logoMatt & Andrej Koymasky Home
una storia originale di Andrej Koymasky


VIAGGIO VERSO
SE STESSO
CAPITOLO 8
SI POSSONO FAR CAMBIARE LE COSE?

Giovanni stava dando gli esami di maturità agraria. Era un po' teso per le prove di esame, ma, di mano in mano che le affrontava, si accorse che erano più facili di quanto avesse pensato. Questo, logicamente, perché era molto ben preparato.

Una sera, chiusi nella loro camera, Francesco prima si informò su come stessero andando gli esami, poi gli disse: "Sai, ho parlato con Daniele di quella cosa."

"Sì?"

"Sì."

"E allora?"

"Via libera, secondo me."

"Cioè? Che ti ha detto? Come gliene hai parlato? Raccontami tutto, tutto per filo e per segno."

"Stavamo lavorando insieme, da soli, al campo della baracca, quando io gli ho detto: sai che ho scoperto che uno che conosco è frocio? Lui mi fa: ce n'è più d'uno, qui in paese. Io gli dico: Io proprio non l'avrei detto che è frocio, quello. Mica ce l'hanno scritto in faccia, mi fa lui e dice: qualcuno lo capisci subito, perché è effeminato, ma qualcuno, proprio non ci penseresti mai. Poi mi ha chiesto: ci ha provato con te? Io gli ho detto di sì, sai, per vedere come reagiva.

"Lui smette di lavorare e mi guarda: ah, t'ha messo le mani addosso? Ha provato a toccarti? No, gli dico io, solo parole, tipo: mi piaci, sei sexy. Allora Dani mi fa: con me, qualche anno fa, uno ci ha provato, e m'ha poprio toccato lì. Dio, dico io a Dani, e tu? Gli hai spaccato il muso? Ma no, mi dice Dani, gli ho solo detto che non mi piaceva e di smettere, e lui ha smesso. Non ti sei incazzato? Gli faccio io. Dani mi dice: Se continuava magari mi incazzavo, ma ci ha solo provato. Se non ci provava che ne sapeva se io ci stavo o no.

"Era un tuo amico? Gli chiedo io. Sì, è ancora un mio amico. Lui dopo quella volta mi evitava, credo che si vergognava di me, ma un giorno l'ho incontrato e gli ho detto di non fare lo stronzo, gli ho detto che finché lui rispettava me, io rispettavo lui. Gli ho detto che ognuno è fatto com'è fatto e che questo non cambiava niente.

"Allora io ho detto a Dani: io però mica lo so come reagirei se un giorno scoprissi che mio figlio, tanto per dire, è frocio. Perché, mi fa Dani, quale è il problema? Non l'hai sentite le trasmissioni del Maurizio Costanzo Show? Anche i froci sono persone normali, solo che gli piace farlo coi maschi. Se un giorno scopro che mio figlio è frocio, gli dico solo di stare attento, di non fare cazzate, di stare accorto di non beccarsi l'aids e per sicurezza gli regalerei una scorta di preservativi.

"Ma non saresti deluso? Gli ho chiesto ancora io. Dani fa spallucce e dice: meno che se un mio figlio o una mia figlia volessero sposarsi con una o uno che non mi piace. Può non piacermi, ma la vita è sua, deve piacere a lui. Al massimo gli direi di pensarci bene e gli direi perché non mi piace.

"Ma non cercheresti di curarlo, di farlo guarire? Gli ho chiesto ancora io. Dani mi guarda di nuovo e mi dice: c'era anche un medico importante e pure uno strizza-cervelli famoso alla trasmissione di Maurizio Costanzo, e hanno detto che non è mica una malattia né del corpo né del cervello, perciò che cazzo di cura si dovrebbe fare?

"Vedi perciò, Vanni, che glielo puoi dire tranquillamente. Non ti pare? Anzi, poi mi ha detto pure che è da compatire chi disprezza i froci, non i froci."

Giovanni annuì, poi disse: "Sì, però adesso che gli hai parlato è meglio che non glielo dico subito, se no capisce che eravamo d'accordo e può rimanerci male che ne ho parlato con te e non direttamente con lui. Può pensare che non mi fidavo di lui. Può capire che ti ho chiesto io di sondarlo."

"Forse hai ragione. Però, quando glielo dici, avvertimi prima. E dopo raccontami come ha reagito, quello che t'ha detto."

"D'accordo."

"E, magari, non gli dire che io lo sapevo già." aggiunse Francesco. "Digli che hai intenzione di parlarne anche con me."

"D'accordo." ripeté Giovanni. Era contento, si sentiva sollevato all'idea che avrebbe potuto parlarne anche con Daniele.

Gli esami terminarono e Giovanni prese il diploma con il massimo di voti e anche la lode. I fratelli gli fecero una bella festa. Il padre non gli fece neppure i complimenti, ma commentò: "Adesso almeno ti puoi mantenere da solo e non con i nostri soldi." Tutti finsero di non averlo sentito.

Giovanni andò a presentarsi alla cooperativa agricola e anche a quella del latte, portando il suo curriculum e una domanda di assunzione. Però purtroppo né in un posto né nell'altro avevano intenzione di assumere.

Il ragazzo, anche se un po' deluso, non si arrese e cominciò a spedire il suo curriculum e le domande ai paesi vicini e anche a diversi enti pubblici e privati del capoluogo.

Passarono due mesi, che Giovanni occupò aiutando i fratelli e il padre nei campi e nella stalla. Un giorno in cui era solo con Daniele nella stalla, decise che era forse venuto il momento giusto per parlargli.

"Dani, avrei da dirti una cosa..."

"Cosa?"

"Ti ricordi qualche tempo fa, che tu m'avevi chiesto cosa avevo e c'eri rimasto un po' male perché io continuavo a ripeterti che non c'era niente e tu invece avevi capito che c'era qualcosa?"

"Sì che mi ricordo."

"Beh, c'era qualcosa, ma non mi sentivo ancora pronto a parlartene."

Daniele smise di lavorare, senza dire niente prese due panchetti e sedette su uno spostando l'altro verso il fratello. Giovanni sedette non poprio di fronte al fratello, ma un po' spostato in modo di vederlo di tre quarti. Daniele lo guardava e attendeva che Giovanni cominciasse a parlare.

Giovanni s'era preparato decine di discorsi diversi per affrontare il problema, ma ora non sapeva come cominciare. Si sentiva teso, insicuro, anche se aveva deciso di parlare. Daniele allungò una mano e la pose su quella del fratello, che questi aveva appoggiato su un ginocchio, e lo guardò con un lieve sorriso incoraggiante.

"Non so come cominciare, Dani, ma... vedi... io non sono come te, come gli altri, io sono diverso."

"Non siamo tutti diversi? A te piaceva un sacco studiare, a noi no. A Carlo piace giocare a carte e a me no e..."

"Non hai capito? Non hai capito in che modo io sono diverso da voi?"

"No, onestamente. Non riesco a vedere nessuna diversità in te che sia difficile da dire. Perciò o ti decidi a parlare, o io non capisco. Non lo sai che sono un po' tonto?" gli chiese con un sorriso scherzoso.

"No che non sei tonto. È solo che quello che ti voglio dire ci scommetto che proprio non riesci a immaginartelo."

"Non è una cosa brutta, no?"

"No, per me no, e spero neanche per te."

"Se non è brutta per te, perché dovrebbe essere brutta per me?"

Giovanni si disse che doveva smetterla di menare il can per l'aia. Fece un profondo respiro e, senza avere il coraggio di guardare il fratello negli occhi, ma guardando la mano di Daniele ancora posata sulla sua, disse tutto d'un fiato: "A me le ragazze non mi attirano proprio per niente, Dani, a me mi attirano i ragazzi. Io sono gay, Dani, l'ho fatto con qualche ragazzo e mi piace. Io non mi sposerò mai, io spero di trovare un giorno un ragazzo che mi vuole bene e di vivere con lui. Io sono diverso, Dani!"

Il fratello tolse la sua mano da quella di Giovanni e si alzò in piedi. Il ragazzo provò una fitta al cuore, interpretando la cessazione di quel contatto fisico come un rifiuto. Daniele si spostò in modo di essere davanti al fratello, lo prese per le braccia e lo fece alzare in piedi. Giovanni ora tremava, pensando che Daniele magari lo picchiasse, o gli rovesciasse addosso un mare di improperi.

Invece Daniele lo strinse con forza a sé, fra le braccia, gli appoggiò la testa su una spalla e gli disse, con voce bassa e commossa: "Il mio fratellino... io ti voglio bene, Vanni, ti voglio tanto bene. Grazie di avermelo detto. Ma dimmi, sei contento di essere così, o ti dispiace?"

"Sono... sono contento."

Il fratello lo strinse più fortemente a sé e gli disse: "Allora sono contento anche io, con te."

"Ma non avevi detto che due uomini non si dicono: ti voglio bene?" gli chiese Giovanni cominciando a piangere per il sollievo e la felicità.

"In questi casi si deve dire, Vanni, si deve dire e ripetere, fratellino. Sì, io ti voglio tanto bene. Lo sai che sei il mio fratellino preferito, e resti il mio fratellino preferito."

Giovanni sussultava per i singhiozzi che lo scuotevano. Daniele si staccò lievemente da lui e, con le dita, gli asciugò una lacrima: "Piangi?" gli chiese con dolcezza.

"Avevo tanta paura a dirtelo. Avevo tanta paura che mi giudicavi male. E sono così felice, adesso."

"Che stupido! Che stupido che sei."

"Ma tanta gente cambia, quando viene a sapere una cosa così. Prima pare che ti vogliono bene, poi ti sputano addosso... C'è tanto pregiudizio contro noi gay, Dani! Pensa solo cosa direbbe papà se lo sapesse..."

"Sì, hai ragione. E credo proprio che non glielo devi dire, né a papà né a mamma. Anche a Angelo e Carlo forse è meglio che non glielo dici. A Francesco, se ti va, penso che glielo puoi dire, invece. Ma dimmi, hai un ragazzo, adesso?"

"No, Dani. Ne ho avuto uno ma ci si è dovuti lasciare."

"Usi il preservativo, quando fai l'amore?"

"Sì, Dani."

"Bene. Forse non avrai una vita facile, dato che sei così. Purtroppo c'è ancora tanto pregiudizio in giro. Ma su me potrai contare sempre, sempre. Non te lo scordare mai." Poi aggiunse: "Due uomini non si dicono che si vogliono bene, ma sai che ti voglio bene davvero, no?"

"Anche io, Dani, anche io. E anche più di prima!"

"Io più di prima no, io come prima. Perché tu hai scoperto che ti potevi confidare con me. Io invece so che per me sei il Vanni di sempre. Il mio fratellino preferito. La testa fina della famiglia. Sapessi quante arie mi sono dato con gli amici per il diploma che hai preso e per il voto che hai preso. Ho detto a tutti che sei stato il migliore della scuola. Mi sono fatto grande con le penne del pavone."

Giovanni ridacchiò, ma disse: "Tu non hai bisogno di farti grande, Dani. Tu sei grande."

"Eh sì," disse il fratello con auto-ironia, "infatti ho sette anni più di te!"

Ripresero a lavorare, ma ora ogni tanto si lanciavano un'occhiata e se i loro sguardi s'incrociavano, si facevano un sorriso.


Ai primi di settembre, arrivò a Tetti Malvento una lettera. Recava l'intestazione e il logo dell'Ente Inter-provinciale per lo Sviluppo Agricolo.

Giovanni l'aprì subito: la lettera diceva che il suo curriculum era stato preso in considerazione dai responsabili dell'EISA e che perciò era invitato a fissare per telefono un incontro per un colloquio di lavoro. Il ragazzo telefonò immediatamente e concordò la data dell'incontro. Era eccitato e felice di poter cominciare a lavorare, anche se non al paese come aveva sperato ma al capoluogo. Dopotutto non era lontano, poteva agevolmente andare avanti e dietro.

I fratelli decisero di comprargli un completo nuovo per presentarsi al colloquio. E finalmente Giovanni, tutto tirato a lucido, andò in bicicletta fino alla stazione, prese il treno e, giunto al capoluogo, si presentò all'EISA. Il colloquio durò quasi due ore. All'inizio Giovanni era un po' teso, ma i tre che lo esaminavno, due uomini e una donna, fecero in modo di metterlo a suo agio. Alla fine gli dissero che il colloquio era andato bene, ma che, poiché dovevano esaminare un'altra ventina di candidati, gli avrebbero dato una risposta, per fargli sapere se era stato ammesso al secondo colloquio.

Prima che uscisse gli dettero alcune pubblicazioni dell'Ente perché potesse iniziare a documentarsi su quale sarebbe stato il lavoro che avrebbe dovuto eventualmente svolgere. Giovanni, prima di andare a riprendere il treno, provò a telefonare a Gabriele, ma purtroppo l'uomo era troppo occupato e non poterono vedersi.

Già sul treno, anche se il tragitto era breve, il ragazzo iniziò a leggere il materiale che gli era stato dato. Nei giorni seguenti, mentre attendeva una risposta, finì di leggere le pubblicazioni e andò anche a documentarsi alla biblioteca comunale e anche alla biblioteca della sua vecchia scuola.

Verso metà settembre gli arrivò la convocazione per il secondo colloquio. Anche questo andò bene, e anzi i suoi esaminatori, tre persone diverse dalle tre della volta precedente, gli fecero i complimenti, perché si erano resi conto che non solo aveva letto le pubblicazioni, ma si era anche documentato per conto proprio. Di nuovo provò a telefonare a Gabriele, ma nessuno rispose al telefono.

Finalmente, a fine settembre, ricevette una lettera in cui gli si comunicava che sarebbe stato assunto, e in cui lo si invitava ad andare a firmare il contratto, di cui gli allegavano una copia. Appena letta la lettera, Giovanni lanciò un "urrà" talmente squillante, che i suoi corsero a vedere che cosa fosse successo.

"Quanto ti pagano?" gli chiese il padre.

"Non lo so." rispose il ragazzo.

"Ma come? Se quelli ti danno una miseria, che fai? Guarda che io non smollo più neanche una lira per te... Mi sei costato anche troppo, e non mi hai reso neanche un centesimo."

"Papà, le paghe sono stabilite dai sindacati. Gli daranno quello che è giusto. L'EISA è un ente pubblico, mica il negozio dietro l'angolo, no?" disse Carlo.

Angelo aggiunse: "E comunque gli studi se li è pagati Vanni con la borsa di studio."

"Ma da mangiare e da dormire, mica l'ha trovato per la strada, no?" protestò il padre seccato per essere stato contraddetto dai figli.

"E che, doveva pagarteli?" gli chiese Francesco battagliero.

"Papà, se mi fai il conto, coi primi soldi che guadagno comincio a restituirti quello che hai speso per me." disse Giovanni, in tono conciliante.

Per la prima volta intervenne la madre: "Ci mancherebbe altro! E che, mica avrai il coraggio di fare una cosa così a uno dei tuoi figli, no?"

"E perché no, Teresa?" chiese Giuseppe in tono seccato.

"Te lo dico io, perché no! Sì, te lo dico io. Se tu provi a presentare il conto a Vanni, lo faccio anche io il conto. E verrà salato, perché ti presento il conto per tutti gli anni che ho sfacchinato per te, in questi trentuno anni!"

"T'è mai mancato da mangiare, Teresa?" chiese il padre.

"No, ma me lo sono più che straguadagnato: ho dovuto sfacchinare nei campi tutto l'anno, badare alla casa e a te giorno e notte, allevare cinque figli. E tu in questi trentuno anni, non mi hai comprato neanche dieci vestiti. Mettiamo la paga minima di una serva, e vediamo quanto viene, per trentuno anni? Allora?"

"Allora cosa? Non lo capisci che stavo scherzando? Ma chi ha intenzione di presentare il conto a Vanni?" disse il padre battendo in ritirata. "E se tu vuoi un vestito nuovo, hai solo da andartelo a comprare. Anche due, anche tre. Chi te lo proibisce?"

"Bene. Domani me li vado a comprare. Io capisco, i primi anni, che si doveva tirare la carretta io e te. Ma adesso abbiamo quattro figli che lavorano, finalmente non abbiamo più la miseria nera appiccicata addosso."

"Sì, siamo ricchi ormai." disse Giuseppe con sarcasmo.

"Ricchi no, ma neanche poveri, grazie al cielo."

"Grazie al cielo e alla mia fatica." ribatté l'uomo.

"E alla mia, e a quella di Angelo, Carlo, Daniele e Francesco." precisò la donna, poi aggiunse "E pure quella della Rosina."

Per un po' nella cucina regnò il silenzio. Poi Giuseppe si alzò e uscì.

"Mi dispiace..." mormorò Giovanni.

Daniele gli scompigliò i capelli: "Tu che c'entri. È papà, che invecchiando peggiora."

Angelo disse: "No che non peggiora, è sempre stato così. Solo che adesso non può più alzare troppo la cresta. Io a volte mi chiedo come hai fatto, mamma, a sopportarlo per trent'anni."

Teresa lo guardò accigliata, poi gli disse: "Tu pensa pittosto a come fa Rosina a sopportare te. E cerca di essere con lei un po' meglio di come è stato tuo padre con me. E comunque se ora siete forti e sani, è anche grazie a vostro padre, che per anni si è rotto la schiena sulla terra. Grazie a vostro padre e a me, si capisce."

"Mamma?" disse Giovanni.

"Che c'è?"

"Era bello papà da giovane? Com'è che ti sei innamorata di lui?"

La donna si addolcì: "Era bello, sì. Era bello e forte. Per questo ha fatto figli belli e forti come voi. Ci siamo conosciuti al matrimonio di mia cugina, che aveva sposato un amico di papà e lui era il testimone dello sposo. Dio, quant'era bello, papà. Non riuscivo a levargli gli occhi di dosso. È la terra che l'ha rovinato, che l'ha conciato male. La terra e la fatica."

"Non hai qualche foto? Di quando vi siete sposati, magari?" le chiese Francesco.

"No, non avevamo i soldi per pagarci un fotografo. Io mi sono sposata prendendo in prestito l'abito da sposa di mia cugina, e papà aveva solo quell'abito buono. Quello con cui t'ho cucito il vestito della prima comunione, Angelo, che poi avete usato tutti per la prima comunione, tutti e cinque. Ormai non serve più a niente, l'ho rivoltato troppe volte. Però non ho il cuore di buttarlo via."

"Mamma, c'è qualcosa che desideri? Che non ti sei mai potuta comprare? Che non ti sei mai potuta permettere?" le chiese Carlo.

La donna lo guardò e fece un lieve sorriso: "Sì che c'è." mormorò.

"Cosa?" chiesero i figli quasi all'unisono.

"Una boccetta di Violetta di Parma Borsari 1870."

"Cos'è?" chiese Giovanni.

"È un profumo, vero mamma?" disse Carlo.

"Sì, un profumo di violette di primavera." spiegò la donna.

"Tutto qui, mamma?" chiese Angelo.

"Sì. Mia madre ne metteva sempre una goccia dietro l'orecchia, prima di andare a messa la domenica. E quel profumo mi piaceva tanto..."

"Te ne compriamo cento litri!" le disse Daniele.

La donna rise: "No, se no sembro una di quelle. Se me ne volete comprare una boccettina piccola piccola... tanto se ne usa solo una goccia ogni tanto, mica di più. Costa un po' cara, credo. Ne basta una boccettina piccola piccla, se proprio me la volete comprare..."

I fratelli, quando furono soli, dissero a Giovanni di cercare il profumo nel capoluogo, una bella bottiglietta, in una bella confezione.

"Se non ti bastano i soldi, ci dici quanto costa e noi te li diamo, così poi la compri." gli disse Angelo.

"Magari la posso comprare io col primo stipendio..." suggerì Giovanni.

"No, deve essere un regalo di tutti e cinque, perciò ci dobbiamo mettere i soldi tutti e cinque." disse Francesco.

Quando Giovanni tornò al capoluogo, trovò una bella scatola a forma di cofanetto, coperta di seta verde primavera e viola chiaro, foderata di seta bianca, con dentro una boccetta del profumo. Non costava molto, così la comprò e si fece fare un elegante pacchetto. Si stupì che la madre non si fosse mai potuta comprare una cosa che non era poi così cara. Andò anche in una cartoleria e comprò un elegante biglietto, per accompagnare il regalo.

Tutti e cinque i fratelli firmarono il biglietto. Quando donarono il pacchettino alla madre, lo donna lo aprì e guardò incantata.

"Dio quant'è bella! Vi deve essere costata di più la scatola che il profumo!" disse con voce emozionata.

"Mettitene una goccia, mamma!" le disse Angelo.

"Mica è domenica, oggi." protestò la donna sorridendo. "Però... posso almeno sentirne l'odore... Signore, quant'è buono!"

"Fa sentire, mammma!" disse Carlo.

I fratelli si passarono la boccetta di mano in mano e annusarono.

"Profuma proprio di violette!" esclamò Daniele.

"E di che doveva profumare, di prosciutto?" lo celiò Francesco. Tutti i fratelli risero di gusto.

"Piuttosto..." disse Teresa riprendendo la boccetta, chiudendola con cura e riponendola nella sua elegante scatola, "Com'è andato il tuo primo giorno di lavoro, Vanni?"

"Bene, mamma. Pensa che ho una scrivania tutta per me. I colleghi sono gentili. Solo che, per andare avanti e dietro, ci sono pochi treni: devo alzarmi alle cinque la mattina e riesco a tornare a casa appena giusto per cena. Comunque va bene."

"E che ti fanno fare?" gli chiese Francesco.

"Per adesso cose semplici, almeno finché mi impratichisco del lavoro. Quando comincerò a lavorare sul serio, però ci sarà un altro problema: m'hanno detto i colleghi che qualche volta si fanno riunioni fino a tardi, e allora riesco a tornare a casa solo con l'ultimo treno, quello di mezzanotte e venticinque. Così ho poco tempo per dormire. Dicono che dovrei farmi la macchina, o meglio pure andare ad abitare là, al capoluogo. Mah, vedremo. Per adesso il problema non c'è."

Quando fu ora di andare a letto, Francesco vide che Giovanni si stava lavando la camicia.

"Che fai? Ti si è sporcata?"

"No, è che lì al lavoro sono tutti immacolati, devo lavarla e domattina appena mi alzo la devo stirare, per non fare brutta figura."

"Sì, adesso che fa caldo per domattina è asciutta, ma come fai quando viene l'inverno?"

"Per allora me ne compro un'altra, così una la lavo e una la uso."

"Ma la sai stirare tu, una camicia?"

"Non lo so fare... ma imparerò."

"Puoi chiedere a mamma, o a Rosina."

"No, hanno già anche troppo da fare, con cinque uomini per casa. Devo farlo io."

"Tu che preferiresti, farti la macchina o andare ad abitare in città?"

"Non lo so. Quello che costa meno."

"Se vai ad abitare in città, io ho la camera tutta per me, però la sera non possiamo più chiacchierare."

"Vedremo, Francesco. Comunque non è una cosa da decidere domani. Anche a me la sera piace chiacchierare con te." disse il ragazzo stendendo la camicia su una gruccia di plastica.

Si misero a letto e Francesco spense la luce.

"Hai visto mamma che piangeva? Non l'ho mai vista piangere, prima." disse Francesco quasi sottovoce.

"Povera mamma. Però, pensavo, mica è giusto che abbiamo fatto un regalo a mamma e niente a papà..."

"E che vuoi regalare a papà? Quello è capace di brontolare invece di ringraziare."

"Uno mica deve fare un regalo per essere ringraziato, no?"

"No, ma neanche per farsi brontolare dietro. E poi non saprei neanche che cosa comprargli. Hai qualche idea, tu?"

"No... ma magari ci potrà venire."

"Di' un po', al lavoro c'è qualche ragazzo che ti piace?" gli chiese Francesco.

"No. Ma anche se ci fosse, mica ci posso provare. Non al lavoro. Se mi piacesse una ragazza non ci sarebbe nessun problema a provarci, ma per me... è diverso."

"Già, è vero. Cazzo, però non è giusto."

"Cosa?"

"Che io, per dire, al lavoro o da qualsiasi altra parte ci posso provare con una ragazza e tu no con un ragazzo."

"Lo so, ma è così. Non ci possiamo fare niente né tu né io."

"Se ci fosse un ragazzo che ti piace, potresti provare a farglielo capire, senza fargli capire che a te piacciono i ragazzi..."

"E come si fa?" gli chiese Giovanni mettendosi a ridere.

"Già, ho detto una cazzata. Ma se ci fosse un posto, come il dancing, in cui si ritrovano i gay come te, lì ci potresti provare."

"Dicono che c'è, al capoluogo."

"E allora ti converrebbe andare ad abitare in città... anche se mi dispiacerebbe che te ne vai via di qui."

"Sì, è vero. Vedremo."

"Mi hai detto una volta che secondo il tuo professore siamo tutti bisessuali, chi più chi meno. E allora perché a qualcuno piacciono solo le donne, a qualcuno soprattutto le donne, a qualcuno soprattutto gli uomini e a qualcuno solo gli uomini? Non dovrebbero piacerci a tutti sia gli uomini che le donne?"

"Non lo so, io non ho studiato queste cose. Però penso che sia un po' come per il mangiare. Teoricamente tutti sono in grado di mangiare qualsiasi cibo, no? Eppure c'è chi adora la maionese e chi lo fa vomitare, chi adora il pesce e chi non riesce a mandarlo giù... C'è chi non mangerebbe mai quello che invece piace a altri..."

"Sì, ma se uno sta morendo di fame, mangia qualsiasi cosa."

"Il mio professore diceva che è quello che succede per esempio in carcere, che uno che non lo avrebbe mai fatto con quelli del suo sesso, lì dentro ci scopa lo stesso."

"Già, è vero. Non ci avevo mai pensato. Ma dimmi, Vanni, a te non piacerebbe poter mettere su famiglia? Voglio dire, avere anche figli?"

"Forse sì. Se trovo uno che mi vuole bene e che gli voglio bene, si può vivere come una coppia..."

"Ma e i figli?"

"Sarebbe come una coppia che non gli nascono, che magari uno dei due è sterile."

"Ma quelli, almeno, possono sempre adottare un orfanello. I gay non possono, invece."

"Infatti penso che è ingiusto. Ma dicono che un bambino non può essere adottato dai gay e neanche dai single, perché un bimbo ha bisogno di tutti e due i genitori, un maschio e una femmina, per crescere bene."

"Che cazzata! Se fosse vero, allora bisognerebbe togliere i figli a chi resta vedovo, a chi divorzia e non si risposa. E poi, non è meglio per un orfano avere un genitore solo piuttosto che nessuno?"

"Dicono che due genitori dello stesso sesso sarebbe un esempio sbagliato per i piccoli."

"Sì, perché? Nostro padre è stato un bell'esempio per noi? Solo perché non è dello stesso sesso di nostra madre? E in certe famiglie è pure peggio che per noi. Io credo che per un ragazzino o una ragazzina sarebbe meglio avere due genitori dello stesso sesso, ma che si amano per davvero, piuttosto che due genitori di sesso diverso ma che si odiano o che se ne fregano uno dell'altro."

"In America, pare che una coppia gay può anche adottare."

"A te, Vanni, piacerebbe un giorno poter adottare un figlio?"

"Non lo so ancora, ma forse sì."

"Chissà perché tanti disprezzano i gay?" chiese Francesco.

"E perché tanti disprezzano i negri, o gli ebrei, o gli zingari o i marocchini? Forse perché sentono di valere poco, e allora devono trovare qualcuno da dire che vale meno di loro, così si sentono migliori."

"Forse. Ma se invece di cercare di diventare migliori e cercare di valere di più fanno così, valgono poco per davvero. Mi fa pensare a quelli che fanno una gara e si accorgono che non sono capaci di vincere, e allora cercano di danneggiare gli altri in modo che non vincono, così loro arrivano primi. È una cosa sporca e meschina, una cosa disonesta."

"Eppure succede." commentò Giovanni.

"Sì, come sucede che c'è chi ruba per stare meglio degli altri, come c'è chi ammazza, magari per rubare quattro soldi per comprarsi la droga. C'è chi ruba a una vecchietta che ha una pensione minima che le basta solo per tirare a campare, magari per comprarsi la macchina! Come l'altro mese quel disgraziato che ha rubato la pensione alla povera Salvina di Tetti Pozzo, facendola finire all'ospedale, solo perché voleva comprarsi lo stereo! Io a uno così lo ammazzerei. Anzi no, lo sbatterei in una cella e butterei via la chiave."

"C'è anche chi ammazza un ragazzo solo perché è gay, uno che nemmeno conoscono, come quei tre bulli di Roma, l'anno scorso. L'hanno ammazzato a calci!"

"Quelle bestie, adesso che stanno in galera, spero che lo prendano in culo da tutti gli altri carcerati, giorno e notte, così imparano!" disse Francesco indignato. "Cazzo, se qualcuno provasse a torcerti un capello solo perché sei gay, gliela farei pagare cara!"

"Non è con la violenza che si rimedia alla violenza, Francesco."

"E come, allora? Quelli non ragionano, sono bestie."

"Se la nostra società non disprezzasse i gay, quei bulli neanche ci pensavano a dare addosso a un gay. Quando succedono questi drammi, chi sono le vittime? Sempre e solo gente che gli altri disprezzano: un barbone, un immigrato, un gay. E allora quei bulli si sentono giustificati. I nazisti ammazzavano gli ebrei perché dicevano che erano una razza inferiore, che non erano veri uomini. Proprio come qualcuno dice di noi gay, che non siamo veri uomini."

"Dio santo, in che mondo viviamo!" disse a bassa voce Francesco.

"Un po' meglio di una volta sta andando: una volta i gay li bruciavano sul rogo... e fino a pochi anni fa sbattevano in galera due maschi solo perché facevano l'amore fra loro. Le cose stanno migliorando, anche se molto lentamente."

"Sarà, ma tu ancora non puoi vivere la tua vita alla luce del sole. Tu non puoi neanche presentare il tuo ragazzo a papà e mamma, come invece potrò fare io quando avrò una ragazza. Tu non puoi neanche rischiare di far capire a un collega che ti piace. Che cazzo di vita è?"

"Ma io, per lo meno, ho due fratelli che sanno di me e mi vogliono bene. Certi ragazzi, se si viene a saperlo in casa, li cacciano via, li sbattono per la strada. Io sono più fortunato di altri."

"Ti accontenti di poco, Vanni..."

"Mi accontento di quello che posso avere."

"Dicono che chi si accontenta gode, ma secondo me se tutti si accontentano le cose non cambiano."

"D'altronde, che ci possiamo fare, tu e io? Andare in giro per il paese con un cartello sul petto e uno sulla schiena con su scritto: rispettate i froci?"

Francesco ridacchiò: "Forse, se avessimo abbastanza fegato per farlo, sarebbe una cosa giusta."

"No, Francesco, avremmo solo tutto il paese contro e ci renderebbero la vita impossibile, e mica solo a te o a me, ma a tutta la nostra famiglia. Io non mi sento di essere un eroe e tanto meno un martire."

"Neanche io, è vero, però... qualcosa si dovrebbe poter fare, si dovrebbe fare."

"Io credo che se per esempio un tuo amico, qualcuno che conosci, parla male dei gay e li disprezza, puoi farlo riflettere e fargli capire che sbaglia. Se tutti facessero così, le cose cambierebbero un po' più in fretta. E poi, vedi, se parlo a favore dei gay io e gli altri sanno che sono gay, non mi stanno nemmeno a sentire. Ma se parli a favore dei gay tu, che tutti sanno che non sei gay, magari ti danno più retta."

"Sì... l'importante è non stare zitti. Io qualche volta sono stato zitto, prima, quando qualcuno faceva una battuta cattiva sui gay, e ho fatto male. Ma ti prometto che non starò più zitto, da ora in poi."


Pagina precedente
back
Copertina
INDICE
10oScaffale

shelf

Pagina seguente
next


navigation map
recommend
corner
corner
If you can't use the map, use these links.
HALL Lounge Livingroom Memorial
Our Bedroom Guestroom Library Workshop
Links Awards Map
corner
corner


© Matt & Andrej Koymasky, 2015