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una storia originale di Andrej Koymasky


VIAGGIO VERSO
SE STESSO
CAPITOLO 12
ESPERIENZE, SCOPERTE E INCONTRI

Era passato ormai un anno da quando Giovanni aveva lasciato Matteo. Gli mancava ancora moltissimo, il suo "ragazzo", ma in quell'anno non aveva più cercato incontri sessuali.

Una sera, dopo aver cenato come al solito nella sua pensione con gli altri ospiti, uscì per fre due passi. Bighellonò per la città, senza una meta. Si trovò a passare accanto al parco che si estende a nord-ovest della città. I lampioni lo illuminavano a sprazzi, lasciando alcune zone in semi-oscurità. Senza pensare, vi si inoltrò. Il parco pareva deserto, ma presto, nelle zone in ombra, notò aggirarsi scure silhouettes, che vagavano come anime in pena. Appartenevano chiaramente tutte a uomini.

Giovanni capì che si trattava di gay in cerca di un'avventura, e ricordò che aveva sentito dire che anche in quel parco si potevano fare incontri, ma che soprattutto ci si trovavano giovani marchette. Continuò a bighellonare, ma ora tutti i suoi sensi erano all'erta. Per la prima volta, dopo più di un anno di astinenza, sentì acuto il desiderio di avere un incontro di sesso.

Evitò con cura un paio di ombre di uomini tozzi e grassi. Girò ancora un po', ma nessuna delle ombre gli pareva attraente, per lo meno per quello che si può capire da una silhouette oscura. Si girò per traversare di nuovo il parco e uscirne. Forse faceva meglio ad andare in sauna, ma non ne aveva molta voglia, quel posto gli avrebbe ricordato troppo il suo Matteo.

Inattesa, da dietro un albero uscì un'ombra che quasi gli sbarrò la strada. Guardò: era un ragazzo giovane, dal corpo snello, il volto dolce incorniciato da corti capelli castano chiaro, sopracciglia ben disegnate e ben divise, occhi chiari chiari, sorridenti.

"Cerchi qualcuno?" gli chiese il ragazzo, "Ho visto te girare per parco, guardando attorno."

Giovanni sentì dall'accento che era straniero. "Sì... cercavo uno... uno come te. Mi piaci." disse facendogli un lieve sorriso.

"Anche tu piaci. Ma io faccio per denaro, no posso fare gratis."

Giovanni non era mai andato con una marchetta, ma aveva davvero voglia e quello era l'unico, nel parco, che gli piacesse davvero.

"Non ho molti soldi con me. Quanto chiedi?"

"Non molto a chi piace. Se tu dai venti io con te faccio quello che tu piace. Va bene?"

"Hai un posto o... o dobbiamo farlo qui?"

"Qui va bene, conosco posto dove se viene uno posso vedere subito. A me no piace fare davanti a altri, a me piace solo due."

"Anche a me. Se il posto è veramente sicuro..."

"Sì, sicuro. Io conosce bene quel posto. Tu viene?"

"Andiamo."

Giovanni lo seguì, e ne ammirava il procedere elegante e atletico. Il ragazzo indossava una camicia a maniche corte aperta su una maglietta bianca a maniche lunghe, e un paio di calzoni di jeans scoloriti, che gli fasciavano il bel culetto. Aveva scarpe da tennis ai piedi, senza calzini. Pensò che la curva del collo del ragazzo era deliziosa. Si sentì eccitato.

Quando il ragazzo si fermò e disse semplicemente "qui", Giovanni si guardò attorno e vide che erano ben nascosti a sguardi indiscreti ma che, dalla loro posizione, avrebbero potuto vedere in tempo se qualcuno si fosse avvicinato. Il ragazzo gli si era addossato e gli stava carezzando il petto da sopra la camicia.

"Come ti chiami?" gli chiese Giovanni sorridendogli e ammirandone il bel volto delicato e gentile eppure virile.

"Io Vlad. E tu?"

"Giovanni, ma gli amici mi chiamano Gio. Sei straniero, vero?"

"Sì. Io no parlo ancora buono italiano."

"Da dove vieni?"

"Da Romania."

"Sei un clandestino?" gli chiese Giovanni infilandogli una mano sotto la maglietta e carezzandogli il petto nudo: la pelle era liscia come seta e vellutata; era molto piacevole da toccare.

"No, io ho documenti di asilo politico. Io ho piccolo lavoro ma padrone paga molto poco, così vengo qui."

"Ma sei gay?" gli chiese Giovanni, carezzandogli ora la schiena.

"Sicuro che Vlad è gay da capelli su testa a punte di piedi. E a Vlad piace Gio. Posso chiamare te Gio?"

"Certo. Vlad sta per Vladimiro?"

"No, Vlad e basta, solo Vlad." rispose il ragazzo con un sorriso e con una mano saggiò la patta di Giovanni. "Tu già molto duro! Bene. Tu piace baciare?"

Giovanni non rispose, semplicemente avvicinò le labbra a quelle del ragazzo. Si baciarono. Giovanni carezzò e palpò il culetto del ragazzo, fasciato strettamente dai jeans.

"Gio vuole mio culetto, vero?"

"Se a te piace..."

"Sì a Vlad piace, con ragazzo bello come te. Vlad prima prende cazzo di Gio e fa pompa e così prepara, poi dà a Gio suo culetto. Bene?"

Giovanni sorrise e annuì. Poi si ricordò di non avere con sé i preservativi. "Tu hai un preservativo?" gli chiese allora.

"Vlad ha sempre preservativo, Vlad molto prudente. Mai senza preservativo, troppo pericoloso."

"Bene..." disse Giovanni. Gli piaceva il sorriso fresco e pulito del giovane rumeno, gli piaceva la sua voce allegra e dal tono lievemente cantilenante.

Il ragazzo gli aprì i calzoni e gli tirò fuori il membro già eretto e duro.

"Bello, anche tuo cazzo bello. Forte e no troppo grosso." disse il ragazzo guardandolo negli occhi con espressione sorridente.

Poi si accoccolò davanti a Giovanni e, dopo averlo leccato per un po', lo prese in bocca. Ci sapeva fare. Giovanni si guardava attorno per essere sicuro che non si avvicinasse nessuno. Dopo un po' Vlad si alzò in piedi.

"Adesso Vlad mette a Gio preservativo, poi Gio prende culetto a Vlad, bene?"

"Sì, certo."

Il ragazzo rumeno prese da una tasca un preservativo, lo infilò sul membro di Giovanni, poi si aprì i jeans e, assieme alle mutande color verde pisello, se li abbassò sulle ginocchia. Si voltò, chinandosi e poggiando le mani sulle ginocchia. Girò il capo a guardare Giovanni e gli sorrise invitante.

"Adesso Gio prende culetto di Vlad..."

Giovanni gli si addossò, gli circondò la vita con un braccio e, tenendo il proprio membro dritto con la mano libera, lo diresse sul foro del ragazzo rumeno e spinse. Gli scivolò dentro senza difficoltà, ciò nonostante sentì che il canale era stretto. Stretto e molto caldo. Un'onda di sottile piacere lo pervase. Quando gli fu ben premuto dentro, si mise a carezzare con la mano libera il petto di Vlad e iniziò muovergliesi dentro. Il ragazzo, a ogni immersione, gli spingeva il culetto contro il pube.

Non durò molto, era troppo eccitato. Dopo poco più di cinque minuti ragiunse l'orgasmo e venne con piacere, mentre Vlad faceva palpitare ad arte il caldo canale e lo sfintere.

Quando le contrazioni cessarono, Giovanni restò fermo per un po', quindi si sfilò lentamente. Vlad si girò, gli tolse il preservativo, lo gettò fra i cespugli, poi estrasse dalla tasca un fazzolettino di carta e ripulì delicatamente il membro, ora semiduro, di Giovanni.

"Tu Vlad non sei venuto. Come vuoi che ti faccia venire?"

"Vlad meglio se non venuto, Vlad deve cercare altri clienti. Ma Gio molto gentile a pensare a Vlad. A Vlad dispiace un poco fare pagare Gio, ma..."

"No, va bene. Eravamo d'accordo così, no?" disse Giovanni dopo essersi riassettato i calzoni, mentre anche Vlad si rimetteva in ordine.

Giovanni notò che Vlad aveva una bella erezione e capì che il ragazzo aveva gradito la loro unione. Tirò fuori le ventimila lire e le porse al ragazzo. Vlad le intascò.

"Tu molto gentile, tu prima anche chiesto nome, e poi pensato a fare godere Vlad. Tu molto gentile e bello. Se tu vuoi ancora Vlad, Vlad è contento."

"Chissà, può darsi... A me piacerebbe, ma mi piacerebbe farlo al chiuso, in un posto più sicuro e con meno fretta..."

Il ragazzo sorrise: "Anche Vlad se aveva posto, preferiva fare come dici tu. Preferiva stare con te su letto."

Poi il ragazzo tese la mano a Giovanni. Questi non si aspettava quel gesto, ma gliela strinse e lo guardò negli occhi facendogli un sorriso. Si accorse che le iridi del ragazzo erano di un bel grigio-celeste chiaro.

"Vlad spera proprio di vedere ancora Gio." gli disse.

"Anche a me piacerebbe, ma non so. Ti trovo sempre qui?"

"Sì, ogni sera, da buio a notte tardi. Se tu vuole Vlad però, non gira, tu aspetta vicino a statua di Garibaldi. Io gira e passa lì e se vede Gio va subito con lui, bene?"

"Sì, certo. Buona notte, Vlad, e auguri."

"Buona notte, Gio e grazie."

"Grazie?"

"Per tua gentilezza e per buona fottuta, sì. Grazie."

"Grazie a te, Vlad."

Giovanni tornò nella sua pensione e si mise a letto. Ripensò a Vlad e sorrise: era un ragazzo molto dolce, peccato che dovesse fare quella vita. Il loro incontro era stato troppo breve, si disse. Lui era venuto troppo in fretta.

Passò un mese e Giovanni andò a cercare Vlad due volte. Ci fece l'amore più o meno come la prima volta ma con maggiore calma, facendolo durare di più. La terza volta Vlad gli disse che gli piaceva proprio farlo con lui e di nuovo si scusò di chiedergli soldi.

Una sera Giovanni era in ufficio che lavorava al computer, scaricando da internet alcuni testi di leggi di cui aveva bisogno. Il suo capo passò da lui.

"Giovanni, è ora di tornare a casa."

"Vorrei finire di scaricare queste leggi."

"Come credi, ma sai che non possiamo pagarti lo straordinario, no?"

"Sì, certo, lo so. Spero di finire presto."

"Quando esci, passa dal custode e assicurati che venga a chiudere, mi raccomando."

"Certo, dottore."

Dopo una mezzoretta Giovanni aveva finito. Stava per spegnere il computer, quando gli venne un'idea.

Mise in un motore di ricerca il nome Matteo S* ed attese. Non ebbe nessun risultato. Allora, poiché ricordava il nome della ditta in cui Matteo lavorava, cercò il sito della ditta. Come sperava, nel sito c'era un motore di ricerca interno. Scrisse nella finestrella il nome Matteo S*, ma di nuovo ottenne solo la scritta "nessun risultato".

Allora provò a scrivere solo il cognome del suo Matteo... e risultarono due pagine. Eccitato, aprì la prima: era un comunicato interno.

"In data 31 gennaio 1997, il dottor Marco-Aurelio P*, che ricopriva la carica di capo dell'ufficio progetti, è stato cooptato come Consigliere nel CdA. Al suo posto è stato nominato il dottor Riccardo S*, pecedentemente vice-capo ufficio della sezione progetti. Vivi complimenti a tutti e due i nostri colleghi per la loro promozione, e auguri per la loro nuova attività, che certamente..."

Giovanni chiuse gli occhi, li riaprì e rilesse. Riccardo S*? Ma non era il cugino? Lavoravano tutti e due lì? Eppure no, Matteo aveva detto che Riccardo abitava là, nel comune dove sorgeva la baita...

Allora Giovanni tornò nel motore di ricerca esterno e digitò, questa volta, il nome "Riccardo S*". Compare un elenco di 23 link. Uno era la ditta in cui lavorava Matteo. Provò gli altri. Uno non poteva essere Matteo, parlava di un Riccardo S* troppo vecchio. Visitò i link uno dietro l'altro e, per un motivo o per un altro li scartò: uno era un tennista di fama nazionale, uno era di un'impresa di pompe funebri e così via.

Quando aprì il quattordicesimo link, vide che era la pagina degli ex allievi dell'università di ***. La fece scorrere e si fermò con un colpo al cuore: c'era una fotografia di Matteo, con un piccolo in braccio, uno in piedi davanti al lui, e a fianco una donna giovane e molto carina, con un neonato fra le braccia.

La legenda a fianco della fotografia, recitava: "L'ex allievo Riccardo S*, e sua moglie Giuliana, è lieto di annunciare la nascita del suo terzo figlio..."

Giovanni lesse e rilesse la scritta. Dunque, il suo Matteo in realtà si chiamava Riccardo! Non c'era alcun dubbio, si trattava di lui. La legenda diceva anche che lavorava nella ditta giusta...

Per un attimo Giovanni si sentì tradito, ingannato. Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi, di schiarirsi le idee. Poi scaricò l'immagine sul suo computer, accese la stampante e ne fece una stampa: era nitida e chiara. Guardò a lungo la foto sul foglio di carta: Matteo-Riccardo sorrideva ed era proprio il suo bellissimo sorriso. E il bimbo più grande in piedi davanti a lui, che con una mano si teneva ai calzoni del padre era indubbiamente suo figlio Andrea, riconosceva anche lui: una volta Matteo gli aveva mostrato una foto del figlio maggiore.

Si sentiva ingannato, ma al tempo stesso commosso per avere in mano quella foto. Si sentiva tradito eppure pieno di amore per quell'uomo. Cancellò il file dell'immagine dal computer e lo spense. Ripose la fotografia nella sua borsa, e scese a chiamare il custode. Aveva la testa e il cuore in tumulto. Una voce dentro di lui continuava a ripetere "Perché? Perché mi hai detto questa bugia? Io ti ho sempre chiamato Matteo e tu mi sorridevi e rispondevi e... e non era il tuo nome. Io ti avevo detto tutto di me, neanche una piccola bugia e invece tu..."

Tornò a casa, in pensione, e mangiò meccanicamente, più per abitudine che per altro. Poi si ritirò nella sua stanzetta. Si mise a letto, prese dalla sua borsa la foto e la guardò. Lacrime gli bagnarono gli occhi. "Eppure ti amo, stupido" mormorò a mezza voce.

Posò la foto sul comodino, spense la luce e si rincantucciò sotto le coperte, cercando di addormentarsi. Ma nella sua testa continuavano a vorticare, pensieri, immagini, parole...

"Forse... forse all'inizio mi ha detto un nome falso per prudenza... Mica sapeva se poteva fidarsi di me. Poi, man mano, si è aperto a me e mi ha detto sempre più dettagli della sua vita, tutti veri... e a quel punto magari si vergognava a dirmi che mi aveva detto un nome falso. Forse aveva paura che mi arrabbiavo e che lo mandavo a quel paese...

"Eppure... eppure ormai doveva sapere che lo amavo davvero, no? A quel punto sapeva che poteva fidarsi di me, che poteva dirmi qualsiasi cosa, che l'avrei capito... Perché non si è fidato di me? Perché non mi ha detto la verità?

"Però, forse non era una bugia, forse in realtà si chiama Riccardo Matteo e magari gli amici lo chiamano Matteo, un po' come me che a casa mi chiamano Vanni e gli amici Gio... Però io gli ho detto che il mio nome è Giovanni. Beh... Gio non è un nome, ma Vanni, c'è chi si chiama così...

"Non ha senso mentirmi sul nome, e poi dirmi il vero cognome, il vero nome della moglie, dei figli, della ditta in cui lavora... Perciò forse non era davero una bugia...e poi, chissà quale altro motivo, anche valido, può aver avuto per dirmi di chimarsi Matteo invece che Riccardo...

"Però, quando gli ho chiesto chi era Riccardo, lui mi ha detto che è il nome di suo cugino... e quella era una bugia... almeno credo. Beh, due cugini potrebbero anche avere lo stesso nome, anche se, con lo stesso cognome, ci sabbero stati problemi, perché avrebbe potuto creare confusione... Forse, se mi ha detto una bugia riguardo al suo vero nome, non se l'è sentita di dirmi che in realtà si chiamava Riccardo, perciò ha dovuto dire una seconda bugia..."

Giovanni era confuso: ora voleva giustificare Matteo, cioè, no, Riccardo, ora si chiedeva perché gli avesse mentito. Eppure, non aveva nessun dubbio, continuava a essere innamorato di lui. Ed essendo innamorato, non poteva che perdonarlo, anche se gli aveva detto una bugia... E il suo "ragazzo", ne era certo, non aveva simulato il suo amore per lui. Le sue lacrime, quando s'erano lasciati, erano sincere...

Faticò ad addormentarsi: aveva la testa troppo piena di emozioni e di pensieri che si accavallavano senza cessa. Ma infine scivolò lentamente nel sonno.

Il giorno dopo, appena uscì dal lavoro, andò a comprare una cornice, molto semplice ma bella, in legno di due colori. Tornato a casa, pose sotto il vetro la fotografia che aveva stampato, e pose la cornice sul suo comodino.

Quando, tornato al paese, raccontò a Francesco e Daniele la scoperta che aveva fatta, come s'aspettava Francesco si arrabbiò con Matteo-Riccardo, e disse al fratello che doveva dimenticarlo; Daniele invece gli disse che poteva aver ragione a giustificarlo, anche se ormai non aveva più molta importanza.

A notte confidò a Francesco i suoi incontri con Vlad.

"Possibile che ti vai sempre a cercare persone impossibili? Prima un uomo sposato che ti ha mentito, adesso una marchetta!"

"Mica sono innamorato di Vlad. Ho detto solo che quel ragazzo mi piace. Dopo tutto scopiamo e basta, no?"

"Sì, d'accordo, solo che non vedo perché un bel ragazzo come te deve pagare una marchetta per scopare!"

"Forse perché, pagandolo, sono più libero, no?" gli disse Giovanni.

"Sarà! Io però resto dell'idea che butti via i tuoi soldi."

Pensò che non aveva detto a Francesco che aveva messo la foto di Matteo-Riccardo in cornice sul suo comodino, nella stanza che aveva nella pensione. Pensò che non l'avebbe capito e che si sarebbe arrabbiato ancora di più. Anche se gli dispiaceva avere quel piccolo segreto con il fratello.

Per scacciare quello scomodo pensiero, gli chiese: "Come vanno le cose con Sandra?"

"Bene. Ah, sai, ci siamo messi d'accordo su quattro figli, come hai detto tu."

Giovanni ridacchiò: "Me se ancora non avete nemmeno deciso di sposarvi!"

"No, deciso no. Cioè, non ne abbiamo parlato chiaramente, ma stiamo tutti e due scivolando verso quella trappola."

"Se davvero credi che è una trappola, perché non ti fermi prima di caderci?"

"Già. Il fatto è che non vorrei, dopo un po' di anni, finire per avere un rapporto come quello di papà e mammma."

"Questo dipende da voi due, e specialmente da te."

"Perché specialmente da me?"

"Perché sta a te non diventare come papà, no?"

"Spero proprio di no."

"Papà e mamma hanno avuto una vita molto dura. Forse per quello sono diventati... come sono."

"Ma è proprio quando la vita è dura che si deve stare anche più vicini."

"Sì, Francesco. Ma dopo tutto sono restati vicini. Io credo che, a modo loro, si vogliono bene."

"O magari sono restati assieme solo perché da soli sarebbero affondati nella merda. Non per amore, ma per egoismo. Mamma perché non avrebbe più avuto una casa, papà perche da solo non sarebbe stato capace neanche di pulirsi il culo."

"Ma dai Francesco!"

"Tu hai sempre preso le difese di papà anche quando ti trattava male."

"Dopo tutto devo anche a lui se esisto, se sono vivo, se ho studiato, no? E dopo tutto, anche con il caratteraccio che ha, non mi ha fatto mancare niente, nel limite delle sue possibilità."

Francesco non rispose. Dopo un lungo silenzio, Giovanni chiese: "Dormi?"

"No, penso. Penso che tu sei sempre gentile con tutti e calmo e equilibrato. Penso che tu sei il migliore di noi cinque, in questa casa."

"Beh, sai..." disse Giovanni con auto-ironia, "Ci hanno provato quattro volte prima di riuscire a farne uno come me."

"Ecco perché io volevo cinque figli: almeno l'ultimo sarebbe stato come te!"

"Gay vuoi dire?" scherzò Giovanni.

"E perché no, se fosse davvero come te."

Tacquero di nuovo. Dopo poco tutti e due erano immersi nel sonno.

Quando Giovanni tornò al lavoro, andò diverse volte dopo cena al parco per incontrare Vlad, ma non lo vide mai. Dopo un paio di mesi, rinunciò a cercare di incontrarlo. Si chiese che fine avesse fatto il ragazzo. Ma dopotutto non sapeva niente di lui. Magari aveva trovato un buon lavoro e non aveva più bisogno di fare marchette. Si augurò che fosse così.

Navigando su internet al lavoro, quando era solo, scoprì una guida gay dei posti in Italia dove si può avere incontri erotici. Nell'elenco c'era anche la città in cui viveva. C'era la sauna, c'era il parco, e altri due posti: un cinema del centro e una birreria. Si scrisse gli indirizzi, deciso di andare a esplorare tutti e due i posti.

Per cominciare andò al cinema. Quello che vide nel locale lo disturbò: c'era gente che scopava in piedi, in un angolo in cui chiunque li poteva vedere, e anche in tre, quattro... Altri si facevano succhiare seduti nelle poltrone, anche di fianco a lui. Per non parlare dei cessi, che erano, oltre che maleodoranti, sempre pieni di gente che faceva sesso. Uscì dal locale sentendosi disturbato.

Pochi giorni dopo provò a andare alla birreria. Qui, a parte il fatto che sia il personale che i clienti erano tutti maschi, trovò un'atmosfera più "normale". La gente chiacchierava, beveva e spiluzzicava qualcosa, leggeva, scherzava. La clientela era variegata, sia quanto a età che come aspetto: da ragazzi più giovani di lui a uomini decisamente anziani, da tipi effeminati e leziosi a tipi vestiti in pelle e borchie, ad altri eleganti e distinti, o vestiti in modo casual, o anche firmato... c'era di tutto.

Nel complesso gli sembrò un ambiente gradevole. Ordinò una birra piccola e andò a sedere a un tavolinetto libero. Dopo poco il cameriere gli portò la birra con una scodella di patatine. Pagò e lasciò una mancia. Il cameriere ringraziò.

Poi gli chiese: "È la prima volta che ti vedo qui. Vieni da fuori?"

"Sì, sono qui per lavoro, ma tutti i week-end torno al mio paese."

"Ma durante la settimana abiti qui?"

"Nei giorni lavorativi, sì."

"Magari si potrebbe combinare una volta io e tu. Noi qui siamo chiusi il martedì sera."

Giovanni lo guardò stupito: non si sarebbe aspettato un approccio così diretto. Il cameriere lo guardava con un sorrisetto malizioso, aspettando una risposta. Il ragazzo lo guardò per qualche secondo senza dire niente, poi scosse il capo.

"Ma il martedì sera io sono aperto, non posso."

"Ah, lavori anche tu in un locale?" gli chiese il cameriere senza capire la battuta.

"No, lavoro in un inter-city." gli rispose Giovanni divertito.

"Ah, sei un ferroviere, tu?"

Giovanni pensò che quel cameriere doveva o essere tonto o, forse, lo stava prendendo in giro.

"No, sono un cameriere anche io." gli rispose Giovanni, spingendo oltre le sue battute.

"Ah, ho capito, lavori nel vagone ristorante."

"Sì." rispose Giovanni pensando che doveva essere proprio tonto.

Infatti il cameriere gli chiese: "E la paga è buona?"

"Paga sindacale." rispose laconico, chiedendosi fino a che punto poteva spingere il suo scherzo, prima che l'altro se ne rendesse conto.

"Io non ci lavorerei mai su un treno. A parte che deve essere stancante, lì mica puoi battere i clienti. Qui è meglio."

"Qualche volta si ha anche un colpo di fortuna, si può agganciare uno che ti piace e farci qualcosa."

"E dove?"

"Nelle toilettes, no? Sono abbastanza grandi e abbastanza pulite."

"Nelle toilettes?" chiese il cameriere sgranando gli occhi. "Ma se qualcuno vi vede uscire in due?"

"Non è mai successo, ma semmai direi che il cliente m'ha chiamato per sistemare lo sciacquone che non funzionava bene." inventò Giovanni. Poi aggiunse: "Io sono in uniforme, perciò la gente ci crederebbe, no?"

"Ma se è il capo-treno?"

"Oh, è frocio anche lui, nessun problema."

"Ah, allora sì, capisco." disse il cameriere. Poi gli disse: "Beh, ciao, adesso devo tornare al bancone. Mi dispiace che io e tu non possiamo combinare."

"Eh, che ci vuoi fare, è la vita!" gli rispose Giovanni cercando di non scoppiare a ridere.

Giovanni tornò diverse volte in quella birreria. Ogni volta quel cameriere lo salutava. Per quattro o cinque volte Giovanni restò da solo, a parte qualche scambio di battute con uno dei camerieri.

Una sera un uomo sui quaranta anni gli chiese se poteva sedere al suo tavolo. Il locale era pittosto pieno, perciò Giovanni gli fece un cenno di assenso. L'uomo sedette e gli offrì una sigaretta.

"Non fumo, grazie."

"Ah, beato te. Io non riesco a smettere. Ti dà fastidio se fumo?"

"No, no, faccia pure."

"Non mi dare del lei. Io mi chiamo Ottavio."

"Piacere. Io mi chiamo Giovanni."

"Mi ha detto Rolando che fai il cameriere sugli inter-city."

"Rolando?"

"Sì, quel cameriere che sta facendo il caffè."

"Ah, sì, lui... Mi sono licenziato. Adesso lavoro in un ufficio."

"Capisco. Ti avevo notato, sei un ragazzo molto bello, Giovanni."

"Grazie."

"Hai il ragazzo o sei single?"

"Sono single." rispose Giovanni, dicendosi che era la prima volta che sentiva quel termine applicato a lui.

"E... ti piace divertirti?"

"Divertirmi? Divertirmi come?"

"Qualche volta organizzo una festicciola a casa mia. Sei, sette amici... Tutta gente a posto, giovane... io sono il più vecchio. Non ti andrebbe di partecipare?"

"Ma, non saprei... Non... non ho mai partecipato a feste. Sono un ragazzo di campagna, io. Non conosco nessuno qui in città."

"Potrebbe essere un'occasione per conoscere gente, no? Tutta gente a posto, con buoni lavori: un maestro, un carabiniere, uno studente universitario, due commercianti di abbigliamento maschile, un corista dell'opera, un giovane architetto... gente scelta."

"Ah, vedo. E lei?"

"Io? Io sono un pubblicitario. Forse hai sento parlare dell'agenzia ***."

"Lavora lì?" gli chiese Giovanni che aveva sentito parlare di quell'agenzia.

"Mi appartiene, perciò ci lavoro. Hai mai visto alla TV lo spot che comincia con un cavaliere che cerca di estrarre la spada dalla roccia?"

"Quello? Sì. L'ha fatto lei?"

"Ti ho chiesto di darmi del tu... Sì, l'ho fatto io."

"È bello."

"Grazie. Allora, ti va di venire a una delle mie feste? Una volta, tanto per vedere se ti piace. Se ti va, poi ci vieni di nuovo, se no... amici come prima. È tutta gente bella, bella come te. E ci si diverte davvero."

"Ci posso pensare..." disse Giovanni incerto.

"Bene. Questo è il mio biglietto da visita. Se ti decidi, dammi un colpo di telefono, al lavoro o a casa. Spero che sia un sì... ne avrei veramente piacere."

"Grazie... Ottavio."

"Grazie a te, Giovanni. Specialmente se ti farai vivo." gli disse l'uomo e, alzatosi, gli porse la mano.

Giovanni la strinse e gli piacque la stretta dell'uomo: ferma ma non aggressiva.

L'uomo fece per allontanarsi, poi si girò di nuovo e gli disse: "Hai un bellissimo sorriso, Giovanni. Spero proprio che tu decida di venire almeno a una delle mie feste. Ciao." e se ne andò.

Il ragazzo non si sentiva fisicamente attratto da quell'uomo, ed era solo vagamente interessato dalla sua personalità, ma era abbastanza incuriosito a proposito delle feste di cui questi gli aveva parlato. Nello stesso tempo si chiedeva se fosse prudente andare a una festa con gente che non conosceva affatto. Da una parte poteva essere un modo per conoscere qualcuno, per farsi qualche amico nell'ambiente gay; dall'altra non aveva idea di che ambiente fosse, di che festa fosse e temeva di potersi trovare a disagio, se non peggio.

Rigirava il biglietto da visita fra le dita: dopo tutto Ottavio era un personaggio importante e conosciuto, anche oltre i limiti della città o della regione. Non pensava che si sarebbe esposto con lui, che non conosceva, se ci fosse stato qualcosa di male, di sbagliato nelle sue feste... qualcosa di illegale. Quelle feste potevano piacergli o non piacergli, e in questo secondo caso non ci sarebbe andato una seconda volta. Comunque non doveva decidere subito, avrebbe potuto pensarci su e decidere in seguito. Infilò il biglietto da visita in tasca e pensò ad altro.

Si guardò attorno e il suo cuore ebbe un sobbalzo, ma poi si calmò: gli era sembrato di riconoscere, pochi tavolinetti più in là, Matteo-Riccardo. Ma vide che non era lui. Che cosa avrebbe fatto, se fosse stato veramente l'uomo che ancora sentiva di amare?

Avrebbe voluto parlargli, dirgli che aveva scoperto la sua bugia; gli avrebbe chiesto di spiegargli perché gliel'aveva detta; gli avrebbe detto che, comunque, era ancora innamorato di lui... nonostante la bugia. Dopo tutto era stata una bugia di poco conto...

Nei giorni seguenti ripensò all'invito di Ottavio e si sentiva sempre più propenso a telefonargli e dirgli che accettava il suo invito. Dopo tutto poteva essere interessante conoscere altra gente come lui, avere la possibilità di fare qualche amicizia. Cercava di immaginarsi che tipo di festa potesse essere e l'immagine che formulava nella sua mente andava da quella di un'orgia sfrenata a quella di una noiosa riunione di pseudo-intellettuali.

Guardò fuori dalla finestra dell'ufficio e vide che stava cadendo la neve che, qua e là stava già attecchendo e imbiancando la città. Pensò che al paese doveva già essere tutto bianco, candido e si chiese se il lago piccolo fosse già ghiacciato. Provava un po' di nostalgia per il suo paese, anche se si trovava bene in città. Se solo avesse avuto amici lì in città, forse si sarebbe trovato bene anche in città, forse avrebbe provato meno nostalgia per il suo paese.

Prese il telefonino e il biglietto da visita di Ottavio e compose il suo numero di telefono al lavoro. Dopo poco riconobbe la voce di Ottavio.

"Buongiorno. Sono Giovanni, il ragazzo che hai incontrato in birreria..." disse esitante.

"Ah, ciao, Giovanni! Allora hai deciso." disse con voce allegra l'uomo. "Telefoni a proposito: giovedì sera facciamo una festicciola per il compleanno di un mio amico. Una cosetta intima fra pochi amici. Hai l'indirizzo di casa mia, vero? Sul mio biglietto da visita. Se vieni verso le sette, le diciannove cioè, si mangia qualcosetta assieme poi si passa la serata in allegria. Vieni, no?"

"Sì... grazie. Come mi devo vestire, per l'occasione?"

"Come vuoi. Com'eri vestito quando ci siamo conosciuti, per esempio."

"Devo portare qualcosa? Un regalo per il festeggiato?"

"No, no, niente. Se proprio vuoi, portagli una rosa, ma non è necessario. Dopo tutto non lo conosci e sei un mio invitato come lui, non suo. Puoi esserci per le diciannove?"

"Sì, va bene. Grazie."

"Grazie a te. Sono contento di averti con noi."


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