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una storia originale di Andrej Koymasky


I CAVALIERI
DI SANT'ANDREA
CAPITOLO 1
INCIPIT - FLORIANUS E LAURENTIUS

Se vi imbarcaste su una galea che da Venetia discende verso sud nel mare di Adria, tenendo la man dritta, quando siete di fronte alle coste della Dalmatia, oltrepassato di poco il porto della dorica città di Ancona, vedreste, arretrato di poche leghe dalla riva del mare, un ampio e ridente colle. Se lo poteste guardare dall'alto, vedreste che questo colle ha la forma di una lettera "M" latina, capovolta e di molto allargata e appiattita.

La sommità di questo ameno colle è quasi piana, ma è lievemente più elevata in tre punti e su ognuno di essi sorge un borgo fortificato, recinto di mura e difeso da un piccolo castello. All'estremo più a sud vi è il Castrum Maurelli, i cui signori sono per l'appunto i Maurelli. Da questo borgo si intravede a pena il mare, ma si domina da lontano l'ampio e vago paesaggio della collana dei monti Appennini. La chiesetta del borgo è l'Ecclesia Sanctae Mariae in Platea.

Se usciste da questo borgo e camminaste sulla via che corre lungo il crinale del colle, giungereste al Castrum Mutii, che prende il nome dalla omonima famiglia che un tempo aveva la signoria su esso. Il Mutius che attualmente vive nel borgo non ha più un potere assoluto, ma è il Prior, ereditario, del Consiglio de' nobili che regge il borgo, costituendo così un piccolo comune, come quelli che si vanno diffondendo nella zona. Non lontano dal palazzo del Prior e suo castello, sorge la chiesa parrocchiale, dedicata al Sanctus Martir Vitus.

Procedendo più oltre, sull'ultimo angolo dell'ampia "M" verso nord, giungereste infine al terzo dei tre borghi, il Castrum Ulpiani, possesso personale della famiglia Ulpiana. Qui sorge la più antica chiesa del colle, dedicata a Sanctus Flavianus, che la tradizione vuole sia stato il primo missionario a diffondere il cristianesimo in queste terre, e il cui corpo è sepolto sotto l'altare della piccola, austera chiesa.

Se infine procedete più oltre, sempre camminando lungo il crinale, giungereste all'altro estremo della "M" capovolta e da uno slargo in cui essa culmina, vedreste a metà costa verso nord un piccolo borgo non fortificato, non ostante il suo nome sia Castrum Novum. Qui la chiesetta parrocchiale è dedicata alla Virgo Maria, Porta Coeli. Il borgo è retto da un Consiglio, composto dai capi delle gilde di artigiani che qui lavorano e abitano.

Teoricamente, sorgendo Castrum Novum sulle terre degli Ulpiani, sarebbe a questi soggetto, ma di fatto e per antica tradizione esso gode di ampia autonomia, anche perché gli Ulpiani, essendo perennemente in guerra sia con Castrum Mutii che con Castrum Maurelli a causa di dissidi sul dominio sui terreni e maxime sui pozzi, non si possono permettere di spender forze, tempo ed energie per contrastare la libertà di Castrum Novum.

L'insieme dei territori appartenenti ai tre castelli, è delimitato a sud dal fiume Potentia, a ovest dalle terre appartenenti al comune di Mons Fanum, a nord dal fiume Muso e a est, infine, dalla riva del mare d'Adria.

Secondo le tradizioni e le pergamene contenute negli archivi del borgo e dei tre castelli, il Castrum Novum, nonostante il suo nome, pare fosse abitato, fin da tempi più remoti della fondazione di Roma, da una tribù di Piceni il cui nome è variamente trascritto come Ricinensi, o Recini, o Ricinati o anche Rachanati... I tre castelli invece furono fondati attorno all'anno 1200 dalla fondazione di Roma, cioè attorno all'anno 500 dell'era di Nostro Signore.

Quando le legioni romane conquistarono il Piceno, fondarono una loro colonia all'incrocio fra il fiume Potentia, e la via romana. La colonia, in onore del console Elvio suo fondatore, fu denominata Elvia de' Recini, o Elvia Recina. Le legioni erano solite stabilirsi nelle valli, in piano, e lasciare che i nativi del luogo, a loro sottomessi, continuassero ad abitare, com'era loro costume, sulle alture.

Avvenne poi il declino e la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e con esso le invasioni dei barbari, che iniziarono sempre più spesso a percorrere, saccheggiare e occupare le ubertose terre italiche, violando la stessa sacra ed eterna città di Roma. Anche Elvia Recina fu saccheggiata e distrutta.

I pochi legionari superstiti si rifugiarono sulle alture circostanti ove costruirono le loro dimore, più facilmente difendibili dalle scorrerie che non sul piano. Elvia Recina, secondo le tradizioni, era presidiata da tre legioni i cui legionari erano di tre diverse origini.

Quelli di stirpe romana, di cui la leggenda dice che il centurio fosse della famiglia dei Mutii, la stessa di Mutius Scaevola, fondò per l'appunto lo stanziamento di Mons Mutius. I legionari di stirpe etrusca, guidati da certo Ulpianus, si ritirò su quello che fu perciò detto Mons Ulpianus, e infine i legionari di stirpe italica, comandati da certo Maurilius o Maurellus, si installarono sul'altura più a sud dell'ameno colle che da essi prese il nome di Mons Maurellus.

Con il passar de' secoli le tre comunità, fondate da tre compagni d'arme, diventarono nemiche fra di loro a causa della spartizione delle terre circostanti e soprattutto dell'uso dei pozzi, come già detto.

L'eterno stato di inimicizia e le frequenti scaramucce, guerre e battaglie, spesso accese da futili motivi e da antichi rancori, provocarono fughe fra gli abitanti dei tre Castra, in special modo fra gli artigiani, infatti i contadini erano legati alle terre del contado. I fuggitivi si unirono ai pochi superstiti della tribù Picena che viveva su quel colle, costruendo così quello che fu chiamato Castrum Novum.

Questa era la situazione al volgere della metà del secolo XII, quando inizia la nostra storia.

I quattro protagonisti di questo nostro racconto erano nati, ciascuno, in ognuno dei tre castelli e in Castrum Novum. Il loro nome non ha ottenuto nella storia e nei suoi testi il posto che avrebbero meritato.

Il primo di essi, per ordine di nascita, si chiamava Marcus Mutius ed era il figlio minore del Prior di Mons Mutii. Era questi un giovane di bell'aspetto, non molto alto ma prestante e forte, un valente uomo d'arme e discreto letterato, di venticinque anni appena compiuti. Se un difetto si fosse voluto trovare in lui, questo era la testardaggine, che però diviene una virtù se la si vede come determinazione.

Non si può dire che fosse veramente bello, eppure aveva nelle sue forme e nel suo portamento una certa sensuale avvenenza. Aveva capelli castani che portava sempre assai corti, e piacevoli occhi, verdi come il mare di Adria che lambisce quelle terre.

Di sei anni più giovane era Florianus Maurellus, il secondo figlio maschio di cinque, tutti maschi, del signore di Mons Maurelli. Il ragazzo, di diciannove anni, era di gran lunga, dei quattro nostri protagonisti, il più bello. Era snello, di media altezza, elegante e di gentile aspetto. Un curato caschetto di biondi capelli ornava il suo capo e incorniciava il suo soave volto. Aveva labbra sensuali e occhi color del cielo.

Veniva poi Johane Ulpianus, che era nel suo quindicesimo anno di vita. Egli era il figlio maggiore del signore di Mons Ulpiani. Aveva un volto simpatico, pur nella sua lieve irregolarità, una bocca forse troppo larga ma quasi sempre piegata in un allegro sorriso. Aveva begli occhi castano chiari, belle e forti sopracciglia e il suo capo era coronato da capelli castano scuro che né pettini né cure parevano poter domare o costringere all'ordine.

All'età di dieci anni era caduto dal balcone dell'avito castello e ne portava ancora le conseguenze, infatti zoppicava lievemente a causa d'un osso della gamba mal saldatosi dopo la frattura, che gli rendeva la gamba storta.

Ultimo per età veniva Laurentius, figlio di Marianus, un valente intagliatore di pregiati legni e fabbricante di stipetti, cassapanche e mobilia varia. Il ragazzetto, all'inizio della nostra storia aveva da poco superato i tredici anni. Aveva occhi vispi, in eterno movimento, tutto l'incuriosiva e tutto anelava conoscere e comprendere e la parola che più di frequente era uso dire era: perché?

Aveva il ragazzino una voce assai bella ed era perciò il cantore solista nelle funzioni della chiesa di Castrum Novum. Se la madre gli avesse lasciato allungare i bei capelli, avrebbe avuto una chioma ondulata, d'un colore scuro ma lucente.

Stava imparando dal padre l'arte della scultura, benché il suo segreto sogno era poter interpretare i misteriosi segni che vedeva nel messale del prete quando serviva messa. La cosa che più amava il ragazzino era scendere al non lontano fiume Muso per bagnarsi.

Or dunque, in un caldo giorno di luglio dell'anno del Signore 1156, Florianus Maurellus stava tornando a piedi da Bononia, presso la cui celebre Universitas Studiorum aveva iniziato a svolgere i suoi studi. In quei tempi non tutti i figli de' nobili potevano permettersi di avere un proprio cavallo, a meno che fossero uomini d'arme. Ben raramente lo avevano se erano clerici, cioè studenti, come il bel Florianus. I propri piedi, nella migliore delle ipotesi forniti di buone scarpe, o sandali o stivali, restavano per i più l'unico mezzo di trasporto. Lo erano comunque per il bel Florianus.

Come s'è detto, la giornata era calda, e il forte e continuo frinire delle cicale rendevano il calore ancora meno sopportabile. Si sentiva, Florianus, tutto coperto di polvere e sempre più urgentemente provava il desiderio di potersi concedere un po' di sollievo. Giunto al fiume Muso, poté finalmente scorgere l'ameno colle su cui sorgevano i tre castelli, anche se quello dei suoi padri era il più lontano e non ancora visibile da quel luogo.

Il mormorio dell'acqua del fiume esercitò sul bel giovane clericus una forte, anzi irresistibile attrazione. Giunto alla riva perciò, e scelto il punto adatto, si liberò rapidamente di tutti i propri abiti che sbatté con vigore per liberarli dalla polvere della strada, ne fece un fagotto e lo nascose accuratamente.

Stirò le stanche membra tendendo a uno a uno tutti i muscoli del proprio bel corpo nudo, e finalmente si inoltrò nell'acqua limpida e fresca, provando subito un gradevole senso di sollievo. Si strofinò con vigore per tutto il corpo, per liberarsi e da polvere e da sudore, finché la pelle fu arrossata e pulita. Quindi, risalendo un po' verso l'altra riva, si stese nell'acqua, poggiando il capo su un sasso appena emergente godendosi le carezze delle piccole onde dell'acqua corrente e dei caldi raggi del sole sulla propria pelle.

Chiuse gli occhi ed emise un lungo sospiro. Il suo corpo supino, steso appena sotto il livello dell'acqua corrente, era completmente nascosto alla vista di chi fosse stato sulla riva dalla parte di Castrum Novum da un alto e lungo sasso che gli sfiorava il braccio e la gamba di mancina.

Fu per ciò che Laurentius, che proveniva allegramente dal colle a piedi scalzi, non lo vide. Il ragazzetto si guardò attorno e, credendosi solo, si tolse di dosso i pochi e semplici panni che abbandonò sull'erba e scese in acqua, esattamente dietro il sasso che gli precludeva la vista del bel corpo di Florianus.

Il ragazzetto non si sarebbe certo vergognato a farsi veder nudo da un compagno o da un uomo: a volte scendeva al fiume coi suoi amici e si denudavano tutti senza problemi, per bagnarsi e giocare o nell'acqua o sulla riva. Ma se sulla riva o in acqua vi fosse stata una donna o una fanciulla, Laurentius si sarebbe vergognato a morte nel farsi veder nudo dall'altra "metà del cielo". Non che il suo corpo, se pure ancora acerbo benché in via di sviluppo, non fosse gradevole a vedersi. Ma pare sia cosa naturale, al sopraggiungere del maturare verso la virilità, che un ragazzetto se ne vergogni.

Dicevamo dunque che il ragazzetto era nell'acqua. A un tratto, sulla sommità dell'alta pietra che lo separava dal corpo ignudo di Florianus, vide brillare le iridescenti ali di una libellula. La guardò affascinato poi, trattenendo il fiato e muovendosi con felina cautela, s'alzò dall'acqua e scalò la pietra per vederla più da presso, sperando che il bell'insetto non volasse via. Era quasi giunto sulla sommità del sasso, quando la libellula si librò nell'aria.

Laurentius d'istinto allungò un braccio per catturarla ma così facendo perse l'equilibrio, i suoi piedi bagnati scivolarono sulla liscia superficie del grande sasso e cadde quindi con un forte tonfo dall'altra parte, a una spanna dal corpo del bel Florianus.

Quasti scattò su a sedere e, pensando che il ragazzetto fosse saltato apposta per fargli dispetto, si adirò e lo afferrò lesto per la vita. Laurentius, che si credeva solo, nel sentire quelle mani su di sé lanciò un urlo spaventato e si divincolò cercando di liberarsi. Florianus rafforzò la sua presa cercando di immobilizzare il ragazzetto.

"Non mi scappi, piccolo impertinente! Ora ti darò una lezione di buona creanza." disse riuscendo infine a bloccarlo.

"Che vuoi da me? Chi sei?" chiese il ragazzetto girando il capo a guardarlo, ora più arrabbiato che spaventato, "Lasciami o te ne farò pentire!"

Florianus rise: "Prova a liberarti, prima, poi se ne riparlerà. Ti pare il modo di importunare un cavaliere, questo?"

"Cavaliere tu? Dov'è il tuo cavallo?" chiese il ragazzetto calmandosi un poco nel vedere negli occhi dell'altro una mal celata allegria.

"Ma come non lo vedi, sei tu il mio cavallo. Ora ti monto in sella e ti faccio trottare, piccolo senza creanza!"

"E lasciami! Che ne sapevo io che tu eri costì. Son scivolato, mica l'ho fatto apposta!"

"Non prima d'averti dato la punizione che meriti, piccolo moccioso."

"Ma punito di che? T'ho detto che son caduto, no? E ringrazia il cielo che non ti sono caduto addosso, piuttosto."

Permettetemi qui, gentili lettori, una lieve digressione.

Vi ho sommariamente presentato i quattro protagonisti di questo mio racconto. Ma ho dimenticato di riferirvi un importante fatto: i quattro, sia pure così differenti per età, lignaggio e apparenza, avevano tutti un tratto che li accomunava. Tutti e quattro infatti, chi più chiaramente chi meno, chi con maggiore esperienza chi ancora privo, avevano capito d'essere attratti, a differenza dei loro compagni, solo dalla propria metà del cielo e non dall'altra.

Sia per età che per ardire, era Marcus il più esperto dei quattro. Aveva già avuto, in rapida successione, ben cinque amanti e innumerevoli avventure. Non di rado prendeva il proprio piacere con i ragazzi del contado, ma a volte anche con i servi o con i suoi pari, secondo che se ne presentasse l'occasione.

Veniva poi Florianus, che in Bononia, grazie a un compagno di studi, aveva scoperto la propria preferenza per la propria metà del cielo e l'aveva sperimentata con piacere, dapprima con quel suo compagno, poi anche con altri. Non era cosa rara che i clerici, anche quelli che amavano l'altra metà del cielo, si divertissero pure fra di loro, cosa assai più agevole che non corteggiare una ben guardata fanciulla.

Johane invece, pur sentendosi fortemente attratto da alcuni suoi compagni, ancora non aveva avuto né modo né possibilità di avere intimi contatti. Ma il desiderio ardeva nei suoi lombi sempre più forte, e sognava il giorno in cui avrebbe potuto trovare qualcuno che fosse disposto a dargli l'anelata soddisfazione.

Infine Laurentius, se pure già indulgeva con crescente piacere a intimi giochi con i suoi compagni, s'era solo limitato, nell'ultimo anno, a procurarsi vicendevole piacere con le mani. Desiderava però, e sempre meno confusamente, poter giungere a un più intimo contatto e unione, specialmente con certi compagni che la natura aveva meglio dotati fra le gambe.

Questo vi dico, per spiegarvi come e perché i corpi bagnati e ignudi di Florianus e Laurentius, a causa della stretta con cui il più grande serrava a sé il più giovane, iniziarono presto a reagire.

Il primo a rendersene conto, fu il più maturo dei due. Questi guardò fra le gambe del ragazzetto e apprezzò quanto vide: se pure la corporatura di Laurentius gli diceva che era ancora assai giovane, laggiù era di già piuttosto ben sviluppato e l'incipiente erezione del ragazzetto e lo stretto contatto con il suo corpo fresco e forte, provocarono un brivido di piacere lungo la spina dorsale del bel Florianus.

"Se ti lascio, non scappi?" gli chiese allora.

"Scappare io? E perché? Mica mi fai paura, tu. Sei riuscito a immobilizzarmi solo perché m'hai preso alla sprovvista."

Florianus lentamente allentò la sua presa, finché l'altro fu libero. Allora questi, restando seduto nell'acqua,si girò verso Florianus e lo guardò.

"Chi sei? Non t'ho mai visto da queste parti." gli chiese mentre i suoi occhi scorrevano, senza ritegno ma senza sfacciataggine, lungo le belle nudità del giovane nobile.

"Mi chiamo Florianus, abito poco lontano da qui, sul Mons Maurellus. E tu?"

"Io mi chiamo Laurentius e sono figlio di Marianus di Castrum Novum. Sei davvero un cavaliere, tu?"

"Lo sono, perché mio padre è un nobile. Lo sono anche se non ho cavallo."

"Un cavaliere senza cavallo è come una zappa senza manico." disse il ragazzetto con ironia.

"Piccolo impertinente. Ti piace sfidarmi? Vuoi davvero che ti dia una lezione?"

"E che lezione vorresti darmi, forse insegnarmi a montare a cavallo?"

"Sì, esatto. E tu sarai il cavallo che io monterò." disse Florianus senza muoversi: notò che il ragazzetto era guardingo.

Laurentius lo squadrò nuovamente da capo a piedi e questa volta notò l'erezione dell'altro. I suoi occhi si fermarono un poco a osservarla. Poi con un sorrisetto scaltro disse: "Hai il coso duro! Ci scommetto che è con quello che tu vorresti darmi una lezione, altro che montare a cavallo."

"Vedo che sei pronto d'ingegno, oltre che impertinente. Sì, certo, proprio questo è pronto a salire sulla tua sella."

Il ragazzo rise: "In questo caso, se tu ci riuscissi, sarebbe quel tuo manico a galoppare, non io."

"Proprio così." confermò il giovane sollevandosi lentamente in piedi nell'acqua, pronto a scattare se il ragazzetto avesse fatto mostra di volergli sfuggire.

Laurentius non si mosse: "D'accordo, ammettiamo che tu sia davvero un cavaliere... Hai già fatto trottare assai spesso quel tuo cavallo?"

"Proprio così, ragazzo... e l'ho spesso condotto in accoglienti stalle, come quella che tu hai fra le tue piccole chiappe."

"E ora tu vorresti farlo entrare anche nella mia stalla. È da vedere, dato che la stalla è mia, se io sono disposto ad alloggiarvi quel tuo cavallo. Questa volta mica riusciresti tanto facilmente a immobilizzarmi come prima."

"Mi sfidi? Vuoi che facciamo una prova? Io sono pronto, come vedi."

"Lo vedo sì che sei pronto: ce l'hai bello ritto come un fuso!"

"Lo è anche il tuo, però."

Il ragazzetto fece spallucce: "Anch'io lo faccio trottare, il mio... ma solo con la mano."

"Sempre da solo, o con altri?"

"E l'uno e l'altro, fra compagni. Il tuo però è il più bello che abbia mai visto."

Florianus rise: "Un peculiare complimento. Ti piace, dunque?"

"Guardarlo sì... forse anche toccarlo... ma quanto a quella che tu chiami la mia stalla, non sono poi tanto sicuro che mi piaccia ospitarvelo. Mi pare un po' troppo grosso per dargli il benvenuto."

"Mica poi tanto... Non vi hai mai ospitato altri cavalli?"

"No, mai. Tu hai voglia di divertirti col mio culetto, insomma, ma a me che me ne verrebbe? Dove sarebbe il mio, di divertimento?"

"A molti piace anche farsi cavalcare. Perché non ci provi? Magari scopri che a te pure piace."

"E a te? A te piace farti cavalcare in quel modo?" chiese il ragazzetto continuando a guardare un po' il membro ritto, un po' il volto del bel Florianus.

"Dipende. Se il cavaliere è esperto, può anche piacermi."

"E tu? Sei un cavaliere esperto, tu?"

"Non per vantarmi, ma credo di esserlo."

Il ragazzetto si fece serio. Se fino a quel momento aveva parlato più per divertirsi che per altro, ora pensava che forse, finalmente, avrebbe potuto sperimentare qualcosa di più serio di quanto era uso fare con i suoi compagni. Ma ancora esitava.

"Davvero ti piace prenderlo nel culo?"

"Te l'ho detto, a volte mi piace."

Laurentius gurdò ancora il membro eretto dell'altro: "A me pare un po' troppo grosso, il tuo, però... Se tu mi fai due promesse... magari... magari ci potrei anche provare con te."

"Quali promesse?"

"La prima: se ti dico che fa male e di smettere, tu smetti subito e non insisti... lo togli."

"D'accordo. E la seconda?"

"La seconda promessa, importante quanto la prima è che... se io te lo lascio mettere tutto dentro di me... poi tu mi fai provare: anche io lo metto tutto dentro a te."

"D'accordo anche per questo."

"Mi dai la tua parola?"

"Parola di cavaliere. Ti basta?"

"Se tu sei davvero un cavaliere, mi basta."

"Ma se io non lo fossi e perciò non mantenessi la mia parola?"

Il ragazzetto pensò per un poco, grattandosi la nuca e guardandolo negli occhi, poi disse: "Giuro su Dio che te la farei pagare. Non so ancora come, ma lo farò. Ma mi voglio fidare di te."

"Perché ti fidi di uno sconosciuto?" gli chiese il giovane, facendogli un sorriso e, allungata una mano, lo prese gentilmente per un braccio e lo fece alzare in piedi.

"Per due motivi. Uno, perché nei tuoi occhi c'è gentilezza e franchezza. E due, perché prima, quando m'avevi immobilizato, potevi farlo a tuo piacere, visto che sei più forte di me, ma non ci hai provato. Perciò..."

"Sul serio, hai la mi parola che non ti farò male e che tu potrai metterlo a me. Vieni, andiamo a riva e cerchiamo un tratto erboso e soffice."

Florianus si avviò e il ragazzetto lo seguì. Poi Laurentius lo prese per un braccio e lo fece fermare.

"Che c'è?"

"Con gli amici, per non essere visti, si andava fra quei cespugli. Vieni." disse e lo guidò. "Qui va bene, no?"

"Sì, certo." disse Florianus sedendo sull'erba, "Vieni qui, fra le mie gambe, e lasciami fare. Se ne hai voglia, fai anche tu a me quello che io faccio a te. D'accordo?"

"D'accordo. Non mi farai male, me l'hai promesso!"

"Cercherò di non farti male e se tu mi dirai basta, io smetterò."

Le loro eccitazioni erano alquando scemate, perciò Florentius carezzò e toccò il corpo del ragazzetto in modo di risvegliarne nuovamente il desiderio. Sapeva che più il ragazzo fosse stato eccitato, più avrebbe sopportato il fastidio inevitabile della sua prima penetrazione. Non voleva far male al ragazzetto, voleva goderselo ma anche farlo godere.

"Fin qui mi piace... mi piace più che con i miei compagni..." disse Laurentius iniziando a toccare in modo intimo il bel corpo dell'altro. "Mi piace come mi tocchi e anche toccarti." Poi arditamente afferrò il membro nuovamente eretto di Florianus: "È grosso, però è bello. Più bello del mio."

"Crescerai. E già non sei niente male." gli disse Florianus, lieto per quel fortuito incontro. "Sei un bel ragazzo."

"Davvero ti piaccio? Chissà quanti ne hai avuti, tu..."

"Pochi, ma con ognuno l'ho fatto parecchie volte."

"Tuoi amici?"

"Sì, miei compagni di studi."

"È forte, oltre che bello, questo tuo arnese."

"Anche il tuo."

"Perché ancora non mi prendi?"

"Aspetto che tu sia pronto."

"Ah, se aspetti me, credo che non sarò pronto mai."

"Perché?"

"Perché anche se ne ho voglia, ho ancora un po' di paura. No, non di te, ma di... di questo. È davvero grosso."

"Non ci pensare. Il tuo forellino qua dietro si adatterà a lui. Forse all'inizio un po' a fatica ma poi sempre più facilmente. Per me è stato così."

"T'ha fatto male, la tua prima volta?"

"No, solo un certo qual fastidio."

"Ce l'aveva grosso, quello che te l'ha messo dentro?"

"Un po' più del mio."

"Beh... proviamoci, dai! Forse sono un po' pronto." sussurrò il ragazzetto e Florianus sentì ancora un certo timore nella sua voce.

Quando, dopo un po' di tempo, i due emersero dal folto di cespugli, Laurentius sorrideva.

"È andata meglio di quello che pensavo. Mi è piaciuto. Anche se devo dire, onestamente, che mi è piaciuto di più quando io l'ho messo dentro a te."

"È naturale: tu devi ancora abituarti. Ma il giorno in cui lo sarai, vedrai che è bello anche farselo mettere. Per me è stato così."

"Ti sei fermato tutte e due le volte che te l'ho chiesto..." disse il ragazzo mentre si rivestivano, poi, visti gli abiti dell'altro, disse: "Sei davvero un cavaliere, tu. Non mi hai mentito."

"Certo che mi sono fermato, te l'avevo promesso. E se tu non m'avessi detto di riprovare, non l'avrei fatto."

"In realtà non è vero che tu mi stavi facendo male. Volevo solo vedere se mantenevi la tua parola. Ora che so che mi posso fidare di te... mi picerebbe che sia tu a farmi abituare. Ci si potrà rivedere? Lo faremo ancora?"

"Non so. Passerò solo una luna con la mia famiglia, poi dovrò tornare a Bononia, ai miei studi. Però avrei anche io piacere di incontrarti ancora."

"Tu sei molto bello... Una luna intera sono quattro settimane. Se ci mettiamo d'accordo su dove e quando..."

"Non mi è facile dirlo ora. Non so ancora quali saranno i miei impegni nei prossimi giorni."

"Non ti è piaciuto farlo con me, allora. Non hai voglia di farlo di nuovo, non ci so fare, vero?"

"No, al contrario. Se potessi lo farei con te volentieri e spesso. Anche perché non ho nessuno con cui posso farlo, lassù al castello."

"Ti accontenteresti, insomma."

"Non intendevo dire questo. Anche se di fatto l'ho detto, e te ne chiedo scusa."

"Tu chiedi scusa a me? Un cavaliere? Beh, sei gentile a dirlo. Fai il possibile, allora, perché ci si incontri ancora."

"Sì, farò il possibile. Ma come fare per ritrovarci?"

"Ogni domenica dopo il pranzo, io andrò giù al pilone di Sanctus Jeronimus e ti aspetterò lì. Se potrai venire io te ne sarò grato. Sai dove si trova?"

"Il pilone di Sanctus Jeronimus? Non è al confine fra le terre de' Mutii e quelle degli Ulpiani, sulla via che conduce a Mons Fani?"

"Proprio lì."

"Bene, farò tutto il possibile per esserci anche io."


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