Johane si presentò alla bottega di Laurentius.
"Ohilà, Johane, qual buon vento?" lo salutò il ragazzo con allegria.
"Vento di ponentino
che facilita il cammino
che vien dalla montagna
e che per via m'accompagna!"
"Parli sempre in rima, tu?"
"No, solo quando sono allegro."
"Dunque, sei allegro: me ne compiaccio."
"Ti disturbo?"
"No, al contrario, mi fa piacere rivederti. Ho appena terminato lo stipetto per Marcus. Che ne dici?"
"Son senza parole... È davvero stupendo."
"Grazie. Anche io sono contento del risultato. Ma siedi, sarai stanco, a venire da Castrum Ulpiani fin qui."
"Non troppo, ma siedo volentieri. Sono venuto per chiederti una cortesia."
"Dimmi, e se posso, più che volentieri."
"Avrei piacere di avere due reggi-libri. Sai, quei blocchi di legno scolpiti, più o meno di queste dimensioni," spiegò Johane accennando alle misure con le mani, "pesanti abbastanza per tener dritti i libri sullo scaffale."
"Non ne ho mai fatti, ma penso che sia un lavoretto facile. Come li vuoi scolpiti? Fiori, animali... il leone degli Ulpiani, ad esempio, o che altro?"
"Se te la senti, vorrei qualcosa come un Adamo che addenta la mela su uno e magari un Adamo che riposa sull'altro..."
"Due uomini nudi, quindi..." disse con un sorrisetto di intesa il ragazzo.
"Nudi e belli. Uno come Florianus e uno come Marcus."
"Due Adamo così fisicamente diversi? In questo caso, meglio un Caino e un Abele, nudi pure loro, dato che erano figli di Adamo."
"No, né Marcus né Florianus possono essere Caino. No."
"Ma perché vuoi che abbiano le loro fattezze?"
"Perché si amano, e perché voglio loro bene. E perché guardandoli e pensando al loro amore, mi consolerò di non averlo forse mai."
"Perché dici questo? Perché dici che tu non conoscerai mai l'amore? Non ha alcun senso."
"Ma via, Laurentius, chi vuoi che si pigli uno come me? Se non per divertirsi un poco e poi dimenticare al più presto il mio aspetto."
"Tu non sei brutto. E comunque ognuno è come è, non te la devi prendere. E poi, hai un bel sorriso."
"Nonostante la mia bocca troppo larga. No che non me la prendo, mi sta bene come sono, ma neppure mi faccio illusioni. Se tu scolpissi le mie fattezze, ad esempio, tutti ti direbbero che non sai scolpire, o che l'opera ti è venuta male, ne devi convenire. Io son venuto male: non è colpa mia e non ci posso far nulla."
"L'aspetto esteriore non è la cosa più importante in una persona."
"Questo te lo concedo, anche se devi ammettere che pochi la pensano così. Non mi dispiacerebbe essere un pochettino più bello... ma non piango di certo per non esserlo."
"Questo no, è vero. Son solo due volte che ti vedo e ti ho sempre visto allegro."
"Grazie a Dio l'allegria non manca,
son più sereno io che il nostro cielo.
L'anima mia della vita non è stanca,
e di cupezza, in me, non v'è alcun velo.
Mi amo come sono, o caro amico,
e d'esser vivo, Iddio io benedico."
"Molto bene, mi fa piacere. Ma torniamo ai tuoi ignudi: che ne diresti di Davide e Jonatan?"
"Quelli non erano nudi."
"Quando Jonatan si tolse gli abiti per donarli a Davide, sarà ben rimasto nudo, almeno per un po'."
"Ah, conosci la Sacra Scrittura?"
"Il prete ce ne parlava sempre, là a Castrum Novum."
"Per Jonantan potrebbe andare bene, ma Davide era vestito, anche se con abiti poveri. A meno che... tu conosci la mitologia?"
"Non so neppure che significa, codesta parola."
"Già, i preti non ne parlano di certo. Io stesso, prima di andare a Bononia, ne sapevo poco o punto. I nostri antichi, prima della nascita di Cristo, adoravano molti dei..."
"Ah, sì. Gli dei falsi e bugiardi, diceva il nostro prete. Gli idoli, li chiamava lui."
"Fra gli altri, vi era il dio del sole, Apollo, e il dio della guerra, Marte. Gli dei assai spesso erano rappresentati nudi. Apollo era anche il dio della bellezza virile, come Venere era la dea della bellezza muliebre."
"Ottimo: Apollo è Florianus, e Marte è Marcus. Perché no?"
"Gli attributi di Apollo erano il sole, la lira e il serto di alloro. Quelli di Marte, logicamente, le armi: la lancia, la spada e l'elmo."
"Molto adatti ai nostri amici. E tu ed io, se volessi fare altri due ferma-libri?"
"Per te è facile: Mercurio, il dio dei mercanti e il messaggero degli dei. Per me invece Vulcano, il dio del fuoco e delle fucine, brutto e zoppo!" rise Johane.
"E gli attributi di questi due?"
"Per Mercurio, sandali alati, un leggero elmetto, pure alato, e in mano un bastoncello con due serpenti intrecciati. Per Vulcano, l'incudine e il martello, oltre al fuoco."
"Tutto chiaro. Ma il bastoncello coi due serpenti... potresti farmene un disegno?"
"Vuoi davvero scolpire anche te e me?"
"Chissà... può darsi un giorno, se me ne avanzerà il tempo."
"Non son molto bravo a disegnare,
ma per te io ci posso ben provare."
"Ti piaceva studiare là a Bononia?"
"Abbastanza: alcune cose più, altre meno."
"Io non so neppure leggere e scrivere. Mi sarebbe piaciuto imparare. Il prete m'aveva promesso d'insegnarmi, ma ogni volta mi diceva: cominciamo domani, cominciamo domani... e questo domani deve ancora venire."
"Non è così difficile. Guarda qua..." disse Johane e presa una punta di ferro, si accoccolò sul pavimento di terra battura, ne ripulì un tratto con la mano, e tracciò le parole: Florianus, Marcus, Laurentius, Johane. Mentre le scriveva, le pronunciava.
"Ecco, vedi, queste tre finiscono con un suono uguale "US", e cioè una "U" e una "S". Il mio nome, qui, no."
"Questo segno, quest'altro e questo, sono anche uguali."
"Sì, sono tre "N". E anche questi quattro: sono tutti "A"... semplice, no?"
"Pare di sì. Ogni segno dunque è un suono che noi emettiamo con la bocca."
"Precisamente."
"Sembra quasi un gioco."
"In fondo, lo è."
"Sono molti i segni?"
"Sono circa ventitré. Però li si può scrivere in molti stili."
"Non sono molti. Verrai ancora ad insegnarmi? Io in cambi ti faccio i reggi-libri gratis. Ti va lo scambio? Tu fai un favore a me e io a te. Che ne dici?"
"Volentieri. La prossima volta porterò lo stilo e la tavoletta cerata, così tu potrai anche provare a scrivere, invece di farlo a terra."
"Scommetto che questo segno si legge "E". Giusto?"
"Bravo! Com'hai fatto?"
"In Florianus e Marcus non c'è. Il Laurentius e Johane è vicino al segno "N" ma in posizione invertita."
"Sei davvero bravo ed intelligente. Complimenti."
Laurentius sorrise e fece un cenno di ringraziamento con il capo. "Avrai la pazienza di insegnarmi?"
"Se tu avrai la pazienza di imparare."
"No, non cancellare quei segni a terra. Quando non ci sarai, li voglio osservare meglio." disse il ragazzo fermando con una mano la mano dell'altro.
Quel breve e lieve contatto provocò un fremito a Johane, che guardò Laurentius. Questi gli sorrise... e il contatto cessò. Si rialzarono in piedi.
"Io sono sempre qua, se non devo fare il messaggero... degli dei!" rise il ragazzo. "Vieni quando vuoi. Ah, in che legno li vuoi, i tuoi ignudi?"
"Un legno pesante. Scegli tu, che per me andrà bene. Sei tu l'artigiano."
"Bene. Hai fretta di averli?"
"Nessuna. Falli tu a tuo agio."
"D'accordo."
Tornando verso Castrum Ulpini, Johane era pensieroso. Quel breve contatto con la mano di Laurentius l'aveva leggermente e piacevolmente turbato. Non gli era mai capitato, prima, se non con Florentius. Era stato un contatto breve, innocente, eppure... aveva suscitato in lui una certa emozione. Non desiderio fisico... ma un vago senso di piacere, e desiderio di poterlo prolungare.
Johane era avezzo a esaminare sempre attentamente tutte le proprie sensazioni, i propri pensieri, le proprie emozioni. Questo, anche prima che il Magister di greco gli avesse spiegato il "gnosi seautón", conosci te stesso. Infatti solo conoscendo se stessi s'era veramente padroni di sé e solo così si poteva tentare di conoscere gli altri, per comparazione, per similitudine e per opposizione. "Quod dicitur album non est, sine nigrum cognosceris", se ricordava bene la massima: non esiterebbe ciò che si chiama bianco, se non si conoscesse il nero.
Eppure questa volta Johane non riusciva a dare un nome a quanto aveva provato per un breve istante. Forse era stato troppo breve.
Finalmente venne l'occasione in cui Johane poté incontrare di nuovo Marcus. Si trovarono, anche con Florianus, al capanno.
"Salve, puzzolente Ulpianus!" lo salutò con un ampio sorriso Marcus.
"Salve a te, Mutius ladro e bugiardo." ribatté allegramente Johane e si strinsero al polso alla moda romana.
"È un vero piacere rivederti, dopo tanto tempo." aggiunse Marcus. "Ho saputo grandi cose di te dal mio ragazzo, di quando eri a Bononia."
"Florianus è troppo gentile. Di grande, io ho solo la bocca. Tu invece, Marcus: in tutto il contado non si fa che celebrare le tue lodi come del più grande guerriero dei dintorni."
"Vorrei che non si parlasse di me solo per la guerra."
"Non ti do torto, e le tue parole ti fanno onore."
Parlarono tutti e tre, allegramente. Poi il discorso finì inevitabilmente sulla situazione del colle, sul modo per far cessare la guerra e le faide.
"La gente comune è stanca, il malcontento aumenta. Se trovassimo un modo per far cessare le ostilità, sarebbero tutti dalla nostra parte. Tra le famiglie nobili, molto, molto meno. Saranno l'osso più duro. Ma in questi giorni pensavo: conoscete la storia della plebe di Roma che si ritirò sul monte Aventino? Se solo riuscissimo a convincere servi e contadini e artigiani a disertare i castelli..."
"Le famiglie reagirebbero duramente... e hanno le armi. Ai primi morti fra i ribelli, tutti gli altri tornerebbero subito ai castelli con la coda fra le gambe e tutto naufragherebbe." disse Marcus.
"Ci si potrebbe asserragliare in Castrum Novum..." disse Johane.
"Non vi sono mura di difesa, e comunque, non sarebbe ugualmente una guerra? Si può evitare la guerra facendo una guerra?" chiese Florianus.
"Ma se si coinvolgessero anche i preti e loro si interponessero fra i signori e la gente comune... issando la croce, ad esempio... nessuno oserebbe dargli addosso." disse Johane.
"I preti vivono soprattutto del denaro dei nobili. Credi che accetterebbero di mordere la mano che li nutre? E non sarei così sicuro, comunque, che gli armati li rispetterebbero solo perché issano una croce." fece notare Florianus.
"Ogni cosa da sola, certamente non basterebbe. Ma mettendo assieme l'Aventino e Castrum Novum, e i preti con altro che ci può venire in mente... chissà." insisté Johane.
"Senza spargimento di sangue?" chiese Florianus.
"Se gli armati assalissero Castrum Novum," disse Johane, "si potrebbe usare per difenderci un'arma segreta che credo assai più efficace che non forconi, sassi e bastoni."
I due amanti guardarono gli occhi ridanciani dell'amico e Marcus gli chiese, incuriosito: "E quale sarebbe questa arma segreta?"
"Immaginate che, in attesa degli eventi... no, aspettate: ti ricordi Florianus di quel che mi accadde in Bononia, per cui ti dissi che ero davvero diventato un puzzolente Ulpianus?"
Florianus scoppiò a ridere: "Certo che lo ricordo, ma che c'entra,ora?"
"Raccontalo a Marcus, poi ve lo spiego."
Florianus raccontò e anche Marcus rise.
Allora Johane spiegò: "Immaginate che in attesa del volgere degli eventi, tutti gli abitanti di Castrum Novum e coloro che vi si rifugiassero, invece di vuotare i pitali nei campi, li vuotino in botti e barili da porre sui tetti delle case... Se le nostre famiglie attaccassero, li si potrebbe annaffiare a dovere. Vi garantisco che quando ti trovi quella roba addosso, pensi solo a levartela, non a combattere."
I due amanti risero nell'immaginare la scena.
"Ma pensi in che puzza si dovrebbe vivere in Castrum Novum, sia in attesa degli eventi, sia dopo l'assalto?" disse ridendo ancora, Florianus.
"Non vale la pena di sopportare qualche giorno di puzza pur di ottenere qualcosa di valido in cambio?" chiese Johane.
"Prima si potrebbero tappar bene i barili e bruciare rosmarino per contrastare la puzza... E dopo ripulire quel che resta quando i nobili guerrieri si son portati via il grosso del liquame." disse pensieroso Marcus.
"Era solo un'idea," precisò Johane, "ce ne possono venire altre e migliori. Ma se la guerra è una merda, perché non far guerra con la merda?"
"Una buona frase da usare se si dovesse convincere la gente a farlo!" esclamò Marcus.
"Altre idee?" chiese Florianus divertito.
"Per ora non ne ho, ma pensiamoci tutti e tre. E non scartiamo subito le idee senza prima averne parlato fra noi. A volte da un'idea che pare stupida o pazza o irrealizzabile, possono nascere idee migliori nella mente degli altri." disse Johane, poi aggiunse: "E inoltre, a mio parere, dovremmo coinvolgere anche Laurentius. Ha una testa fina, quel ragazzo e meglio di noi capisce come ragiona la gente comune, quel che teme e quel che vuole, e come parlare con loro."
"Sono pienamente d'accordo, Johane." disse Marcus.
"Ma ora vi lascio, colombelle. Ne avrete abbastanza di questo matto e desidererete stare finalmente un po' soli." disse Johane e li lasciò.
In un primo momento pensò di tornare a Mons Ulpianus, poi invece, nonstante fosse già quasi l'ora dell'Ave Maria, decise di far visita a Laurentius. Il ragazzo lo accolse con un ampio sorriso.
"Hai portato lo stilo e la tavoletta cerata?" chiese subito.
"No, mi spiace, non pensavo di venire..."
"Non importa. Guarda..." disse e a una a una tracciò a terra le lettere dei quattro nomi, pronunciandole. "Ho fatto errori?" chiese poi.
"Neanche uno! Sei veramente bravo."
"Ma mancano i segni per parecchi suoni..."
"Te li mostrerò a poco a poco. Oggi, guarda, ti insegnerò qualcos'altro."
Johane, posta la lucerna a terra, tacciò due segni sul pavimento.
"Questa è "A", ma questa?" disse Laurentius.
"È anche una "A", ma la prima è in stile latino, la seconda in stile unciale."
"Sono completamente diverse." notò il ragazzo un po' confuso, poi disse: "Tu quindi avevi scritto i nostri quattro nomi in stile latino."
"Esatto. Sembrano molto diverse, ma in realtà sono lo stesso segno. Guarda, se tu tracci la A latina in questo modo, e poi più velocemente... ecco, vedi, si trasforma in una A unciale."
"È vero! E così è per tutti i segni?"
"Sì, è così. Alcuni restano quasi uguali, altri invece cambiano un poco."
"E vi sono anche altri stili?"
"Sì, ve ne sono, ma per ora questi due sono i più importanti, almeno nelle nostre terre."
Johane per un po' proseguì nella sua lezione, poi raccontò a Laurentius la conversazione avuta con Marcus e Florianus.
"E mi volete con voi, in questo piano?"
"Se a te fa piacere, noi te ne saremmo grati."
"Eccome! Certo che ci sto. Comunque andrà a finire, mi pare giusto almeno provare. E male che vada... ci esilieranno tutti e quattro."
"Se non c'impiccheranno come traditori." gli fece presente Johane.
Laurentius corrugò la fronte, riflettendo. Poi disse: "E che c'impicchino pure. Sarà stata almeno una vita ben spesa per un'ideale nobile e vero."
"Hai del coraggio, Laurentius."
"Non più di voi... ma non meno."
"Bisognerà fare un buon piano, calcolare bene le risorse e i rischi, e soprattutto essere assai prudenti."
"Ma determinati e astuti." disse Laurentius.
"E agire sempre tutti e quattro uniti. O tutti e quattro vincitori, o tutti e quattro sconfitti."
Quando Johane si avviò verso casa, Laurentius pensò a quanto s'erano detti e sentì che l'ammirazione per Johane era cresciuta a dismisura. Ma percepì anche, il ragazzo, che oltre l'ammirazione, c'era altro. Piacere. Piacere di stare assieme, di vederlo, di conversare con lui. Piacere che Johane volesse condividere con lui cose piccole e banali, ma anche cose grandi e importanti. Piacere di godere del suo sorriso, di guardare i suoi occhi limpidi e belli.
Paragonò nella sua mente i tre amici. Il primo in ordine di tempo, Florianus: la sua bellezza solare; la sua gentilezza anche quando prendeva con lui il piacere, preoccupandosi di dargliene; la sua onestà e umiltà... Tutte doti assai belle. Poi Marcus: la sua gagliardia fisica, il suo coraggio, la sua determinazione, la sua generosità.
Infine Johane: la sua simpatia, il suo sorriso lieto e schietto, i suoi occhi limpidi, specchio d'un'anima pura, la sua disponibilità e la sua intelligenza... il suo vivere per realizzare gli ideali in cui credeva... Anche lui era dolce, anche lui era determinato. Non bello, non forte fisicamente, eppure Laurentius sentiva in Johane un'altra bellezza e un'altra forza non meno importante. Erano tutti e tre assai speciali, ma forse era proprio Johane il migliore. E senza forse!
Laurentius, nonostante i suoi diciotto anni, provò un senso di tenerezza e di protezione nei confronti di Johane.
"Se potessi far qualcosa per lui, per rendere la sua vita più serena e felice di quanto già non sia..." mormorò a mezza voce.
Aveva già iniziato a scolpire i quattro ferma-libri.
"Da un lato," pensò, "scolpirò i nomi dei quattro dei, e dall'opposto i nostri quattro nomi. E li donerò tutti e quattro a Johane."
Eppure quel dono, che sapeva sarebbe stato gradito, gli pareva poca cosa.
Johane gli aveva raccontato come il padre l'avesse, di fatto, disereditato e pensò che era ingiusto, che non lo meritava. Aveva sì in Florianus e in Marcus due veri amici, e ora anche lui gli era amico... ma sentiva che Johane era solo.
Un'altra cosa sentì il ragazzo, se pure ancora confusamente e senza nessuna presunzione: c'era fra lui e Johane una certa affinità, un modo comune di "sentire".
Mentre Laurentius, steso sul proprio pagliericcio attendeva il sonno, un altro pensiero si fece strada in lui. In un certo qual modo, così come per lui Florentius era stato il suo primo "uomo" vero, così lo era stato Marcus per Johane. I due amanti erano stati, se pure per mero caso, i loro tutori nel dischiudere loro le vie dell'amore fra maschi, o dell'amor greco, come lo chiamava Johane.
Questo, a causa dell'amore che legava Florianus e Marcus, lo fece sentire ancora più vicino a Johane. Trovò piacevole l'idea e scivolò nel sonno con la gradevole immagine che due amanti, tenendo lui e Johane per mano, indicavano loro la via per... per dove? Non poté darsi una risposta, perché il sonno aveva spento in lui la coscienza.
Johane frattanto, solo nella sua stanza, non riusciva a prender sonno. Un po' stava steso sul letto, poi s'alzava e andava alla finestra, e dopo un poco tornava a letto, e si sentiva irrequieto.
Non sapeva darsi conto di quella sua irrequietezza. In fondo tutto era tranquillo, tutto andava bene. Aveva passato una gradevole serata, prima con i due amici, poi con Laurentius.
Laurentius. Forse in quel momento, almeno lui, stava dormendo. Era in gamba quel ragazzo: un ottimo artigiano, intelligente, creativo, pronto, anche raffinato benché non di nobili natali. Non si dava arie, ma neppure aveva quell'aria di poca stima di sé che spesso hanno le persone di umili natali, per lo meno di fronte ai nobili. Non era colto, nel senso che dà al termine chi è aduso ai libri, eppure aveva una sua cultura dovuta alla sua curiosità e alla sua mente pronta a cogliere ogni minimo dettaglio.
Johane ne era certo, se Laurentius fosse nato in una nobile famiglia, sarebbe stato raffinato e colto come Florianus. Aveva anche belle forme, non certo quanto Florianus, il che era quasi impossibile, ma paragonabili a quelle di Marcus, se pure differenti.
Sì, il ragazzo aveva una "sua" nobiltà, pensò Johane con un misto d'ammirazione e di caldo piacere. Era assai gradevole stargli assieme, ascoltarlo, guardarlo.
Tornò alla finestra. Là in fondo, il mare, più in là la sagoma caratteristica del Monte di Ancona, non visibili nella notte buia, poiché il cielo era coperto da spesse nubi, eppure presente. Dal mare giungeva una tiepida brezza salmastra. Alzò gli occhi al cielo e attravero le nubi distinse, appena visibile, il tenue alone della luna nascosta dietro le nubi.
Lontano un cane abbaiò, risvegliato da chissà quale rumore, o forse da un brutto sogno. Respirò a pieni polmoni l'umida aria della notte.
Apollo e Marte, poi Mercurio e Vulcano... pensò sorridendo. Vulcano, il più brutto fra gli dei, aveva avuto per consorte Venere, la dea della bellezza e dell'amore... che l'aveva reso cornuto... No, non voleva una Venere, lui. Avrebbe preferito un Apollo, o un Marte... o anche un Mercurio. Apollo, lui l'aveva rifiutato. Marte invece l'aveva avuto. E Mercurio?
Quel pensiero lo folgorò. Mercurio? Gli sarebbe piaciuto far l'amore con il suo Mercurio? La risposta sorse spontanea, da sola: sì, gli sarebbe piaciuto assai.
Ma quel Mercurio, avrebbe degnato d'uno sguardo Vulcano? E, se da questi sollecitato, non sarebbe piuttosto volato via ridendo, sbattendo le alucce dei suoi calzari e del suo elmo con sarcasmo?
Johane sapeva bene a chi, sotto quei nomi, stesse realmente pensando, ma si sentì più al sicuro nell'usare i nomi degli dei greco-romani che non i nomi veri.
Era uno stupido gioco, lo sapeva bene, ma ne aveva bisogno per difendersi dalla cruda realtà.
Si rigirava sul letto.
"Mercurio... nessuno mai parla della beltà di Mercurio, né dei suoi amori... eppure è bello e degno di essere amato. Ma Vulcano... che può sperare da lui? Meno di nulla, se non un riso lieve e un frullar d'ali... Mercurio è gentile con Vulcano... purché ognuno resti entro i limiti imposti dal fato... purché non si sconfini."
Finalmente s'addormentò.
E sognò Vulcano che, uscito dalle sue fucine sotto il monte Etna, tutto nero e claudicante, scalava l'Olimpo e si presentava a Giove.
"Ho una preghiera, o padre di tutti gli dei..."
"Di che si tratta?"
"Rendimi bello, o re degli dei, anche per un giorno solo. Un sol giorno, ti prego. Non bello quanto Apollo, ma solo quel tanto che sia sufficiente affinché un dio o un mortale possa guardarmi e desiderarmi... Di questo m'accontento, o padre Giove..."