Avevano vinto la partita contro la squadra del liceo, perciò la riunione in pizzeria fu allegra e rumorosa. Durante la cena i due ragazzi s'erano seduti lontani, come aveva deciso Gianni. A Giovanni era un po' dispiaciuto, ma capiva che dovevano fare così. I compagni di squadra seduti accanto a lui parlavano della partita, di film, di ragazze, di programmi alla TV, di mille cose... Ma Giovanni aveva la testa piena solo del suo bel Gianni, a cui di tanto in tanto lanciava un'occhiata. Due o tre volte i loro sguardi si incrociarono, e una volta Gianni gli fece l'occhietto. Giovanni si sentì avvampare per l'emozione.
"Ehi, Gio, ti fa subito effetto il vino eh?" gli disse il suo vicino a tavola, "Sei tutto rosso in faccia!"
"No..." protestò istintivamente Giovanni, poi si diede mentalmente dello sciocco: avrebbe dovuto dire di sì. Allora aggiunse: "È che fa caldo, qui dentro."
Il compagno che sedeva dall'altra parte, chiese: "Ma di' un po', Gio, ce l'hai la ragazza, tu? Non t'ho mai visto in giro con una pollastra."
"Magari ce l'ha al paese, no?" controbatté un altro compagno. "Anche te mica t'ho mai visto con una ragazza. Io ce l'ho al paese, anche se voi non l'avete mai vista."
"E che ci fai con la tua ragazza?" chiese il primo.
Giovanni fu lieto che l'attenzione si fosse spostata da lui sull'altro compagno, che rispose: "Quello che fanno tutti con la loro ragazza, no?"
"Bacetti? Carezze?" lo celiò l'altro.
"Anche altro, sta tranquillo."
"E cosa, allora?"
"E dai, non lo sai tu pure?" ribatté il compagno.
Il primo abbassando la voce, ma non troppo, disse: "Ah, allora te lo fai pure succhiare, tu? La mia lo sa fare abbastanza bene..."
Giovanni pensò che, diventando il ragazzo di Gianni, quella sera stessa l'avrebbe forse succhiato all'amico... e si chiese che effetto potesse fare avere il cazzo di Gianni in bocca.
"Anche, ma anche altro." rispose il primo ridacchiando in modo malizioso.
"Ma va' là! Gliel'avresti pure ficcato dentro?" gli chiese un compagno con aria incredula e un po' di sfida.
"Tu pensa ai cazzi tuoi, che ai miei ci penso io!" rispose quello.
"Io alla mia gliel'ho messo. Ho sempre un preservativo con me." affermò un altro con aria vissuta.
"Cazzo, hai la faccia di andarli a comprare in farmacia, tu? Io mi vergognerei da morire, ché poi dopo poco lo saprebbe tutto il paese."
"Li compro in un altro paese, proprio per questo, per non farmi vedere."
Giovanni ascoltava questi discorsi e si chiese se anche fra due ragazzi si doveva usare il preservativo. Forse no, non c'è il rischio fra due ragazzi che uno resti incinta, si disse.
"Anche io ne ho sempre almeno un paio in tasca. Mica voglio rischiare di prendermi qualche malattia." disse uno.
"E che malattia? Se fosse una puttana, magari, ci sarebbe il rischio, ma con una ragazza..."
"E che ne sai tu con chi l'ha fatto la tua ragazza? Pensa se ti becchi l'aids, solo perché lei non ha preso le sue precauzioni."
"Ma no, l'aids lo prendono solo i froci." sentenziò un altro compagno.
"Sarà, ma ci sono mille altre malattie, la sifilide, l'epatite, lo scolo, le creste di gallo... no, è meglio essere prudenti. A parte che comunque almeno sei sicuro di non metterla incinta."
"Sì. L'aids lo prenderanno solo i froci come dici tu, ma se uno intinge il biscotto sia nel latte che nel cioccolato, può anche passarlo a una ragazza e poi la ragazza lo passa a te. Si deve usare sempre il preservativo."
Giovanni non aveva mai sentito quell'espressione e chiese un po' stupito: "Che c'entra intingere il biscotto nel latte e nel cioccolato?"
"Ohi tonto, dove vivi tu?" lo prese in giro il compagno. "Intingere il biscotto nel latte significa infilarlo in una fighetta calda, e intingerlo nel cioccolato significa metterlo nel culo di un ragazzo, no?"
"Ma se uno lo fa con le ragazze, mica lo fa coi ragazzi!" obiettò un altro.
"E come no. C'è gente che non fa differenza. Li chiamano bisex, non lo sai? Li chiamano anche double face..."
"Double face? Mai sentito. Però è vero che c'è anche gente così. Però... metterlo in culo a un ragazzo... a me mi farebbe schifo!"
Giovanni beveva quei discorsi. Prima non vi aveva mai fatto attenzione, ma ora che stava per diventare il ragazzo di Gianni, era oltremodo interessato.
"E in culo a una ragazza? Certe, per non restare incinta, preferiscono dare il culo piuttosto che la figa, non lo sai?"
"Beh, con una ragazza è diverso..."
"Perché è diverso? Un buco di culo è sempre e solo un buco di culo, mica ha faccia!" sentenziò uno dei compagni.
"A meno che sia una faccia di culo!" disse ridendo un altro.
"In quel caso, se fotti una faccia di culo, resti con un bel dilemma addosso."
"E quale?"
"Non saprai mai se l'hai inculata e se ti sei fatto fare una pompa."
Tutti risero. Uno disse: "Ma no, è semplice, l'hai inculata e ti sei fatto fare una pompa contemporneamente!"
"Tu l'hai mai messo a un ragazzo? O ti sei mai fatto fare una pompa da un frocio?"
"Io? Prefeririei piuttosto che mi cascassero le palle! Ci mancherebbe altro. Perché, tu l'hai gia fatto?"
"Io no. Ma conosco uno che si fa pagare da un frocio per farselo succhiare. Oltre a farci su un po' di soldi, lui dice che i froci lo sanno succhiare molto meglio delle donne. Lui dice che si gode bene, e che i froci si bevono anche tutta la sborra!"
"Dio che schifo!"
"Beh, lo sanno tutti che i froci sono schifosi!"
Giovanni fu colpito da questa ultima dichiarazione: se lui diventava il ragazzo di Gianni, e glielo succhiava, e magari anche lo beveva... sarebbe stato anche lui schifoso? Un frocio schifoso? No... forse no. Tra lui e Gianni mica era una questione di soldi, lui era innamorato di Gianni!
A quest'ultimo pensiero, Giovanni fu di nuovo colpito: era la prima volta che pensava, almeno in modo così esplicito, che era innamorato del suo bellissimo capitano! Ma sì, ne era veramente innamorato, innamorato cotto, non lo poteva negare. E non aveva detto una volta in classe il professore di religione che l'amore rende tutto puro? Perciò quello che lui sperava di poter fare con Gianni non sarebbe stato schifoso, concluse dentro di sé soddisfatto.
Finito finalmente di mangiare, i ragazzi della squadra dell'istituto di agraria si salutarono sul parcheggio a lato del locale, poi Gianni e Giovanni, inforcate le loro biciclette, pedalarono veloci verso la casa di Gianni. Era la prima volta che Giovanni vedeva la casa di Gianni: era una villetta a due piani in un complesso di una ventina di villette tutte uguali, immerse in un ampio giardino, e con il cancello all'ingresso, in una nuova zona residenziale del paese di Gianni. Mentre Gianni digitava il numero per far aprire il cancello, Giovanni lesse la targa con il nome del complesso: "Le Baite".
Le villette non sembravano affatto baite, sembravano prese piuttosto da un manuale per geometri. Non erano case né belle né brutte, ma a Giovanni sembravano belle, paragonate alla cascina in cui era nato. Lasciarono le biciclette sotto la casa di Gianni e salirono. Il compagno aprì la porta e fece entrare l'amico. Giovanni si guardò intorno: anche dentro gli sembrò molto bella! I pavimenti erano tanto lustri da specchiare i mobili e le loro figure.
"Vieni su, la mia camera è nel sottotetto." gli disse Gianni imboccando una scala interna.
La stanza dell'amico gli sembrò fantastica e si fermò a guardarsi attorno, a bocca aperta.
"Ti piace la mia camera?" gli chiese l'amico interpretando correttamente l'espressione di Giovanni.
"Cazzo, sì che mi piace! E è tutta tua? Ci dormi tu solo in quel letto così grande?"
"Certo. Mia sorella si è sposata quattro mesi fa, e mio fratello fa il servizio militare. Comunque ognuno ha la sua stanza." disse Gianni e, tirato l'amico dentro, chiuse la porta alle sue spalle.
Poi, presolo fra le sue braccia, gli si addossò e lo baciò in bocca, con calore. Giovanni rispose al bacio sentendosi terribilmente maldestro, cercando di imitare quello che faceva l'amico. Poi si sentì premere addosso la forte erezione di Gianni.
"Tu mi fai sempre quest'effetto, Gio!" gli sussurrò l'amico spingendogli contro il turgore che s'era svegliato fra le sue gambe.
"Anche tu a me, Gianni." rispose quasi senza fiato il ragazzo.
"Fammi sentire." disse l'amico scendendo con una mano a palparlo fra le gambe. "Sì, è vero. Sei contento di stare qui con me?"
Giovanni annuì emozionato. Quella mano che lo palpava attraverso la tela dei calzoni era piacevolissima.
"Posso toccartelo anche io?" gli chiese quasi sottovoce.
"E che aspetti! Sei o non sei il mio ragazzo? Non devi chiedermi se puoi, devi farlo e basta, no? Togliamoci il giubbotto, dai. No, tu lo levi a me e io a te. Ecco, così..."
"Gianni?"
"Che c'è?"
"Devi dirmi tutto tu, io... io non lo so come si fa, io... io non l'ho mai fatto, te l'ho detto."
"Ma ci stai, no?" chiese Gianni guardandolo negli occhi.
Giovanni annuì vigorosamente.
"Bene. Tu fai quello che faccio io e quello che ti dico io. Vedrai che imparerai in fretta. Queste cose si imparano con meno fatica di quelle che ci insegnano a scuola. E in queste cose c'è poca teoria e tanta pratica." concluse allegramente l'amico. Poi aggiunse: "E i compiti in classe si fanno a letto!"
"Tu m'hai detto che... l'hai già fatto con tanti altri..."
"Beh, non proprio tanti ma abbastanza. Forse cinque, sei... al massimo sette."
"E come hai imparato, tu?"
"Facendolo."
"Ma la prima volta?"
"Ah, la prima volta. Mio zio Gabriele, il fratello di papà. La pecora nera della famiglia, perché è frocio lui pure. Io avevo quattordici anni e lui ventitré. Zio Gabriele come lavoro fa il massaggiatore... e sa fare un massaggio erotico che è la fine del mondo. Guadagna di più facendo i massaggi erotici che non facendo il massaggiatore della squadra regionale di pallavolo. Ha talmente tanti clienti privati che vogliono i suoi massaggi erotici, che ne deve spesso rifiutare. Così si può scegliere quelli che gli piace farglieli... Lo pagano per farsi massaggiare da lui, e come ciliegina sulla torta, alla fine scopano! Lui sì che ha un bel lavoro."
"Ma i tuoi sanno di tuo zio?"
"Sì, lo sanno, per questo non lo vogliono più neanche vedere."
"E... di te?"
"No, di me no, per fortuna."
"Ma allora come hai fatto, con tuo zio?"
"Lui lavora al capoluogo. Quando ho capito che sono gay, e non sapevo come e cosa fare... così un giorno sono andato al capoluogo, l'ho cercato... gli ho detto tutto... e lui l'ha fatto con me e mi ha insegnato. Tutto qui."
"E dopo di lui?"
"Altri ragazzi."
"Anche compagni di scuola?"
"No, troppo pericoloso, tu sei il primo. Ragazzi che trovavo in discoteca, sempre al capoluogo. C'è un disco gay, dove la prima volta mi ha portato mio zio. Lì ci sono parecchi ragazzi giovani, con gli ormoni troppo bollenti come i miei. Era facile combinare."
"E li portavi qui, a casa tua?"
"No! Tu sei il primo." ripeté Gianni. "Ma tu sei il mio ragazzo. Trovavano loro un posto dove andare. Se non avevano un posto, si andava in una sauna, una sauna gay, dove ci sono delle stanzette dove ti ci puoi chiudere dentro."
Mentre Gianni gli spiegava queste cose, gli sbottonava la camicia. Giovanni allora la sbottonò a Gianni. Restati in canottiera, presero a carezzarsi il torso, a volte infilando le mani sotto l'indumento, finché si tolsero anche quello l'un l'altro, restando così a torso nudo.
Di tanto in tanto si carezzavano anche fra le gambe, quasi a sincerarsi che l'altro fosse ancora eccitato, o semplicemente per il piacere di sentire il calore e il turgore del membro dell'amico. Non avevano fretta, sapevano di avere tutta la notte per loro, e anche buona parte della domenica.
Gianni si spostò fino alla potrona che c'era accanto alla finestra, si sfilò le scarpe e le calze e sedette sullo schienale, le gambe larghe, dritte, i piedi fuori dal sedile.
"Aprimi i calzoni, Gio, o fra poco mi saltano via tutti i bottoni della patta. È così duro che non mi sta più nei calzoni." gli disse con un sorriso invitante.
Giovanni si inginocchiò fra le sue gambe, sul sedile della poltrona e le sue mani si affaccendarono sulla patta del suo amico. Aprì la fibbia della cintura, poi slacciò i bottoni a uno a uno. Prese le falde dei calzoni e glieli fece calare sulle ginocchia. Le mutande dell'amico erano gonfie, tese dal membro pienamente inturgidito. Giovanni carezzò attraverso la tela quel caldo turgore e si chinò a baciare il petto nudo di Gianni. Sentiva il membro dell'amico palpitare, caldo e forte, sotto il palmo della mano.
"Leccami e succhiami le tettine, Gio." gli disse il compagno con voce bassa e calda.
"Le tettine?" chiese un po' stupito il ragazzo.
"Sì, lì siamo molto sensibili, è bello."
"Credevo che... che era una cosa che si fa solo alle ragazze." disse Giovanni ma si chinò a farlo.
"No, è bellissimo anche fra ragazzi. Dopo lo faccio anche io a te... Sì, così... Così, bravo..." mormorò l'amico.
Giovanni vide che Gianni aveva chiuso gli occhi e rovesciato un po' la testa indietro, e si passava lentamente la lingua sulle labbra. Doveva davvero essere bello farsi succhiare i capezzoli, pensò Giovanni e vi si dedicò con devozione, mentre con una mano continuava a massaggiargli delicatamente il membro duro sotto le mutande. "Quante cose non so ancora..." pensò Giovanni, "e quanto mi piace dargli piacere... Chissà se adeso devo succhiargli anche il cazzo o se devo aspettare... Forse è meglio che aspetto che me lo dice lui..."
Mentre Giovanni stava chino su di lui succhiargli ora un capezzolo ora l'altro, Gianni gli carezzava i capelli e a volte gli grattava lieve la nuca. L'altra mano di Gianni prese a carezzargli le spalle e la schiena: a Giovanni piaceva molto. Non aveva mai pensato che due ragazzi potessero fare queste cose, e che potesse essere così piacevole.
Giovanni smise per un attimo di titillare i capezzoli dell'amico e lo guardò in volto. Gianni aprì gli occhi e lo guardò. Si sorrisero.
"Me lo dai un altro bacio, Gianni?" gli chiese.
L'amico gli fece un ampio sorriso, gli prese il volto fra le mani e lo fece salire più su. I loro petti nudi sfregarono uno contro l'altro, piacevolmente. Le loro bocche si incontrarono e i due ragazzi si scambiano un altro caldo, profondo e dolcissimo bacio. La mano di Giovanni, compressa fra i loro due corpi, continuava a palpare la dura virilità dell'amico e così facendo il suo ventre si muoveva anche contro la sua patta gonfia. Erano tutte sensazioni bellissime.
Poi Giovanni si staccò dall'amico, si accoccolò sulle ginocchia e infilò una mano sotto le mutande di Gianni, afferrando finalmente il duro palo dell'altro. Lo palpò e carezzò per un po', assaporandone il calore e la vellutata e soda consistenza contro il palmo della mano e fra le dita. Voleva vederlo, voleva baciarlo, non resisteva più. Prese le mutande dell'amico con le due mani e gliele fece scivolare sulle anche, liberandone così il bel membro che saltò su ritto e duro, lievmente arrossato.
"Dio, quant'è bello!" mormorò stringendolo con gentile vigore nella piena mano.
"L'hai già visto decine di volte..." gli disse l'amico.
"Sì, ma... ma adesso è diverso. Non l'ho mai visto così da vicino, così bene... e non l'ho mai avuto in mano. Mi piace troppo!"
Giovanni aveva voglia di baciarlo, di saggiarlo con la lingua, le labbra e stava chinandosi per farlo. Ma si ferò e guardando in su verso l'amico chiese: "Posso baciarlo? Per favore?"
Gianni sorrise: "Puoi fare tutto quello che vuoi, non devi chiedermi ogni volta."
"Ma se quello che faccio non ti piace?"
"Se mai te lo dico, Non ti fare problemi Gio. Dai!"
Giovanni gli sorrise con gratitudine e continuò a chinarsi lentamente, finché posò lieve le labbra sull'asta calda e dura. La prima sensazione fu dolcissima. Socchiuse la bocca e sfregò le labbra lungo tutto il duro cilindro di carne. Tirò fuori la punta della lingua e, timidamente la passò sulla pelle del prepuzio. Gli piaceva. Abbassando la mano fece scivolar via la pelle dal glande scoprendolo in gran parte, e vi passò lieve la lingua... non sentì nessun gusto, e la sensazione era davvero bella. Allora schiuse di più le labbra e circondò il glande, muovendovi contro la lingua con delicatezza. Spinse molto lentamente in giù e sentì il bel membro dell'amico entrargli in bocca, riempirla. Gli piaceva incredibilmente.
Gianni emise un basso e fievole gemito di piacere, che Giovanni apprezzò e che lo fece fremere: era la prova che sta facendo la cosa giusta nel modo giusto. Stava dando piacere al suo amico e al tempo stesso anche lui stava provando un lieve ma crescente piacere. Scendeva, scendeva con lentezza, prendendone sempre di più in bocca: lo voleva prendere tutto!
A un certo punto Gianni gli disse: "Non farmi sentire i denti... sennò mi dà fastidio!"
Giovanni si ritrasse velocemente aprendo la bocca e sollevò il capo a guardarlo: "Perdonami, Gianni, non volevo farti male! Non volevo, davvero!"
"Non mi hai fatto male, ti ho solo avvertito che rischiavi di farmi male. Mi piace come lo stai facendo. Anche come muovi la lingua."
"Davvero? Posso..." iniziò a dire, poi sorrise all'amico e abbassò di nuovo il capo e riprese a fare quanto stava facendo, attento a non fargli sentire i denti. E riprese a muovere la lingua.
Gianni gemette di nuovo, lievemente e lietamente. Giovanni aveva già due terzi del membro dell'amico immersi nella bocca, e la punta gli solleticò l'ugola. Per un attimo ebbe una sensazione lievemente spiacevole, ma, sentendo il gemito dell'amico, decise che doveva vincere il riflesso che lo spingeva a ritrarsi. Con coraggio, spinse in giù il capo. La punta del membro passò rapidamente oltre l'ugola e sfregò contro la sua gola. Gianni gemette con più forza ed emise un lungo "sìiiii;..." che incoraggiò il ragazzo. Istintivamente fece palpitare la gola, e un nuvo "sì" dell'amico gli fece capire che tutto andava bene.
Ora il suo naso era premuto contro i folti peli ricci e scuri di Gianni. Giovanni inspirò con il naso e per la prima volta sentì l'odore muschiato ed eccitante di maschio. Si ritrasse lentamente, stringendo le labbra contro la dura asta lucida della sua saliva, finché ebbe in bocca solo il glande gonfio. Giocò per un po' con la lingua sulla pelle liscia, serica e tesa del glande, poi riprese a scendere riprendendolo tutto in bocca.
Nessuno gli aveva insegnato, nessuno gli aveva mai detto come si deve fare: seguiva semplicemente il proprio istinto, guidato dai lievi gemiti di piacere del compagno.
Quando Gianni lo fece staccare da sé e lo fece di nuovo tornar su, Giovanni gli chiese: "Non va bene, come faccio?"
"Al contrario. Se non sapessi che non mi hai detto una bugia, direi che non è la prima volta. Sei molto bravo. Mi piace. Ma se continui così, vengo."
"Non importa. Io lo bevo tutto, se a te fa piacere."
"Sì, va bene, ma non voglio ancora venire." gli disse Gianni e di nuovo lo baciò.
Poi fece scendere il ragazzo dalla poltrona, scese anche lui e trafficò con i calzoni di Giovanni, aprendoglieli e facendoglieli calare fin sulle caviglie. Rapidamente i due ragazzi finirono di sfilarsi calzoni e mutande. Ritti uno di fronte all'altro, si abbracciarono e si baciarono di nuovo, facendo sfregare le loro ardenti erezioni una contro l'altra.
"Sei contento che sono qui?" gli chiese Giovanni.
"Eccome! E tu sei contento di essere diventato il mio ragazzo?"
Giovanni annuì lentamente con il capo, guardando l'amico negli occhi, con un sorriso dolcissimo e mormorò: "Felice non basta a dire quello che sento. Sono il tuo ragazzo, il tuo boyfriend! Sono più che felice."
"Vieni sul mio letto, staremo più comodi." gli disse Gianni guidandovelo per mano. Lo fece stendere su un fianco e gli si stese di fronte, ma al rovescio. Quasi all'unisono i due ragazzi presero ognuno in bocca il membro dell'altro.
Quando Giovanni sentì la bocca dell'amico circondare il suo membro, lanciò quasi un grido: il piacere era improvvisamente diventato acuto, tanto bello da essere quasi insopportabile. Si rituffò sul membro di Gianni e, analizzando quanto l'amico stava facendo a lui, cercò di imitarlo. Voleva che Gianni fosse contento di lui, e voleva dargli almeno tanto piacere quanto Gianni ne stava dando a lui.
Uniti in quell'appassionato sessantanove, i due ragazzi stavano rapidamente scalando le vette del piacere. Gianni era felice: quel ragazzo sano, pulito, sincero e buono, stava davvero "facendo l'amore" con lui. Sì, anche se un po' maldestro, Giovanni era un naturale e gli si stava dando con passione. Per la prima volta Gianni percepì la differenza fra fare una scopata e fare l'amore.
Ognuno dei due ragazzi si dedicò pienamente all'altro, succhiandosi e carezzandosi a vicenda, in un crescendo di piacere. Ora entrambi mugolavano e fremevano, dimentichi di tutto e di tutti, anche di se stessi, assorbiti solo dalla presenza dell'altro.
Improvvisamene Giovanni si irrigidì tutto, fremette quasi con violenza e prima di potersi trattenere, si scaricò in forti fiotti nella bocca dell'amico, che inghiottì tutto con avidità. Giovanni temeva che a Gianni non piacesse e cercava di fermarsi, ma ne era del tutto incapace. Quando finalmente le sue contrazioni si calmarono e Gianni sorbiva le ultime gocce del seme del compagno, Giovanni si accorse, o meglio presagì, che anche il suo Gianni stava per scaricarsi dentro la sua bocca. Allora succhiò con più vigore, e finalmente poté gustare il dono che l'amico gli stava facendo.
Si sentiva talmente innamorato di Gianni, che quella crema fluida, tiepida e densa gli sembrò la cosa più deliziosa che avesse mai assaggiato. La bevve tutta, senza la minima esitazione, ingoiandola a grandi sorsate, e continuò a succhiare anche quando l'ondata di piena fu esaurita. Allora Gianni lo forzò gentilmente a staccarsi da lui, si girò rapidamente, si stese col corpo sopra a quello di Giovanni e lo baciò in bocca. Ognuno dei due ragazzi sentì così anche il proprio sapore nella bocca dell'altro. Si abbracciarono stretti, continuando a giocare con le lingue finché i loro sapori, mescolati, si dissiparono, e i loro membri, i loro cuori e i loro respiri tornarono a riposo.
Allora si staccarono, senza però perdere il contatto dei loro corpi lievemente sudati. Giovanni guardò il volto del ragazzo che amava e vide che era illuminato da un bellissimo sorriso.
"Hai un buonissimo sapore..." mormorò all'amico.
"Anche il tuo sapore mi piace molto, Gio. È stato bellissimo, anche se è durato troppo poco. Eravamo tutti e due troppo eccitati."
"Abbiamo tutta la notte per noi..." mormorò il ragazzo accucciandosi contro il corpo dell'amico e amante.
"E anche domani..." gli fece eco Gianni accarezzandolo con dolcezza.
"Ma come faremo, poi? Quando potremo farlo di nuovo? A casa mia non puoi venire, c'è sempre qualcuno. E anche qui da te, quando ci sono i tuoi..."
"Troveremo un modo, non aver paura. Lo troveremo di sicuro. Lo dobbiamo trovare."
"Mio fratello Daniele diece che due uomini non devono dirsi: ti voglio bene, però..."
"E allora non diciamocelo. Possiamo dirci altro..." gli disse Gianni accarezzandolo lieve.
"Cosa altro?" gli chiese Giovanni guardandolo negli occhi.
"Possiamo dirci: ti amo!" sussurrò l'amico.
Giovanni annuì con forza e si sentì talmente felice che si mise a piangere, silenziosamente.
"Beh, Gio, che fai. Ti metti a piangere, ora?"
"Sono troppo, troppo contento. Sono il tuo ragazzo, ora, vero?"
"Il mio amante, il mio ragazzo, il mio tutto!"
"Anche tu, anche tu!"
"È stato davvero molto bello. E sarà sempre più bello."
"Gianni?"
"Sì, amore?"
"Tu... me lo metterai anche nel culetto?"
"No."
"Perché?"
"Perché chi lo mette è superiore all'altro, chi lo prende è un po' come se fosse la donna dell'altro. E io non voglio."
"Se a te fa piacere, io accetterei di essere la tua donna."
"No. Tu sei il mio ragazzo, non la mia donna. Così come abbiamo fatto, vedi, siamo davvero pari. A fottere nel culo no, perciò no."
"Ma con gli altri ragazzi... non lo facevi?"
"Con gli altri sì, perché non mi importava molto di loro. Volevo solo godere. Tu sei diverso, per me."
"Ma ti piaceva metterglielo, agli altri?"
"Sì..."
"Io te lo darei volentieri il mio culetto, se ti dà tanto piacere. Io farei quasiasi cosa per te."
"No, ho detto di no. Così come abbiamo fatto è molto bello e va bene."
"Come vuoi tu, amore. Amore."
"Sì?"
"Niente, mi piace poterti dire: amore."
Gianni sorrise e gli scompigliò i capelli, poi con le dita glieli rimise in ordine. "Davvero ti è piaciuto, il mio sapore?"
"Sì, molto."
"A tanti ragazzi invece non gli piace."
"Si vede che non sono innamorati. Sai adesso io ho un pezzetto di te dentro di me. Il mio corpo lo assimila pian piano e così tu diventi una parte di me."
"Non ci avevo mai pensato. Beh, sì, dopo tutto sono proteine."
"Proteine?" chiese Giovanni un po' stupito.
"Sì, certo."
"Sono nutrienti, allora. Io mi sono nutrito di te e tu di me!"
Gianni ridacchiò.
"Ti fa ridere? Pensi che sono stupido?"
"No, amore, no. Però... a dire così mi fa pensare che siamo cannibali."
"Forse è per questo che due che si amano qualche volta si dicono: ti mangerei, no? Ti voglio così bene che ti mangerei, si dice, no? Noi lo facciamo davvero."
Gianni annuì, divertito, ma anche lievemente commosso, per le parole del suo ragazzo. Tirò sui loro corpi il lenzuolo e la copertella e restando strettamente allacciati, godendo ognuno il tepore del corpo dell'altro, restarono immobili nella stanza ormai avvolta dalla semioscurità.
"Dio quanto sto bene così, Gianni!" mormorò il ragazzo.
"Anche io, amore."
"Ma tu... quando hai deciso che volevi che io diventassi il tuo ragazzo?"
"Già da un po'. Ma prima volevo essere sicuro che tu mi dicevi di sì."
"E cosa ti faceva essere sicuro?"
"Il modo in cui mi guardavi, e come facevi sempre del tutto per essere vicino a me, per farmi mille piccoli favori, e... non lo so, ma quando mi sono sentito sicuro te l'ho detto."
"No che non me l'hai detto. Mi hai baciato. Solo dopo me l'hai detto. Pensa se gli altri ci vedevano! Erano lì, dietro gli armadietti... Bastava che uno si alzava e veniva lì dove eravamo noi..."
"Nessuno di loro aveva l'armadietto da quella parte."
"Magari solo per dirti qualcosa, visto che tu sei il capitano."
"Beh... sì, forse sono stato un po' avventato, ma non me ne pento."
"Spero che non te ne pentirai mai."
"E tu?"
"Io cosa?"
"Te ne pentirai mai, tu?"
"Può un uomo pentirsi di aver vinto un terno al lotto?"
"Non sei un uomo, tu, sei ancora un ragazzo." lo prese amabilmente in giro. "Hai solo quindici anni. E io non sono un terno al lotto."
"Beh, io avrò solo quindici anni, ma tu hai solo due anni più di me, dopo tutto. E poi, meno male che sono un ragazzo, se no non potrei essere il tuo ragazzo. E non sei un terno al lotto, d'accordo, ma sei molto di più, sei la cosa più bella che mi ha dato la vita."
"Quando saremo cresciuti tutti e due, sarai il mio uomo."
"No, sarò sempre il tuo ragazzo. Gianni?"
"Sì, amore."
"Siamo due froci, vero?"
"No."
"No?"
"No, siamo due che si amano. E al massimo, se proprio vuoi usare un'etichetta, siamo due gay."
"Che differenza c'è?"
"Froci è una parola che si usa per disprezzare. Gay no."
"Per me dire che sono frocio non ha nessun sapore di disprezzo. Frocio è una parola bellissima, se è per questo che posso amare te e essere amato da te e fare l'amore con te. Ma se ti dà fastidio, va bene, siamo due gay."
"Dopo tutto gay significa felice, perciò è una parola più giusta."
"E io sono felice di essere qui con te. Sì. E anche tu sei felice che sono il tuo ragazzo, no? Perciò hai ragione tu, siamo gay, non froci." concluse Giovanni con allegria.