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una storia originale di Andrej Koymasky


VIAGGIO VERSO
SE STESSO
CAPITOLO 5
FINE DI UN SOGNO E UN PASSO AVANTI

Per Giovanni fu come una doccia fredda. Era fine luglio, Gianni s'era diplomato con voti passabili. Aveva cominciato a cercare lavoro, ma...

Tramite un messaggino gli aveva dato appuntamento al ponte sul torrente di sopra. Quando Giovanni arrivò e scese dalla bicicletta, vide che l'amico aveva un'espressione radiosa.

"Gio! Scommetto che neppure te lo immagini. Indovina cosa è successo?"

"Hai trovato lavoro."

"Meglio."

"Meglio? Che è ti danno la paga senza che devi lavorare?"

"Più o meno."

"Cioè?" gli chiese Giovanni guardandolo incuriosito.

"Ho ricevuto una telefonata..."

"Sì, e allora?"

"Mi vogliono come giocatore in serie B! Contratto in piena regola."

"Ah... ma tuo padre..."

"Ormai sono maggiorenne e faccio quello che voglio."

"In serie B? che squadra?"

"La Ternana."

"La Ternana? E tu... hai accettato?"

"Lo sai che era il mio sogno, no?"

"Ma è... è lontano da matti da qui e... e dovrai andare in trasferta, e..."

"Non dovevo accettare?" gli chiese Gianni smorzando il suo sorriso, rendendosi conto che Giovanni non era contento per lui come aveva pensato.

"No, certo, era il tuo sogno, no?" disse l'amico cercando di sorridere, cercando di convincere più se stesso che l'amico. "Sarà solo più difficile vederci di quello che avevamo pensato, però... è la tua vita, no?"

"Qualche volta tornerò... e magari qualche volta puoi venire tu a vedermi giocare e dopo la partita... E poi abbiamo il telefonino, no?"

"Il telefonino! Che faccio, me lo porto a letto e faccio l'amore con il telefonino? Lo prendo in bocca e lo succhio?" rispose Giovanni alterato, poi si calmò. "No, scusa, fai bene ad accettare. Devi accettare."

"Ho già firmato il contratto."

"Ah! Così in quattro e quattr'otto?"

"Beh, no, è già un po' che il procuratore viene a parlarmi e..."

"E me lo dici solo adesso, a cose fatte?"

"Non volevo mettere il carro davanti ai buoi... magari non se ne faceva niente e allora era inutile dirti..."

"Non dovevamo sempre dirci tutto, tu e io?"

"Beh, te lo sto dicendo. Sei il primo a cui dico che ho firmato. Non l'ho neanche detto a mio padre. Dai, non sei contento per me?"

"Sì che sono contento per te."

"Non pare. Sei davvero contento?"

"Per te, sì. Per me no. Era già dura se lavoravi qui in zona, ma adesso... diventa praticamente impossibile. Però, se tu preferisci la serie B a me, hai fatto bene. Sono contento per te." disse Giovanni cercando di trattenere le lacrime: non voleva che Gianni lo vedesse piangere.

"Io credevo... credevo che avresti festeggiato con me. Io credevo... credevo che eri fiero di me. Se mi hanno preso in serie B significa che sono davvero un buon calciatore, no?"

"Sì, certo, hai ragione. Ma non mi puoi chiedere di festeggiare... di festeggiare la fine del mio sogno. Non capisci che mi stai dicendo che è finita? Che è finito tutto fra te e me?"

"Ma no, perché? Io sono sempre innamorato di te. Per me resti sempre il mio ragazzo, mio marito, e io resto sempre tuo marito. Eravamo d'accordo così, no?" chiese Gianni a voce bassa, il viso arrossato.

"Tu in giro per l'Italia e io qui ad aspettarti, come Penelope e Ulisse? Devo mettermi a fare la tela?"

"Ma che c'entra? Io ti giuro che non guarderò mai un altro ragazzo, che aspetterò sempre te."

"Io non te lo giuro."

"Va be', tu non giuri, tu prometti, ma è lo stesso no?"

"Non te lo prometto, Gianni."

"Vuoi dire... vuoi dire che non sei più innamorato di me?"

"Sì che lo sono! Sì che lo sono!" gridò Giovanni cercando rabbiosamente di ricacciare indietro le lacrime. "Io sì che lo sono!"

"Anche io..."

"Sì, ti credo. Ma tu sei più innamorato del calcio, della serie B che di me. Hai fatto la tua scelta, e hai fatto bene a scegliere quello che ami di più. Io però non mi va di fare la ruota di scorta. Il tappabuchi. Quando tua moglie, la squadra cioè, non ha bisogno di te, allora ti ricordi di me! No! Era già abbastanza pesante essere amanti di nascosto, ma almeno mi illudevo di venire prima di tutto, come tu vieni prima di tutto per me!"

"Mi stai chiedendo di... di rinunciare?"

"No. Dovresti pagare la penale, ormai che hai firmato. E me lo rinfacceresti per sempre. No, non posso chiederti di rinunciare, non voglio chiederti di rinunciare. Hai fatto la tua scelta e la accetto, la rispetto, ma non puoi chiedermi di esserne contento! Sono contento per te, perché ti voglio bene... e quando alla TV parleranno bene di te e della tua squadra, sarò contento per te. Magari mi metterò pure a tifare per la Ternana... no, questo no, non posso tifare per chi mi ha portato via mio marito! No, Gianni, questa non è solo allontanarsi, non è solo... una separazione legale, questo è un divorzio. Sei libero, e sono libero anche io."

"Rinneghi tutto quello che c'è fra noi?"

"Quello che c'è stato fra noi." lo corresse Giovanni. "No, non lo rinnego. Mi hai regalato i due anni più splendidi della mia vita, quelli non li rinnego."

"Ti ho... deluso."

"No, sono io che mi sono illuso. Che non ho capito che per te il calcio veniva prima di me."

"Dopotutto è grazie al calcio se ci siamo conosciuti..."

"Sì, è vero. Ma dopotutto è grazie al calcio se ti perdo."

"Mi fai sentire una merda, a dirmi queste cose. Anche io mi ero illuso... illuso che saresti stato contento con me."

"Contento per te, sì, contento con te no. Sarò io a essere sbagliato, ma proprio non me la sento di sapere che ami più il calcio di me."

"Tu, al posto mio, avresti rinunciato?"

"Io non sono al posto tuo, a me piaceva giocare a calcio, ma era solo un passatempo. Ma io per te... per stare con te... avrei rinunciato a qualsiasi cosa."

"Anche a... anche a studiare?" gli chiese Gianni sapendo quanto Giovanni amava gli studi.

"Anche a studiare, sì. Sarei anche andato a chiedere l'elemosina, pur di starti vicino, anche a lavare i cessi, sarei andato. Avrei anche litigato, rotto con la mia famiglia, per starti vicino. Sì, l'avrei fatto! Te l'ho detto tante volte che avrei fatto qualsiasi cosa tu mi potevi chiedere, per starti vicino, è vero o no?"

"Però se ti chiedo di essere contento perché finalmente posso divente un calciatore professionista, questo no?" gli chiese Gianni in tono di sfida.

"Qualsiasi cosa per stare con te, non qualsiasi cosa per stare lontano da te!" gli gridò il ragazzo.

"No so che dirti..."

"E allora non dire niente."

"Dobbiamo lasciarci così?"

"E come, allora?"

Per un po' i due ragazzi restarono in silenzio, uno di fronte all'altro, ma senza guardarsi negli occhi.

"Mi dispiace..." disse dopo un po' Gianni a mezza voce.

"Può darsi."

"Mi dispiace davvero, te lo giuro."

"Ti credo."

"Io speravo che... speravo che le due cose... potessero andare d'accordo."

"Volevi la moglie ubriaca e la botte piena? Ma io non sono né tua moglie, né ubriaca, né una botte, né piena. Anzi mi sento completamente vuoto... senza te."

"Sei tu che vuoi rompere, non io."

"Sì, mi sento come il pedone che ha investito un'auto! Non sei tu che m'hai dato un pugno in faccia, è la mia faccia che è venuta a sbattere contro il tuo pugno." gli disse Giovanni con sarcasmo.

"Però mi dispiace."

"Onestamente, Gianni, hai da propormi una soluzione? Una soluzione che ti permette di giocare in B e nello stesso tempo di starti vicino? Ce l'hai?"

"N... no, purtroppo."

"Appunto. I calciatori sposati si possono portare dietro la moglie, se vogliono, Tu non puoi, neanche se volessi. Perciò è finita. È inutile che continuiamo a girarci attorno, è semplicemente fi-ni-ta. Perciò... ciao, Gianni e... auguri. Auguri di cuore, perché... perché non riesco a non essere innamorato di te." disse Giovanni e, salito sulla bicicletta, pedalò via in fretta.

"Gio! Gio, aspetta... Gio!" gridò l'amico, ma il ragazzo era già lontano e poteva finalmente lasciar colar fuori le lacrime.

Non aveva voglia di tornare a casa, non voleva farsi vedere in quello stato. Decise perciò di salire fino alla Sagra degli Angeli. Aveva buone gambe e affrontò la salita e i tornanti di buona lena, alzandosi sul sellino e pigiando con vigore sui pedali. Quando finalmente arrivò alla Sagra, aveva il fiato grosso e le gambe un po' indolenzite. Tutto era silenzio, lassù. Sedette sul muretto di pietra che delimitava la scalinata che portava all'ingresso della Sagra. Il grande portone di legno scolpito era aperto, ma fortunatamente non si vedeva nessuno in giro.

Si stese supino sul muretto, chiuse gli occhi e le lacrime cominciarono di nuovo a fluire abbondanti dalle palpebre chiuse, scivolandogli giù di lato al volto.

Era finita, così, all'improvviso, quando meno se l'aspettava. Non c'era stato nessun preavviso, o per lo meno lui non era stato capace di coglierlo. Ma no, non c'era stato.

Improvvisamente una voce sorse accanto a lui: "Ragazzo, stai bene?"

Giovanni sussultò e si alzò a sedere aprendo gli occhi. Accanto a lui era ritto un vecchio frate con la tonaca bianca, il mantello nero e la caratteristica, grande croce rossa e blu sul petto, che lo guardava con aria preoccupata.

"Sì, padre, sto bene, grazie..." mormorò Giovanni con voce un po' strozzata.

"Non pare proprio. Hai una faccia... da far paura. E quelle lacrime... Cos'è che turba il tuo cuore, ragazzo?"

"Niente, niente..."

"Perché non provi ad aprire il tuo cuore con me? Fa bene confidarsi, sfogarsi..."

"Ma non è niente, davvero..."

"Un niente ben pesante, per ridurti in quel modo. Una pena d'amore, direi."

Giovanni lo guardò un po' stupito. "Una pena d'amore?" chiese sottovoce.

"Posso sbagliarmi, ma... Un dolore così... e niente rancore nei tuoi occhi... solo un'infinita tristezza..."

"Infinita, padre, sì..."

"Dalla terrazzina lassù, t'ho visto pedalare fin qui... pareva che tu fuggissi da qualcuno, da qualcosa... e poi eccoti qui, ridotto in questo stato... Perché non provi ad aprire il tuo cuore con me e non lasci fluire fuori anche il tuo dolore, oltre alle tue lacrime?"

"Certe cose... certe cose non si possono raccontare, padre. Certe cose non si possono dire... nessuno le capirebbe, nessuno"

"Puoi provarci. Forse io potrei capire. Comunque posso ascoltare. Fa bene parlare, te lo garantisco."

"Specialmente a un prete, non si possono dire."

"Specialmente a un prete, magari, si possono dire." ribatté con dolcezza il vecchio frate.

"Io non ho la fede." disse a bassa voce il ragazzo.

"Neanche io, ragazzo, perché se avessi fede direi a questa montagna di spostarsi e si sposterebbe, o direi al tuo cuore di sanarsi e si sanerebbe. Ma se non ho fede, ho almeno la speranza e vorrei dartene un po'... e ho la carità, cioè l'amore, e vorrei dartene un po', se tu me lo permetti."

"Amore? Amore a me?"

"Oh, ragazzo, non mi capire male. Amore di carità, non amore sessuale." disse soavemente il vecchio.

Giovanni arrossì, quando capì che cosa gli stava dicendo il frate. "Il mio, invece, era un amore sessuale..."

"Bene, e che c'è di male in questo. Mica sei un frate, tu."

"Che c'è di male... che c'è di male. Non sa quello che dice, padre."

"Penso di sapere quello che dico. Non credo di essere già rimbambito, nonostante i miei ottantadue anni." gli disse sorridendo lieve il frate.

Giovanni, se da una parte sapeva di non poter parlare di certe cose, dall'altra aveva bisogno di parlarne di sfogarsi. Ebbe un moto di ribellione e con voce alterata, ma bassa, quasi in tono di sfida, disse: "Io amo un ragazzo, io sono omosessuale, amo un ragazzo, ma lui mi ha abbandonato!"

Il vecchio annuì: "È ben triste essere traditi, abbandonati. Sì. È ben triste."

"Anche se sono gay? Anche se il papa dice..."

"Oh, lascia stare il papa, ora. Lui sta a Roma, lasciamolo là. Certo che è triste sentirsi traditi nell'amore. Che differenza fa? Se tu avessi amato una ragazza invece di un ragazzo e lei ti avesse tradito, ci stavi forse meno male? Non credo proprio."

"Io sono gay, padre." ripeté Giovanni, quasi per assicurarsi che il vecchio frate avesse capito bene.

"Le mie orecchie sono ancora buone, ragazzo, ho capito. E allora? Non mi pare che sia questo il tuo problema."

"Sì che lo è! Se mi avesse abbandonato la mia ragazza... mia madre, i miei fratelli, i miei amici avrebbero capito, avrebbero provato a consolarmi. Io, invece, non ho nessuno! Sì che è un problema, padre."

"Perdonami, hai ragione tu. Ma io ti sto a sentire e vorrei poterti consolare."

"È omosessuale anche lei, padre?" chiese Giovanni, ma senza sfida nella sua voce.

"No, credo di essere... asessuale. Non ho mai sentito stimoli, in vita mia, né verso il sesso forte, né verso il gentil sesso. Oh, in un certo senso sono stato fortunato, visto che sono un frate. A volte i miei confratelli devono sotenere dure battglie contro i propri istinti sessuali e non sempre, e non tutti vincono queste battaglie. Io no. Sono stato fortunato. Ma non parliamo di me, ora, io non conto nulla."

"Così... così lei, padre, non mi disprezza, non mi compatisce, non mi giudica perché mi piace fare l'amore con i ragazzi e non con le ragazze?"

"Non io. Non ti va, ragazzo di aprirmi il tuo cuore?"

"È una storia lunga..."

"Io ho tempo. Se ne hai anche tu..."

"Qui può venire qualcuno e..."

"Saliamo su fino al terrazzino. Lassù nessuno ci disturberà."

Giovanni seguì il vecchio frate. Entrarono nell'abbazia, salirono rampe e rampe di scale di pietra, traversarono e percorsero corridoi, finché, traversata l'antica chiesa, si trovarono in un terrazzino triangolare che dava sul vuoto e da cui si vedeva un vastissimo panorama. Quando il frate aveva aperto la porticina del terrazzo e l'aveva fatto passare, Giovanni aveva notato che il vecchio aveva girato una tabella di legno appesa allo stipite della porta, su cui a grande lettere era scritto "Confessione in corso".

"Io non ho intenzione di confessarmi, padre."

"Lo so, d'altronde m'hai detto che non hai fede, no? Ma così nessuno ci viene a disturbare. Vieni sediamo qui." gli disse il vecchio indicando una panca di pietra addossata al parapetto.

Sedettero e, finalmente, Giovanni iniziò a raccontare tutta la propria storia. Il frate lo ascoltava senza interromperlo, annuendo solo di tanto in tanto per far capire al ragazzo che lo stava ascoltando con attenzione.

Quando Giovanni ebbe raccontato anche l'ultimo incontro con Gianni, laggiù sul ponte, ricominciando silenziosamente a piangere, e tacque, il vecchio emise un lieve sospiro.

"Mi scusi, padre, ma non riesco a non piangere..." mormorò il ragazzo.

"E perché non dovresti piangere? Ne hai tutte le ragioni, ti senti tradito. E piangere fa bene."

"Sbaglio a sentirmi tradito?" chiese Giovanni con una voce quasi da bambino.

"Forse il problema non è se sbagli a sentirti tradito, ma se veramente il tuo ragazzo ti ha tradito. E forse il problema è se il vostro era veramente amore."

"Perché siamo due ragazzi? Perché siamo gay?"

"No, quello non c'entra per nulla. Dimentichiamo il fatto che siete tutti e due maschi. Parliamo solo dell'amore. Chi ama... chi ama veramente... pensa soprattutto alla felicità dell'altro, non alla propria. Se non è così, non è vero amore, o non è amore vero. L'amore per l'altro ti fa accettare l'altro come è, e ti fa volere soprattutto la felicità dell'altro, più della propria."

"Perciò, secondo lei io non lo amavo."

"Non dico questo. Dico che non lo ami abbastanza. Ma d'altronde, neppure lui ti amava abbastanza. Lui, perché ha preferito il calcio a te, e tu, perché hai pensato alla tua felicità più che alla sua."

"Perciò Gianni e io abbiamo sbagliato tutto."

"No, tutto no, ma qualcosa di importante sì. D'altronde, se nessuno ci insegna ad amare, e purtroppo nessuno ci insegna ad amare, dobbiamo imparare da soli, e impariamo facendo un sacco di sbagli. E gli sbagli si pagano, e tu lo stai pagando con questo tuo dolore. E forse anche il tuo Gianni lo sta pagando, in qualche modo. Forse lo paga avendo perso te."

"Ho sbagliato a dirgli che fra noi tutto è finito?"

"No, non credo proprio, perché di fatto è tutto finito... Lo sbaglio sta altrove. Sta nel modo in cui vi siete amati. Nessuno di voi due ha messo la felicità e il bene dell'altro più in su della propria."

"E questo vale anche per due ragazzi gay?"

"Questo vale per chiunque voglia amare chiunque altro."

"Perché Dio ci condanna?"

"Te l'ha detto Dio in persona? E venuto a dirti che vi condanna?"

"Ma i dieci comandamenti..."

"Non ce n'è nessuno che dica che un uomo non possa amare, anche carnalmente, un altro uomo."

"Non commettere atti impuri..." recitò il ragazzo.

"Una brutta traduzione. Non fare cose impure... Nella Bibbia c'è un lungo elenco di cose impure, ma questo elenco non comprende né la masturbazione, né l'amore fra due persone dello stesso sesso. No, credimi, nei dieci comandamenti non si parla dell'amore fra due maschi. Comunque, ora, il tuo problema non mi pare sia questo, non il più importante, per lo meno. Il problema è che tu impari ad amare una persona nel modo giusto. Specialmente la persona con cui vuoi condividere la tua vita."

"Anche se è un altro ragazzo?" insisté Giovanni.

"Certo, anche se è un altro ragazzo."

"Lei è il primo prete che sento dire una cosa del genere."

"Beh, meglio tardi che mai. Vedi, Giovanni, io non credo che il buon dio, quando ci presenteremo a lui, ci chiederà con chi siamo andati a letto e cosa ci abbiamo fatto, ma ci chiederà se abbiamo saputo amare, o per lo meno, se abbiamo cercato di amare nel modo giusto."

"E io faccio ancora in tempo a imparare ad amare?"

"Certo, sei ancora così giovane... E, ricordati, non si smette mai di imparare. Ogni esperienza che facciamo, ci deve insegnare qualcosa e aiutarci a migliorare. Vedi, ragazzo, tu di sbagli ne farai ancora un sacco, come ne faccio ancora io. Ma se da ogni errore, come da ogni cosa giusta che fai, impari a vivere meglio, c'è speranza anche per te. È un po' come guidare un'automobile: si impara un po' studiando, riflettendo, un po' guidando, sbagliando e corregendosi o facendo cose giuste e ripetendo quelle."

"Ha fatto bene, padre..."

"A fare che?"

"A... insistere per farmi parlare con lei."

"Me ne rallegro."

"Sto un po' meglio, anche se mi brucia ancora. Ma adesso ho capito che se fra Gianni e me è finito tutto, non è solo colpa sua, ma anche mia. E non ha importanza se è più colpa sua o più colpa mia."

"Bene. Questo, vedi, non te l'ho detto io, l'hai maturato da solo, Mi sembri un ragazzo intelligente... e soprattutto un ragazzo buono, che è la cosa più importante. L'avevo letto nei tuoi occhi, che sei un ragazzo buono. Per questo mi addolorava vederti in quello stato..."

"Ma se neppure mi conosceva, padre."

"Ogni essere umano è mio fratello, ragazzo mio."

"I miei fratelli mi vogliono bene... Mio padre... non lo so."

"A modo suo, sicuramente, ti vuole bene anche lui. Ma forse anche a lui non ha mai insegnato nessuno che cosa significa amare veramente. Non possiamo giudicarlo noi. Non possiamo e non dobbiamo."

"Le ho già rubato anche troppo tempo, padre. E poi devo tornare a casa. Mi ha fatto bene parlare con lei. Posso, qualche volta, tornare a trovarla?"

"Quando vuoi, Giovanni, finché il Signore mi conserva in vita. Ma prima di andare via, scendi un attimo con me. Vorrei darti un piccolo regalo..."

Giovanni lo seguì fin dentro il convento, immaginando che il vecchio frate gli volesse dare un'immaginetta sacra, un crocifisso o una madonnina... Entrarono nella celletta del frate. Era minuscola e spoglia, l'unica ricchezza era un gran numero di libri.

Il frate frugò in un cassetto e ne estrasse una scatoletta di legno scolpita a bassorilievo con motivi geometrici.

"Questa l'avevo fatta io quando avevo la tua età e le mie mani erano ancora abili. Non è niente di speciale, ma vorrei che la tenessi tu. Io, allora, ci tenevo i pennini e il nettapenne. Oggi non si usano più i pennini ed è troppo piccola per essere veramente utile."

"Perché si priva di un ricordo così importante, Padre?"

"Tu hai aperto il tuo cuore a me. È un modo per ringraziarti."

"Sono io che devo ringraziare lei, padre."

"Ho fatto solo quanto il mio cuore mi suggeriva..."

"Grazie, padre, per tutto, compresa questa bella scatoletta."

"Ti accompagno fuori... Torna pure, ogni volta che vuoi."

"Non so ancora neppure il suo nome, padre..."

"Che maleducato sono! Non mi sono neanche presentato. Perdonami. Io sono padre Anselmo. Comunque sono il più vecchio di questo convento, perciò, se ti dimenticassi il mio nome, basta che chiedi del frate più vecchio di tutti..."

"No che non mi dimenticherò mai del suo nome, padre. Ormai è scritto dentro il mio cuore."

"Che bella espressione, gentile e delicata. Grazie, Giovanni. E... Anche se non hai la fede, come dici, tu, pregherò per te. Non posso fare molto di più..."

Giovanni pedalò giù per il monte, sentendosi ancora triste, ma un po' sollevato. Aveva fatto bene a salire fino a lassù. A ogni pedalata sentiva in una tasca dei calzoni l'ingombro del telefonino che gli aveva regalato Gianni, e nell'altra quello della scatoletta di padre Anselmo.

Tornò a casa, salì in camera sua, e mise la scatoletta di legno in bella mostra sullo scaffale in cui aveva i libri di scuola. Si tolse le scarpe e si stese sul proprio letto, a pancia sotto. Si sentiva terribilmente stanco, ma un po' meno male di prima. Si chiese che cosa stesse facendo in quel momento Gianni... che cosa stesse provando.

Non avevano saputo amarsi veramente, pensò, nonostante tutte le loro dichiarazioni di amore. Si erano amati, sì, ma non abbastanza. Immerso in questi pensieri, Giovanni scivolò insensibilemnte nel sonno.

"Vanni... Vanni..." si sentì chimare e qualcuno lo scuoteva lievemente.

Aprì gli occhi e guardò: "Francesco..."

"Che hai? Hai pianto, tu." gli disse il fratello quando lo vide in volto.

Giovanni non rispose.

Francesco sedette accanto a lui: "Che ti è successo?"

"Niente..."

"Come fai a dirmi niente, con una faccia così?"

"Mi sento solo un po' stanco..."

"Tanto stanco da piangere? Per aver pianto alla tua età, deve essere qualcosa di grosso."

"Non ho voglia di parlarne." mormorò il ragazzo.

"Ceme vuoi tu, Vanni. Ma se... e quando me ne vuoi parlare. Hai solo da dirmelo."

"Certe cose non si possono dire neanche a un fratello..."

"Se non le dici a un fratello, a chi mai le puoi dire?"

"Francesco, non te l'avere a male, ma proprio non me la sento di parlarne."

"No che non me l'ho a male. Se non te la senti, non te la senti. Voglio solo che sai che a me, se vuoi, puoi dire qualsiasi cosa. Anche se tu avessi ammazzato qualcuno, a me lo potresti dire e io farei il possibile per aiutarti."

Giovanni sorrise: "No, non ho ancora ammazzato nessuno."

"È ora di scendere per cena. Ma prima lavati la faccia."

"Non ho molta voglia di mangiare..."

"Allora è grave. Ma se non vieni, sai com'è mamma, si preoccupa e non ti lascia più vivere. Dai retta a me, lavati la faccia e scendi e cerca di mangiare."

"Francesco?"

"Sì?"

"Cosa diresti se ti dicessi che sono gay?"

Il fratello lo guardò serio, scrutandone l'espressione. "Non stai scherzando, vero?"

"No, non sto scherzando. Io sono gay, Francesco."

"Sssttt! Non ti far sentire. Ma per questo hai pianto?"

"No... il mio ragazzo e io ci siamo lasciati."

"Oh, cazzo! Mi dispiace. Vi volevate bene?"

"Sì. O almeno credevamo di volerci bene."

Francesco lo abbracciò: "Adesso dobbiamo scendere per cena. Se vuoi ne parliamo stanotte quando siamo a letto."

"Non dici niente, che sono gay?"

"Dico che sei il mio fratellino, che per me non cambia niente. E dico che sono contento che ti sei aperto con me. Ma ne parliamo stanotte, eh?"

"Sì, ne parliamo stanotte. Grazie, Francesco."

"Per cosa?"

"Per non avermi... sputato addosso. Per avermi detto che per te non cambia niente."

"Certo che per me non cambia niente. Ma non dirlo agli altri, specialmente a papà. Sono sicuro che lui non capirebbe. Dai, adesso, lavati la faccia e vieni a tavola. E cerca di sorridere, o almeno di farti vedere tranquillo. Fai svelto, sai che papà si incazza se non siamo puntuali."

La cena passò senza che nessuno si accorgesse di niente. Quando, sul tardi, tutti si ritirarono per andare a dormire, Giovanni e Francesco si misero a letto e, al buio, per la seconda volta in quella giornata, Giovanni raccontò tutta la sua storia.

"Beh... mi dispiace per te. Ma chi non ti ama non ti merita, Vanni, credi a me. E poi, sei ancora tanto giovane. Pensa a divertirti, per ora. Alle cose serie ci penserai poi."

"Divertirmi? Con altri ragazzi?"

"Certo, visto che a te piacciono i ragazzi."

"Mica è facile per uno come me. Per te è facile trovarti una ragazza, per me non è altrettanto facile trovarmi un ragazzo."

"Sì, lo capisco. Hai ragione. E io non conosco nessun ragazzo gay, almeno non credo, sennò vi presenterei..."

"Davvero lo faresti?"

"Perché, tu non mi presenteresti una bella pollastrella?"

"Se la conoscessi, forse sì."

"Appunto. Se ti fai un ragazzo... anche non una cosa seria... me lo farai conoscere?"

"Forse sì."

"Forse?"

"Se fosse uno con cui non ho solo un'avventura, penso che te lo farei conoscere. Se tu mi farai conoscere le tue... pollastrelle."

"Giusto."

"Mi avevi detto che tu... con quel tuo amico, quando eravate ragazzini... ve lo siete anche messo, vero?"

"Sì, ma erano giochi da ragazzini, niente di serio. Abbiamo smesso abbastanza presto, appena ci siamo accorti che ci piaceva di più farlo con le ragazzine."

"Gianni e io... non l'abbiamo mai fatto. È bello?"

"Fa godere, come ti ho detto. E credo che, specialmente se non è solo un'avventuretta, può anche essere bello per due ragazzi. Se no, non lo farebbe nessuno, no? A te, Vanni... piacerebbe più metterlo o fartelo mettere?"

"Non lo so. Anche per questo mi piacerebbe provare."

"Giusto. Vanni?"

"Sì?"

"Parleremo sempre così, tu e io?"

"Sì, ormai il più difficile è fatto. Buona notte, Francesco."

"Notte, Vanni."

"Secondo te, chi se lo fa mettere vale di meno di chi lo mette?"

"No... non credo... no, penso di no. Non è che chi gli piace di più il pollo che il vitello è meglio o peggio."

Giovanni ridacchiò: "Non è proprio la stessa cosa. È che la gente pensa che chi se lo fa mettere è come un femminuccia, e perciò vale di meno."

"Sì, perché la gente pensa che le femmine valgono meno dei maschi, e i froci meno delle femmine... ma sono tutte cazzate. Guarda mamma, vale più di papà, anche se, evidentemente, se lo fa mettere, o almeno se lo faceva mettere."

"Pensi che fanno ancora l'amore?"

"Spero di sì, penso di sì. Se no, sai che pizza stare assieme solo come due vicini di casa! E poi ho scoperto che papà ha la scorta di preservativi, quindi..."

"Pensi che abbia mai messo un cornetto a mamma?"

"Non lo so proprio, ma niente me lo fa pensare."

"Tu lo metterai mai un cornetto a tua moglie, quando sarai sposato?"

"Se sto bene con lei, non glielo metto no. Quando due si sposano, si promettono fedeltà, no? E le promesse non si devono fare per scherzo. E tu, quando avrai un ragazzo, uno a cui vuoi bene?"

"È proprio lo stesso anche per me, anche se noi gay non ci possiamo sposare."

"Giusto. Beh, Buona notte, Vanni."

"Notte, Francesco."


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