di ottobre, dopo diversi anni, stava per ricominciare una nuova relazione e sperava che questa volta sarebbe stata anche più bella della prima.

Il membro di Matteo, pur di buone dimensioni, era meno grosso di quello di Ettore, ed entrò in lui, nonostante da parecchio tempo Damianu non lo avesse preso, senza provocargli dolore. Lo accolse in sé esalando un lungo e tremulo sospiro di piacere. Vedeva gli occhi di Matteo brillare, il suo sorriso accentuarsi mentre lo penetrava in un'unica, calibrata, lenta ma virile spinta.

"Oh... Damianu!" mormorò emozionato Matteo quando gli fu finalmente tutto dentro.

"Sì, Matteo... sono tuo."

"Sì, finalmente... sei davvero, tutto mio." gli disse iniziando a muoversi avanti e dietro nel caldissimo e stretto canale.

"Sì, così, Matteo!" lo incoraggiò il giovane fremendo per il piacere.

"Ti amo, Damianu!" gli sussurrò il forte e bel giovane iniziando a battergli dentro con crescente vigore.

"Anche io ti amo, Matteo. Ora lo posso dire... ora te lo posso dire."

Fecero l'amore a lungo, con calma ma con passione, e anche questo piaceva a Damianu. Ettore pareva sempre avere fretta, invece. Forse semplicemente non sapeva trattenere, graduare il proprio desiderio, forse temeva sempre di poter essere sorpreso da qualche membro della famiglia, forse non si sapeva godere a fondo la gioia delle loro unioni... Damianu non l'avrebbe saputo dire, ma ormai non gli importava più.

Finalmente Ettore faceva vermente parte del passato. Non l'avrebbe mai dimenticato, sarebbe sempre restato un angolino del proprio cuore dedicato a lui, ma da quel momento Damianu sapeva di appartenere, totalmente e per sempre a Matteo.

"Ti amo, Damianu." gli ripeté l'amico.

"Non ti dimenticare mai di ripetermelo... di tanto in tanto. Ti prego!"

"Come potrei? Avrei voluto potertelo dire da tanto tempo!"

"Ora puoi, anzi, devi. Anche io ti amo, Matteo. E io avrei dovuto capirlo anche prima. Ma ora finalmente lo so."

A un certo punto il piacere che Damianu provava fu talmente intenso che non seppe più controllarlo e riversò tutto il suo tiepido seme, in potenti getti, fra i loro due corpi. Questo scatenò l'orgasmo anche in Matteo, che si svuotò melle morbide, strette e calde profondità del suo amante.

Giacquero abbracciati, lievemente ansanti, rilassandosi nel dolce e totale piacere del dopo-orgasmo, scambiandosi teneri baci e lievi carezze. Anche questo era per Damianu qualcosa di nuovo e di estremamente piacevole.

Quando infine decisero di rivestirsi, al chiarore tenue delle ultime braci del focolare, si sentivano entrambi al settimo cielo. Tenendosi mano nella mano, rientrarono nella bicocca, e i loro piedi quasi non sfioravano il terreno, tanto le loro anime e i loro cuori si sentivano leggeri.

Sulla porta della loro camera, dove Renzino dormiva profondamente, si scambiarono un ultimo bacio e finalmente si stesero per dormire. Si addormentarono sentendosi avvolti in un bozzolo di intensa felicità.


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