Giovanni si fermò davanti all'elegante palazzetto del '700, controllò il numero civico ed entrò nell'androne aperto. Si scosse via la neve dagli abiti e dai capelli, e guardò: sul fondo c'erano tre grandi porte a vetri: una dava sul cortile; una destra e una a sinistra davano su due eleganti scale. Guardò la campanelliera accanto alla porta di destra, poi quella accanto alla porta di sinistra. Qui vide il nome di Ottavio. Suonò il campanello. La porta a vetri si aprì con uno scatto e una voce dall'interfonico disse "primo piano!"
Salì, scuotendo via gli ultimi fiocchi di neve. Al primo piano c'era una sola porta, aperta, con un ragazzo sulla soglia che lo guardava con un lieve sorriso.
"Mi chiamo Giovanni..."
"Ah, sì, Ottavio mi ha detto. Entra, entra... Puntuale come il segnale orario, eh? Io mi chiamo Paolo. Manca solo il festeggiato e un altro e ci siamo tutti. Veni, siamo tutti nel soggiorno."
L'interno dell'appartamento di Ottavio contrastava gradevolmente con le strutture settecentesche del palazzo e della scalinata: era estremamente moderno, arredato in modo apparentemente povero e semplice, ma chiaramente costoso. Doveva essere l'opera di un arredatore di talento. Giovanni non aveva mai visto nulla di così... "quietamente lussuoso" come lo definì dentro di sé. Il contrasto fra i soffitti antichi, decorati con affreschi e stucchi, e il resto estremamente moderno e lineare era veramente gradevole. Gli ambienti erano illuminati in modo uniforme da sorgenti di luce abilmente nascoste. Il tutto, pensò Giovanni, aveva un che di "asettico" e lo faceva pensare più alle fotografie di ambienti moderni in una rivista di arredamento che a una abitazione reale. Comunque era bello.
Paolo lo introdusse in un'ampia sala. C'era Ottavio e altre tre persone, tutti d'età compresa fra quella di Ottavio e quella di Giovanni. Il padrone di casa lo accolse con un ampio sorriso, tendendogli una mano. Se la strinsero.
"Benvenuto, Giovanni! Ragazzi, questo è Giovanni. Lui è Dario, lui è Sergio, questo è Renato. Paolo l'hai già incontrato."
Un coro di "Ciao" e di "Piacere" si mescolò nell'aria. Avevano tutti un bicchiere in mano. Su un basso tavolo fatto di un'unica lastra di cristallo piegata come un'ampia e bassa "C" c'erano pistacchi, salatini, nocciole e altri stuzzichini per accompagnare l'aperitivo.
Paolo gli chiese che cosa gradisse bere. Giovanni chiese un Martini Rosso, senza ghiaccio.
"Così tu sei Giovanni." gli disse quello che si chiamava Sergio. "Ottavio ci ha parlato di te. Ma non ho capito che lavoro fai, è stato piuttosto vago, il nostro amico."
"Sono agronomo presso un ente privato..." disse Giovanni pensando che Sergio, anche se non bello, era gradevole e aveva un bel sorriso. "E tu?"
"Faccio il carabiniere." gli rispose l'altro, "Ma lavoro in ufficio al comando, non faccio più pattugliamenti. Siccome conosco le lingue, mi occupo più che altro della sezione immigrati e stranieri."
"Quante lingue conosci?" gli chiese Giovanni.
"A parte l'italiano? Il francese, l'inglese, il russo, un po' di tedesco e di spagnolo."
"Bello. Io mastico un po' di inglese e basta. Ti piace il tuo lavoro?"
"Sì. Mi sono arruolato come volontario quando avevo diciassette anni."
"Allora, tutte quelle lingue, le hai studiate mentre facevi il carabiniere?"
"Il francese l'ho imaparato da mia madre che è belga; l'inglese l'ho studiato a scuola, e l'ho perfezionato con un mio ex-ragazzo che era di Liverpool; per il russo ho seguito dei corsi privati, poi l'ho approfondito da solo. Tedesco e spagnolo li sto studiando adesso."
"Non fai confusione, con tutte queste lingue?"
"No... devo solo far scattare un interruttore dentro la testa per spegnere le altre lingue e accendere quella che devo usare." gli disse Sergio.
"Ehi, Sergio, non ti accaparrare tutto per te il ragazzo! Stai attento Giovanni, Sergio è un chiacchierone, sta già cercando di irretirti con la sua parlantina." disse uno degli ospiti accostandosi a loro.
"Ma via, Dario, se qui dentro c'è uno che sa irretire la gente, sei proprio tu!" gli rispose il carabiniere sorridendo. "Stai attento a Dario, Giovanni. Lui non è contento finché non si è portato a letto tutti quelli che incontra."
"No, tutti no. Solo quelli attraenti come Giovanni." precisò con un sorriso ammiccante l'uomo.
Dario era un bell'uomo, vestito con eleganza un po' ricercata e aveva un aspetto molto curato.
"Quanti anni hai, Giovanni?" gli chiese Dario.
"Ventidue appena compiuti."
"Che pulcino! Hai due terzi della mia età!" esclamò Dario.
"Non calarti l'età" lo celiò Ottavio che s'era avvicinato e aveva sentito le ultime battute, "Dario ha trentasei anni, non trentatré."
"Non c'è molta differenza..." notò Giovanni con un sorriso.
"Vedi!" disse Dario, "Giovanni sì che è una persona gentile, non un'arpia come te, caro! Prima Sergio mi da della puttana, poi tu del bugiardo... state cercando di presentare una brutta immagine di me al nostro nuovo amico!"
"Non ho detto che sei una puttana, solo che cerchi di portarti a letto tutti. Le puttane si fanno pagare, tu lo fai gratis. La differenza è tutta qui." gli disse Sergio ridacchiando.
"Per lo meno non sono ancora obbligato a pagare io!" ribatté Dario allegramente.
Suonarono alla porta e Paolo andò ad aprire. Tornò seguito da due persone. "Ci siamo tutti!" annunciò.
"Oh, Edoardo! Buon compleanno, caro! Ciao Pietro." li salutò Ottavio.
"Non me lo ricordare. Un anno in più! Non capisco proprio come si può festeggiare il giorno in cui si diventa più vecchi!"
"Ma via! Trenta è una bella età!" gli disse Paolo.
"Tutte le età sono belle, se uno le vive bene..." disse Giovanni.
"Oh, saggio in nostro nuovo amico." notò Renato. "Comunque io sono d'accordo con lui."
Chicchierarono un po', poi Ottavio disse che era già tutto pronto in tavola. Si trasferirono in una bella sala da pranzo. Al centro della grande tavolata c'era una sontuosa composizione floreale. Il servizio di piatti e di posate, la tovaglia e i tovaglioli erano di raffinata semplicità e bellezza, di squisita fattura e di linea molto moderna.
Su ogni piatto c'era un cartiglio con i nomi: Giovanni si trovò a sedere fra Dario e Renato. Mangiando e chiacchierando, scoprì che Dario era l'architetto che aveva arredato la casa di Ottavio e che Renato era un maestro delle elementari e che era stato l'ex-amante di Dario.
"Mi ha detto Ottavio che non hai il ragazzo..." gli disse Dario.
Renato gli dette lievemente di gomito: "Attento Giovanni, Dario sta già cominciando a farti la corte."
"Gli amici mi chiamano Gio..." disse il ragazzo.
"Ah, bene, allora ti chiameremo Gio anche noi. Siamo tutti amici, qui dentro." gli disse Dario facendogli l'occhietto.
"Traduco. Vuole dire che più o meno abbiamo già tutti scopato con tutti, qui dentro." gli spiegò Renato con un sorriso.
Di fronte a Giovanni sedeva Sergio: "Proprio tutti con tutti no, a dire il vero. Tu e io non abbiamo mai scopato, per esempio." disse il carabiniere.
"Ragazzi, ragazzi! Possibile che non parliate altro che di scopare? Sembra una riunione di colf!" sorse allegra la voce di Edoardo. "Almeno per la festa del mio compleanno, non si potebbe parlare di altro? Non che non piaccia anche a me scopare..."
"Eccome, se ti piace! Giovanni, stai attento a non girare mai le spalle ad Edoardo, proverebbe di sicuro a mettertelo!" rise Paolo.
Il pasto era buono. Giovanni si chiese se l'avesse preprato Ottavio. Era lui che, fra una portata e l'altra scompariva e tornava con i piatti di portata. Il cibo, oltre a essere buono, era anche presentato con gusto artistico. Tutto pareva anche troppo perfetto, in quella casa.
Il ragazzo si chinò verso Renato: "Ha cucinato tutto Ottavio?" gli chiese.
"Oh no, lui non saprebbe distinguere una carota da una salsiccia! Prepara tutto un suo amico cuoco, che ora è in cucina. Si unirà a noi più tardi. È un giovane chef molto bravo, specializzato nella nouvelle cuisine, come vedi."
"Cucina per lui tutti i giorni?" gli chiese Giovanni.
"No, solo per le feste che da. Il giovedì Marco ha la giornata libera, per questo Ottavio dà le sue feste sempre di giovedì."
"E gli altri giorni?"
"Ha una coppia di filippini che fanno tutti i lavori di casa per lui. Due ragazzi veramente in gamba. Glieli ha trovati Sergio, lui col suo lavoro conosce quasi tutti gli immigrati qui in città. Secondo me sono bruttini, ma sono simpatici e soprattutto sono dei grandi lavoratori, e siccome sono una coppia gay, Ottavio può vivere la sua vita senza problemi."
"Ottavio non ha un ragazzo?"
"No, è uno spirito libero, lui. Non si è mai legato a nessuno. La relazione più lunga di cui sono a conoscenza io è durata meno di tre mesi. Comunque qui siamo tutti più o meno single, per ora."
"Più o meno?" chiese Giovanni.
"Sergio ha una mezza relazione... che potrebbe diventare una cosa seria."
"Non è qui il suo ragazzo?"
"No. Adesso è all'estero per un congresso."
"Un congresso?"
"Sì, il ragazzo di Sergio lavora all'ufficio provinciale del turismo ed è andato a Vienna a un congresso internazionale, per promuovere la nostra provincia."
"E come si sono conosciuti, Sergio e il suo ragazzo?"
"Qui da Ottavio."
Terminata la cena, il padrone di casa fece trasferire tutti in un'altra stanza, un ampio salotto al cui centro torreggiava un enorme pacchetto regalo, avvolto in carta bianca satinata e chiuso da un largo nastro con i colori dell'arcobaleno e un grande fiocco sopra.
Tutti si misero a cantare "tanti auguri a te", mentre Ottavio porgeva a Edoardo un grande paio di forbici da carta.
"Per me?" chiese Edoardo guardando a occhi sgranati il grande pacco che doveva misurare sul metro per un metro per uno e mezzo di altezza.
"Certo, per il tuo trentesimo compleanno! Da parte di tutti noi."
"Devi proprio ricordarmi che sono già trenta?" chiese Edoardo prendendo le forbici e girando attorno al pacco, incuriosito. "Cosa c'è, dentro?"
"Aprilo, no?" gli disse Pietro.
Edoardo tagliò i nastri, poi anche la carta. Dentro c'era uno scatolone di cartone ondulato, anche bianco, su cui torno torno era scritto, con un pennello rosso: "Per il nostro Edoardo, con tanti auguri, sperando che apprezzi il regalo che gli abbiamo preparato, e che si goda questa serata".
"Devo tagliare anche il cartone?" chiese Edoardo, rivolto ad Ottavio.
"No, basta che tiri quella maniglia di plastica azzurra, per farlo aprire."
"Ah, questa?" disse Edoardo prendendola e tirando.
Al secondo strattone, lo scatolone si aprì, quasi come un fiore, e ne emerse un ragazzo sorridente, vestito con una aderente calzamaglia celeste, bordata d'argento. Tutti applaudirono.
Giovanni restò con le mani ferme a mezz'aria: quel ragazzo era Vlad! Ed era splendido. Vlad fece una piroetta, come un ballerino, e si guardò attorno sorridente; incrociò lo sguardo di Giovanni; il suo sorriso sembrò accentuarsi per un attimo, ma continuò a girare su se stesso.
"Allora, che ne dici, Edoardo? Ti piace il nostro regalo?" gli chiese Ottavio.
"Caaaazzo sì che mi piace." rispose il giovanotto tendendo una mano verso Vlad, che la prese e si lasciò tirare fuori dallo scatolone.
"Bene. Ora andiamo a chiacchierare un po' di là e fare qualche gioco, e più tardi puoi portare il tuo regalo nella stanza in fondo al corridoio e godertelo."
"Per questo mi hai detto di tenermi libero per tutta la notte!" disse Edoardo cingendo la vita a Vlad e tirandolo a sé, mentre si spostavano tutti nella prima stanza.
Edoardo sedette su una poltrona e fece sedere il ragazzo rumeno sul suo grembo. Ogni tanto lo carezzava, o lo baciava in bocca, o gli palpava i genitali, sì che presto si delinearono nettamente sotto la calzamaglia attillata.
Ottavio passò a offrire a tutti un digestivo. Chiacchieravano tutti animatamente, si scambiavano battute salaci, specialmente all'indirizzo di Edoardo e del suo "regalo"; nell'ampia sala regnava un'allegra confusione.
Paolo accese uno spinello e lo passò agli amici. Giovanni lo rifiutò con un gesto lieve e notò che gli unici altri che l'avevano rifiutato erano Sergio e Vlad. Non sapeva neanche lui perché, ma Giovanni fu contento che Vlad l'avesse rifiutato. Il ragazzo rumeno guardava spesso verso Giovanni e anche questo gli fece piacere.
Dopo un po' Giovanni si chinò verso Paolo, che era seduto alla sua destra e gli chiese dove fosse il gabinetto.
"Vieni, ti accompagno." gli disse questi alzandosi in piedi.
Allora Vlad chiese: "Posso andare anche io?"
"Certo, ma ricordati che tu sei il mio regalo, non fate niente, voi due eh!?" disse Edoardo dando una lieve pacca sul sedere del ragazzo.
Paolo mostrò loro dove era il gabinetto e tornò con gli altri.
Quando furono soli, Giovanni lo saluto: "Ciao, Vlad."
"Ciao Gio."
"Ti ricordi il mio nome?"
"Sì, certo."
"Non ti ho più trovato, là al parco."
"Mi dispiace. Ho trovato buon lavoro. Ottavio ha assunto me come ragazzo tutto-fare in suo ditta. Vlad non fa più marchette, solo qualche volta fa ragazzo di piacere in feste di Ottavio, ma solo qualche volta."
"Sei il ragazzo di Ottavio?"
"No. Con lui fatto solo poche volte. Io adesso libero di dire sì, no. Ora vita più normale di prima."
"Vai prima tu al gabinetto." Gli disse Giovanni.
"No insieme? Noi già visto pisello di altro, no? Io solo pisciare, tu cose più importanti?"
"No... possiamo farlo insieme.." disse Giovanni arrossendo lievemente.
Mentre entrambi si vuotavano nella tazza del cesso, il ragazzo rumeno disse: "Vlad ricorda tuo bel pisello, a Vlad piace. Ma oggi Vlad regalo di amico di Ottavio. Peccato che non è regalo di Gio."
"Ma ti paga, Ottavio per... per fare il regalo?"
"Sì, certo, paga buono straordinario, paga doppia per ogni ora. Così Vlad ora vive bene."
Prima di uscire dal gabinetto, Vlad si addossò a Giovanni e gli diede un breve ma intimo bacio, poi tornarono con gli altri. Giovanni era stato preso alla sprovvista da quel bacio, ma ne provò piacere.
Quando entrarono nella sala, Dario disse: "Avete fatto una sveltina, ragazzi?"
"No, noi fatto solo pisciatina." rispose Vlad allegramente. "Io suo regalo, per questa notte, no?" aggiunse tornando a sedere in grembo ad Edoardo.
Più tardi Edoardo uscì portandosi dietro Vlad, fra i lazzi e i frizzi degli amici.
Pietro faceva un po' il filo a Giovanni, Renato stava semiabbracciato sul sofà con Paolo, ma anche se l'atmosfera era piena di erotismo, non ci fu l'orgia che Giovanni temeva... o sperava che ci fosse. Quando questi guardò l'orologio, vide che era passata la mezzanotte.
"Io... è meglio che torno a casa. Domattina mi devo alzare presto..." annunciò allora Giovanni.
"Ma come, vai già via? La notte è giovane..." gli disse Dario.
"Anche io è meglio che torni a casa." annunciò Sergio. Poi rivolto a Giovanni, gli disse: "Posso darti un passaggio?"
"Sì, grazie."
Gli altri fecero battute su di loro e sul "passaggio". Giovanni salutò il padrone di casa e lo ringraziò.
Ottavio gli disse: "Allora, Gio, vieni di nuovo, alla prossima festa?"
"Volentieri, quando sono libero. Di solito il giovedì sono libero." aggiunse poi.
"Molto bene, ne sono lieto. E tu, Sergio, tieni le mani sul volante, mentre porti a casa il nostro Gio, mi raccomando."
"Conosco il codice della strada." scherzò il carabiniere, "E comunque Gio non guida, lui le mani le può usare..." aggiuse facendo l'occhietto.
Quando furono in macchina, Sergio gli chiese: "Ti è piaciuta la festa?"
"Sì, mi è piaciuta. Siete tutti persone gradevoli, simpatiche."
"Questa volta è stata una festa piuttosto... tranquilla. Qualche volta siamo un po' più scatenati e le camere da letto di Ottavio, prima o poi, accolgono due o tre di noi... e si finisce col girare tutti nudi per le stanze e per i letti."
"È grande la casa di Ottavio. Grande e bella."
"Sì, occupa metà del primo piano di quel palazzo. Ci sono cinque camere da letto, compresa quella di Ottavio e quella dei due ragazzi filippini. Per la festa di compleanno di Ottavio, poi, invita sempre i suoi amici e una marchetta carina per ognuno degli ospiti. A settembre compie quarantadue anni."
"È sato carino a dire a Edoardo che quel ragazzo era il regalo di tutti noi. L'ha pagato solo lui, no?"
"Sì. È generoso, Ottavio. È sempre pronto ad aiutare un amico, se può. Quando Paolo ha voluto mettersi in proprio come fotografo, per esempio, gli ha prestato i soldi, una bella somma, senza chiedergli neanche una lira di interesse. E quando Renato, che vive da solo, s'è ammalato, l'ha fatto andare da lui e gli ha pagato un'infermiere privato finché è guarito."
"Guadagna bene Ottavio, col suo lavoro."
"Sì, Gio, e comunque era già di famiglia ricca. Ma di solito la gente ricca è avara. Ottavio invece è generoso."
"Come l'hai conosciuto?"
"Quand'ero di pattuglia, una volta gli ho fatto una multa perché aveva superato i limiti di velocità."
"Ah... e lui ti ha fatto una proposta?"
"No, eravamo in due, non poteva rischiare. Ma mentre il mio collega scriveva il verbale, lui scarabocchiò qualcosa sul retro di un suo biglietto da visita e me lo dette in mano. Dietro aveva scritto: quando non sei in servizio, fammi uno squillo."
"Cavolo, ha avuto coraggio. Rischiava che..."
"No, non rischiava nulla: ha pagato la multa senza battere ciglio e senza contestare, e non aveva scritto niente di compromettente. Al massimo gli rendevo il biglietto, o lo gettavo via. Se anche io non fossi stato gay, non avrei potuto dimostrare niente contro di lui. E poi ci si era già lanciati qualche occhiata abbastanza eloquente. Non ha rischiato quasi nulla."
"E tu l'hai chimato..."
"Non subito. Dopo due o tre mesi, non ricordo bene. Mi sentivo attratto verso Ottavio ed ero anche incuriosito. Lui m'ha invitato al ristorante. Non subito a casa sua... questo l'ho apprezzato. Mi ha portato a letto solo la terza o quarta volta che ci si incontrava. È un signore, Ottavio, non salta mai addosso a uno che gli piace. E se uno gli dice di no, non insiste né lo esclude dal suo giro, se gli piace come persona."
"Fa bene l'amore?"
"Non sono domande che si fanno, queste. Ma sì, fa bene l'amore. Solo che non si vuole legare a nessuno: tutti amici, nessuno amante. Ho notato che anche tu hai rifiutato lo spinello. Meglio rifiutarla, quella roba, anche se dicono che non sia veramente pericolosa. Tu hai una faccia pulita, mantieniti pulito, Gio."
"Nessun pericolo, da quel lato. Preferisco andare su di giri grazie a un bel ragazzo che grazie alla droga."
"Perfettamente d'accordo con te. Se non fossi già mezzo impegnato con un ragazzo, ti farei il filo, Gio."
"Vi volete bene?"
"Sta maturando qualcosa. Eccoci arrivati. Spero di incontrarti di nuovo, da Ottavio. Buona notte e sogni d'oro."
"Grazie per il passaggio. Buona notte anche a te." gli disse Giovanni e scese dall'auto di Sergio, tirandosi su il bavero del giaccone.
La neve continuava a scendere a larghe falde. Sul portone si girò a salutare il carbiniere, che stava innestando la marcia e che, risposto al suo gesto di saluto, andò via. Giovanni salì in camera sua e si mise subito a letto: avrebbe fatto la doccia la mattina dopo prima di andare al lavoro. Spostò la sveglia mezz'ora indietro, lanciò un'occhiata alla foto di Matteo-Riccardo, spense la luce e si rincantucciò sotto alla coperta.
Al lavoro lo avevano trasferito d'ufficio: ora doveva occuparsi dei parchi e giardini della città, perché l'ente aveva vinto il concorso di manutenzione. In questo modo Giovanni doveva passare poco tempo dietro una scrivania, per lo più doveva girare per i parchi e i giardini per controllare che i lavori fossero eseguiti bene. Se ne intendeva, e spesso dopo averlo spiegato in modo teorico, faceva vedere praticamente ai lavoranti come dovevano eseguire i loro compiti.
Questo nuovo lavoro piaceva molto a Giovanni che, dopo tutto, restava nel suo intimo un ragazzo di campagna. Era stimato e rispettato dai lavoranti, soprattutto perché, oltre a essere esperto, sapeva "sporcarsi le mani". Era anche apprezzato dai superiori, perché riusciva a essere sempre puntuale nell'esecuzione dei lavori affidatigli.
Andava abbastanza spesso alle feste di Ottavio, e qualche volta aveva anche fatto l'amore con qualcuno degli altri ospiti, e una volta anche con Ottavio. L'unica cosa che lo disturbava leggermente, era che ogni volta giravano spinelli, ma nessuno l'aveva mai forzato a provare, perciò andava bene.
Giunse settembre. Giovanni pensò di organizzare con gli altri amici di Ottavio il regalo di compleanno: unendo le forze, invece di dargli tante piccole cose forse inutili, gli avrebbero potuto fare un bel regalo. Gli altri accettarono volentieri e chiesero a Giovanni di organizzare lui la raccolta del denaro e l'acquisto del regalo.
Giovanni aveva scoperto che Ottavio collezionava oggetti d'arte di varie epoche e civiltà, con un soggetto omo-erotico. Navigando per tempo su internet, trovò nel sito di una galleria antiquaria di Londra, una brocca pre-colombiana, della civiltà Moche del Perù, che rappresentava due maschi allacciati in un rapporto anale. Era un pezzo autentico con tanto di garanzia, non una replica. Gli pareva che costasse un po' caro, ma gli amici dissero che, fra tutti, si poteva comprare senza problemi. Così, radunati i soldi, Giovanni lo ordinò.
Il pezzo arrivò, bene imballato, e con i certificati di garanzia, rilasciati da un importante museo di etnologia. Era un pezzo del 1100 circa, molto ben conservato, un vero pezzo da museo.
Venne settembre e la festa di compleanno di Ottavio. Questi aveva invitato otto amici e, come era solito fare, aveva anche ingaggiato nove giovani marchette. Con rammarico di Giovanni, fra queste non c'era Vlad.
Prima della ricca cena, dettero a Ottavio il regalo. L'uomo lo apprezzò moltissimo e lo espose subito sulla sua libreria di cristallo. Dopo cena, mentre passavano i soliti spinelli, chiacchierarono per un po', poi ognuno degli ospiti iniziò a fare l'amore con una delle marchette. Qualche coppia s'era ritirata in una delle cinque stanze, altre invece si misero a fare l'amore in salotto o in soggiorno.
Giovanni aveva un ragazzo di diciotto anni, belloccio, e stava facendo l'amore con lui sul divano del soggiorno, mentre sul divano di fronte Renato con un'altra marchetta erano allacciati in un focoso sessantanove. Il ragazzo che stava con Giovanni gli aveva chiesto se preferiva fottere o essere fottuto. Giovanni aveva detto che preferiva metterglielo e il ragazzo s'era messo sulla schiena tirandosi su le gambe. Per la stanza aleggiava l'odore dolciastro della marjuna. Giovanni pentrò la giovane marchetta e si mise a battergli nel bel sedere, con gusto.
Improvvisamente sentirono bussare con forza alla porta e contemporaneamente suonare a lungo il campanello. Una voce forte gridò attravero la porta: "Aprite, polizia!"
Nell'appartamento scoppiò un'indescrivibile confusione: chi cercava i propri abiti, chi spalancava le finestre cercando di far scomparire la droga e l'odore, chi girava qua e là spaventato, senza sapere che fare. Si udì uno schianto e l'appartamento fu invaso da poliziotti in uniforme. Furono fatti tutti rivestire e condotti fuori, dove alcuni cellulari erano in attesa. C'erano anche fotografi, la TV, un capannello di gente.
Il giorno dopo tutti i giornali, e specialmente quelli della regione, titolavano a caratteri cubitali: "Balletti verdi, droga e prostituzione gay" con ampi articoli corredati da foto: in una si vedeva chiaramente Giovanni. Negli articoli si sottolineava in modo speciale la presenza, fra le persone prese nella retata, di un carabiniere e di un maestro di scuola elementare. I loro nomi comparivano tutti, con tanto di indirizzi e qualifiche professionali.
Lo scandalo scosse la tranquilla vita della città capoluogo di provincia. Per Giovanni e Sergio, anche per le testimonianze di tutti gli altri, fu derubricata l'accusa di uso e spaccio di droga. Al processo, chi prese la condanna più dura fu Ottavio, che si addossò tutte le colpe, affermando anche che i suoi ospiti non sapevano che lui aveva pagato quei ragazzi (per altro tutti maggiorennni). La maggior parte di loro fu rilasciata con assoluzione, o con la condizionale. Solo Ottavio e altri due dovettero fare qualche mese di galera.
Però Sergio fu radiato dai carabinieri, Renato dovette lasciare l'insegnamento, per le pressioni di genitori, colleghi e superiori e Giovanni fu licenziato in tronco.
Durante tutto il periodo del processo Giovanni non poté lasciare il capoluogo. Francesco e Daniele andarono più volte a trovarlo, per stargli vicino e sostenerlo moralmente. Ma gli portarono una brutta notizia: il padre, questa volta con il pieno accordo di Angelo e di Carlo, non volevano che mettesse mai più piede in casa: si vergognavano di lui nei confronti del paese.
Francesco e Daniele avevano cercato di opporsi, l'avevano difeso, avevano insistito, dopo il processo, sul fatto che Giovanni era stato prosciolto da ogni accusa.
Ma Angelo, in tono gelido, aveva detto: "Comunque adesso tutti sanno in paese che è frocio!"
Daniele aveva detto: "Mica è un reato, no? Mica è contro la legge, no?"
La loro battaglia in favore di Giovanni era stata inutile. Avevano litigato violentemente in casa e Francesco era venuto alle mani con Carlo e dopo poco anche Angelo e Daniele se le stavano dando di santa ragione... Solo le donne di casa s'erno interposte cercando di separarli, e solo quando la madre s'era presa un pugno in un occhio ed era caduta a terra gemendo, la lite era cessata.
Giovanni era più sconvolto da queste notizie che non per la disavventura con la polizia. Per colpa sua era scoppiato il pandemonio in famiglia. Daniele e Francesco non parlavano più con i fratelli né col padre, e inutilmente le donne di casa cercavano di far tornare la pace.
"No che non è colpa tua, Giovanni!" gli disse Daniele. "È colpa di nostro padre e dei nostri fratelli che sono stronzi. Stronzi fottuti! Dio, appena posso io me ne vado da quella casa."
"Lo stesso per me. Ho già parlato con Sandra: lei è sempre disposta a sposarmi e i suoi mi accoglierebbero in casa loro. Io vado a lavorare a Tetti del Prete, con la famiglia di Sandra."
"Io mi sto cercando un lavoro in un altro paese. Da qualche parte le vorrano un paio di buone braccia, no?" disse Daniele.
"Tutto per colpa mia... tutto per colpa mia..." continuava a gemere Giovanni.
"No che non è colpa tua, cazzo!" disse quasi arrabbiato Francesco. "Mica uno sceglie se essere gay o no!"
"Sì, ma non dovevo andare a quella festa."
"E che ne sapevi tu? Che ne potevi sapere? In fin dei conti stavi solo scopando, no? Chi non lo fa?" disse Francesco.
"Sì... ma con una marchetta."
"Al processo è risultato che voi non lo sapevate, per questo vi hanno assolto, no?" insisté Francesco.
"Ma io lo sapevo, invece. Io lo sapevo... e ho accettato. Non dovevo andarci."
"Tu, per la legge, non lo sapevi. Questo è quello che conta. Comunque ormai quello che è successo è successo. Devi solo trovarti un nuovo lavoro..." gli disse Daniele.
"Non sarà facile: il mio nome è venuto fuori su tutti i giornali, chi vuoi che mi assuma? Chi vuoi che voglia assumere un frocio?"
"Non saranno mica tutti stronzi, a questo mondo..." mormorò Daniele. "il padrone della pensione mica t'ha sbattuto fuori, no? A proposito, hai bisogno di soldi, Vanni?"
"Per adesso no, grazie: ho ancora qualche risparmio. Stavo mettendo da parte i soldi per comprami una macchina..."
"Diccelo, se resti senza soldi, mi raccomando." gli disse Daniele.
"Sì, grazie Dani, grazie Francesco. Spero di trovare qualcosa, però, prima di restare a secco."
Giovanni era a terra. La vicinanza affettuosa dei fratelli l'aveva aiutato a non sprofondare del tutto, ma non stava bene. Guardando la fotografia di Riccardo e della sua famiglia sul comodino, si chiese se l'uomo avesse saputo di lui e come lo giudicasse.
Lì nella pensione, gli altri pensionanti si limitavano a salutarlo, per pura cortesia, ma Giovanni sentiva che erano diventati freddi con lui, e a volte coglieva anche qualche sorrisetto ironico o di velato disprezzo. Il proprietario della pensione, come gli altri, pur non avendogli detto nulla, era diventato molto freddo e formale. Ma per il momento Giovanni pensava che gli convenisse sopportare e restare lì.
Cominciò a girare la città in cerca di un lavoro ma, come si aspettava, chi con formale cortesia, chi con brusche risposte, nessuno pareva disposto a dargli un lavoro. Un sindacalista gli aveva detto che avrebbe dovuto opporsi al licenziamento, ma Giovanni aveva ribattuto che se anche il giudice del lavoro avesse accolto il suo ricorso, non gli andava di tornare a lavorare in un ambiente che gli era diventato chiaramente ostile.
Erano passato un po' di tempo dall'esplosione dello scandalo, e Giovanni si sentiva sempre più depresso: non riusciva a trovare un lavoro. Stava pensando che forse, come sapeva che avevano fatto sia Renato che Sergio, gli sarebbe convenuto cambiare città.
Di tanto in tanto, ora Francesco ora Daniele, scendevano in città per stare un po' con lui. Seppe così che, in casa, s'era stabilita una specie di tregua armata. Comunque sia Francesco che Daniele erano più che mai decisi di andarsene da casa, anche se questo significava per Angelo e Carlo un raddoppio di lavoro per mandare avanti i campi e la stalla.
Dopo un ennesimo rifiuto nella sua ricerca di un lavoro, Giovanni stava tornando alla pensione a piedi, quando un'auto si fermò accanto a lui.
"Gio! Come va? Salta su, dai!" gli disse l'automobilista dal finestrino.
Era Dario, l'architetto. Giovanni esitò un attimo, ma poi salì in macchina e sedette accanto a Dario.
"Come va, Gio?"
"Male. Ho perso il lavoro e non riesco a trovarne un altro." gli disse il ragazzo. "E a te, come va? Hai notizie di Ottavio, degli altri? So che Renato e Sergio sono andati via da qui..."
"A me va bene. Il mio lavoro non ne ha risentito: a un architetto si perdona facilmente il fatto di essere gay. Lo stesso per Edoardo e Pietro, il loro negozio continua a vendere. Ottavio finalmente è uscito di galera. La sua ditta, bene o male, è andata avanti mentre lui non c'era, ha vivacchiato. Ora che lui è tornato, si sta lentamente riprendendo. Anche Paolo, continua tranquillamente a fare il fotografo senza problemi. La gente dimentica in fretta. Ma mi dicevi che tu sei ancora senza lavoro..."
"Sì, pare che la gente non si voglia dimenticare della mia faccia e del mio nome. Stavo pensando di andare lontano da qui, come hanno fatto Sergio e Renato, anche se sinceramente non saprei dove andare."
"Cazzo, mi dispiace, Gio. Mi dispiace davvero. Ma senti... forse io riesco a trovarti un lavoro. Non ti voglio dare illusioni, prima devo parlare con un paio di amici, però ci posso provare. Che ne dici?"
"Magari! Sto quasi per finire i miei risparmi, non so davvero dove battere la testa."
"Se hai bisogno di soldi... sia Ottavio che io ti possiamo dare una mano."
"Per ora no, grazie. Anche i miei fratelli eventualmente mi darebbero una mano, anche se, oltre a darmi qualche soldo, non possono fare molto di più. Mio padre non vuole che metta più piede in casa."
"Dammi il numero del tuo telefonino, Gio. Appena so qualcosa, ti chiamo. E se te la vedi brutta, vai a bussare da Ottavio: lui non ha mai chiuso la porta in faccia a nessuno, specialmente ora che ha ripreso in mano la sua ditta."