Giovanni si era inserito bene nel suo posto di lavoro e gli piaceva abbastanza farlo. Dopo sei mesi di viaggi avanti e dietro, aveva infine deciso di trovarsi una stanzetta in affitto nel capoluogo, e tornava a casa solo nei fine settimana. Questo gli aveva dato una maggiore libertà; così infatti, finito l'orario di lavoro, aveva parecchio tempo tutto per sé.
Cercò allora la sauna in cui una volta l'aveva portato Gianni, sperando di incontrare qualcuno con cui potersi appartare in una delle stanzette di "relax"... Non se ne ricordava né il nome né l'indirizzo, ma una volta che riuscì a incontrare Gabriele, gli chiese se lui ne sapesse qualcosa. L'uomo gli spiegò come andarci, e gli dette anche alcuni consigli.
Con Gabriele era riuscito a fare l'amore un paio di volte, e sempre con moltissimo piacere, ma l'uomo era molto occupato, specialmente negli orari in cui Giovanni era libero.
Una sera, quindi, Giovanni andò nella sauna: quando vi fu di fronte riconobbe il posto. Entrò, pagò alla cassa, andò a spogliarsi nel locale degli armadietti e, con l'elastico con la chiave al polso, un asciugamano attorno ai fianchi e l'altro su una spalla, andò a farsi una doccia.
Nel locale docce c'era un paio di uomini, che subito gli misero gli occhi addosso, ma a Giovanni proprio non piacevano, perciò rimase sulle sue, per scoraggiarli. Il locale docce era diviso in box dalle pareti di vetro opaco ma non avevano porta né una tenda. Uno dei due uomini si infilò sotto la doccia nel suo box, ma Giovanni gli disse, con gentilezza, di uscire, perché lui aspettava il suo amico. L'altro, per sua fortuna, lo lasciò in pace.
Dopo essersi lavato, Giovanni entrò nel locale sauna. Qui c'erano altri tre uomini, e uno stava succhiandolo a un altro, mentre il terzo li guardava e si masturbava. Giovanni era un po' eccitato dalla scena, ma non gli andava di esserne coinvolto, perciò sedette nell'angolo più lontano dai tre, tenendo l'asciugamano attorno ai fianchi. Dopo un po' uscì e andò a fare un'altra doccia. Dei vari clienti della sauna, che parevano errare qua e là come anime in pena, non ce n'era nessuno che attraesse Giovanni.
Era già un po' che alternava sauna e doccia e stava pensando di andarsene, quando vide entrare un ragazzo più o meno della sua età, che gli sembrò molto bello. Era alto e snello, aveva capelli rosso-castani e ricci, e una catenina d'oro al collo. Il nuovo arrivato si guardò attorno e il suo sguardo si soffermò un po' più a lungo su Giovanni. Poi entrò nella stanza delle docce. Giovanni lo seguì immediatamente. Con suo disappunto, nel locale docce c'erano altri due clienti, che stavano parlando fra di loro ad alta voce, facendo battute e ridendo.
Quando il ragazzo e Giovanni entrarono, tacquero per un momento, poi uno salutò il nuovo arrivato con un ampio sorriso.
"Oh, Enrico! Era già un po' che non ti si vedeva, Come stai?"
Il ragazzo rispose, ma senza sorridere: "Bene, Sal, e tu?"
"Bene e col cazzo duro!" rispose quello arcuando in avanti il bacino e mostrandolo.
"Sai sempre e solo parlare di cazzi tu!" gli disse il ragazzo che si chiamava Enrico, in tono neutro.
"Siamo qui per questo no? Anche se tu fai la preziosa, sei qui per un bel cazzo, no?" gli disse l'uomo con sarcasmo.
"Certo non per il tuo. Dovresti saperlo, ormai." lo rimbeccò il ragazzo ed entrò in un box, togliendosi l'asciugamano dai fianchi e iniziando a lavarsi.
I due uomini fecero ancora qualche battuta grossolana, poi uno disse, rivolto a Giovanni: "E tu, bellezza, come ti chiami? Sei nuovo, tu, non ti avevo mai visto, prima."
"No, non sono nuovo, sono usato." rispose Giovanni.
L'uomo, stando ritto davanti al box di Giovanni, si stava masturbando: "Lo vuoi tu, il mio bel cazzo nel culetto, o sei anche tu una principessa sul pisello come la nostra Enrichetta?"
"Sì, sono anche io una principessa sul pisello. Niente da fare." gli rispose Giovanni guardandolo con una certa durezza: si era sentito seccato da quel modo di fare.
"Non ci hai ancora detto il tuo nome, principessa." gli disse l'altro accostandosi al suo box.
"Ah, te ne sei accorto? Allora sei meno tonto di quello che credevo." gli rispose Giovanni battagliero.
"Oh, senti senti la puttanella! Ma dai, che ti stai sbavando addosso dalla voglia di cazzo!" disse quello.
"Ah, è il tuo cazzo quell'affaruccio che ti ritrovi fra le gambe? Io credevo che fosse una pustola!" gli rispose Giovanni sempre più seccato.
L'altro uomo rise e disse: "Morde, la signorina. Eh? Lasciala perdere, non vedi che con te non ci sta?"
"All'inizio dicono tutti di no, ma poi ti pregano in ginocchio di fotterli. Hanno più fame di cazzo 'sti ragazzini che noi fame di culo! Non è così, bellezza?" disse il primo uomo guardando Giovanni con un ghigno.
Giovanni continuava a lavarsi, senza perdere d'occhio i due che sostavano davanti al suo box, e non rispose.
"T'ho fatto una domanda, bellezza. Non fare la maleducata, rispondi a paparino."
"Vorresti insegnare tu l'educazione a me? Ma se non sai neanche distinguere un maschio da una femmina! Levati dai coglioni, lasciami in pace."
"Per levarmi dai coglioni, dovresti averli, puttanella." gli disse quello allungando una mano.
Giovanni stava per reagire quando con la coda dell'occhio vide un rapido movimento. Il ragazzo che si chiamava Enrico era uscito dal suo box, aveva preso il braccio dell'uomo e glielo stava torcendo dietro la schiena, facendogli fare una smorfia di dolore.
"Vuoi che te lo spezzi, stronzo? Non vi è bastata la lezione dell'ultima volta?" gli disse con voce glalciale.
Poi lo spinse verso la porta. L'altro uomo vi si stava già avviando, in silenzio. Enrico lasciò il braccio dell'uomo e lo spinse fuori dal locale docce.
Quando, chiusa la porta, si avviò verso il proprio box, Giovanni gli disse: "Cazzo, ne hai fegato, a metterti contro quei due bauli... Grazie, comunque."
"Quelli sono come i cani: abbaiano soltanto per farsi credere forti, ma sono solo dei vigliacchi."
"Ma sono tutti così, qui dentro?"
"No, ma quei due li conosco. E dopo l'ultima lezione che gli ho dato, non ci provano più a fare gli stronzi con me."
"Ti chiami Enrico, vero? Io mi chiamo Giovanni... gli amici mi chiamano Gio."
"Posso chiamarti Gio, allora?"
"Certo, mi fa piacere. Ti incazzi se ti dico che sei bello?"
Il ragazzo sorrise: "Non che non mi incazzo, anzi... Anche tu sei bello. Ti va se ci laviamo insieme?"
"Sì, anche se..."
"Anche se?"
"Se ci laviamo insieme, mi fai crescere la voglia."
Enrico sorrise: "Se mai, dopo, possiamo prendere una stanzetta di relax per togliercela. Che ne dici?" chiese entrando nel box di Giovanni con un sorriso.
"Un bel programma. Ci sto. Pensavo quasi di andarmene, quando sei entrato tu..."
"Hai fretta?"
"No, è che non c'era nessuno che mi piacesse, prima che entrassi tu."
Si lavarono l'un l'altro, eccitandosi a vicenda. Quando Giovanni, dopo essersi sciacquati, chiuse l'acqua, Enrico, prendendogli per la prima volta in mano il membro dritto, gli disse: "Però... a me piace solo prenderlo. Tu lo metti?"
"Se ti fa piacere, sì."
"Ottimo. Sei di qui, tu?"
"No, sto qui solo durante la settimana. Nei week-end torno al paese."
"Hai il ragazzo?"
"Io no. E tu?"
"Io sì."
"E non è geloso il tuo ragazzo? Lo sa che vieni qui?"
"Sì che lo sa; e no che non è geloso. Quando lui fa il turno di notte, non gli importa se vengo qui. Gli basta che sto con lui quando non fa il turno di notte."
"Vivete assieme?"
"Sì, da due anni."
Enrico passò alla cassa, pagò una stanzetta e ritirò la chiave.
"Ci hanno dato la numero sette. Vieni." gli disse. Giovanni lo seguì.
Enrico aprì la porta e accese la luce: "Preferisci farlo con la luce così, con le mezze luci o al buio?" gli chiese mentre bloccava la porta.
"Come preferisci tu." rispose Giovanni togliendosi l'asciugamano dai fianchi e stendendolo sul morbido pavimento assieme all'altro, come aveva fatto quella volta con Gianni.
"A me piacciono le mezze luci: ti permettono di vedere senza dare fastidio." disse il ragazzo facendo scattare gli interruttori: ora solo due basse luci azzurre illuminavano la stanza, tinteggiata di verde.
In un angolo c'era uno sgabello e una panca e fra questi un basso cubo con sopra un cestello pieno di preservativi, bustine di lubrificante e una scatola di cleenex. Sotto al cubo c'era un cestino per la carta straccia, con dentro qualche cleenex appallottolato, bustine strappate e preservativi usati.
Al muro c'era un interfonico. Indicandolo, Enrico disse: "Prima, ti va se ordino qualcosa al bar?"
"Come vuoi tu..."
"Cosa ti va di bere?"
"Un latte-menta freddo, se ce l'hanno."
"Credo di sì." disse Enrico, prese l'interfonico e premette un pulsante. Dopo poco disse: "Per favore, un tropical e un marocchino, per favore, al numero sette. Dai la ricevuta alla cassa, li pago quando rendo la chiave."
Si girò verso Giovanni: "Ecco fatto. Quanti anni hai, Gio?"
"Diciannove."
"Te ne davo un paio in più. Io ne ho ventisei."
"Io te ne davo almeno cinque di meno!" esclamò Giovanni stupito.
"Sì, lo so che sembro più giovane. È perché quasi non ho peli sul corpo."
"E anche perché hai un sorriso molto fresco." gli disse Giovanni.
Bussarono alla porta. Enrico andò ad aprire e prese il vassoio. Il barista gli disse: "Ah, sei tu, Enrico? Non avevo riconosciuto la tua voce. Buon divertimento."
"Conosci tutti tu, qua dentro." gli disse Giovanni.
"Saranno almeno sette anni che vengo qui, appena sono diventato maggiorenne. Prima non mi facevano entrare. È qui che ho conosciuto il mio Severino."
"Fa il turno di notte? Che lavoro fa?"
"Receptionist in un albergo vicino alla stazione."
"E tu, che lavoro fai?"
"Istruttore di Ju-jitzu."
"Ecco perché quelli avevano paura di te!" disse Giovanni, sedendo sulla panca e iniziando a sorbire il suo latte-menta.
Enrico annuì: "E anche perché sanno che sono amico del proprietario della sauna e posso fare in modo che non li lasci più entrare."
"È gay, il padrone della sauna?"
"No, è bisessuale. È sposato e ha tre figli, ma si fa quasi tutti i ragazzi che lavorano qui."
"Lo fa anche coi clienti?"
"No, mai. Dice che non vuole che i suoi clienti accampino pretese, poi."
"Ma la sua famiglia sa che lui si fa i suoi dipedenti?"
"Sì, lo sanno. I tuoi sanno di te?"
"Solo due dei miei fratelli. E i tuoi di te?"
"Sì, lo sanno. Conoscono anche il mio Severino. A Natale o per altre occasioni invitano sempre anche lui."
"Che bello. Sei fortunato."
"Sì. Quelli di Severino, invece, l'hanno caricato di botte e cacciato di casa, quando lui gliel'ha detto."
"Come credo che farebbe mio padre."
"E i tuoi fratelli?"
"I due che lo sanno mi vogliono bene come prima, per fortuna."
Enrico scivolò giù dalla panca e si inginocchiò fra le gambe di Giovanni. Gli carezzò i genitali: "T'è rimasto duro per tutto questo tempo. Devi proprio avere voglia..." disse. Lo baciò e lo leccò per un po'. "Anche io ho voglia. Dal primo momento che t'ho visto, ho proprio voglia di farlo con te!" aggiuse poi, e glielo prese tutto in bocca.
Giovanni gli carezzò i capelli e le spalle e guardò in giù: gli piaceva vedere il proprio membro scomparire e apparire fra le labbra dell'altro, pensò che fosse una visione molto erotica. Ogni tanto Enrico sollevava gli occhi e, incontrando il suo sguardo, gli sorrideva, continuando a succhiarglielo ad arte.
Dopo un po', Giovanni gli chiese: "Ti va di fare un sessantanove? Ho voglia di succhiartelo anche io."
"Sì, stendiamoci per un po'. E poi me lo metti, d'accordo?"
I due ragazzi si stesero su un fianco e si allacciarono di nuovo, dandosi piacere a vicenda. Enrico carezzava i fianchi e la schiena del compagno e questi gli impastava piacevolmente le natiche, stuzzicandogli di tanto in tanto il foro nascosto.
Enrico si staccò da lui e lo fece alzare in ginocchio. Lo abbracciò e gli dette un lungo bacio in bocca.
"Mettimelo, dai... sto morendo dalla voglia!" gli disse Enrico. Prese un preservativo e lo infilò al compagno, poi prese una bustina di lubrificante e preparò il proprio buchetto. Si alzò in piedi, poggiò entrambe le mani sulla parete e sporse in fuori, il culetto. Girò la testa verso Giovanni: "Dai, Gio, mettimelo, fammi godere!"
Giovanni si alzò in piedi, con una mano cinse la vita del compagno e con l'altra gli diressa la sua dura asta fra le natiche. Individuato il foro, iniziò a spingere. Enrico spingeva lievemente in dietro, e dopo una breve resistenza, il suo sfintere si rilassò di colpo sì che il paletto di Giovanni gli scivolò tutto dentro.
"Ah... finalmente. Dai, Gio, dai!" lo incoraggiò.
Giovanni gli prese il membro con una mano, mentre con l'altra gli carezzava petto e ventre, e iniziò a muovere avanti e dietro il bacino con calibrato vigore.
"Sì, così... mi piace..." mormorò Enrico spingendosi contro di lui.
Giovanni, a ritmo con le sue spinte, masturbava Enrico, che gemeva a bassa voce a ogni affondo, manifestando così il suo piacere e apprezzamento.
Dopo un po' di quella gradevole attività, senza preavviso, Enrico raggiunse l'orgasmo, e le sue contrazioni scatenarono quello di Giovanni, che gli si scaricò dentro con una serie di spinte vigorose. Quando tutto fu compiuto, i due ragazzi si fermarono ansanti. Poi Giovanni si ritrasse, Enrico si girò e lo guardò con un ampio sorriso.
"Sei stato forte, m'è piaciuto un sacco come m'hai preso, Gio!" gli disse, poi aggiunse: "Spero di incontrati ancora."
"Anche io. Tu vieni qui spesso, in una sera fissa?"
"No, solo quando Severino fa il turno di notte, e neanche sempre; a volte resto a casa o esco con gli amici. I turni di Severino cambiano ogni settimana, perciò non sono in grado di prevedere quando posso venire qui."
Giovanni tornò in sauna diverse volte, anche se non spesso. Sperava di incontrare di nuovo Enrico, ma non gli capitò più di incontrarlo. A volte combinava con qualcuno, a volte no, e tornava nella sua cameretta con la voglia addosso. Ma anche quando combinava, non era mai veramente soddisfatto, perciò non cercava di rinnovare quegli incontri.
Solo una volta, un mercoledì sera, mentre stava seduto al bar della sauna a bere il suo solito latte-menta, arrivò un ragazzo che ordinò qualcosa e sedette sullo sgabello accanto al suo. Era un ragazzo dal volto grazioso, anche se non bello, aveva capelli biondi, ossigenati, e aveva un corpo ben fatto. Giovanni si sentì attratto dall'altro.
"Ciao, mi chiamo Gio." gli disse, facendogli un sorriso.
Il ragazzo rispose al suo sorriso: "Ciao, io sono Alberto."
"La prima volta che vieni qui in sauna?"
"No la seconda. I miei si sono trasferiti qui solo un mese fa. Tu ci vieni spesso, in questa sauna?"
"Circa una volta alla settimana. Sei uno studente?"
"Sì e no. Lavoro in un negozio come commesso, e ogni sera vado a scuola di ballo. Ci vado da quando avevo sei anni."
"Allora sai ballare bene, ormai."
"Non ancora abbastanza da diventare un professionista come piacerebbe a me, ma sì, ballo piuttosto bene."
"Danza classica o moderna?"
"Classica. E tu che fai?"
"Lavoro in ufficio. Come mai stasera non sei a scuola?" gli chiese Giovanni.
"Le lezioni sono lunedì, martedì, giovedì e venerdì. I miei credono che ci vado anche di mercoledì, così ne approfitto per venire qui."
"Dove abitavi, prima?"
"A Perugia. E prima ancora a Bologna, e prima ancora a Caserta... Mio padre viene trasferito spesso da una sede all'altra così dobbiamo traslocare ogni due, tre anni. Ogni volta riesco appena a farmi qualche amico, che devo ricominciare tutto da capo. E anche per la scuola di ballo, ho dovuto cambiare non so quanti insegnanti."
"Perciò non hai neanche un ragazzo..."
"Esatto. E tu?"
"No, se l'avessi non sarei qui." gli disse Giovanni con un sorriso.
"Ah, sei un tipo fedele, tu?"
"Se si è innamorati, mi pare logico essere fedeli, no?"
"Non lo so. Forse hai ragione tu, ma non lo so. Ma come mai non hai un ragazzo? Sei molto bello, tu."
"Grazie. Anche tu mi piaci."
"E come mai non hai un ragazzo?" insistette Alberto.
"Non ho ancora trovato la persona giusta." gli disse Giovanni. Poi gli posò una mano su una coscia, cominciando a carezzarla lieve.
Dopo un po' Alberto gli prese la mano e la spostò sotto il proprio asciugamano, facendosi toccare il membro eretto: "Senti che effetto mi fai?"
Giovanni sorrise e annuì: "Se prendo una stanzetta relax per un'ora o due, ci vieni?"
"Solo per un'ora, poi devo tornare a casa."
Una volta che furono in una delle stanzette dalle pareti verdi, anche se questa aveva il pavimento ricoperto da una moquette grigio topo e con una serie di cuscini quadrati coperti con una pelliccia sintetica tigrata, stesero i loro asciugamani e, in ginocchio su questi, si abbracciarono e si baciarono, mentre si carezzavano su tutto il corpo.
"Cosa ti piace fare, Gio?" gli chiese il ragazzo con voce roca per l'eccitazione.
"Un po' di tutto."
"Anche a me..." gli disse l'altro con un sorriso compiaciuto e scese a suggergli i capezzoli.
Se li succhiarono l'un l'altro a vicenda, ogni volta spaziando più lontano, finché si unirono in un piacevole sessantanove. Alberto si era steso sotto e Giovanni gli stava sopra a quattro zampe. Quando si sentivano troppo vicini al punto senza ritorno, smettevano e si baciavano in bocca, e parlavano un po'.
"Quando è che hai capito che sei gay?" gli chiese Alberto.
"Avevo quindici anni. Il capitano della mia squadra di calcio, che aveva diciassette anni, una volta mi ha baciato e così... E tu?"
"Io ne avevo quattordici. Anche se era già un po' che m'ero accorto che mi eccitavo solo a guardare un bel corpo maschile e che le donne non mi facevano nessun effetto. La mia prima volta, quando avevo quattordici anni, appunto, è stata con ragazzo di diciannove. Ero andato in un negozio per comprare il disco del Bolero di Ravel. Lui mi guardava, io lo guardavo, lui mi guardava di nuovo, io lo guardavo di nuovo... poi lui ha attaccato bottone.
"Siamo usciti assieme dal negozio, chiacchierando. Cose come la musica che gli piaceva e quella che piaceva a me. Poi lui m'ha detto che anche a lui piaceva il Bolero, e mi ha chiesto se mi andava di andare a casa sua per farglielo sentire... io gli ho detto di sì, sperando che il suo invito non fosse solo per sentire la musica, perché già da un po' desideravo fare con un altro ragazzo quelle cose che avevo immaginato. Abbiamo messo su il mio disco, lui m'ha offerto qualcosa da bere... poi mi ha chiesto se gli facevo vedere come ballavo il Bolero di Ravel.
"Io mi sono tolto le scarpe e ho accennato qualche passo, finché lui m'ha preso fra le braccia e m'ha baciato in bocca e m'ha detto che aveva voglia di fare l'amore con me. M'ha portato sul letto dei genitori, mi ha spogliato e si è spogliato... e m'ha insegnato a fare l'amore."
"E ti è piaciuto." commentò Giovanni con un sorriso.
"Sì, anche se la prima volta che me l'ha messo non mi piaceva troppo, mi faceva un po' male, lui ce l'aveva un po' troppo grosso per me che ancora non l'avevo mai fatto. Però mi è piaciuto quando se l'è fatto mettere lui. Poi mi sono abituato anche a prenderlo e mi è piaciuto anche farmelo mettere."
"Siete restati assieme a lungo?"
"No, solo sette mesi, perché poi mio padre è stato trasferito."
"Non eravate innamorati, comunque."
"No, semplicemente ci piaceva farlo assieme. Anche perché lui aveva già parecchia esperienza, ci sapeva fare, a letto."
"T'aveva preso già quella prima volta?"
"Sì... gliel'ho chiesto io. Volevo provare proprio tutto, dopo tante fantasie fatte da solo mentre me lo menavo."
"E con gli altri ragazzi che frequentavano la tua scuola di ballo?"
"Se l'abbiamo fatto? Qualche volta sì... Siamo in parecchi gay, fra noi ballerini, anche se non tutti. Una volta, con tre compagni, a casa di uno di loro, abbiamo messo su un disco e abbiamo fatto una coregrafia... quella che stavamo preparando a scuola... ma noi tre ci avevamo incluso anche il sesso!" disse Alberto ridacchiando.
"Mi sarebbe piaciuto assistere a una coreografia come quella!" gli disse sorridendo Giovanni.
Riresero a fare l'amore. Poi Alberto penetrò Giovanni, facendolo mettere a quattro zampe.
Durante una nuova pausa, Alberto gli disse: "Tu l'hai mai fatto in tre o in quattro o più?"
"No mai. Non so nemmeno se mi piacerebbe."
"È divertente, qualche volta. A Caserta uno dei nostri maestri una volta ci ha invitato a casa sua. Ognuno che arrivava doveva spogliarsi nudo, poi entrare in una stanza completamente buia e non parlare. Poi si girava, tentoni, e quando si toccava un corpo nudo, si faceva l'amore. Certe volte si era solo in due, certe volte pareva che fossimo tutti intrecciati, mani, bocche, cazzi e culi da ogni parte. È stato divertente. Era anche divertente cercare di capire con chi lo stavi facendo, solo toccandolo e esplorandone il corpo con le mani, perché la regola era che non si doveva parlare. Era facile capire quando era il maestro, perché era un po' più grosso di noi e abbastanza peloso. Per gli altri... potevi solo immaginartelo."
"Quanti eravate, quella volta?"
"Compreso il maestro, eravamo in otto. Ma lì al buio pareva che fossimo anche di più. Non so quante volte è venuto, ognuno di noi."
"Ma a te piace di più farlo in due o in tanti?"
"Dipende. C'è il pro e il contro in tutti e due i casi. Ma forse in tanti: c'è più varietà. Ognuno ha un modo diverso di scopare."
Ripresero a fare l'amore e questa volta Alberto volle farsi prendere. Fece stendere Giovanni sulla schiena, gli fece tornare ben duro il membro, vi infilò il preservativo, poi gli si accoccolò sopra facendosi prendere a smorzacandela. Giovanni pensò che il compagno faceva pensare a un cow-boy che fa un rodeo, per come gli si agitava sopra. Lo trovò divertente, oltre che piacevole. Dopo che fu venuto anche lui, i due ragazzi si stesero abbracciati e ripresero a parlottare.
"M'è piaciuto, Gio! Ci vediamo di nuovo? Se vieni il mercoledì, io sono qui che ti aspetto."
"Non avevi detto che ti piace la varietà?"
"Sì, ma tu mi piaci. Lo sai usare bene."
"Hai fatto quasi tutto tu..." gli fece notare Giovanni.
"No, tu partecipavi nel modo giusto, sia quando te l'ho messo, sia quando l'ho preso. Si sente che ti piace farlo, e soprattutto che non pensi solo a godere tu. Se il mercoledì vieni qui anche tu, preferisco farlo con te."
"Per me va bene."
Così Giovanni e Alberto si incontrarono una volta alla settimana. Prendevano un stanzetta per un paio di ore e, come la prima volta, un po' facevano l'amore, un po' chiacchieravano. Giovanni trovava molto gradevoli quegli incontri e Alberto gli piaceva. Non solo per farci l'amore, che facevano sempre con piacere e cambiando spesso posizione, prendendosi in piedi, seduti, sdraiati e in tutti i possibili modi. Ma anche solo chiacchierare, scherzare.
Quando Giovanni gli raccontò di quella volta che l'aveva fatto nel bosco con il ragazzo ebreo, Alberto gli disse: "Io non l'ho mai fatto con un ebreo. Ma una volta l'ho fatto con un ragazzo mulatto molto bello e molto caldo. Era figlio di un medico nato in Tanganika e di una madre italiana."
"Era anche lui un ballerino?"
"No, lui faceva il DJ in una radio privata."
"E come vi siete conosciuti?"
"In discoteca. Una discoteca gay. Lui ballava davanti a me, e a un certo punto mi dice che ballavo molto bene. Io gli ho detto che lui era molto sensuale: era vero, lo stavo proprio pensando. Siamo andati a sedere assieme e a chiacchierare. Lui mi carezzava, poi mi ha baciato..."
"Lì davanti a tutti?" chiese Giovanni un po' stupito.
"Beh, era una discoteca gay, no? Poi mi ha chiesto se avevo voglia di andare a casa sua per stare un po' insieme. Gli ho detto subito di sì. Già per la strada ero eccitato all'idea di fare l'amre con lui. Ero sulla sua moto e mi tenevo a lui con le braccia attorno alla vita, e ogni tanto ne approfittavo per toccarlo sulla patta: ce l'aveva bello duro.
"Arrivati a casa sua, entriamo... c'erano suo padre e sua madre in soggiorno che guardavano la TV. Dio se ci sono rimasto male. Ho pensato che voleva solo portarmi a casa per chiacchierare, non per fare l'amore, e ci sono rimasto proprio male. Lui saluta i genitori, mi presenta... ci sediamo anche noi in soggiorno, il padre spegne la TV... Si chiacchiera del più e del meno... Dio che pizza, pensavo io, completamente deluso.
"Poi lui si alza, mi prende per mano, e dice ai genitori che, siccome io non avevo troppo tempo, era meglio che andavamo in camera sua... a fare l'amore! Mica ha detto proprio quelle parole, ma qualcosa come per avere un po' di intimità, o qualcosa del genere. Credo di essere arrossito. Tanto più quando i genitori hanno detto qualcosa come: buon divertimento, ragazzi!
"Arrivati in camera sua, io gli ho chiesto se i genitori sapevano che m'aveva portato a casa sua per scopare. Certo, mi dice lui, certo che lo sanno. Quando ha visto la mia confusione mi ha spiegato che quando lui aveva quindici anni aveva detto i genitori che era gay, che ne vevano parlato, e che i genitori l'avevano accettato senza problemi. Sì, gli ho detto io, ma farlo in casa, quando ci sono loro... Lui m'ha detto che così i genitori erano più tranquilli che non faceva brutti incontri...
"All'inizio, all'idea che i suoi erano in casa, non riuscivo neanche a eccitarmi, Ma poi, al contrario, ero anche più eccitato a pensare che sapevano, e che per loro non era un problema. Beh, ero anche eccitato perché quel ragazzo era molto sensuale e molto caldo, si capisce. Abbiamo fatto l'amore, poi, dopo esserci rivestiti, lui mi ha accompagnato fuori. Quando siamo passati davanti al soggiorno, i genitori mi hanno detto di tornare, che ero benvenuto!"
Giovanni l'aveva ascoltato a bocca aperta: "Cavolo, tanti genitori non gli andrebbe nemmeno se uno ci porta la sua ragazza, a casa per scopare, e invece quelli... Ha dell'incredibile!" commentò.
"Vero? Proprio così."
"E sei tornato a casa di quel ragazzo?"
"Sì, parecchie volte. E mi stavo quasi innamorando di lui: era molto virile ma anche molto dolce. E i suoi mi trattavano come uno di famiglia. A volte mi invitavano anche a pranzo la domenica. Però, purtroppo, dopo quattro mesi e mezzo, mio padre è stato di nuovo trasferito e così..."
"Sei sfortunato, col mestiere di tuo padre. Ma che lavoro fa?"
"Ispettore delle ferrovie di stato. Di fatto, lui deve riorgnizzare un dipartimento che non va molto bene e, una volta che l'ha rimesso a posto, lo mandano da un'altra parte. Pare che sia bravo, nel suo lavoro."
"Ma adesso che sei maggiorenne, non potresti metterti per conto tuo, così non devi cambiare ogni volta che spostano tuo padre?"
"Ci ho pensato, ma... vivere da solo è scomodo. Dovrei farmi tutto io, da solo, lavare, stirare, far da mangiare, pulire casa, andare a fare la spesa... È più comodo restare in famiglia."
"Ma se vivessi da solo saresti anche più libero, no?"
"Sono abbastanza libero anche così."
"Sì, però devi mentire ai tuoi per venire qui il mercoledì. E puoi venirci solo una volta alla settimana. Non ti pesa?"
"Non troppo. Magari un giorno deciderò di fermarmi da qualche parte, chi sa? Ma per ora mi va bene così. A te piace vivere da solo?"
"Sto in una specie di pensione, non vivo veramente da solo. Ma quando avrò un po' più di soldi, voglio trovarmi un appartamentino tutto per me. In pensione non posso portarmi un amico, farlo fermare da me magari anche la notte, o anche solo farci l'amore. E mi piacerebbe, un giorno, trovare un ragazzo fisso e magari viverci insieme. Avere un posto tutto nostro."
"Sei un tipo romantico, tu." gli disse Alberto, ma senza ironia.
"Sì, forse. Mi piace scopare, ma mi piacerebbe anche di più fare l'amore."
"Aspetti il principe azzurro?"
"No spero solo di trovare prima o poi qualcuno che mi vuole bene e a cui voler bene. Allora diventerebbe il mio principe... e lo vedrei vestito di velluto azzurro, anche se indossasse jeans e T shirt!" gli disse Giovanni con allegria.
"Sì, sei davvero un romantico, tu."
"È una malattia molto grave?" gli chiese Giovanni, scherzoso.
"No, non è una malattia grave, anche se è quasi impossibile da curare. Comunque penso che è meglio essere romantico che cinico."