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una storia originale di Andrej Koymasky


VIAGGIO VERSO
SE STESSO
CAPITOLO 4
LA NOTTE DI LUNA PIENA SUL LAGO AZZURRO

Era il mese di giugno e nel paese di Giovanni c'era la festa patronale. Per quell'occasione invitò il suo Gianni a passare la giornata con lui, per godere insieme la festa. L'amico avvertì a casa che sarebbe tornato tardi, perché voleva anche vedere i fuochi artificiali.

Si incontrarono la mattina alle nove, e salirono su fino alle rovine del castello, tutte pavesate con bandiere multicolori, dove ci sarebbe stata la sfilata in costume, poi la giostra medievale. Finito lo spettacolo, gironzolarono nella parte vecchia del paese, piena di bancarelle con oggetti esotici e inusuali, cibo e vini, banchetti di artigiani, e dove alcuni extra-comunitari nord-africani o dei paesi dell'est venuti dal capoluogo avevano steso i loro teli per vendere curiosi oggetti di artigianato esotico. Mangiarono comprando cibo qua e là e girando a osservare le bancarelle, godendosi la vociante confusione di quel giorno di festa.

"Se solo riuscissimo a trovare un posto tranquillo..." disse Gianni.

"Ti dà fastidio tutta questa confusione?" gli chiese Giovanni fingendo di non capire.

"Ma no, dai, possibile che non capisci?"

"Eh, ti sei sposato con uno tonto, evidentemente." ridacchiò Giovanni. Poi gli disse: "Non ti preoccupare, che io una soluzione ce l'ho."

"Quale?"

"Sorpresa. Devi solo avere pazienza fin dopo i fuochi artificiali, e poi... Ho già combinato tutto."

"Dai, dammi almeno un indizio..." gli disse Gianni.

"Un indizio? Beh... sì: dopo i fuochi ti offro la luna di miele su una grande coperta azzurra."

"Hai trovato una stanza da qualche parte?"

"No. Saremo saremo all'aperto e circondati da migliaia di pesone."

"Ma allora, come facciamo a fare l'amore?"

"Vedrai. Ti ho già detto anche troppo. Non insistere più. Dai, godiamoci la festa, adesso."

"Beh, d'accordo. Ma allora, se tu fai il misterioso con me, anche io voglio avere un mistero con te. Adesso tu mi aspetti qui e non mi segui. Giuralo!"

"Lo sai che non si deve giurare. Però te lo prometto. Ma quanto ti devo aspettare?"

"Non più di mezz'ora, probabilmente abbastanza di meno. L'hai promesso, eh? Non mi segui, non cerchi di vedere dove vado e cosa faccio."

"L'ho promesso no? Sai che non manco mai alla parola data, quando dipende solamente da me."

"Sì, lo so. Aspettami qui, allora." disse Gianni e corse via risalendo verso il castello. Giovanni lo vide scomparire su per la strada tutta curve.

"Vanni!" si sentì chiamare.

Si girò, era suo fratello Carlo, con una ragazza.

"Che fai qui tutto solo? Vuoi venire con noi?"

"No, aspetto un amico... un compagno di scuola che è venuto a vedere la festa."

"Ah sì, l'avevi detto, non me ne ricordavo..."

"Non mi presenti la tua amica, Carlo?"

"La mia ragazza, vorrai dire. Lei è Serena e lui il mio fratellino minore, Vanni."

"Piacere." dissero contemporaneamente i due.

Poi Giovanni disse: "Non hai detto a nessuno in casa che hai la ragazza..."

"No, non ancora. Ci conosciamo solo da due mesi. Ma ho intenzione di farla conoscere a casa abbastanza presto... per adesso tu non dire niente."

"No, certo. Che lavoro fai, Serena?"

"Faccio la segretaria al consorzio del latte..."

"Ah, è lì che vi siete conosciuti?"

"No, ci siamo conosciuti al dancing, poi ci siamo ritrovati al consorzio."

"Ti piace il lavoro che fai?"

"Sì, è un lavoro pulito, e al chiuso."

"Ma se ti sposi con Carlo... noi siamo una famiglia di contadini, non lo sai?"

"Certo che lo so. Comunque mica abbiamo ancora deciso di sposarci... E poi, io continuerò a lavorare al consorzio anche dopo sposata. Non sono proprio fatta per lavorare i campi, io. E tu che fai, Vanni?"

"Studio per perito agrario."

"Lui è la testa fina di casa." spiegò Carlo.

Giovanni vide che Gianni stava tornando.

"Beh, fidanzatini, vi lascio andare. Divertitevi." disse per liberarsi di loro. "Ma fate i bravi!" aggiunse poi con aria maliziosa.

"Anche troppo, purtroppo!" esclamò Carlo e i due si allontanarono.

Gianni arrivò vicino all'amico: "Fatto!" annunciò con aria soddisfatta. Poi chiese: "Chi erano quei due?"

"Mio fratello Carlo con la sua ragazza."

"Una bella ragazza. Ma io preferisco te."

"Meno male!" esclamò Giovanni.

"Anche tuo fratello è un bel ragazzo, comunque io preferisco te."

"Ci mancherebbe altro."

Nel pomeriggio scesero in riva al lago grande e andarono dai Salesiani, dove si teneva una grande tombola. Gianni volle comprare dieci cartelle.

"Sprecone!" gli disse Giovanni. "Cos'è, speri di vincere una bambolina?"

"No, non hai visto i premi che ci sono?"

"No, ma saranno le solite cose inutili... ci scommetto."

"La terna vince un telefonino, la quaterna una macchina fotografica digitale, la cinquina uno stereo e, chi fa tombola, un computer Mac con stampante e scanner."

"E tu, cosa vorresti vincere?"

"Il telefonino."

"Ma non ce l'hai già?"

"Sì, ma così te lo regalo e ci possiamo mandare i messaggini."

"Ma se siamo già sempre insieme tutti i giorni!"

"Ma non le notti e neanche tutti i week-end."

"Che matto che sei!" rise Giovanni, ma era contento per l'idea del suo amante.

Andarono a vedere la "regata dei quartieri sul lago" e alle cinque tornarono dai Salesiani per la tombola.

Qualcuno fece la terna e vinse il telefonino. Gianni fece la faccia lunga. Poi un altro fece la quaterna... Ma improvvisamente, quando fu estratto il numero 32, Gianni saltò su gridando "Cinquina!" e corse con la cartella vincente cerso il palco. Verificarono i numeri, videro che era vero, e gli dettero un buono, dicendo di tornare alla fine della tombola per ritirare il premio. Gianni tornò da Giovanni, rosso in volto.

"Però avrei preferito il telefonino... Anche lo stereo ce l'ho già. Tu lo vuoi, lo stero?"

"No, anche io preferivo il telefonino. Che me ne faccio dello stereo se tanto poi non mi posso comprare i CD? Mah, pazienza. Comunque puoi sempre venderlo a qualcuno dei compagni, no?"

"Vedremo..."

La tombola tardava a venire, ma finalmente qualcuno gridò "tombola!" e così tutto ebbe fine. Allora Gianni tornò verso il palco. Vide che il telefonino l'aveva vinto una ragazza. Ritirò il pacco con il suo stereo. Mentre passava vicino alla ragazza sentì che si lamentava: "Quello che ho io è anche più bello di questo. Che sfiga!"

Le si avvicinò: "Senti, io lo stereo ce l'ho già, invece il telefonino mi farebbe proprio comodo. Ci stai a fare scambio?"

"Mi prendi per il culo, bello? Che vuoi oltre al telefonino per il tuo stereo."

"Niente, proprio niente. Scambio alla pari."

"Ma parli sul serio?"

"Mai stato più serio in vita mia."

"Anche io lo stereo ce l'ho già, ma il mio è vecchio e quello che hai vinto tu è più bello del mio..." disse la ragazza, ancora un po' incerta.

"Ottimo. Allora, ci stai?"

"Alla pari?"

"Alla pari."

I due si scambiarono i pacchi e la ragazza andò via in fretta, forse temendo che Gianni cambiasse idea. Gianni tornò da Giovanni.

"Che stereo piccolo!" esclamò il ragazzo guardando il pacchetto che l'amico aveva in mano.

"Aprilo."

"Adesso?"

"Sì."

Giovanni lo aprì: "Ma... ma è il telefonino! Non avevi vinto lo stereo?"

"Ho fatto a cambio. Così adesso ce l'hai anche tu."

"Dio, che matto sei! Ma come posso giustificarlo coi miei?"

"Basta che gli dici che l'hai vinto tu, no?"

"Se gli dico che ho comprato dieci cartelle, mi spellano vivo."

"Tu digli che ne hai comprata una sola, e che hai avuto culo."

"Beh... sì... Grazie, allora."

"Dai, vieni che ti offro la cena. Verso l'imbarcadero ho visto uno stand dove fanno un'ottima porchetta. Ti piace?"

"Sì. Ma non stai spendendo troppi soldi, per me?"

"No, non ti preoccupare. La paghetta non è ancora finita, e per te non è mai troppo."

Andarono a mangiare. Avevano appena finito, che iniziò lo spettacolo dei fuochi artificiali sul lago: erano molto belli, anche perché i fiori di fuoco si specchiavano sulle acque quasi immote del lago.

I due ragazzi stavano fianco a fianco, pigiati nella calca che si affollava sulla riva per godersi i fuochi. Erano contenti di dover stare così stretti: potevano sentire l'uno il corpo dell'altro senza destare sospetti e al buio, fra i loro corpi pigiati, potevano anche stare con la mano nella mano.

Quando anche i fuochi furono finiti, con la tradizionale batteria finale di botti, Giovanni disse all'amico: "Bene, è arrivata l'ora delle sorprese. Prima la tua o prima la mia?"

"Prima la tua: tu ci hai pensato per primo."

"Giusto." disse Giovanni. "Allora vieni."

Lo condusse fino all'imbarcadero, fendendo la calca che si stava disperdendo. Entrò nell'imbarcadero e salutò l'incaricato: "Eccomi qui, Valeriano. Quale barca posso prendere?"

"Quella arancione con la riga gialla e la scritta Explorer 2000. Un'ora hai detto. Se passi oltre l'ora, ne paghi due anche se sono solo cinque minuti."

"Sì lo so! Vieni, Gianni."

"In barca?" gli chiese l'amico stupito, ma lo seguì.

"Sì: vedi la luna è piena... e questo è il Lago Azzurro... proprio come t'avevo detto. E tutto intorno è pieno di gente e siamo all'aperto... ma nessuno ci può vedere quando saremo al largo."

"E se ci sono altre barche vicino alla nostra?" gli chiese Gianni salendo, mentre Giovanni con un remo faceva allontanare la loro barca dalla riva.

"Il lago è grande, e il rumore dei remi si sente molto prima che possano essere abbastanza vicini per vederci. Non ti preoccupare, potremo fare tutto senza problemi..." rispose Giovanni mettendosi a remare di buona lena e allontanandosi dall'approdo.

Quando fu abbastanza lontano dalla riva e da ogni altra barca, Giovanni tirò i remi dentro il natante. Gianni lo abbracciò e si baciarono a lungo, assaporandosi a vicenda con piacere.

Poi Giovanni si staccò da lui e gli disse: "Adesso tocca a te farmi la tua sorpresa."

"Sì, aspetta..." rispose l'amico frugandosi in tasca. Ne tirò fuori un pacchettino colorato e glielo porse: "Aprilo..."

Giovanni lo scartò e vi guardò dentro: c'erano due anellini d'argento.

"I nostri anelli! Ma allora questa è davvero la nostra luna di miele!" sussurrò commosso.

"Purtroppo non ce n'erano due uguali..." disse Gianni.

"Forse è meglio o i nostri compagni potrebbero capire. Così solo noi sappiamo... Sì, anche se sono un po' diversi, per noi è come se fossero due fedi d'oro uguali. Adesso tu la metti a me e io a te, come si deve fare quando ci si sposa."

"Ma noi siamo già sposati, no?"

"Sì, e ci sposiamo di nuovo ogni volta che possiamo fare l'amore!"

Si scambiarono gli anelli, poi si baciarono di nuovo a lungo.

Si erano seduti sul fondo della barca, Giovanni fra le gambe di Gianni, la schiena appoggiata al suo petto. Giovanni aveva appoggiato la testa indietro, su una spalla di Gianni e mentre si baciavano, Gianni carezzava tutto il corpo di Giovanni, pian piano slacciandogli gli abiti e infilandovi le mani sotto fino a raggiungere la pelle nuda. Giovanni fremeva sempre più intensamente per il piacere. Sentiva, contro il proprio fondoschiena, premergli contro la forte erezione del suo amante, attraverso i panni. La luna piena li illuminava a sufficienza, le acque del lago facevano cullare dolcemente la barca.

"Stiamo stretti, ma è bello, no?" mormorò Giovanni.

"Sì, mi piace. È molto romantico, molto bello. Una vera luna di miele, anche se così breve."

"Dobbiamo accontentarci, amore."

Una mano di Gianni ora titillava il petto scoperto dell'amante, l'altra, infilata nelle sue mutande sotto la patta sbottonata, manipolava con piacevole calma il membro ormai completamente eretto del suo amato. Dopo un po', con cautela, si scambiarono di posizione, così anche Giovanni poté aprire gli abiti di Gianni e carezzarlo lungo tutto il corpo seminudo, liberargli il membro e maneggiarlo con desiderio. Dalla riva giungeva musica e un'ovattata confusione di voci allegre. A volte un gentile refolo di vento carezzava i loro capelli e i loro corpi discinti.

"Dio, quanto ti amo, Gianni!" sospirò il ragazzo quando le loro bocche si staccarono.

"Vorrei che tu fossi un vestito... per poterti sempre avere tutto intorno a me come in questo momento, anche in mezzo alla gente."

Stavano stretti, tutt'altro che comodi, eppure nessuno dei due si accorgeva del disagio della loro posizione: la barchetta era per loro come un nido, come un bozzolo che avvolgeva il loro amore. Il fumo dei fuochi d'artificio era stato dissipato dalla brezza gentile che carezzava il lago e ora il cielo era trapunto di scintillanti stelle che facevano corte alla bella luna piena.

Giovanni si girò con cautela, in modo che ora il suo petto, nudo fra gli abiti aperti, poggiava contro il petto nudo dell'amato. Dopo un breve ma focoso bacio, lentamente Giovanni si raggomitolò verso la poppa della barca, finché riuscì a dedicarsi, con le labbra, la lingua, la bocca e le mani al bel membro eretto e duro del suo amante.

"Oh, Gio... è troppo bello!" mormorò emozionato, quando l'amante se lo fece scendere fino in gola ed iniziò a muovere su e giù la testa sul pube dell'amato.

"Oh Gio... Gio... Gio... smetti... non voglio ancora venire..."

Giovanni si sollevò un poco, lo guardò e gli sorrise radioso. Gianni lo fece girare al contrario e lo fece stendere su un fianco, in modo che ognuno aveva ora davanti al viso il pube dell'altro, quindi ripresero a succhiarselo l'un l'altro con calma dedizione. A volte, ora l'uno ora l'altro, smetteva per qualche attimo e ammirava il bel membro eretto dell'amico, per poi dedicarsi nuovamente a lui. Mentre si succhiavano, ognuno aveva le mani sul piccolo sedere sodo e liscio dell'altro, carezzandolo e palpandolo.

Giovanni provò nuovamente, con forza, il desiderio di farsi penetrare dall'amante, ma non disse nulla perché sapeva che sarebbe stato inutile insistere. Non riusciva a capire perché Gianni, che pure gli aveva detto di aver penetrato altri ragazzi e che gli era piaciuto, non lo volesse fare con lui. Lui non si sarebbe affatto sentito sminuito, anzi... Comunque il loro modo di fare l'amore gli piaceva molto, perciò non ci pensò più. Sentiva il bel membro di Gianni palpitargli in bocca, sentiva il calore della bocca di Gianni attorno al suo e tutto era perfetto.

Come le altre volte ognuno dei due ragazzi tratteneva la propria eccitazione in modo di venire il più possibile nello stesso momento dell'altro. Era bello trattenersi in quel modo, in attesa di quel segnale, solitamente non espresso, dopo il quale si potevano lasciar andare al dolcissimo e forte orgasmo finale. I loro corpi erano tutto un fremito, avvolti nell'intenso piacere che si stavano donando a vicenda.

Finalmente sentirono che era giunto il magico momento, e smisero di controllarsi. Dopo poco ognuno beveva con rinnovata avidità il seme dell'amante a grandi sorsate. Quando anche l'ultima goccia fu donata all'altro e sorbita con gioia, restarono fermi, continuando a restare uniti in quel modo, attendendo che il membro dell'amante si ammorbidisse dentro le loro bocche. Poi finalmente si staccarono, Gianni si girò con cautela, abbracciò l'amante e si baciarono.

"Lo sai che ogni volta mi pare più bello?" gli chiese in un sussurro Giovanni.

"Si che lo so, perché è così anche per me. Ti amo, Gio."

"Dobbiamo rimetterci a posto e tornare a riva... Ho avuto una bella idea a prendere la barca, a farlo sul lago?"

"Un'ottima idea. Anche se si sta un po' stretti, è stato molto bello farlo così, qui. Con te, è sempre bello fare l'amore, ovunque e comunque."

"Meglio che con tutti gli altri ragazzi, Gianni?" gli chiese un po' civettuolo, pregustando già la risposta.

"Certo, quelli non contavano. Con loro era poco più di un gioco, era solo un divertimento. Con te è del tutto diverso."

"Non ce n'era uno più bello o più bravo di me a fare l'amore?"

"Se anche c'è stato, non me lo ricordo più. E se anche lo ricordassi, non mi interesserebbe più."

Si riassettarono gli abiti, poi Giovanni controllò l'orologio: "Abbiamo ancora un quarto d'ora. Restiamo abbracciati così, mi piace..." propose. Poi disse, con un velo di mestizia nella voce: "Quest'anno hai la maturità e non potremo più vederci ogni giorno..."

"Già..."

"Hai già deciso che farai, dopo la maturità?"

"Mi cerco un lavoro. Un lavoro qui in zona, in modo di non dovermi allontanare da te."

"Dovremo trovare il modo..." disse Giovanni senza terminare la frase: non ce n'era bisogno, sapevano bene tutti e due a che si riferiva.

"Sì... Vedi che il telefonino è stata una buona idea?"

"Magra consolazione... mica possiamo fare l'amore per telefono o coi messaggini, no? Cazzo, perché non possiamo andare in giro assieme davanti a tutti come qualsiasi altra coppia, come Carlo con la sua ragazza? Non è giusto. Perché non posso presentarti alla mia famiglia e dirgli che sei il mio ragazzo, che sono il tuo ragazzo? Perché quando i compagni parlano delle loro ragazze io non posso parlare di te? Perchè non possiamo metter su famiglia tu e io?" disse Giovanni e sentì che gli stava venendo voglia di piangere.

"E d'estate non possiamo passare le ferie assieme, o festeggiare Natale assieme in inverno?" aggiunse Gianni. "Ma quando lavoreremo tutti e due, potremo andar via di casa e trovarci un appartamento e vivere insieme..."

"Non qui in paese, però, né da te..."

"Ma al capoluogo sì, lì nessuno ci conosce."

"Io ho ancor due anni, prima di finire, poi devo trovarmi un lavoro... e invece vorrei poterlo fare subito."

Smisero di parlare, immersi in pensieri malinconici, mentre Giovanni remava verso riva. Resa la barca, andarono dove avevano lasciato le loro biciclette.

"Tu devi tornare subito a casa, ora?" chiese Giovanni all'amico.

"Beh... tanto la testa è finita... e qui tutti se ne stanno andando..." rispose Gianni. "Comunque... grazie."

"Per cosa?"

"Per la bella giornata e poi per la bellissima serata su lago. M'hai regalato uno dei più bei giorni della mia vita, amore."

"Fra un mese hai la maturità... mi pare quasi una festa d'addio, questa..." disse Giovanni sentendosi improvvisamente terribilmente triste.

"Ma che dici! Te l'ho detto, no? Mi trovo un lavoro..."

"Non lo so... ma lo sento. Sta per cambiare tutto. Mi sembrerà vuota la scuola senza te. Senza poterti vedere. Mi sembrerà inutile continuare a studiare."

"Non dire sciocchezze, amore! Devi continuare a studiare in modo di uscire bene e trovare un bel lavoro anche tu. Magari, se siamo fortunati, riusciamo a trovare lavoro nello stesso posto, no? O tu vieni a lavorare dove lavoro io, o magari se tu trovi un buon lavoro altrove, vengo io a lavorare dove lavori tu..."

"Sì... forse sì. Ma poi c'è anche il militare."

"Io forse riesco a non farlo, e se mai chiedo di fare il servizio civile, almeno resto qui in zona. E tu puoi chiedere la dispensa, visto che sei il quinto di cinque maschi e i tuoi fratelli hanno fatto tutti la naja. Per quello che ne so io, la danno, la dispensa, a quelli nelle tue condizioni."

Parlarono ancora un po', finché Gianni ebbe l'impressione di aver risollevato il morale al suo amico. Poi si salutarono e si separarono.

Giovanni, tornato a casa, andò subito a mettersi a letto. Non riuscì ad addormentarsi, aveva la testa troppo piena di pensieri. Ora che era solo nel suo letto, la tristezza gli era tornata tutta addosso e gli pesava sopra, lo opprimeva come una cappa di piombo.

Fino a quella sera non s'era mai posto quei problemi, aveva vissuto alla giornata, godendosi quello che ogni giorno poteva dargli. Ora, di colpo, la realtà gli si presentava di fronte con tutta la sua crudezza e tutte le sue difficoltà. Le rassicurazioni dell'amante non lo avevano tranquillizzato affatto.

Nel buio della stanza, sentì provenire, dal lettino parallelo al suo in cui dormiva suo fratello Francesco, un lieve rumore ritmico e capì che, come altre volte, il fratello si stava masturbando, pensando che ormai lui dormiva.

Mentre le altre volte quel lieve rumore lo aveva fatto eccitare, sì che a volte anche lui si masturbava nel proprio lettino, questa volta se ne sentì infastidito. Capiva che era irrazionale, ma non ci poteva fare nulla. Dopo pochi minuti percepì che Franesco stava accelerando il ritmo, poi di colpo tornò la quiete. Era venuto. Ancora pochi minuti e sentì il lieve, regolare respiro del fratello: s'era addormentato appagato e soddisfatto. Beato lui.

A un certo punto Giovanni sentì venire da lontano, ovattati, i tocchi delle quattro dal campanile della parrocchia. Strano, non aveva sentito battere le tre... forse s'era appisolato. Se solo fosse riuscito ad addormentarsi! Pensò al telefonino che aveva nella tasca dei calzoni. Se l'avesse già potuto far caricare, ora gli sarebbe stato possible mandare un messaggino a Gianni. Chissà se almeno lui dormiva? Se non dormiva l'avrebbe ricevuto subito, se no l'avrebbe trovato e letto quando si fosse svegliato. Ma purtroppo il telefonino nuovo ancora non era stato caricato.

Doveva leggerne le istruzioni per imparare a usarlo, e vedere di caricarlo domani stesso... anzi, no, oggi, dato che si era già nel nuovo giorno.

Aveva bisogno di andare al gabinetto. Guardò l'orologio: erano le cinque meno un quarto. Scese dal letto e andò in bagno. Angelo l'aveva appena fatto rifare, ora era bello e facile da tenere pulito. Angelo stava gradualmente, ma sempre più evidentemente, diventando il vero padrone di casa. Suo padre si stava, tacitamente, ritirando. Non c'erano stati più scontri diretti dopo quella sera.

Uscito dal bagno, sentì uno rumore lieve ma strano. Incuriosito e anche pensando che potessero essere ladri intrufolatisi in casa, anche se c'era ben poco da rubare a casa loro, silenziosamente si diresse verso la fonte di quel rumore. Si accorse che proveniva dalla camera di Angelo. Pareva che qualcun stesse male... S'accostò alla porta: no, nessuno stava male. Semplicemente Angelo stava scopando con la moglie. Alle cinque di mattina!

Stava per tornare silenziosamente in camera sua, quando percepì, chiara anche se sussurrata, la voce di Rosina.

"... più forte, maialino mio.... Dai fottimi più forte..."

"Così ti piace?" sentì sussurrare la voce di Angelo.

Sapeva che non doveva farlo, ma appoggiò l'orecchio sul battente della porta.

"Oh, sì. Fottimi! Dai, fammi godere!"

"Sì, mia troietta in calore, sì..."

Giovanni si chiese come potessero, due che fanno l'amore, chimarsi maialino, troietta... Si chiese se suo fratello e la moglie si amavano o solo gli piaceva scopare.

"Sei la mia vacca, la mia vacca."

"Sì, e tu il mio toro! Sbattimi, dai... dai... fammi godere..."

Giovanni si staccò dalla porta scuotendo la testa. "Mah, contenti loro..." si disse mentalmente. "E scopano alle cinque del mattino!" si disse poi mentre si stendeva di nuovo nel suo letto.

"Se Gianni mi chiamasse vacca, o anche toro, o maialino, mi incazzerei." pensò il ragazzo. "Maialino, troietta... peggio che in un bordello."

"Io e Gianni, mentre si fa l'amore, ci si chiama per nome o ci si dice 'amore', non quelle parole. E poi loro sono normali e noi no! Loro si sono sposati in chiesa e noi neanche possiamo. Avrei voluto vedere che faccia avrebbe fatto il prete se davanti all'altare dicevano 'io sposo questa vacca...'. Ma loro sono normali e noi no. Cazzo! Siamo più normali Gianni e io che loro!"

Sentì che Francesco si stava svegliando, allora chiuse gli occhi e finse di essere addormentato. Lo sentì scendere da letto, sbadigliare, trafficare, poi sentì il fruscio dei vestiti che indossava, il rumore della cerniera lampo quando si chiuse la patta. Poi lo sentì uscire dalla stanza. Doveva essersi andato a lavare.

Dopo un po' Francesco rientrò in camera. Si accostò al fratello e lo scosse: "Vanni... Vanni..."

Giovanni finse di svegliarsi. Il fratello era chino su di lui: "Dai è ora che ti alzi."

"Mi sento ancora stanco morto..."

"Ti sei divertito, ieri?"

"Sì, abbastanza. E tu?"

Francesco sedette sul bordo del letto di Giovanni: "Sì. E... se sai tenere un segreto..."

"Un segreto? Sì, certo. Che segreto?"

"Ieri ho conosciuto una ragazza..."

"Anche tu ti sei fatto la fidanzata?"

"Ma che fidanzata. È solo una che ci sta."

"L'hai già... scopata?"

"No, l'ho appena conosciuta. Però... ci sta."

"Te l'ha detto lei?"

"Me l'ha fatto capire."

"Non l'hai ancora mai fatto con nessuna, fino a ora?" gli chiese Giovanni.

"Sì che l'ho fatto... beh, una volta sola, però, e quasi due anni fa."

"È bella, questa che hai conosciuto ieri?"

"Caruccia, non bella. Ma caruccia abbastanza da farci una scopata e magari anche più di una."

"Ce l'hai i preservativi?"

"No, ma domani li vado a comprare."

"Portatene sempe un paio con te, per sicurezza."

"Ma senti senti il fratellino! Tu, hai già scopato?"

"No, non ancora. Com'è, scopare?"

"Beh... quella che me l'ha data la prima volta non voleva rimanere incinta e comunque voleva rimanere vergine, così... ho dovuto metterglielo nel culetto."

"E com'è metterlo in un culetto?"

"Si gode, è bello."

"Magari per te, ma per lei?"

"Cazzo, piaceva pure a lei, te lo garantisco, dovevi vedere come mi si agitava sotto e mi diceva di fare più forte!" ridacchiò Francesco. "Peccato che poi s'è fatta il ragazzo e non l'ha fatto più con me. Ma davvero tu non l'hai mai fatto con una ragazza?"

"No, mai."

"E... con un amico?" gli chiese Francesco con un sorriso malizioso.

"Un amico?" chiese Giovanni domandandosi se per caso il fratello avesse sospettato qualcosa di lui. Ma no, non poteva, non aveva neppure mai incontrato Gianni...

"Un amico, sì... Da ragazzini, si fanno certe cose."

"Perché, tu l'hai fatto con un amico?"

"Certo, con Sandro di Tetti Ghiaccio."

"Gliel'hai messo... in culo?" chiese Giovanni alzandosi a sedere sul letto, incuriosito e contento che il discorso non vertesse più su lui.

"Anche."

"E lui a te?"

Francesco ridacchiò: "Anche."

"E com'era?"

"Eravamo ragazzini... ce l'avevamo ancora piccolo e eravamo curiosi... comunque mi piaceva di più metterglielo che farmelo mettere. Ma tu, non l'hai mai fatto con un amico?"

"Forse qui in campagna è più facile..." rispose Giovanni.

"Sì, è vero. Vedi cosa hai perso a non fare il contadino come noi?" ridacchiò Francesco.

"Già." assentì Giovanni, ripensando con rammarico che il suo Gianni non voleva farlo con lui.


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