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una storia originale di Andrej Koymasky


I CAVALIERI
DI SANT'ANDREA
CAPITOLO 9
INCONTRI E PAROLE

Riposatosi alquanto, Johane provò forte il desiderio di rivedere Florianus Maurellus. Ma come fare per incontrarlo senza problemi? Vi pensò un po' su e trovò la soluzione. Cercò fra i suoi abiti e ne scelse di semplici e di colori diversi da quelli della sua casata. Indossatili, uscì da Castrum Ulpiani, aggirò Castrum Mutii e si portò sulla strada che aggirando il Castrum Maurelli, passava dietro al castello dei signori.

Qui giunto, intonò una delle strofe della "brigata de' canterini zoppi", cantandola da capo più volte a voce spiegata, camminando su e giù sotto il tratto di mura e guardando verso l'alto nella speranza di veder spuntare da una delle finestre il bel volto di Florianus. Non dovette attendere a lungo.

"Sei tornato, amico!" gridò una voce.

Johane individuò dove fosse:

"Perché dici tornato, o mio signore:
mai prima d'ora questo menestrello
dispiegò la sua voce da tenore
sotto le mura del tuo bel castello!"

"Aspetta che scendo subito! Gira attorno alle mura e aspettami alla porta di ponente." gli gridò Florianus.

"Attenderò alla porta di ponente
che mi sia dato il grande onore
di vedere da presso finalmente
la beltà del fiore d'ogni fiore!"

cantò Johane e corse aggirando le mura.

Giunsero quasi contemporaneamente alla porta e d'impulso furono l'uno nelle braccia dell'altro.

"Il mio migliore amico è venuto a rallegrare le mie giornate!" esclamò Florianus in tono lieto.

"Come stai, tu, il più bello degli uomini? E il più caro al mio cuore?" gli chiese Johane radioso, staccandosi da lui e guardandolo.

"Dio santo, se sei cresciuto in questi due anni!"

"In bruttezza, sì. Tu in bellezza no, perché esser più bello di quanto eri è impossibile!"

"Non in bruttezza, mio Johane, ma in statura. Smettila di dire che sei brutto: tu non lo sei affatto!"

Mentre si avviavano a passeggiare fuori dalle mura, inoltrandosi nella campagna, ognuno raccontò all'altro degli anni trascorsi lontano.

"Ho una notizia importante da darti, mio caro Johane!"

"Se è brutta, dimmela in fretta. Se è bella devi centellinarmela a poco a poco..."

"Ti ricordi che cosa m'avevi detto un giorno, quand'eravamo lassù a Bononia?

"Oh, Signore Santo! T'ho detto tante di quelle cose... Come vuoi che capisca a quale stai facendo cenno?"

"Avevi detto che... che se un giorno mi fosse capitata una certa cosa... avrei dovuto dirtela."

"Andiamo un po' meglio: abbiamo così eliminato cento cose su mille volte mille!" scherzò Johane.

"M'hai chiesto tu di centellinarla, no?"

"Sì, ma se invece che goccia a goccia facessimo sorso a sorso?"

"Che se avessi incontrato una certa persona... te l'avrei fatta conoscere."

"Cominciamo a restringere il campo: via piante, animali e sassi. Si tratta d'un essere umano."

"Di un uomo, per la precisione."

"Via la metà dei figli di Dio..." commentò Johane iniziando ad intuire.

"Un uomo assai speciale, almeno per me: forte, bello, caldo e buono..."

"Come il pane appena sfornato, insomma."

"Appunto."

"E codesto messere che sa di pane, codesto tuo panettiere, che per te è tanto speciale... ti reputa altrettanto speciale?"

"Direi proprio di sì."

"E... continuate a vedervi e a trovarvi entrambi assai speciali?"

"Ogni volta che ci si riesce, anche se meno di quanto lui e io vorremmo."

"E questo messere, oltre a chiamarsi amore, ha anche un altro nome?" gli chiese Johane con un sorriso.

"Certo, un nome il cui suono è per me più bello delle campane a festa."

"Così ti rompe i timpani quando vorresti dormire..." scherzò Johane.

"Tutt'altro. Solo pronunciare il suo nome mi fa sentire in paradiso."

"E pronuncialo, dunque, codesto nome!"

"Marcus Mutius!"

Johane spalancò gli occhi: "Lui? Ti sei messo con un Mutius ladro e bugiardo? No, scherzo, dai! E vi amate? Vi amate davero?"

"Ogni giorno di più."

"Che sia forte, ne convengo. Che sia buono, nonostante gli piaccia fare la voce grossa, ne convengo pure. Che sia bello, beh, non è niente male, anche se paragonato a te è poca cosa. Che sia caldo... certo è che sa fare l'amore..."

"Lo conosci?" gli chiese Florianus un po' stupito.

"Ho avuto modo di... di accompagnarmi a lui alcune volte. Sì, lo conosco e lui conosce me piuttosto intimamente, anche se non so se lui ricorda ancora i nostri incontri. Bene, mio caro amico, sono felice per voi. Sì, Marcus è buono, nonostante la sua scorza dura. E anche testardo e determinato."

"Con me è sempre accondiscendente e pronto a esaudire ogni mio minimo desiderio."

"L'hai proprio ammaliato, per cambiarlo a tal punto!"

"Ci si è conquistati a vicenda. Ci scontrammo a duello e mi sconfisse. Ma tosto lui iniziò un nuovo e più difficile duello dentro se stesso... e si dichiarò sconfitto a ciò che provava per me. Io lo misi alla prova, volevo esser sicuro, capisci... e lui la superò ampiamente."

"Chi può resistere al tuo fascino? Non parlo solo della tua sovrana bellezza, intendimi. Ma certo non sarà agevole per voi stare assieme, a causa delle vostre famiglie... e delle loro assurde beghe."

"Abbiamo trovato un modo... abbiamo un ragazzo che è il nostro messaggero d'amore, infatti può entrare sia nel suo che nel mio castello senza problemi."

"Non uno dei vostri servi, perciò."

"No. Un giovane artigiano di Castrum Novum che ora lavora là, vedi, in quel casolare. Anzi, vieni, te lo voglio far conoscere, se vuoi. Si chiama Laurentius, ha due anni meno di te ed è assai piacente."

"E che evidentemente condivide con noi la nostra dedizione all'amor greco."

"Sì, certo. Ebbi in passato alcuni piacevoli incontri con lui, prima di conoscere Marcus."

"E non è geloso del tuo pane apppena sfornato?"

"E tu lo sei?"

"No, sono lieto con te. Ma il ragazzo ha avuto la grazia di conoscere anche il tuo corpo."

"È un rimprovero? Sei tu che hai rifiutato..."

"Affatto. In fondo io ho intatta la nostra amicizia; lui invece ha dovuto rinunciare a qualche cosa."

"Lo ha fatto con buona grazia, e ora si è amici. Oh, eccolo sulla porta della sua bottega. Mastro Laurentius, buona giornata!"

"Non mi chiamare Mastro, o inizierò a darmi troppe arie. Chi è il tuo compagno?"

"Il mio più caro amico: lui è Johane Ulpianus, il primogenito della sua famiglia."

"Il figlio del nominale padrone di Castrum Novum! Lieto di fare la tua conoscenza, cavaliere Johane Ulpianus."

"Se mi chiami cavaliere, sarò costretto a chiamarti mastro anche io. Se sei amico del mio amico Florianus, chiamami solo per nome e te ne sarò grato."

"Entrate. Posso offrirvi un po' di vino e qualche fetta di cacio?"

Il laboratorio del ragazzo era anche la sua casa. Vi regnava una gradevole confusione e gli odori dei vari legnami che vi lavorava, permeavano di un piacevole odore l'ambiente.

Sedettero al desco e parlarono, condividendo il semplice cibo e il buon vino. Senza averne l'aria, Johane e Laurentius si stavano studiando a vicenda. Dopo un po' che conversavano, Laurentius si alzò.

"Vieni, Florentius. Lo stipetto che m'hai chiesto di fare per il tuo Marcus è quasi pronto."

"Non l'ha visto, nevvero?"

"Certo che no, ma senza averne l'aria, ho provato a sentire che cosa gli avrebbe recato piacere, così, armonizzando i tuoi desideri con i suoi... guarda."

"È molto bello!" esclamò Johane. "L'hai fatto tutto tu, da solo?"

"Non mi posso ancora permettere lavoranti di bottega. L'ho fatto tutto io, sì, e manca poco che lo porti a termine. Ti piace, Florianus?"

"Sì, è veramente bello e tu sei molto bravo, in verità."

"Come hai fatto a ottenere queste splendide sfumature di colore, ciascuna al giusto posto?" chiese Johane stupito.

"Un lavoro di pazienza. Fatto il disegno, sulla base di legno di noce ho praticato intagli delle giuste forme, in cui ho inserito blocchetti di legno di rosa, ulivo, cirmolo, ciliegio e betulla. Quindi li ho scolpiti nelle forme previste. Ora mi resta solo da lucidarle, passare nei punti acconci il brunitoio, passarvi la cera di api, e foderarlo. Così sarà pronto per darlo al suo Marcus. In pochi giorni avrò finito."

"Un vero capolavoro!" esclamò Johane genuinamente ammirato.

"Sono lieto che ti piaccia. Se desideri che faccia qualcosa anche per te... dato che sei il più caro amico di Florianus, per te farò un prezzo assai buono, quale non troveresti da nessun altro artigiano."

"Credo proprio che diverrò un tuo affezionato cliente, Laurentius!"

I due amici, salutato il giovane artigiano, uscirono sulla via e ripresero a passeggiare fianco a fianco.

"È veramente bravo, quel ragazzo, un artigiano rifinito. E ha anche un bel sorriso, franco, aperto e gentile."

"Sì, ed è per Marcus e me un prezioso alleato."

"Lo immagino. Ora devo rientrare. Quando ci si vuole vedere, possiamo chiedere a quel Laurentius di farci da tramite?"

"Sì, certamente. E voglio anche che tu incontri il mio Marcus, appena si potrà combinare."

"Nella bottega di Laurentius?"

"Anche, ma abbiamo un posto più tranquillo. Marcus ha un capanno giù a valle da quella parte, dove..."

"Quello che per aver luce si deve sollevare il tetto?"

"Sì, proprio quello. Sai dov'è?"

"Mi ci portò alcune volte."

"Ora è il nostro rifugio segreto."

"Poveri amici miei. Dovervi vedere sempre così di nascosto. E anche io con te... Se l'amicizia che mi lega a te, e l'amore che lega te a Marcus fossero condivisi da Ulpiani e Mutii e Maurelli... quanto più bello sarebbe questo nostro ameno colle!"

Florianus sospirò: "Un bel sogno. Eppure io sento che un giorno sarà così: la concordia regnerà su questo colle."

"Sta a noi fare il primo passo, oltre quello che già si è fatto, in un modo o nell'altro."

"Sì, ma come?"

"Siamo giovani, pieni di vita, di energie, di sogni e di speranze. Noi tre uniti, anzi, noi quattro includendo anche Laurentius, non avremo il quadruplo delle forze e delle possibilità, ma sedici volte tanto."

"Uniti, sì. Il mio giuramento resta valido: non farò mai guerra né agli Ulpiani né ai Mutii, a costo di farmi punire da mio padre, a costo di farmi cacciare dal nostro castello."

"Né io. E se riuscissimo a far giurare anche altri..."

"Ma come?"

"Si vedrà. Chi dice: impossibile! non fa nulla. Chi dice: difficile! può fare qualcosa."

Si lasciarono. Sulla via del ritorno Laurentius chiamò Florianus.

"Quel tuo amico... Johane Ulpianus... è stato lui pure una tua conquista?"

"No, ci lega solo un profondo affetto. Con lui non ci fu mai qualcosa di fisico."

"Mi ha dato l'impressione di essere un giovane assai speciale."

"Lo è, lo è davvero. La natura non è stata prodiga con le sue forme, ma lo è stata con il suo cuore, la sua mente e il suo animo."

"Non è mica brutto, comunque. Ha occhi molto belli, come pure sono belle le sue mani. Ha anche un sorriso assai gradevole e a tratti anche piacevolmente sbarazzino."

"Ti piace?"

"L'ho visto appena, ma sento che potrebbe piacermi."

"È un gioiello raro, credi a me, anche se non tutti sanno rendersene conto. La sua bellezza è tutta interiore. Bisogna saperla scoprire." disse Florianus.

"Gli vuoi molto bene."

"Forse meno di quel che merita."

Quando Florianus poté finalmente appartarsi con Marcus, gli disse: "Ho rivisto un carissimo amico... Qualcuno che tu pure hai consciuto, e piuttosto intimamente."

"Ah sì? Di chi si tratta?"

"Johane Ulpianus."

"Ah, il ragazzo delle frecce. Sì, l'ho conosciuto. Una lama d'acciaio pregiato racchiusa in un fodero di scarso pregio. Ha un fascino sottile, quel ragazzo, quasi pari al tuo..."

"Dovrei esser geloso?" scherzò Florianus.

"Non ne hai motivo."

"Perché hai detto di lui che è il ragazzo delle frecce?"

Marcus allora gli raccontò del loro incontro, in ogni dettaglio, e concluse: "Conservo ancora i mozziconi delle sue frecce e a volte ancora ricordo i suoi discorsi."

"Sì, è tutto lui. Dice sempre che dovrebbero essere uniti, i nostri tre castelli, e sa essere convincente. Il suo entusiasmo per questo ideale è... incrollabile e credo anche contagioso. Ti farebbe piacere rivederlo?"

"Sì, assai, e l'avrei caro quanto è caro a te, per quello che lo conosco. Fra l'altro, una cosa mi aveva colpito in lui."

"Che cosa?"

"Indossa la sua poca avvenenza con la regalità e la semplicità al tempo stesso, di un abito prezioso eppure comune. Sì che ti fa sembrare le sue forme, che normalmente non apprezzeresti, qualcosa di gradevole."

"Concordo con te. Quei suoi capelli buffi, quei suoi tratti irregolari, persino quel suo lieve zoppicare... non riesconono a essere sgradevoli in lui, al contrario..."

"Un puzzolente Ulpianus, un Mutius bugiardo e ladro, un maledetto Maurellus... ci pensi?"

"Il più bel trio del mondo, a parer mio."

"Non dimentichiamo il buon Laurentius?"

"Hai ragione, mio Marcus, e il buon Laurentius: uno per ogni borgo di questo ameno colle."

"Ma ora vieni qui, amore mio. Sarò egoista, ma almeno per un poco voglio dimenticare Johane e Laurentius e dedicarmi solamente a te."

"Solo per un poco?" lo celiò Florianus, iniziando a togliere gli abiti all'amante e carezzandone nel frattempo tutto il forte corpo con crescente piacere.

"Quand'anche fosse notte e giorno, e giorno e notte, sarebbe pur sempre troppo poco."

I due appassionati amanti si dedicarono l'uno all'altro in quel povero capanno che per loro era assai più ricco e bello del palazzo dell'Imperatore e quello del Papa messi assieme. Finalmente nudi, seduti sul pagliericcio, Florianus in grembo al suo uomo adorato e saldamente infisso sul suo duro e saldo palo, stretto fra le sue forti braccia, si unirono con forte desiderio e passione.

I loro occhi rilucevano di gioioso piacere, le loro lingue giocavano incessanti, le loro mani facevano fremere il corpo dell'altro toccandolo ad arte. Di tanto in tanto si scambiavano il ruolo e la posizione, assaporando ogni istante della loro unione e ogni parte dei loro corpi innamorati.

"Oh, il mio uomo, il mio forte uomo!" mormorava Florianus immergendosi in lui.

"Il mio dolce sovrano e padrone..." gli faceva eco Marcus mentre lo penetrava, "Son tutto tuo!"

A volte formavano con i loro corpi il perfetto cerchio d'amore, dandosi reciprocamente piacere con le loro bocche assetate. Ognuno si dedicava pienamente all'altro, dimentico di se stesso.

"Ti amo!" esclamò Florianus donando il suo nettare al vigoroso amante.

"Son tutto tuo!" disse Marcus quando a sua volta raggiunse il sommo piacere nelle calde profondità che avvolgevano la sua virile verga.

Ristettero, l'uno nelle braccia dell'altro, in preda a quello stupore che sopravviene dopo il compimento del miracoloso atto d'amore.

"Non mi sazierò mai di te." mormorò Marcus emozionato.

"Né io di questo nostro sacro amore." gli fece eco Florianus, con voce sognante.

Si baciarono, ora con struggente tenerezza, si carezzavano con mani lievi, si scambiarono sorrisi di appagata gioia.

"Marcus..."

"Dimmi, mio amato."

"Hai mai pensato che potremmo andarcene da qui, andar lontano, e vivere la nostra vita senza tanti problemi?"

"Sì, l'ho pensato, ma dovunque si vada si dovrebbe tener segreto e ben nascosto quanto vi è fra di noi..."

"Si potrebbe però vivere assieme più agevolmente."

"Non è fuggendo dai problemi che li si risolve. Quanti come noi soffrono per simili problemi? Ripensando di tanto in tanto alle parole di Johane, alle sue frecce, mi vengo convincendo che dobbiamo far qualcosa..."

"Tu e io?"

"Vi è sempre un inizio, no? Vi è sempre qualcuno che getta il seme, anche se forse non lo vedrà crescere... Qualcuno che crescerà l'albero, anche se non ne coglierà il frutto... Ma alla fine, vi saran frutti per tutti. Se il primo non gettasse il seme, e il secondo non curasse l'albero, nessuno mai godrebbe dei frutti."

"Sì, hai ragione, è da vili fuggire, da egoisti non far nulla. Tu veramente hai l'animo del guerriero."

"Ma senza il fragile Johane, non avrei capito queste cose. Non so quel che potremo mai fare, tu e io, e Johane, e Laurentius messi assieme. Ma qualcosa faremo." disse Marcus.

In quello stesso momento anche Laurentius, mentre riponeva gli attrezzi del lavoro perché si stava facendo buio, ripensava a Johane.

Era rimasto colpito da quel ragazzo di soli due anni più grande di lui, dalle fattezze sgraziate eppure attraenti, dai begli occhi castano chiari, luminosi come preziose agate, e dai capelli arruffati e disordinati come i peli di una spazzola troppo usata...

Se si dovesse dire che se ne sentiva innamorato, si direbbe il falso, ma certo è che ne era rimasto assai colpito e non riusciva a toglierselo dalla mente.

Ripose accuratamente le preziose sgorbie nel panno unto ad arte e lo avvolse stretto, sì che l'umidità non le rovinasse. Quindi chiuse la porta della bottega e andò ad accendere il fornello per prepararsi qualcosa da mangiare.

Giù al capanno i due amanti si separarono dopo un ultimo tenero bacio e a malincuore ciascuno si avviò verso il proprio castello. Un po' più lontano, Johane si stava accingendo a sedere alla mensa con la famiglia, per il desinare.

"Tu non sarai mai un guerriero, figlio mio, a differenza di tuo fratello. Dovrò attendere che cresca lui, perché possa un giorno prendere il mio posto. Ma che ne farò di te? Pare che l'unica cosa che ti interessi sono i libri e girovagare per la campagna!"

"Filippus crescerà forte e sano e prenderà le redini del Castrum, il giorno in cui tu lo deciderai, padre. Sei ancora giovane e forte, tu, il problema ancora non si presenta. Quanto a me, non so ancora. Troverò la mia strada, non ti preoccupare."

"Hai mai pensato di entrare a far parte della chiesa... che so io, in un'abbazia... Un giorno potresti anche diventarne abate... O anche un vescovo..."

"Non credo sia vita adatta a me, padre."

"Pensavo che potesse esserlo. Non t'ho neppure mai visto correr dietro alle trecce d'una fanciulla, fino a ora." gli disse il padre in tono di rimprovero.

Bene, pensò Johane, ha intuito che è inutile parlarmi di matrimonio.

"Se non fosse caduto dal balcone, quel malaugurato giorno, forse ora le cose sarebbero diverse." disse la madre.

Johane non capì se le parole della madre fossero dette più per scusarlo, o fossero un'accusa che gli muoveva per quell'incidente.

"Se almeno tu fossi stata capace di darmi uno o due maschi in più..." l'accusò il padre, ma in tono rassegnato.

"Ti ricordo, mio signore e sposo, che i figli si fanno in due. E che comunque è il buon Dio che decide ogni cosa."

"Se solo Domine Iddio mettesse un po' di meno il naso nelle nostre faccende e ci lasciasse far più a nostro modo..." brontolò il padre.

"Non essere blasfemo, ora!" lo rimproverò la donna.

"Blastemo, madre? Che significa blastemo?" chiese la figlia più piccola.

"Chi si rivolta contro il Signore Iddio..." spiegò la sorella maggiore.

"E si dice blasfemo, non blastemo." la corresse Johane con un sorriso.

"Non sono blasfemo, no." precisò il padre aggrondato. "Come i miei servi e i miei contadini hanno diritto di brontolare contro di me, purché obbediscano ai miei ordini, così lo posso io nei confronti di Domine Iddio. Dopo tutto io non mi ribello a lui. Vado a messa ogni santa domenica, verso un obolo alla nostra chiesa, ho fatto battezzare e cresimare tutti i miei figli, t'ho sposata all'altare e non guardo altre donne. Che si può chiedere di più a un uomo!"

"Che cessi di fare la guerra ai suoi vicini." disse Johane prontamente. "Non dice l'Evangelo che bisogna amare il prossimo nostro come noi stessi e amare anche il nostro nemico?"

"E chi dice il contrario." sbottò il padre guardando seccato il figlio, "Ma il prossimo e il nemico devono pur meritarselo, di essere amati. Dio punisce severamente chi non segue la sua legge. Io punisco chi non segue la mia. Questo è il compito che Dio ha dato a noi nobili signori."

"Nacciderba!" esclamò Johane con lieve ironia, "Non sapevo, padre, che il Signore Iddio in persona fosse venuto giù per affidarti questo gravoso compito."

"Non mancare di rispetto a tuo padre, Johane!" lo rimbrottò la madre.

"No, madre, che non gli manco di rispetto. Sono anzi pieno di ammirazione..." disse Johane in tono soave.

"Ora taci, o anche se hai quasi vent'anni, ti prendi un bel ceffone." lo minacciò la madre.

Johane udì provenire dalle finestre il trapestio degli zoccoli di un cavallo condotto al mezzo trotto e ripensò sorridendo alla sua avventura di pochi giorni prima.

Poi ripensò anche alla relazione di Florianus e Marcus e si chiese se lui avrebbe mai trovato un sincero amante. Avventure ne aveva avute, anche se poche. Tutto sommato, quando uno è in calore, gli interessa poco la bellezza del tuo volto, è interessato quasi esclusivamente al tuo foro o al tuo arnese...

"Bruttino e zoppo come un saltarello,
le orecchie che gli sporgon dalla chioma,
troppo larga la bocca e il naso snello,
capelli che niun pettine mai doma:
chi vuoi che s'accontenti di un ragazzo
che al sol vederlo fa pensare a un pazzo?

Sulla sua faccia un nero panno stendi,
non lo far camminar, fallo sdraiare,
e col tuo palo il suo culetto prendi,
oppur chiedigli se ti può impalare:

godi di lui e scordalo poi in fretta,
prima che in capo certe idee si metta!"

Proprio così, pensò sorridendo di se stesso Johane, per nulla rattristato da quelle considerazioni.


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