Come in altre battaglie, ogni fazione tornò al proprio castello con qualche prigioniero, qualche ferito, e poco di fatto. Ora sarebbero iniziate le estenuanti trattative per lo scambio dei prigionieri e per il riscatto di quelli che restavano. Questa volta, per fortuna, non vi furono morti né da una parte né dall'altra, nonostante le crude parole del padre di Florianus prima della battaglia. Fatta la conta, risultò che i Mutii avevano in mano più prigionieri dei Maurelli.
Marcus aveva portato il proprio prigioniero nelle sue stanze, come era costume fare con quelli di più alto rango. Gli altri, invece, furono rinchiusi nelle segrete del castello.
Seduti a un tavolo posto davanti a una finestra che s'apriva verso il mare, i due si stavano rifocillando e riposando dalle fatiche della dura battaglia.
"Comunque non sei male, come combattente. Sei solo ancora giovane e hai meno esperienza e meno allenamento di me." gli disse Marcus guardandolo.
"Tu sei conosciuto come il più valente guerriero di queste terre. Io sono più uomo di lettere che d'arme. E quanto a me, trovo stupide, anzi assurde, queste nostre battaglie. Per un carro, si è rischiato di scannarci l'un l'altro. Un carro che né tu né io, ne son certo, sappiamo neppure come è fatto, che non abbiamo neppure mai visto."
"Ha sconfinato nelle nostre terre, e pare l'abbia fatto a bella posta. E inoltre..."
"Ha molti contadini, la tua famiglia?" gli chiese Florianus interrompendolo.
"Quel che basta per le nostre terre." rispose l'altro, "Perché?"
"Ora, immagina che uno dei tuoi contadini passi nelle terre di un altro contadino di una delle altre famiglie di Castrum Mutii. E poniamo anche, mentre vi passa, che ne approfitti per raccogliervi frutta e magari rubare un paio di polli. Che accadrebbe? La gente dell'altra famiglia verrebbe a prendere a legnate la tua famiglia? O le due famiglie di contadini, si prenderebbero a legnate l'una con l'altra?"
"Non dovrebbero, anche se a volte accade. Secondo le nostre leggi la parte lesa dovrebbe presentare una protesta ai magistrati del nostro comune che, esaminato il caso... Ah, vedo dove vuoi arrivare con codesto tuo esempio. Il fatto è che fra noi e voi non v'è alcun magistrato che abbia l'autorità per..."
"E non sarebbe bene che vi fosse?"
"Oh, tante cose sarebbe bene che vi fossero... e non ci sono."
"E non sta a noi far sì che ci siano? Il vostro comune era una signoria, prima, come gli altri due castelli. Ma un giorno da signoria è mutato in comune e, mi chiedo, non è questo meglio di prima?"
"Ma che ci si può fare, tu o io?"
"L'idea deve pur partire da qualcuno e diffondersi e maturare a poco a poco. Se non si fa il primo passo, poi il secondo... non si cammina."
"Ma la tua famiglia e quella degli Ulpiani, accetterebbero mai di perdere gran parte del loro potere?"
"Come i Mutii l'hanno accettato..."
"Solo perché vi sono stati costretti dagli altri signori del nostro borgo. E comunque ne restano i Priores ereditari."
"Un passo alla volta, si può percorrere un lungo cammino."
"Ti secca molto dover stare qui con me?" chiese Marcus cambiando discorso.
"Affatto, anche se preferirei essere tuo ospite invece che tuo prigione."
"Un Maurellus non sarà mai ospite di questo castello."
"Potrebbe un giorno esserlo, io spero."
"Anche a me, ora, sarebbe piaciuto più averti come ospite che come prigione. Sto cercando di trattarti con ogni riguardo, mi pare."
"Sì, è così. Sono lieto che sia stato tu e non un altro a farmi suo prigione."
"Ora sei tu che stai corteggiando me..." disse con un sorriso lieve Marcus.
"Ti secca?"
"No, mi lusinga. Dio, quanto sei bello quando sorridi! Se tu non fossi un Maurellus o io un Mutius, mi piacerebbe averti per amico... o meglio ancora che tu fossi il mio ragazzo."
"Se tu non fossi un Mutius o io un Maurellus, e se non ci fosse di mezzo uno stupido carro... forse non ci saremmo mai conosciuti."
"E sarebbe stato un peccato, per lo meno per me."
"Non hai un ragazzo, tu?" gli chiese Florianus.
"No. Non qualcuno a cui io mi sento veramente legato, intendo. E tu?"
"Io neppure. Ma tu vorresti averlo?"
"Per la prima volta, sì... se potessi essere tu. Io son maldestro a far la corte, vorrei invece essere un esperto come lo sono nel combattimento, per poter fare la corte a te con speranza di successo."
"Non è affatto male, quanto stai facendo." gli disse con un sorriso incoraggiante Florianus.
"Dovrai dormire o in terra... o nel mio letto."
"Nel tuo letto va bene."
"Non temi ch'io ne approfitti, ch'io ti violenti?"
"Avresti potuto farlo, là fra gli alberi."
"M'è costato non farlo. Specialmente quando eri nudo davanti a me."
"E perché non l'hai fatto?"
"Tu me l'hai impedito."
"Io? E come?"
"Con la tua calma, la tua sicurezza, ma anche con la tua pura bellezza e con il fascino che da te promanava. Mi hai... intimorito, anche se ho cercato di non mostrarlo. In te ho sentito un'aura speciale... che non potevo insozzare con la mia libidine, approfittando del mio diritto di vincitore."
"Questo fa di te un vero uomo, più che non la tua forza o la tua spada."
"Posso baciarti ancora?"
"È un tuo diritto..."
"Non sto esercitando un diritto, sto porgendo una preghiera. Un tuo no sarà un no... anche se spero..."
Florianus si alzò, e anche Marcus, che aggirò il tavolo, prese fra le braccia l'altro e lo baciò. Florianus ricambiò il bacio, carezzando la nuca del forte guerriero.
"L'hai gradito." gli disse Marcus quasi sottovoce.
"Baciami ancora, Marcus..." sussurrò l'altro.
Le loro lingue giocarono, dapprima lievi, poi il bacio si fece via via più caldo e più intimo. Florianus sentì risvegliarsi imperiosa l'erezione nei panni del giovane uomo e vi si premette contro.
Marcus si staccò da lui, quasi ansante, e disse, con voce bassa e calda, turbata: "Dio, quant'è bello stringerti a me. Quant'è soave baciarti."
Florianus desiderava con crescente forza quell'uomo, ma voleva che fosse l'altro a compiere il primo passo. Vide che Marcus era diventato lievemente rosso sulle gote e sentì che il suo respiro s'era fatto più rapido e breve, tutti segni dell'eccitazione del giovane e forte guerriero.
Marcus si staccò da lui e tornò a sedere dall'altra parte del tavolo. Anche Florianus sedette. Marcus gli prese una mano fra le sue e la carezzò.
"Dio, quanto ti desidero!"
"L'ho sentito..." sussurrò Florianus.
"Non ho mai desiderato nessuno con tale intensità, fino a oggi."
Anche Florianus si sentiva sempre più fortemente attratto da Marcus. Avrebbe voluto porre fine a quelle scaramucce e darsi a lui, ma capiva che non era ancora giunto il momento. Marcus emise un profondo sospiro. Lasciò la mano del suo ospite-prigioniero e, appoggiatosi all'alto schienale della propria sedia, si pose le mani sulle ginocchia.
"Dicono che un tempo i progenitori dei nostri progenitori fossero compagni d'arme sotto i vessilli dell'impero di Roma. Dicono anche che i nostri stemmi, a quei tempi, fossero i simboli delle legioni: la corona, anche se d'alloro e non d'oro, il gladio e il leone di Pompeus. Che cosa ha portato le nostre famiglie a diventar nemiche?"
"L'avidità, la sete di dominio e di potere." disse Florianus.
"Se solo... si potesse tornare indietro!"
"Non si può, si può solo andare avanti."
"Abbandonando il codice d'onore?" chiese Marcus.
"No, piuttosto perfezionandolo."
"Perdere la nostra indipendenza?"
"Per guadagnare una libertà più ampia e vera."
"Rinnegare i nostri padri?"
"No, educare i nostri figli... anche se forse tu e io non ne avremo. Io, per lo meno, che non intendo sposarmi." disse Florianus.
"Neanche io, se solo si potesse evitarlo. Ma poiché non intendo né farmi prete né entrare in monastero... e non vedo altra via..."
Tacquero, immersi nei loro pensieri e cercando di tenere sotto controllo il desiderio che bruciava in ognuno di loro.
Poi Marcus si alzò: "Ti devo lasciar solo per un poco. Non uscire dalla mia stanza, vi sono guardie alle porte. Attendi il mio ritorno."
"Va bene." rispose Florianus, lievemente meravigliato per quella brusca partenza.
Marcus uscì e ordinò ai due uomini di guardia di non lasciar entrare né uscire nessuno durante la sua assenza. Scese fino alla sala d'armi, prese lo spadone senza filo e iniziò a menare gran colpi al "fantoccio" di legno e cuoio sospeso a una trave.
"Che stregoneria mi stai facendo, maledetto Maurellus?" gridò con voce rotta. "Io ho vinto te in battaglia, non tu me!"
Menava colpi su colpi stringendo il pesante spadone con entrambe le mani.
"Tu sei il mio nemico! Nulla di buono può esserci fra te e me!"
Continuò per lunghi minuti quella forsennata battaglia conto il "fantoccio" in cui credeva di scorgere le proprie ombre, le proprie debolezze.
Poi si fermò di colpo, ansante, coperto di sudore. La punta dello spadone toccò la pietra del pavimento con un forte clangore. Col dorso di una mano si asciugò rabbiosamente una lacrima, una sola ma che per lui era anche troppo.
Ripose la spada da allenamento al suo posto e uscì nella stretta corte. Si tolse la tunica, andò al pozzo, ne estrasse la secchia piena di acqua fredda e se la versò in capo, scrollando poi la testa come un cane che esce dal fiume. Alla prima, seguirono altre due secchiate d'acqua.
Calmatosi alquanto, respirò a fondo.
"Maledetto Maurellus, che m'hai fatto?" mormorò a bassissima voce. "Hai acceso in me qualcosa che brucia più del desiderio... qualcosa che non sapevo esistesse... maledetto... maledetto... io ti amo!"
Esalò un lungo respiro e lacrime ora scesero libere sul suo maschio volto, mescolandosi all'acqua che ancora gli grondava dai capelli. Vide una serva affacciarsi, con una brocca in mano, sulla porta delle cucine.
"Portami un panno pulito, donna, mi devo asciugare!" le ordinò in tono autoritario.
"Subito, signore!" disse la donna affrettandosi dentro e tornando poco dopo con un telo di canapa ripiegato. "Non ho trovato di meglio, signore..."
"Da' qua! Questo va bene." disse il giovane uomo e, strofinandoselo addosso con vigore, si asciugò.
Lasciò cadere il telo in terra, riprese la sua tunica e l'indossò. Fece un altro profondo respiro, rizzò le spalle e tornò dentro. Traversò la sala d'armi, prese la stretta scala a chiocciola intagliata nello spesso muro di pietra, e incrociato un servo alla fine di questa, gli ordinò di portare i lumi nella sua stanza. Rientrato, vide che Florianus era ritto accanto alla finestra che guardava il mare e il cielo scurirsi e scolorare, sì che l'orizzonte era ormai indistinto. Venere già brillava, solitario, nel cielo.
"Tra poco un servo porterà dei lumi. Qui da noi si va a letto poco dopo il suono dell'Ave-Maria e ci si leva con i primi raggi del sole. Dovrai adattarti alle nostre usanze." disse in tono brusco.
"Non dissimili dalle nostre, Marcus."
"Non so se tu sei uso a dire le tue preghiere, prima del sonno. Io l'ho cessato da anni, ma sentiti libero di fare le tue devozioni, se t'aggrada."
"Anch'io le ho smesse da tempo. Grazie, comunque."
"Io non chiudo mai gli scuri delle finestre. Mi piace che entrino aria e luce. Se senti freddo, vi sono delle coperte di lana, là nel cassettone."
"Ancora non fa molto freddo."
Florianus era un po' stupito per il tono secco con cui ora Marcus si stava rivolgendo a lui.
Giunse il servo con due lumi a olio nelle mani e ne posò uno sul tavolo e l'altro sulla mensola del camino, come sapeva che il padrone voleva e, silenziosamente, uscì dalla stanza. Flavianus era restato accanto alla finestra, anche se ora guardava verso Marcus.
"La tua stanza è più bella della mia?" chiese ad un tratto Marcus.
"No, non molto differente. V'è solo una cortina tutto attorno al letto, per i giorni più freddi, e uno scaffale per i libri. Forse è un po' più piccola della tua."
"Tu vai a cavallo?"
"A volte, ma non ho ancora un cavallo mio. E tu?"
"Come te. Ne avevo uno, ma si azzoppò e lo dovetti abbattere. Forse presto ne compero un altro."
Scese il silenzio. Ora il cielo era scuro e nuove stelle vi si accendevano tremule, una dopo l'altra.
"Siamo a metà luna, dice l'almanacco. Dovrebbe sorgere fra poco..." disse Marcus con tono meno secco.
"Ah, bene." rispose Florianus che non sapeva che dire.
Percepiva che l'umore di Marcus era cambiato, ma non ne capiva il perché. Lo vedeva irrequieto e teso e scuro in volto. Vedeva i muscoli della mascelle guizzare di tanto in tanto, alla luce delle fiammelle delle lucerne. Avrebbe voluto chiedergli che avesse, ma pensò che fosse meglio tacere.
Marcus sedette, ma dopo poco si alzò nuovamente in piedi e percorse su e giù la stanza un paio di volte. Sedette di nuovo, S'alzò ancora, prese la caraffa del vino e accostando le labbra all'orlo, ne bevve alcune sorsate.
"Ne vuoi anche tu?"
"No, grazie." rispose l'altro.
"Hai molti libri, nella tua stanza?"
"Alcuni manoscritti che portai con me da Bononia, e altri, di pregio, eseguiti nell'abazia di Sanctus Firmanus."
"Ne conosco l'abate. Un uomo degno. Nostro lontano parente."
"Ah, vedo."
"Per il mio venticinquesimo anno mi fece dono di una copia delle orazioni di Cicerone, tutto vergato in elegante grafia dai suoi monaci su bella pergamena e legato in buon cuoio."
"Ce le han fatte studiare all'Universitas Studiorum, a Bononia."
"Ah, anche tu hai studiato lì?"
"Ne sono appena tornato, or son pochi giorni."
"Un bel momento per tornare, non c'è che dire." mormorò con lieve ironia Marcus, poi aggiunse: "Sento le membra stanche. Forse è meglio dormire."
"Sì, certamente."
Marcus sollevò il coperchio del cassettone e ne estrasse un paio di coperte che ripiegò a metà per lungo, sovrappose e stese in terra.
"Le prepari per me?" chiese Florianus.
"No, per me stesso."
"Non vieni sul tuo letto?"
"Così dormi sicuro che non t'accada nulla."
"Son sicuro che non m'accadrà nulla di spiacevole."
"Non io."
"Suvvia, Marcus! Metti via quelle coperte. Sul tuo letto v'è abbastanza spazio per due." disse Florianus e visto che Marcus non si muoveva, si chinò a raccoglierle, le ripiegò e le posò sopra al coperchio del cassettone. Poi, toltisi gli stivali, si stese sul letto, tutto da un lato.
"Vieni?" chiese.
"Fra poco." rispose l'altro. Soffiò sulle fiammelle delle due lucerne e ne sfregò i lucignoli fra indice e pollice. Poi andò alla finestra e guardò fuori. Florianus credette di udire un sospiro rattenuto.
"Cosa vuoi, tu, da me?" chiese Marcus dalla finestra, continuando a guardare fuori.
Florianus capì il senso recondito di quella domanda: "Il prigione, da te, non vuole nulla. Florianus, invece, vorrebbe che Marcus fosse suo... per poi darsi a lui con sommo piacere."
"Non mi sono mai dato ad alcuno! Solo una volta fui preso, contro la mia volontà, quand'ero un ragazzetto. E tu ora vorresti..."
"Tu hai voluto che io ti dicessi quel che vorrei da te."
"Non se ne parla!" disse bruscamente, staccandosi dalla finestra. Sedette sul bordo del letto, si sfilò gli stivali ancora umidi, e si stese. I loro corpi non si toccavano. La mezza luna salì in cielo e i suoi raggi penetrarono attraverso la stretta finestra illuminando vagamente i due corpi immobili, distesi fianco a fianco.
"Dormi?" chiese Marcus in un bisbiglio.
Florianus non rispose. Voleva stare sveglio ancora un poco, ma la stanchezza lo sopraffece, pesando sulle sue membra. Inconsapevolmente scivolò nel sonno. Non sentì perciò Marcus alzarsi a sedere, più tardi, a guardarlo nel vago chiarore della luna.
"Ti amo, maledetto Maurellus, eppure ti conosco appena. Com'è possibile, questo?" mormorò il giovane e fiero guerriero, a se stesso.
Con una mano seguì le forme del bellissimo volto del suo prigioniero, senza però sfiorarlo.
"Tu vorresti prendere me... prima di darti a me... e io... e io... io che t'ho detto che non se ne parla neppure... son qui che già me ne pento... che vorrei dirti di sì... perché tu dica sì a me..."
La sua voce ebbe come un singhiozzo e si spense. Poi Marcus si stese di nuovo, guardando verso il soffitto a cassettoni, che non si distingueva. Le membra gli pesavano, era stanco, eppure il sonno pareva fuggire dai suoi occhi. Girò il capo a guardare il volto del suo ospite e prigioniero. Il vago chiarore lunare ne disegnava appena il bellissimo profilo con una sottilissima linea di puro, pallido oro.
"Dio, quanto sei bello!" mormorò Marcus sentendosi attanagliare il cuore per l'emozione.
"Ma se lo conosci appena, Marcus de' Mutii. E per di più lui non è che un maledetto Maurellus. L'hai sconfitto in battaglia, è tuo prigione... e ora tu vorresti arrenderti così facilmente a lui? Di che hai paura, uomo, della debolezza che scopri di avere in te? O che... o che il tuo amore per lui ti renda suo schiavo? E lui, sta giocando con te, o vuole davvero avere il tuo amore per ricambiarlo? E possono due esseri innamorarsi così, come per un colpo di fulmine a ciel sereno?
"Chi sei tu, Florianus, dimmi, chi sei? Ma guardalo, Marcus, lui dorme sereno, lui, il tuo prigione, mentre tu da che l'hai catturato, non trovi pace! L'altro, l'Ulpianus, non voleva nulla da me, se non pazienza e che io non lo prendessi con la forza bruta... Tu invece vuoi me! E perché mai io devo sempre impegolarmi con i miei nemici? Non è giusto... non è giusto... Sei tu, Florianus, il vinto, non io. L'impavido, valoroso e forte Marcus, ridotto ora a temere l'inerme Florianus! S'è mai sentita al mondo una cosa tale?"
Emise un lungo, tremulo sospiro. Cessò di guardare il bel profilo del suo prigioniero. Invocò il sonno, ma ancora invano.
La luna aveva già percorso buona parte del suo non segnato cammino, quando infine il sonno giunse, pietoso, e prese fra le braccia le stanche membra del giovane e forte guerriero, concedendo infine un po' di riposo al suo corpo e alla sua anima.
Poche ore più tardi, i primi raggi del sole dettero la sveglia al castello. Florianus si svegliò e visto che l'altro ancora era immerso nel sonno, si alzò con cautela facendo in modo di non disturbarlo. A piedi scalzi, godendo il fresco del pavimento di pietra, s'accostò alla finestra e si stirò sbadigliando.
Il sole, sollevatosi appena più alto delle coste della Dalmazia, disegnava un nastro d'argento vivo sulla distesa delle acque del mare d'Adria. Un mormorio indistinto si levò dal letto e Florianus si girò a guardare il bel cavaliere disteso. Un nuovo mormorio giunse alle sue orecchie e questa volta gli sembrò di udire il proprio nome.
"Sono qui..." mormorò Florianus, ma Marcus ancora dormiva.
Florianus sbadigliò ancora e si stirò di nuovo. Guardava Marcus, e sentì di desiderarlo, o meglio, di desiderarare il suo amore. Analizzò il proprio sentimento e capì di non sbagliarsi. Sì, non ostante si fossero incontrati da meno di un giorno, desiderava essere amato da Marcus e che questi accettasse d'essere amato da lui.
"È strano, è irrazionale, è illogico, è assurdo... ma è così!" si disse.
Se solo avesse potuto essere certo che il suo sentimento era ricambiato, si sarebbe dato a lui anima e corpo! Se solo avesse potuto essere certo che l'altro non desiderasse solamente il suo corpo...
"Ah, Mutius, Mutius, se solo potessi leggere in te come in un libro aperto... Se potessi conoscere il tuo vero sentire... tutto sarebbe più semplice, più facile per un sì o per un no. Se sapessi che anche tu mi ami, mi arrenderei a te per la seconda volta!"
Marcus si agitò debolmente sul letto. Florianus notò che lievissime goccioline di sudore gli imperlavano la fronte e il labbro superiore.
"Come posso dire di amarti se non so chi veramente sei? Eppure t'amo. Che mistero è mai questo? Tu con i tuoi baci mi hai rapito il cuore... dice lo stornello. Eppure altri m'han baciato piacevolmente almeno quanto te, senza che questo risvegliasse in me altro che piacere, non certo amore!"
"Florianus?"
"Son qui."
"Ah... è molto che sei sveglio?"
"Da un poco."
"Come hai dormito?"
"Come sul mio letto."
Marcus si alzò e calzò gli stivali. "Sei a piedi nudi, tu." notò.
"Mi piace."
Entrambi avrebbero voluto dire altro, ma non ne eran capaci.
"Tu la mattina sei uso mangiare?"
"Un po' di latte e di pane appena sfornato."
"Proprio come me." disse Marcus.
Marcus aprì la porta. Le due guardie, sedute sul pavimento lì fuori, balzarono prontamente in piedi.
"Che facevate, poltroni? Dormivate!"
"Con un solo occhio, signore... con un solo occhio." rispose uno degli uomini.
"Sì! Fai venire un servo, che porti latte e pane appena sfornato. Lesto!"
"Latte e pane, signore? Latte e pane?"
"O che, sei sordo?"
Flavianus, alla domanda stupita dell'uomo di guardia, intuì che Marcus gli aveva detto una bugia e sorrise. Gli aveva mentito per fargli credere che iniziavano la giornata allo stesso modo.
"Da qui non si vede la strada che mena a Mons Maurelli... ma non mi stupirei che un messo della tua gente già venisse a questa volta." disse Marcus.
"Perché non un messo della tua gente verso Castrum Maurelli?"
"Han fatto la conta, ieri sera. Abbiamo vinto noi."
"E se non giungesse alcun messo?"
"Verrà, verrà. Se mai attenderemo... e tu resterai qui più a lungo del previsto."
"Qui non si sta male... almeno per ora." osservò Florianus.
"Ogni giorno che passa, aumenteremo il riscatto che si chiederà per te."
"Così rischi di dovermi tenere qui con te come ospite perenne."
"Non si sta male con te... almeno per ora." gli fece il verso Marcus con lieve ironia.
Portarono pane caldo e latte. I due sedettero al desco e lo mangiarono.
"Buono, vero?" chiese Marcus.
"Sì, buono."
Di tanto in tanto alzavano gli occhi per guardarsi l'un l'altro. A volte i loro sguardi si incontravano per un attimo.
"Hai mangiato a sufficienza?" chiese Marcus quando ebbero finito.
"Sì, grazie. Non v'è differenza fra il vostro latte e il nostro... fra il nostro pane e il vostro."
"Né fra il mio appetito e il tuo." disse Marcus.
La giornata trascorse senza che accadesse nulla di particolare. Marcus a volte si assentava, come per il pranzo e per la cena, che Florianus mangiò da solo nella stanza del cavaliere. A volte invece passava un po' di tempo con il suo ospite e prigioniero. Allora parlavano di cose di poca importanza. Entrambi sembravano evitare qualsiasi cosa riguardasse il loro rapporto e i loro sentimenti, nonostante ciascuno dei due, in realtà, non facesse che pensare a quello.
Per Florianus fu una giornata lunga, dovendo stare lì senza far nulla. Avesse almeno avuto da leggere... ma non ne chiese all'altro.
Specialmente nei momenti in cui era solo, Florianus stava spesso alla finestra. Gli piaceva guardare il mare, che dal suo castello si intravedeva appena.
"Il bentornato della mia terra, è stata una guerra..." si disse Florianus e pensò che su quelle parole Johane avrebbe certamente composto una canzone.
Venne l'ora di coricarsi. Questa volta i due si coricarono nello stesso momento.
"Dormi?" chiese dopo un po' Marcus.
"Non ancora." rispose questa volta l'altro.
"Il tuo letto ha le cortine, m'hai detto."
"Sì, riparano dai refoli di freddo, nel brutto tempo."
"Devo farle mettere anche io..." disse Marcus.