Passarono solo tre giorni, dopo l'incontro con Dario, e l'architetto chiamò Giovanni. Gli disse che aveva parlato con un amico e che questi lo voleva conoscere per eventualmente offrirgli un lavoro.
"Di che si tratta?" gli chiese Giovanni che, pur di lavorare di nuovo, avrebbe accettato qualsiasi cosa.
"È un mio cliente, uno a cui ho ristrutturato la casa. Tutto attorno c'è un vasto giardino, e vorrebbe un buon giardiniere. Quello che ha ora vuole andare in pensione. Gli ho detto che tu sei un perito agrario e che ti sei occupato del servizio parchi e giardini del comune, e lui ha detto che andrebbe molto bene. Che ne dici?"
"Cavolo, sarebbe bello... Ma... sa chi sono io? Sa di me?"
"Sì, certo, ma non gliene importa nulla. Dice che quello che gli interessa è solo che tu sappia fare bene il tuo lavoro. Allora, che ne dici?"
"Grazie, Dario. Quando devo presentarmi dal tuo amico?"
"Pensavo di accompagnarti io in macchina, casa sua è un po' fuori mano, senza un mezzo è difficile andarci, dovresti prendere il treno, poi un autobus, poi fare un bel pezzo a piedi. Ti ci porto io da lui, ti presento e fate il colloquio. Vedete se va tutto bene, quanto ti offre, e decidete che cosa fare. Io per un paio di giorni sono molto occupato, non ho molto tempo libero. Ma dopodomani potremmo andare. Va bene per te?"
"Sì, certo. Grazie, Dario."
"Aspetta a ringraziarmi. Non è detto che la cosa vada in porto."
"Comunque grazie per esserti dato da fare per me."
Due giorni dopo Dario passò a prenderlo.
"È lontano?" gli chiese Giovanni mentre l'architetto ripartiva.
"Una ventina di chilometri da qui, forse poco più." gli disse Dario mentre guidava uscendo dalla città e imboccando la nazionale che andava verso nord. "Ti avverto, il mio amico è un orso. È vecchio, un po' scorbutico, ma ha un cuore d'oro. Non ti fermare alle apparenze, alla prima impressione. Il giardino è grande, ma basta un uomo solo per curarlo, e ti rimarrebbe abbastanza tempo libero, specialmente in inverno."
"Se è fuori mano, dovrò comprarmi un mezzo, magari una moto, per andare a lavorare da lui... Il fatto è che ho praticamente finito tutti i miei risparmi."
"A questo ci penseremo dopo. Ho parlato con Ottavio e sia io che lui ti daremo una mano, se occorre. Ti faremo un prestito, se ne hai bisogno. Non ti devi preoccupare. Ora, speriamo che tu abbia il lavoro, poi penseremo al resto."
Giovanni si accorse che Dario stava guidando in direzione suo paese.
"Dove vive, questo tuo amico?" chiese incuriosito.
"In un posto bello ma isolato, ai bordi di un bosco. Un posto scomodo, ma adatto a un orso come lui. Dieci anni fa, io ero un architetto fresco di laurea, lui ha comprato una vecchia casa e io gliel'ho ristrutturata, come ti ho detto. Il mio primo lavoro importante. Non è il meglio che io abbia fatto, ma non è niente male. Certo è che adesso lo farei meglio di allora."
Erano arrivati ai bordi del lago azzurro.
"Ma... io... io sono nato qui..." disse Giovanni a mezza voce.
"Ah sì? Non lo sapevo." disse Dario e mise la freccia a sinistra, imboccando la strada sterrata che andava verso Tetti Bernardo.
"Il tuo amico... mica è il senatore Manfredo T* P*? Quello che abita a Tetti Rossi?"
"Sì, proprio lui, anche se non era un senatore, ma un deputato. Lo conosci?"
"Solo di nome... non l'ho mai incontrato. Lui sa che sono nato qui, dietro al castello?"
"No, non lo spevo neanche io." rispose Dario, mentre la sua auto sobbalzava lungo il tratturo dal fondo sconnesso, tutto buche e dossi.
"Quanti anni ha il signor T* P*?"
"Non lo so con precisione, credo ne abbia sui settanta. Ma è ancora in piena forma, tutt'altro che un vecchio rimbambito. Ah, ti avverto, è meglio se ti rivolgi a lui chiamandolo onorevole, anche se sono anni che non fa più politica. So che non gli piace molto essere chiamato né signore, né dottore. Prima di dedicarsi alla politica, faceva il notaio come suo padre."
"Vive lì con tre figli, no?"
"Non più: si sono sposati tutti e tre e se ne sono andati. La più piccola due o tre anni fa. Ora ci vive da solo."
Dario fermò davanti al cancello del muro di cinta di Tetti Rossi e suonò il clackson tre volte. Dopo pochi minuti arrivò di corsa un uomo anziano, vestito con una salopette grigia e una camicia a scacchi, e aprì il cancello.
"Quello è Guglielmo, l'attuale giardiniere. Quello di cui dovresti prendere il posto." gli disse Dario mentre parcheggiava di fianco al portale di ingresso.
L'uomo, richiuso il cancello, era tornato indietro.
"Buon giorno, architetto. L'onorevole la attende nel soggiorno piccolo. Sa già la strada, vero?"
"Sì, Guglielmo, grazie." rispose Dario, poi rivolto a Giovanni, gli disse. "Vieni. Ricordati di chiamarlo onorevole."
"Certo."
Dario attraversò il vasto ingresso, in cui due scale di legno a forbice portavano ai piani superiori. Imboccò un ampio corridoio, si fermò davanti a una porta e bussò.
Da dentro una voce roca gridò: "Avanti, avanti!"
Entrarono. Il soggiorno "piccolo" era un'ampia stanza, le pareti tutte scialbate di bianco a buccia d'arancio come l'ingresso e il corridoio. La mobilia era tutta in legno massiccio, chiaro, di linee funzionali, nello stile degli anni settanta.
"Buongiorno, Manfredo. Ecco, questo è il ragazzo di cui ti ho parlato."
"Sedetevi. Tu lì, Dario, e tu, ragazzo, siediti lì." disse senza alzarsi dalla poltrona in cui era sprofondato.
L'onorevole era un uomo asciutto ma non magro, di corporatura media, con un folto casco di capelli argentei, occhiali di tartaruga a lenti grandi, e indossava una giacca da casa di plaid a grandi quadri verdi e marrone in un disegno scozzese, con sotto una camicia bianca aperta sul collo, e un paio di calzoni marrone dalla piega perfetta. Ai piedi aveva scarpe da casa di pezza anche marrone, di buona fattura. Le mani scarne erano appoggiate sui braccioli della poltrona.
"Buon giorno, onorevole." disse Giovanni sedendo sulla sedia accanto alla poltrona del vecchio.
Il vecchio fece una risatina secca e profonda: "Ah, vedo che il mio buon Dario t'ha istruito a dovere: chima il vecchio onorevole, così è contento..."
"Veramente... io sono nato qui in paese e tutti sanno che a Tetti Rossi abita l'onorevole." rispose Giovanni mentendo solo in parte.
"Ah, sei un indigeno? Dove stai di casa, ragazzo?"
"Sono nato e abitavo a Tetti Malvento... ma dopo quello che è successo... mio padre non mi vuole più in casa. Comunque da quando avevo cominciato a lavorare nel capoluogo, mi sono trovato una stanzetta in una pensione."
"Sì, ho saputo. Bella gente abbiamo attorno a noi, bella società la nostra: cacciato dal lavoro e cacciato pure da casa. Bah! Ma dimmi, hai studiato o hai imparato il mestiere facendolo?"
"Ho il diploma di perito agrario, ma un po' ho lavorato nei campi, poi ho lavorato per il dipartimento giardini e parchi, onorevole."
"Lascia perdere l'onorevole, se non è per chiamarmi. Questo è un punto in tuo favore; per lo meno non sei un analfabeta completo come Guglielmo. Non che abbia la minima importanza, ma con che voto ti sei diplomato?"
"Con lode."
"Ti piaceva studiare, presumo."
"Sì, molto."
"Bene. Hai perso il lavoro, non hai più casa... Che mondo infame! Dove abiti, ora?"
"In una pensione del capoluogo."
"Ah sì, me l'avevi detto. Hai un mezzo?"
"No, non l'ho."
"E la patente?"
"Neanche."
"Non puoi andare avanti e dietro con i mezzi pubblici. Perderesti troppo tempo."
"Non importa, onorevole. Basta che mi alzi presto e..."
"No... Possiamo fare una cosa: lascia la pensione e trasferisciti qui. Ti faccio preparare una stanza su nell'ala nord. Questo non significa ancora che ti assumo: prima dovrai lavorare per un mese con Guglielmo. Se lui mi dice che sei capace, e se mi piaci, ti assumo. Se no, dovrai trovarti un altro lavoro. In questo mese, comunque, oltre a dormire e mangiare qui, ti darò una paga provvisoria. Va bene?"
"Ottimo, onorevole."
"Quando puoi trasferirti qui?"
"Anche domani."
"Come fai a portare qui le tue cose?"
"Ho poche cose... al massimo in due viaggi posso portare tutto."
"Se potete aspettare fino a domenica, ti porto io qui con tutte le tue cose." intervenne allora Dario.
"Non vorrei dare disturbo..."
"Nessun disturbo, visto che s'è offerto Dario. Se venite domenica mattina, puoi fermarti a pranzo con noi, Dario."
"Con vero piacere."
"Bene, allora arrivederci a domenica." disse il vecchio e preso un giornale dal porta-rivista accanto alla sua poltrona, si immerse in lettura.
Giovanni rimase un po' sorpreso per quel brusco commiato, ma si alzò e guardò verso Dario. L'architetto gli fece un sorriso, fece spallucce e in silenzio uscì dalla stanza, senza salutare. Giovanni lo seguì in silenzio.
Quando furono in auto, Giovanni disse: "Temo di non avergli fatto una buona impressione."
"Al contrario. Altrimenti non ti avrebbe detto di trasferirti qui, no?"
"Mi ha mandato via senza neppure salutare."
"È fatto così, dovrai abituarti. Te l'ho detto che è un orso, no?"
"Speriamo che il vecchio giardiniere sia contento di me."
"Non vedo perché non dovrebbe."
"Ho poca esperienza, ancora."
"Sei giovane. E per il lavoro che facevi e la preparazione che hai, non credo proprio che avrai problemi."
"Speriamo. Grazie per esserti offerto di aiutarmi a portare le mie cose a Tetti Rossi."
"Da solo, senza un mezzo, sarebbe stato un problema. Io domenica sono libero, e ci ho rimediato un invito a pranzo."
"Chi cucina, per l'onorevole? È vedovo, no?"
"Sì. Oltre a Guglielmo, in casa sua lavorano un cuoco e un cameriere. Allora, prepara tutto per domenica mattina... facciamo alle 10, va bene? Io passo a prenderti, carichiamo tutto in macchina e andiamo."
"Sì, grazie. Sei molto gentile."
Giovanni dette la disdetta della camera ed ebbe l'impressione che il padrone della pensione ne fosse contento. Telefonò ai fratelli per avvertirli che andava a fare un periodo di prova a Tetti Rossi, come giardiniere dell'onorevole. Francesco ne fu molto contento, e disse che l'avrebbe detto lui a Daniele. Il sabato Giovanni impacchettò le sue poche cose e si rese conto di averne più di quanto pensasse. La domenica mattina rese le chiavi al padrone, che gli rese una parte della caparra, poi il ragazzo portò fuori dalla porta, sul marciapiede, le sue cose. Mancava una mezz'ora alle dieci. Sedette su uno dei suoi scatoloni e attese.
Alle dieci e dieci arrivò Dario: "Stamattina non riuscivo a scendere da letto: ieri notte ho fatto tardi. È tutta qui, la tua roba? Bene, t'aiuto a caricarla."
Quando salirono in macchina, Dario gli dette una busta: "Sono passato da Ottavio. Mi ha detto di darti questa." gli disse.
"Grazie." disse il ragazzo ed aprì la busta. C'era un biglietto e del danaro. Stupito, lesse il biglietto.
"Ti prego di accettare questo piccolo regalo. Se ti sei trovato nei pasticci, è per colpa mia, e questo è un modo per ripagarti almeno in parte per le tue disavventure. Ricordati comunque che, se ti trovassi in ristrettezze, puoi sempre contare su di me. Con affetto, Ottavio."
Nella busta, vide ad occhio che c'era l'equivalente di due mesi del suo vecchio stipendio.
"Non doveva..." mormorò Giovanni.
"Certo, non doveva, ma ci teneva. Si sente responsabile per quanto è accaduto."
"Ma non è colpa sua. E poi, lui l'ha pagata più cara di tutti noi."
"Ottavio è fatto così. Te l'ho detto che è un uomo generoso, no? Quando gli ho detto che non avevi più soldi da parte, ha subito deciso che doveva fare qualcosa per te."
"È incredibile..." mormorò Giovanni.
"Cosa?"
"Quando credevo di stare affogando, prima tu, poi l'onorevole, poi Ottavio..."
"Così è la vita. L'importante è non pensare solo ai propri guai, ma anche a quelli degli altri e fare il possibile per dare una mano."
"Come potrò mai ringraziarvi?"
"Dando una mano, appunto, a chi ne ha più bisogno di te. La vita è come una catena, prendi da una parte e dai dall'altra. Se tutti pensano solo di rendere quanto hanno ricevuto alla persona da cui hanno ricevuto, la catena non esiste, è come un anello chiuso su se stesso."
Giovanni annuì: l'immagine gli piaceva.
Giunti a Tetti Rossi li accolse il cameriere, Mario, un uomo un po' tarchiato e stempiato, con occhietti piccoli e pungenti, sui quarantacinque anni. Mentre Dario andava a salutare il padrone di casa, Mario accompagnò il ragazzo in quella che sarebbe stata la sua stanzetta, aiutandolo a portare su tutti i suoi bagagli.
Era al secondo piano, nel sottotetto, grande e luminosa, arredata con semplice gusto, e aveva un piccolo bagno annesso. Era la camera più grande e più bella che Giovanni avesse mai avuto in vita sua.
"Lasci le sue cose qui, signorino, le sistemerà più tardi. Ora scendiamo, l'onorevole la attende."
"Non mi chiami signorino, non ci sono abituato. Mi chiamo Giovanni..."
"L'onorevole ha dato ordine di chiamarla così. Non si discutono gli ordini dell'onorevole." rispose assciutto l'uomo.
A Giovanni quell'appellativo pareva ridicolo, quasi fosse il maschile della parola signorina... Non l'aveva mai sentito usare prima di allora. "Mi abituerò..." disse a mezza voce, seguendo il cameriere giù per la scala.
L'uomo si fermò davanti a una porta, si assettò con cura gli abiti, poi, quasi facendo un inchino, bussò.
"Avanti!" gridò l'inconfondibile voce, un po' roca ma forte, del vecchio.
"Il signorino è qui, onorevole."
"E fallo entrare!" borbottò il vecchio.
Giovanni entrò: era un soggiorno simile al primo in cui aveva incontrato il vecchio la volta precedente, ma era più grande e dall'ampia vetrata che lo chiudeva su un lato si vedeva il giardino. Dario era seduto in una poltrona a fianco di quella del padrone di casa. Questa volta il vecchio aveva una giacca da casa di seta color miele, e pantaloni, anche di seta, color nocciola.
Inforcò gli occhiali e guardò verso Giovanni. "Non restare impalato lì, ragazzo. Siedi su quel sofà. Com'è la camera?"
"Molto bella, onorevole. Bella e grande."
"Ti accontenti di poco. La cosa più bella di quella stanza è che dalla finestra si vede il lago e la collina col castello. Per un mese sei poco più di un ospite, qui. Poi, se ti assumo, la puoi anche personalizzare."
"È molto bella così come è."
"Ma anonima. Ognuno di noi ha bisogno di segnare il suo spazio, è un istinto animale. La casa è mia, ma quella stanza, se ti assumerò, sarà il tuo nido, la tua tana, il tuo covo. L'uomo è, prima di tutto, un animale."
Per un poco ci fu silenzio, nella grande sala. Poi il vecchio riprese, rivolto a Dario: "Stai lavorando a qualche progetto, in questi giorni?"
"Sì, Manfredo. Il mio studio ha vinto un concorso per un centro giovanile polifunzionale da costruire a Lugano."
"Bene. Avevo un amico a Lugano, era il direttore della Banca del Ticino, Si chiamava Goffredo N*. Gli amici ci prendevano in giro: Manfredo e Goffredo..."
"Goffredo N*? È il presidente dell'ente che ha commissionato il centro giovanile! Lo conosci?"
"Ah, il mondo è piccolo. Ci si è persi di vista qualche anno fa... Quando lo incontri, digli che sei mio amico e portagli i miei saluti. Presidente, eh? Del centro giovanile. Ma bene, bene, bene."
"È un ente cantonale per la promozione della gioventù e il recupero dei ragazzi disadattati..." precisò Dario.
"Sì, certo. Il recupero. Sì, certo. Ti pagano bene, penso. Gli svizzerotti non sono tirchi come qui da noi."
"Sì, mi pagano bene, ma ogni centesimo sarà sudato: è un grosso lavoro. Dobbiamo studiarci a fondo tutte le leggi edilizie del Canton Ticino, per ottenere le autorizzazioni. E anche fare una ricerca di mercato sui materiali edilizi che si trovano là."
"Ma se fai un buon lavoro, diventi famoso anche fuori dai patri confini, il che non guasta."
"Certo."
Giovanni ascoltava in silenzio. A un tratto il suono di un gong riverberò per gli ambienti di Tetti Rossi.
"Questo è Stelvio che annuncia che ci si può mettere a tavola. Fai vedere tu al ragazzo dove può lavarsi le mani, per favore, poi raggiungeteci in sala da pranzo." disse il vecchio alzandosi con insospettata agilità dalla poltrona e uscendo dalla stanza.
Quando entrarono nella sala da pranzo, Giovanni si guardò attorno stupito: come tutte le altre stanze, anche questa aveva le pareti bianche a buccia d'arancio. I mobili erano tutti di legno di mogano rossiccio perfettamente lucidato a cera. Tre grandi porte finestre si aprivano verso il giardino e fra queste, da grandi parallelepipedi di granito pieni di terra, sorgevano folti cespugli di bambù sasa della qualità nera.
"Che bello, qui!" non poté fare a meno di mormorare Giovanni.
"Sono lieto che ti piaccia." disse Manfredo che era seduto a capo tavola.
Due sedie vuote erano una alla sua destra e una alla sua sinistra. Poi c'era la sedia su cui sedeva Guglielmo e un'altra su cui sedeva Mario, il cameriere. Un'ultima sedia vuota probabilmente era riservata al cuoco. Come Giovanni in seguito ebbe modo di vedere, Manfredo mangiava sempre assieme alla servitù, anche se ora Stelvio, il cuoco, ora Mario, il cameriere, si alzavano per portar via i piatti usati e per andare a prendere in cucina le nuove portate.
"Tu Dario qui alla mia sinistra, come al solito. Il ragazzo, alla mia destra. Non è che la destra, in questa casa, sia il posto d'onore, è che dall'orecchio sinistro ci sento meglio. E comunque io sono un uomo di sinistra, come forse sai."
"Un social-democratico di vecchio stampo." precisò Dario.
"Un ex social-democratico. E vecchio stampo... prendiamolo come un complimento, anche se non ha l'aria di esserlo. I vecchi stampi si gettano via." disse l'onorevole con aria burbera.
"Non sempre." gli disse Dario con un sorriso.
"Hai ragione: o si buttano via o si collezionano nei musei. Ma non si usano più. Proprio come me."
Iniziarono a mangiare. Il cibo era molto semplice, ma genuino e cucinato molto bene. Durante il pranzo Dario e Manfredo chiacchierarono, anche se parlava più Dario che non il vecchio. Giovanni restò in silenzio, ma seguiva con interesse la conversazione, grazie alla quale si stava formando un'idea sul carattere del vecchio.
Nel pomeriggio, dopo che Dario se ne fu andato, Giovanni salì in camera sua e disfece i bagagli, sistemando le sue cose nei mobili. Notò che nel bagno c'era tutto quanto poteva occorregli, dagli asciugamani al fon, saponetta nuova, bagno schiuma e shampo. Gli dette un po' l'impressione del bagno di un albergo. Fornito e anonimo, come aveva notato l'onorevole.
Il giorno seguente, dopo la colazione, Manfredo affidò Giovanni a Guglielmo, che subito lo portò in giardino e, mentre si faceva aiutare dal ragazzo nelle sue incombenze, gli spiegava tutto con pignoleria ma con estema competenza.
"Lei è un ottimo giardiniere." notò a un certo punto il ragazzo, in tono sincero.
"Il signorino è gentile. Ho molta esperienza, dopo cinquanta anni di mestiere. Ho cominciato con mio padre quando avevo quattordici anni. Ma non mi dia del lei, qui tutti mi danno del tu."
"Mi fa strano darle del tu, io così giovane, quando lei mi da del lei."
"L'onorevole l'altro giorno ci ha radunati e ci ha dato ordine di chiamarla signorino e di darle del lei. E qui tutti mi danno del tu. Queste sono le regole della casa. E poi lei è diplomato, io non ho che la quinta elementare e non so più nemmeno leggere e scrivere come si deve, so solo fare la mia firma."
"Ma lei... tu sai fare il giardiniere molto bene. Magari avessi avuto giardinieri come te, quando lavoravo per il comune."
"Quelli non fanno il loro lavoro con amore. Vedi, queste piante: son tutte come figli miei. Questo giardino è come il mio castello, il mio reame."
"Ti dispiacerà lasciarlo..." disse Giovanni.
"Sì e no. Sono un po' stanco, voglio godermi la pensione, prima che le forze mi lasciano. Ho un orto al paese, coltiverò quello... con amore!"
Il mese di prova passò in fretta. Stava per terminare quando Giovanni, senza volerlo, ascoltò una conversazione fra Guglielmo e l'onorevole.
"... niente male."
"Ci sa fare, dunque, il ragazzo?"
"Sì, il signorino, anche se è tanto giovane, sa il fatto suo. E gli piace lavorare."
"Magari solo per superare il mese di prova, no?" chiese il vecchio.
"No, non mi faccio ingannare tanto facilmente, io. Gli piace lavorare, sa trattare la terra e le piante, è diverso dagli altri due che aveva provato, molto diverso. Se l'onorevole assume il signorino, io me ne vado tranquillo. Non si da arie, quello che non sa lo chiede, e lo va anche a guardare nei suoi libri. Capisce immediatamente quello che gli spiego."
"Non sarai mica così entusiasta solo perché vuoi andare in pensione, no?"
"Onorevole, non può davvero pensare questo di me. Lei sa quanto ci tengo al suo giardino, che è quasi più mio che suo, parlando con rispetto."
Il vecchio ebbe una risatina bassa: "Si che lo so, ti volevo solo prendere in giro. Se tu dici che va bene, lo assumo volentieri. Non lasceresti mai il tuo giardino a un incompetente. Quando lo vedi, mandalo da me. Ma non dirgli niente, glielo voglio dire io."
"Come comanda, onorevole." disse il giardiniere.
Giovanni, silenziosamente, scivolò via allontanandosi dalla porta. Facendo un ampio giro, uscì sul giardino da un'altra parte della casa.
Quando Guglielmo lo vide lo chiamò: "Signorino, si lavi le mai e vada dall'onorevole che la vuole vedere. La aspetta in biblioteca."
"Per che cosa?" gli chiese il ragazzo.
"Che vuole che ne so io, sono solo il suo giardiniere, mica il suo segretario." gli disse l'uomo facendo spallucce, ma Giovanni notò un lieve sorriso baluginare dietro gli occhi scuri dell'uomo.
Giovanni si riassettò e andò a bussare alla porta della biblioteca.
"Avanti! Avanti!" gridò la voce dell'onorevole.
Giovanni entrò: era la prima volta che metteva piede nella biblioteca e restò a bocca aperta. Era quasi più grande di quella della sua scuola, e oltre a scaffali a vetri tutto attorno alle pareti, interrotti solo dal vano della porta e delle quattro finestre, vi erano quattro doppie file di scaffali al centro e una scala a rotelle per accedere agli scaffali superiori; c'era anche un grande tavolo con alcune sedie attorno e con sopra un computer, uno scanner e una stampante.
"Che fai lì imbambolato, Giovanni! Vieni qui e siedi su quella sedia."
"Quanti libri! Ce ne saranno almeno ventimila..."
"Secondo il mio computer ce ne sono esattamente trentaduemila e trecentoventisette."
"Li ha letti tutti?" chiese il ragazzo sedendo e continundo a guardarsi attorno meravigliato.
"Alcuni li ho letti, altri li ho solo consultati. Non li ho certo comprati solo per riempire gli scaffali."
Il vecchio uomo guardava il ragazzo con espressione attenta. Dopo un po' disse: "Quando hai finito a guardarti attorno, avvertimi. Vorrei avere la tua attenzione."
Giovanni arrossì e guardò l'uomo: "Mi perdoni, onorevole."
L'uomo ebbe un fugace sorriso: "Perdonato. Allora, vorrei sapere come ti sei trovato qui in questo mese."
"Io? Molto bene, onorevole."
"Il lavoro ti piace?"
"Molto. Il giardino è molto bello e l'attrezzatura per curarlo è moderna ed efficiente. Ma soprattutto Guglielmo è un giardiniere provetto."
"Sì, lo so. Ti piacerebbe perciò lavorare per me?"
"Moltissimo, se lei è contento di me."
"Sei un ragazzo rispettoso e volenteroso, ma soprattutto dice Guglielmo che conosci bene il mestiere. L'unica cosa che mi chiedo... in questo mese non sei mai uscito da Tetti Rossi, e questo non mi pare naturale per un ragazzo della tua età."
"Dove potrei andare, onorevole?"
"Mah, in paese... a divertirti un po'. Alla tua età io andavo a ballare, andavo al bar con gli amici."
"Lei sa di me... mi vergognerei ad andare in paese, so che tutti mi guarderebbero con... disprezzo. E andare in città è scomodo, perderei troppo tempo."
"Non puoi vivere come un recluso. La gente in paese... prima o poi dimenticherà e non tutti sono beceri, anche se la maggioranza forse lo è. Quanto ad andare in città... Se lavorerai per me, se curerai il giardino, dovrai muoverti, dovrai andare a comprare sementi o pianticelle da sostituire, attrezzi, concimi o antiparassitari. E dato che sei una persona istruita, magari ti manderò in giro per fare pratiche, per farmi qualche commissione. Ma anche per divertirti. Se non ti rilassi un po', ogni tanto, rischi di rendere sempre meno."
Giovanni non aveva mai sentito parlare così a lungo il vecchio, non con lui, per lo meno.
L'uomo continuò: "Non puoi e non devi continuare a nasconderti. Devi affrontare la gente a testa alta. Non hai fatto niente contro la legge, non hai fatto niente che gli ipocriti che ti giudicano non facciano, magari di nascosto. La tua unica sfortuna è che sei finito sui giornali. Se non sei fiero di te stesso, se non hai auto-stima, la gente non ti può stimare."
"Ma sono gay e lei sa come la gente, specialmente in un piccolo paese, tratta quelli come me."
"Sì che lo so. Se invece che una festa con ragazzi fosse stata con ragazze, i beceri del paese ti stimerebbero o almeno ti invidierebbero, saresti il galletto, il don-giovanni del paese. Invece sei solo Giovanni, senza il don. Ma sta a te non trasformarti in un don Abbondio come quello dei Promessi Sposi, sta a te non fuggire, non subire. Comunque non ti ho chiamato qui per farti un sermone. Hai ragione tu, senza un mezzo ti è difficile muoverti, che sia per te stesso, che sia per me. Perciò ti assumo ma a una condizione."
"Sì?"
"A partire da questo stesso mese, voglio che tu ti iscriva alla scuola guida qui in paese e che tu prenda la patente. Ti pago io il corso, si intende. In garage c'è una giardinetta che avevo comprato per mio figlio. È in ottimo stato, la userai tu, sia per lavoro, sia per andare in giro nel tuo tempo libero. In seguito, se vorrai, ti comprerai un'auto più adatta alla tua età per andare in giro per divertirti e userai la giardinetta solo per il lavoro."
"Come vuole lei, onorevole, ma..."
"Ma, cosa?" chiese l'uomo burbero.
"La scuola guida... qui in paese... magari con una bicicletta potrei frequentarla in un altro paese..."
"No, qui in paese, ho detto. Non devi continuare a nasconderti, a fuggire."
"Magari... magari in paese... trovano la scusa che non hanno posti e mi rifiutano l'iscrizione..."
L'uomo prese un telefonino dalla tasca della sua giacca di casa, consultò il computer, poi digitò un numero sul telefono.
"Pronto, sono Manfredo T* P*! Sì, certo, Mnfredo T* P* di Tetti Rossi, si capisce, quanti crede che ce ne siano al mondo con questo nome. Bene. Quando cominciate un corso per prendere la patente? Ah, fra dieci giorni? Perciò lunedì 21. Orario delle lezioni? Aspetti che prendo appunti... sedici-diciotto. Ottimo. E c'è un posto per iscriversi? Non io, la patente l'ho già e comunque non guido più da un secolo. Un mio dipendente. Bene. Prenda il nome, allora. Ha da scrivere? Bene. Il ragazzo si chiama Giovanni M*. Sì, Giovanni M* mica è sorda no? C'è forse qualche problema? No ma, che cosa significa? O c'è un problema o non c'è e se c'è vorrei venirne conoscenza. Sì che li ho letti i giornali; sarebbe questo il problema? No? Meno male. Ah, e si ricordi, sia lei che i suoi colleghi, apra bene le orecchie: se non c'è nessun problema, è bene che continui a non esserci, la avverto. Qualsiasi minima mancanza di rispetto nei confronti del ragazzo è come se la faceste a me, è chiaro? Sa bene che non vi conviene, non è vero. Certo, bene, molto bene. Lunedì 21 alle sedici il ragazzo verrà. Mi dica il costo del corso... bene. Il ragazzo le porterà un mio assegno. Buona giornata."
L'uomo spense il telefonino e lo mise in tasca. "Adesso, ragazzo, tocca a te. Fatti rispettare, fai la tua parte. Io ho fatto la mia, ma se non sei tu a pretendere rispetto, io ci posso fare ben poco. Chiaro?"
"Grazie, onorevole. Lei è molto buono."
"No, non è questione di essere buoni. È solo una questione di giustizia. Ho sempre cercato di essere giusto, questo sì."
"Ma la giustizia senza la bontà è pericolosa." disse il ragazzo quasi timidamente.
"Pericolosa, dici? Perché pericolosa?"
"Perché è fredda, astratta, fine a se stessa. Perché non tiene conto dell'essere umano ma di principi astratti. La giustizia deve essere fatta per l'uomo, non l'uomo per la giustizia... come invece, sfortunatmente, avviene anche troppo spesso."
Il vecchio ebbe un fugace sorriso: "Il mio giovane giardiniere è anche filosofo. Bene. Sì, hai ragione tu. Diciamo allora che ho sempre cercato di essere molto giusto e anche un po' buono. Ma non andare a dirlo in giro, la gente confonde la bontà con la dabbenaggine. Domani ti farò firmare il contratto di lavoro."
"Grazie onorevole, grazie di tutto."
"Ah, e visto che non riesci a staccare gli occhi dai miei libri... se vuoi usare la mia biblioteca vieni pure qui, senza stare a chiedermelo ogni volta. Sai usare il computer? La prima volta che vorrai prendere un libro dimmelo e io ti insegnerò a consultare il data-base per trovare il libro. Lascia solo sempre tutto in perfetto ordine: sono un tipo piuttosto pignolo io."
"Grazie, onorevole, grazie di tutto." ripeté il ragazzo commosso.
"Ti stai ripetendo, ragazzo. Al lavoro, adesso." disse l'uomo e parve dimenticarsi del ragazzo.
Giovanni si alzò e uscì in silenzio.