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una storia originale di Andrej Koymasky


I CAVALIERI
DI SANT'ANDREA
CAPITOLO 4
VITA IN BONONIA

I due clerici piceni stavano camminando per un vicolo dietro l'Universitas Studiorum, ridendo e scherzando, quando da una finestrella una mano sporse un pitale e ne rovesciò il contenuto sulla via, prendendo in pieno Johane.

Il ragazzo lanciò un grido e, grondante di maleodorante liquame, gridò verso l'alto: "O malcreata bestia, mostra la tua faccia anziché il tuo culo!"

Florianus lo guardò esterrefatto, poi si turò il naso.

Johane lo guardò a sua volta e scoppiò a ridere: "Ora puoi dire, e a buon diritto, che sono un puzzolente Ulpianus!"

"Hai la forza di ridere anche in questo sgradevole frangente?" gli chiese stupito l'amico.

"Troppe lacrime dovrei versare, per lavarmi di dosso questo sudiciume immondo. Stammi lontano, amico, non voglio né insudiciarti né asfissiarti con questi miei profumi!"

"Ora che si fa?" chiese Florianus.

"Non v'è una fontanella qua dietro, sulla piazzetta degli speziali? Cercherò di lavarmi di dosso quanto più mi riesce, poi tornerò nella mia stanzetta e cercherò di lavare questi panni e me stesso quanto basta."

"Hai acqua, nella tua stanza?"

"Vi è un pozzo nella corte. Mi farò prestare qualche secchio... e in qualche modo farò."

"Povero amico mio, che sgradevole avventura. Andiamo, ti aiuterò."

Giunti alla fontana, Florianus gli gettò addosso manate d'acqua mentre Johane, con smorfie disgustate, cercava di togliersi di dosso e dai panni quanto più poteva. Restato con le sole corte braghe ai lombi, mise i suoi panni sotto il getto dell'acqua sfregandoli con vigore. Frattanto Florianus gli versava acqua a piene mani sui capelli e sul volto.

"Oh malcreati! Non avete miglior luogo per fare le vostre abluzioni?" li apostrofò uno speziale dalla porta della sua bottega.

"Malcreati voi bononiensi. Vi pare il modo di vuotare il pitale fuori dalla finestra senza guardare chi vi è sotto?" gli gridò di rimando Florianus, irato.

Lo speziale scoppiò a ridere.

"Ridete, ridete, messere. V'auguro che un giorno vi vuotino addosso tutti i pitali dell'ospedale degli appestati!" gli disse Florianus sempre più furibondo.

Lo speziale entrò nella propria bottega e n'uscì poco dopo con una barra di sapone e una spazzola.

"Vieni a prendere questi, clerico, e aiuta il tuo povero amico. L'acqua soltanto può ben poco, per il suo problema. E dimentica le mie parole e le mie risa di poc'anzi: non tutti noi bononiensi siamo così poco accorti."

Florianus si acquietò un poco. Presa la barra di sapone e la spazzola li pose sotto l'acqua, li sfregò e ottenutane una buona schiuma, porse la spazzola all'amico.

"Pulisciti con questa. Io frattanto passo il sapone sui tuoi panni."

"Non ti devi sporcare, tu." gli disse Johane prendendo la spazzola e passandola prima sui capelli, poi su tutto il corpo finché fu tutto insaponato da capo a piedi.

Frattanto, accoccolato sul selciato, Florianus gli stava insaponando e sfregando i panni. Dalla porta della sua bottega lo speziale li osservava; presto altri bottegai apparvero sulle porte delle loro botteghe, commentando l'accaduto.

"Non senti freddo, tutto nudarello così, clerico?" gridò uno d'essi.

"Meglio il freddo che il putore!" esclamò allegramente Johane.

"Hai un buon carattere, se sai ridere anche in codesti frangenti." notò un altro bottegaio.

"Il ridere fa buon sangue, messere. Anche se il vino fa un sangue anche migliore!"

"Termina di lavarti, ragazzo, che t'offro io del buon vino." replicò l'altro.

S'aprì una finestra e una donna chiese: "Che accade costì?"

"Han rovesciato un pitale indosso a quel povero clerico!" spiegò da un'altra finestra una fantesca.

"O povera anima! Io ne morrei, se capitasse a me."

"Quel che è peggio è il fetore. Mi pare di non potermelo togliere di dosso." gridò Johane iniziando a sciacquarsi via il sapone.

"Attendi, clerico, ho dell'acqua di lavanda. Ora scendo e te ne porto."

"Ne occorrerebbe un secchio, temo!"

Florianus strizzò i panni dell'amico, li annusò e sentì solo l'odore del sapone: "Dai panni il malo odore se n'è andato, grazie al cielo. Ora devo solo sciacquarli meglio." disse soddisfatto della sua opera.

Giunse la donna e porse a Johane un flacone: "Versatela tutta indosso, povera creatura."

"Ma dopo puzzerò come una donna di facili costumi!" disse sorridendo il ragazzo.

"Meglio come una puttana che come un letamaio!" eclamò allegramente uno dei bottegai.

"Non usate parole volgari, Mastro Silvester, vi son donne fra noi!" lo apostrofò un altro bottegaio.

Johane rese il flacone vuoto alla donna: "Vi ringrazio, siete stata assai gentile. Dammi i miei panni, Florianus, ho già dato anche troppo spettacolo con le mie nudità."

"Ma son bagnati, ti prenderai un accidente a indossarli ora." osservò la fantesca dalla finestra.

"Qulcuno ha forse una soluzione migliore? Posso tornarmene a casa così ignudo?" chiese Johane.

"Hai un ricambio in casa, clericus?" chiese uno dei bottegai.

"No." mentì prontamente Johane, "Sono solo un povero clericus, non ho che questi panni. Mi metterò sul pagliericcio e attenderò che asciughino."

"Se hai un focolare nella tua stanza, o un bracere, accendilo, che almeno ti riscalderai e inoltre i panni asciugheranno più in fretta." gli disse la donna che era scesa nella piazzetta.

"Il bracere c'è, ma non v'è nulla per farlo andare."

"Pover'anima! Ehi, mastro Silvester, e voi, Master Arianus, aprite la scarsella e date un obolo a codesto povero ragazzo. Suvvia, anche voi altri, e non siate taccagni!" disse la donna e fece il giro della piazzetta a prender le monete. A volte si fermava davanti a un bottegaio, la mano tesa, guardando le monete che questi vi aveva deposte, e non s'allontanava finché non ne aveva aggiunte altre. Poi consegnò tutto il denaro a Florianus.

"Comprategli un altro abito e carbone per il braciere. E che Dio v'accompagni, ragazzi."

"Dio accompagni voi pure, e ve ne renda merito!" rispose con cortesia Florianus.

Johane s'era rimesso addosso i panni bagnati, il bottegaio che l'aveva promesso arrivò con un boccale di vino e lo porse al ragazzo, che lo bevve con piacere, e ringraziando tutti, i due ragazzi si avviarono finalmente verso la casa in cui Johane aveva la sua stanzetta.

"Fammi vedere quante monete ha raggranellato la donna per noi."

"Per te, non per noi: ecco, guarda."

"Per noi, testa dura! Ehi, ma sono parecchie. Sai che ti dico? Se questo è il modo per tramutar la merda in oro, cercherò di farmi versare altri pitali indosso!"

"Dirai per scherzo, spero!"

Johane rise: "Certo che scherzo."

"Con te non si sa mai..." notò con affettuosa ironia l'amico. "Ma adesso, svelto in casa. Ti metterò nel letto e accenderò io il tuo bracere. Non vorrei che davvero, per colmar la misura, tu mi dovessi prendere un malanno."

Dopo poco Florianus notò: "Per la prima volta da che ti conosco, i capelli ti stanno a posto."

"Oh, aspetta solo che siano asciutti, e vedrai!" rise Johane. "Sembra che ognuno voglia andare per suo conto e, per dispetto, in direzione diversa dal suo vicino."

"È la prima volta che ti vedo quasi ignudo... sei ben fatto nel corpo..."

"Se dimentichi la mia gamba storta, non mi posso lamentare. Anche se il meglio di me è restato celato agli occhi di tutti..." rise Johane.

"Tu non perderai mai il tuo buon umore."

"Che vuoi, che perda pure quel poco di buono che la natura m'ha dato?"

"Quel tanto di buono, dovesti dire. Più ti conosco, Johane, più mi convinco che tu sei come un libro la cui copertina non è fra le più belle, ma che se ti prendi la briga di aprire, scopri che è pieno di splendide miniature e inestimabili testi!"

"Tu sei più bello, e nella copertina e dentro, d'un Libro d'Ore miniato dai più celebri maestri."

"La bellezza è ben poco nella vita, se non v'ha anche dell'altro."

"E in te v'è molto altro, oltre la tua notevole bellezza. Il rischio che tu corri è che la gente si soffermi a rimirare la splendida copertina e non apra il libro per vederne gli altri tesori."

"E ti pare un piccolo rischio?"

"Sì, mi pare poco, Perché chi non sa leggere in te, non ti merita. Che uno sia attratto dalle belle illustrazioni di un libro, è naturale. Ma se si ferma a quelle è uomo di poco conto e superficiale. Meglio perderlo che trovarlo."

"Dimmi, Johane, tu sei sempre convinto della tua scelta?"

"Di quale scelta parli?"

"Di aver con me solo amicizia, per quanto bella e sincera e forte..."

"Sì, ne sono ancora convinto."

"Non io... Ma rispetto la tua scelta. Forse tu sei più saggio di me. Anzi, lo sei di certo, perciò, se pure a malincuore, mi fido del tuo giudizio."

"E fai bene. Vedrai che troverai un giorno la persona giusta per te, colui per cui sei nato e che per te ha conosciuto i natali. Me lo farai conoscere, quando lo incontrerai?"

"Non ti sarà di peso, conoscerlo?"

"Al contrario. Se ti amerà davvero, se ti farà felice, gli sarò grato, gli vorrò bene e sarò felice con voi!"

"E tu? Farai lo stesso con me?"

"Certamente. L'amicizia vera non può andare in una sola direzione... a differenza dell'amore."

"Anche io vorrò bene assai a colui che tu amerai e che ti ama, e anch'io gli sarò grato per renderti felice. Per te darei la vita, non dimenticarlo mai."

"E io per te, mio dolce Flavianus." gli rispose con lieto e sincero accento il ragazzo, donando all'amico un luminoso e caldo sorriso.

Johane era felice: sì, anche lui avrebbe dato la vita per Florianus.

I due ragazzi, che avevano solo quattro anni d'età di differenza, erano ormai inseparabili, tanto che si diceva che per trovar Florianus bastava vedere dove fosse Johane e viceversa.

Un giorno, dopo che la "brigata de' canterini zoppi" si fu esibita, ed ebbe raccolto parecchie monete, il dano, che abitava nella stessa via di Johane, tornando a casa gli disse:

"Noi siamo buoni amici, non è vero?"

"Lo siamo sì, non v'è dubbio alcuno."

"Perciò, se io ora ti chiedo una cosa, tu non l'hai a male."

"Sicuramente no."

"Florianus e tu, siete legati da profondo affetto..."

"È così."

"Sei il suo ragazzo?"

"No, non lo sono. Non vi fu mai nulla di fisico fra noi. Perché mi chiedi questo?"

"Perché... a me piacciono i ragazzi e avrei piacere di poter giacere con te."

"Con me? Non con Florianus? Lui è molto bello, non io."

"Con te, sì. Lui è molto bello, come tu dici, ma io vorrei giacere con te. A passo a passo tu hai acceso il desiderio nei miei lombi, non lui. Con te vorrei condividere il mio piacere, non con lui."

Johane smise di camminare e lo guardò sorpreso: "Oh, questo, poi! E che ho io che lui non abbia in grado sommo?"

"Mi sono accorto che stare accanto a lui non provoca in me nessun particolare effetto e al contrario il solo starti accanto me lo provoca. Anche in questo momento."

"E quale effetto?" chiese Johane.

"Come sono i tuoi capelli?"

"Ritti, vuoi dire?"

"Sì, e come dicesti il giorno in cui ci conoscemmo, altro s'è rizzato in me..."

"Anche ora, tu dici?"

"Se non fossimo nella via, te ne potresti sincerare... Certo che se a te io non faccio un simile effetto..."

Johane ridacchiò: "Stai cominciando a farmelo, con queste tue parole. Ma non credevo io d'avere un tal potere sugli altri, su te."

"Ti sottovaluti. Io ti trovo assai attraente. E non sono il solo... no, non chiedermi chi altro... non sarò certo io a svelartelo... temo la concorrenza!"

"Ohi dano! Or son due anni, cioè da che studio qui a Bononia, che sono in completa astinenza, e vengo a scoprire che a te, e anche ad altri, se devo prestar fede alle tue parole, io faccio quest'effetto! Tutti coi loro arnesi ritti come lo sono i miei capelli! Oh, questa sì ch'è bella!" disse Johane allegramente.

"Verresti su da me? Passeresti con me questa notte?"

"Da te, da me, ovunque!" rispose il ragazzo e improvvisò, cantandola a bassa voce all'amico, una delle sue strofe per cui era diventato famoso fra i clerici.

"Su," disse un giorno un dano
a un tale in astinenza,
"giochiam col membro e l'ano
e con santa impazienza
fottiamo allegramente
nella tua o la mia stanza,
fino a che finalmente,
con gradevol costanza,
spento sarà il dolce e forte desio
che nel tuo corpo arde e pur nel mio!"

Poi soggiunse:

"Orsù, ora, andiamo!
La notte è nostra, dano!"

Il dano rise. Quasi correndo i due ragazzi imboccarono le scale e salirono fino all'ultimo piano della casa dove il dano abitava. Entrati nella sua stanza, questi aprì il battente della finestra e la luce calda del sole calante rischiarò l'ambiente.

"Prima di metterci sul letto, ti va di mangiare qualcosa?" gli chiese il dano.

"Che offre la locanda,
oltre alla tua branda?"

"Solo pane e cacio e un tocco di salame..."

"Il tuo salame duro e bene eretto
lo assaggerò quando saremo in letto!"

"Non quel salame, sciocco! Quello che si taglia a fette." rise il dano. "E anche un po' di vino, poco ma di quello veramente buono che ho rubato al prete in sacristia. Ti va?"

Sedettero al desco e il dano, col suo pugnaletto, affettò il cibo e lo dispose su un piatto di legno. Vi pose accanto un boccale di coccio e iniziarono a mangiare e a bere.

"È vero che Florianus e tu, un tempo eravate nemici?"

"No, non lui e io, che non ci si conosceva neppure. Ma le nostre famiglie lo sono, da fin troppe generazioni."

"E quando, terminati gli studi, tornerete alle vostre terre, come farete?"

"Lui e io si resterà amici."

"Ma se le vostre famiglie si faranno la guerra?"

"Lui e io cercheremo di opporci e comunque non vi prenderemo parte."

"Non sarà una cosa agevole, né semplice..."

"No, non lo sarà. Ma faremo così come s'è deciso assieme. Tu, dano, quand'è che hai scoperto che ti piace farlo con i ragazzi e non con le ragazze?"

"A me piace sia con le ragazze che con i ragazzi. Ma qui per un clericus è molto difficile avere una ragazza, perciò lo faccio solo con i ragazzi."

"Ne hai avuti molti, qui in Bononia?"

"Qualcuno... abbastanza."

"E la tua prima volta? Con un ragazzo, intendo dire."

"La prima volta? Fu alla corte del nostro re, con un cavaliere. Lui aveva trent'anni, io sedici."

"E come avvenne?"

"Un giorno venne il re di Francia, così molti di noi dovettero cedere le proprie staze agli uomini del suo seguito, soprattutto noi paggi, e ci mandarono perciò a dormire con alcuni nostri cavalieri e io con lui, nel suo letto, intendo. Così lui, già la prima notte, mi carezzò e mi piacque. Ci provò e lo lasciai provare. Dapprima, quando mi prese, non mi piacque molto, ma lui ci seppe fare e per il giorno in cui il re di Francia e la sua scorta lasciarono il castello del nostro re... fui io a chiedergli di continuare."

"Eri il suo ragazzo?"

"Sì e no, cioè, lui ne aveva altri. Così ci provai anche con loro. Lui diceva che noi eravamo la sua scuderia..." disse ridacchiando il dano, "Per premio, chi di noi lo sapeva compiacere meglio, gli permetteva di giacere con una delle sue servette... fu così che per la prima volta io ci provai anche con una ragazza..."

"E ti piace più con un ragazzo o con una ragazza?"

"Con tutt'e due. È ugualmente gradevole."

"Ma quando ti accaserai, oltre che con la tua sposa, continuerai a farlo anche con ragazzi?"

"Certo. Anche il mio cavaliere aveva moglie. Quasi tutti i cavalieri lo fanno. Quando si è in guerra per lunghi mesi e si è lontani dallle proprie terre, non si può avere con sé la propria donna, perciò lo si fa con il proprio scudiero, è naturale. Non è così anche nel tuo paese?"

"Non so... non credo... ma forse mi sbaglio. Le nostre guerre, al mio paese, si fan quasi tutte in casa e duran pochi giorni. Sono scaramucce, battaglie più che non vere e proprie guerre, per quanto ho visto. Qualcuno dei nostri cavalieri, però, segue l'imperatore nelle sue guerre e allora non torna per anni. In questo caso probabilmente fanno anche loro come voi dani, ora che mi ci fai pensare." disse, e bevve un sorso del buon vino da messa.

"E la tua prima volta?" gli chiese il dano addentando l'ultima fetta di salame.

Johane gli raccontò del suo incontro con Marcus.

"Quindi," concluse il dano, "io sono solamente il secondo per te."

"Così è."

"E lui, quel tuo Marcus, dici che era sempre e solo lui a prendere te e mai il contrario?"

"Esatto."

"A me piace sia metterlo che prenderlo. Non lo faresti tu con me? Metterlo a me, intendo."

"Ci proverò, perché no."

"Molto bene. Sai, ce l'ho di nuovo ritto..."

"Andiamo? Il tuo giaciglio ci attende."

"Si sta facendo buio. Vuoi che accenda il lume, o preferisci farlo al buio?"

"Come preferisci tu. Queste cose si fan bene sia alla luce che al buio!" disse allegramente Johane e alzatosi, iniziò a denudarsi.

Il dano era biondo chiaro anche lì fra le gambe.

"È bello, il tuo arnese."

"Anche il tuo. Stenditi." disse il dano.

Salì anche lui sul pagliericcio, facendo allargare le gambe a Johane si inginocchiò fra esse, si chinò e prese in bocca il palo ritto del compagno.

"Che fai?" chiese sorpreso Johane, quasi sobbalzando. Il dano non rispose ma iniziò a muovere su e giù il capo.

"Oh, questa poi! Non sapevo che si potesse fare anche così... Continua, mi piace..." mormorò il ragazzo rilassandosi compiaciuto, e carezzando i bei capelli serici del compagno.

Quando a mattina i primi raggi del sole risvegliarono i due clerici, il dano ricominciò a fare l'amore con Johane.

"Ma non ti basta mai?" gli chiese questi, ma senza sottrarsi.

"Mi piace farlo con te. E poi, tu devi recuperare i due anni passati in astinenza. Come t'è piaciuto di più, ier notte? Prenderlo o mettermelo?" chiese il dano carezzandogi il petto glabro e liscio.

"E l'uno e l'altro, anche se di più prenderlo. Si sente che tu ne hai molta, di esperienza."

"E ti piace di più succhiarlo, o fartelo succhiare?"

"Di nuovo entrambi, ma forse un po' di più farmelo succhiare. Questo però perché forse non sono ancora uso a quel sapore."

"Il tuo sapore mi piace, Johane."

"Non abbiamo molto tempo, ci dobbiamo recare alle lezioni... anche se stamane devo seguire la lezione del noioso Magister Juris... Se fosse interessante quanto è attraente..."

"Ti piace Magister Wilfredus? Anche a Bortolomeus il neapolitano piace assai..."

"Anche il neapolitano è come noi?"

"Più come me che come te. Non lo sai che due su tre di noi cercan diletto con i compagni? E forse anche tre su quattro..."

"Anche fra noi sette della brigata?"

Il dano rise: "In questo caso sei su sette! Solo Fabianus il romano pare alieno a questi piaceri."

"Con tutti gli altri... tu l'hai già fatto?" chiese Johane pensando al suo Florentius.

"Ora che l'ho fatto con te, sì, con tutti."

"E con chi ti piace di più e con chi meno farlo?"

"Codeste cose non sta bene dirle. Non si parla mai di cose che riguardano anche altri..." gli rispose il dano, "Con te mi piace assai, tanto ti basti."

"Assai, sì, dato che questa è la terza nel volgere di poche ore." notò Johane mentre il dano lo prendeva con rinnovato piacere.

Così, dopo quel giorno, Johane iniziò a farlo anche con altri, benché quello con cui si accompagnava più spesso restò il dano.

Venne il giorno in cui Florentius terminò i suoi studi.

"Tornerai al tuo Mons Maurellus, dopo la dissertazione e gli allori?" gli chiese Johane cercando di celare la sua mestizia.

"Purtroppo devo. Mi spiace lasciare Bononia, gli amici, ma sopra a tutti te. Ma passeranno in fretta questi due anni che ti mancano, vedrai, e ci troveremo ancora... Non ti lascio solo, hai buoni amici, qui a Bononia, ora."

"Ma nessuno come te, e tu lo sai. E come ci si vedrà? Non potrò certo venire a bussare alla porta del tuo castello..."

"Mi manderai un servo per farmi sapere che sei tornato..."

"Nessun servo degli Ulpiani vorrà venire da voi Maurelli, né sarebbe bene accolto, lo sai."

"Basta che tu gli dica di non indossare i vostri colori. Il sevo mi dirà, o io dirò a lui, come e dove vederci."

"Non mi dimenticherai, preso come sarai dalla tua vita e dalle tue incombenze?"

"Credi davvero che ti potrò mai dimenticare? Non te, lo sai. Davvero, mio buon Johane, l'amico mio più vero e più sincero. In pegno della nostra amicizia e devozione, voglio che tu tenga con te questo mio anello." gli disse sfilandoselo dal dito e porgendolo all'amico.

Quando Florianus lasciò Bononia, Johane lo accompagnò per un buon tratto. Si separarono infine, ed entrambi i giovani avevan lacrime agli occhi.

"Ti aspetterò, amico. Fammi avvertire tosto che sarai tornato. Io ogni giorno penserò a te."

"Prometto, maledetto Maurellus, luce del mio cuore."

Florianus s'avviò. Johane restò a guardarlo andare.

Florianus si girò e gli gridò: "Mio dolce Ulpianus, non ti dimenticherò, stanne pur certo!" e riprese la via.

Johane prese la via del ritorno a Bononia e camminando faceva girare e rigirare al dito l'anello dell'amico.

Quel giorno non v'erano lezioni, perciò tornò alla sua stanzetta e si gettò sul pagliericcio. Non aveva voglia di incontrare gli altri: voleva restar solo con la sua mestizia.


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