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una storia originale di Andrej Koymasky


I CAVALIERI
DI SANT'ANDREA
CAPITOLO 11
JOHANE "x" LAURENTIUS

Laurentius lavorava ai quattro reggi-libri, che stavano prendendo forma. Guardava spesso oltre la porta, la strada bianca, temendo e sperando di vedervi spuntare la dolce figura leggermente claudicante di Johane.

Temendo, perché non voleva che lo sorprendesse al lavoro di quattro pezzi anziché due: voleva fargli una sorpresa. Sperando, perché avrebbe gradito oltre modo avere la sua compagnia. O meglio, oltre la sua compagnia, la sua vicinanza.

La giornata trascorse. Né si presentò Florianus per incaricarlo di un'ambasciata, né giunse Johane a fargli visita.

Il mattino seguente, quando aprì i battenti della sua botteguccia di buon'ora com'era solito fare, si fermò con espressione stupita. Johane era lì, di fronte alla porta, che lo guardava sorridente.

Quel sorrisso dall'aria dolce e a un tempo sbarazzina, penetrò in lui e si diffuse con un grato calore per tutto il suo corpo e risuonò in lui come una cascatella di dolci note.

"Il buon giorno si vede dal mattino,
per questo voglio essere a te vicino.
Dal mattino si vede il buon giorno,
spero non ti spiaccia avermi a te d'attorno.
Dal mattino il buon giorno si vede,
e così è per color che n'hanno fede.
Dal mattino il buon giorno veder si può,
per tanto il mio saluto con gioia ti do!"

lo salutò Johane.

"Buon segno, quando tu mi parli in rima.
Potevi bussare e svegliarmi prima."

rispose Laurentius.

"Oh bella, anche tu ti metti a parlare in rima, ora?" chiese allegro Johane.

"Non so come sia venuta fuori, ti ho risposto senza pensare alle parole."

"Eh, chi va con lo zoppo, impara a zoppicare, mio caro Laurentius. Posso entrare o ti disturbo?"

"Sei sempre il benvenuto, Johane. Entra. È molto che sei qui fuori? Perché non hai bussato?"

"Mai disturbare il sonno dei giusti. No, non è molto. Il gallo cantò solo due volte, o mi sarei sentito come Sancto Petro quando tradì Nostro Signore. Ho portato, finalmente, lo stilo e la tavoletta cerata. Se non hai di meglio da fare, stamane lezione di scrittura."

"Con vero piacere. Hai fatto colazione?"

"Non volevo perdere la tua espressione sorpresa quando avresti aperto la porta."

"Allora, prima, mangi qualcosa con me."

"Ai tuoi ordini, mastro Laurentius."

"Accomodati, cavalier Johane." rispose allegramente il ragazzo. "Ieri ho atteso tutto il giorno una tua visita..."

"Non t'avevo promesso che sarei venuto." si scusò Johane.

"Lo so, però avevo sperato ugualmente. Tu rendi più bello un giorno di sole e meno grigio quello di pioggia."

"Che parole cortesi... tu mi confondi, Laurentius."

"È la pura verità, amico mio."

"La verità può esser detta in modo brusco o in modo cortese, e tu sei sempre cortese."

"Come non esserlo, con te?"

"Grazie di nuovo."

Dopo aver mangiato, Johane gli disse: "Sgombera il desco e siedi qui accanto a me. Ecco, ora guarda: io traccio sulla cera una lettera nuova: questa è la "P" in stile latino, e poi di nuovo in stile unciale. Si assomigliano, vedi?"

"Sì, per fortuna."

"Ora prova a tracciarle tu."

Porse lo stilo al ragazzo e spostò la tavoletta davanti a lui. Laurentius tracciò le due lettere con gesti precisi e sicuri.

"Molto bene. Si vede che hai la mano allenata, grazie al tuo lavoro. Ottime le proporzioni, eleganti le curve e dritte le aste. Si chiama "pi" ma si pronuncia "p". Ora la lettera seguente, la "Q". In stile latino è come la "O" con l'aggiunta di questo trattino obliquo. In unciale invece è come una piccola "O" con una graziosa coda che pende a dritta. È chiaro? Ora a te..."

"La "R" già la conosci, c'è nei nostri nomi, ma non nel mio. Sonosci pure la "S" sinuosa ed elegante. La "T" l'hai trovata nel tuo nome; la "U" è una tua vecchia amica. La "V" in stile latino è identica alla "U" sì che se non si sa il suo valore, si è fregati. In unciale invece, guarda, questa è la "U" e questa la "V": come vedi vi è una piccola differenza. Vuoi provare a scriverle?"

"No, penso non vi siano difficoltà."

"La "X" è assai semplice in stile latino, un po' più complessa in stile unciale. In unciale è simile ad una "S" ed una "C" ma legate assieme. Ecco, vedi, così le si scrive divise e son due diverse lettere... e così unite ed è una lettera sola. "S-c" son due amici, e "x" son due amanti. Ecco a te lo stilo. Prova."

Laurentius, invece di prendere lo stilo, prese nella sua la mano dell'amico e, guardandolo negli occhi, gli disse: "Se "s" e "c" da amici possono diventare "x" e per ciò amanti, quando Johane e Laurentius potranno formare una "x" fra loro?"

Lo stesso Laurentius non sapeva come potesse essergli venuta alle labbra quella domanda, ma ora era lieto d'averla formulata.

Johane lo guardò totalmente sorpreso. Poi, con espressione improvvisamente seria e con voce bassa, quasi in un sussurro, chiese: "Tu questo vuoi da me? Ne sei ben sicuro? Non è celiare, il tuo?"

Laurentius gli prese il volto fra le mani e lo baciò lieve sulle labbra: "Non celierei mai con te in modo tanto crudele. Ho bisogno di te, Johane, del tuo amore e di darti il mio... se lo vuoi accettare."

"Ma... con me? M'hai guardato?"

"Ti sto guardando... e ti trovo bello."

"Sì, lo so, la bellezza interiore che è più importante di quella esteriore e tutte quelle consolatorie parole che..."

"No, Johane. Io vedo in te una bellezza esteriore che forse tu stesso non riesci a vedere."

"Né tutti gli altri."

"Ma io la vedo."

"Che padre Giove abbia esaudito Vulcano?" chiese a mezza voce Johane, la testa e il cuore in subbuglio, il corpo in fiamme. "Rifletti, Laurentius, sei ancora in tempo per..."

"No che non sono più in tempo: ti amo. Le mie labbra han capito ciò che il mio cuore sapeva da tempo e che la mia mente ha condiviso appena l'ha percepito dalle mie stesse orecchie."

"Laurentius... tu vuoi il mio amore e darmi il tuo..."

"E voglio anche il tuo corpo e darti il mio... e voglio la tua vita e donarti la mia... Se ti accontenti da me."

"Accontentarmi? Oh, Laurentius, se quel che dici, che il tuo cuore sa, che la tua mente accetta..."

"E che tutto il mio corpo anela..."

"Se tutto questo è reale..."

"Ebbene?"

"Io sono tuo, tutto e per sempre."

Per un po' tacquero, perdendosi l'uno negli occhi dell'altro.

"Ti amo, o mio Johane, ed è assai dolce potertelo dire."

"E io amo te, mio sole, mio messaggero d'amore, mio Mercurio, mio tutto!"

"Tuo tutto e tutto tuo."

"Benedetta la "X" che sarà per sempre il nostro sigillo."

"In stile latino, le nostre strade che si sono incrociate, e in stile unciale la nostra unione." disse Laurentius, poi soggiunse,

"Vorrei avere, per celebrar questo amore,
le stanze del Papa, il letto dell'Imperatore!"

"Il tuo cuore delle stanze del Papa è assai più bello, il tuo abbraccio più soffice del letto dell'Imperatore."

"Sei così bello, Johane! Specchiati nei miei occhi e riconosci la tua bellezza." gli susurrò Laurentius e di nuovo lo baciò, questa volta più intimamente. Poi guardò verso la porta della bottega e sorrise: "Se qualcuno ci ha visti..."

"Forse sarà rimasto abbagliato dalla tanta bellezza che da qui promana."

"Ma è meglio essere più prudenti, amato mio. Solo chi vive nella bellezza sa riconoscere il bello."

"Sì, certo. Perché non chiudi la bottega, questa mattina?"

"Se ti accontenti di questa povera stanza..."

"T'ho detto, amato mio..."

"Sì, m'hai detto, e hai ragione tu, sono uno sciocco. Neppure il Papa a Roma ha una stanza più bella, né il sacro Imperatore una più bella alcova!" disse allegramente Laurentius e andò a chiudere la porta della bottega e pure la finestra a fianco. Ora solo da una finestrella su in alto giungeva un raggio di sole che cadeva giusto sul povero pagliericcio di Laurentius.

"Vedi, amato, i raggi d'oro del sole coprono di preziosi broccati il tuo giaciglio e c'invitano lì..."

"Il nostro giaciglio..." lo corresse Laurentius tornando verso lui e presolo per mano lo guidò alla preziosa alcova che avrebbe fatto invidia allo stesso imperatore.

Tutto si svolse in un alone di sogno, fra gli odori dei legni preziosi e le tele di ragno che, sul soffitto, parevan trasformate in preziosi ricami. Con ansiosa calma e dolce fretta, fra i suoni ovattati di un cantante silenzio, i due ragazzi si inoltrarono nel regno incantato dell'amore e si donarono l'uno all'altro. Con trepida emozione si presero a vicenda, gustando la fusione delle loro membra. Prendendo l'altro si donavano a lui, accogliendo l'amato, lo facevano proprio.

Era già il primo meriggio quando un forte bussare alla porta strappò i due giovani dalla beatitudine incantata in cui erano, per riportarli alla realtà del giorno.

Con un sorriso complice si rivestirono svelti e mentre Johane andava a sedere al desco, Laurentius andò ad aprire la porta. Poco prima che aprisse, giunse da fuori la voce alta e chiara di Florentius.

"Laurentius! Laurentius, ci sei? Laurentius!"

Il ragazzo aprì.

"Non avevi ancora aperto bottega, così dopo il pranzo, temendo che tu stessi male, sono venuto..." disse con volto preoccupato l'amico poi si fermò interdetto: "Che hai?" chiese vedendo il sorriso beato dell'altro.

Il suo sguardo si spostò alle spalle di Laurentius e vide Johane, che lo guardava con lo stesso sorriso beato. E capì. Capì pure che quanto era avvenuto dietro a quelle porte chiuse non era stato un atto di puro divertimento, ma un miracolo.

"Tu e lui..." disse entrando e la sua non era una domanda.

L'uno e l'altro dei due novelli amanti annuirono all'unisono.

Florianus si illuminò allora in un ampio sorriso e disse: "Alla buon'ora! Vi siete decisi, finalmente. Marcus e io ci si chiedeva quanto ci avreste messo..."

"Avevate già capito..." chiese, ma quasi senza stupore, Johane.

"Da un po'."

"E come?" lo interrogò Laurentius.

"Anche solamente dal tono con cui ognuno di voi pronunciava il nome dell'altro..."

"Il tono? Che vuoi dire?" chiese Johane.

"Era come se la voce vostra accarezzasse il nome dell'altro nel pronunciarlo. Gran Madre di Dio! Ma tu, Johane... non lo prendere come uno scherzo... ma tu quest'oggi, direi quasi che sei bello!"

"Lo so. L'ho letto negli occhi del mio Laurentius. Anch'io mi sento... bello, in questo momento."

"Bene, amici miei cari. Non potete immaginare quanto io sia lieto. Non so chi di voi due abbia fatto il più grande guadagno, ma..."

"Io!" risposero a una voce i due amanti.

"Sì, la risposta è l'unica giusta: entrambi. Sono lieto per voi, miei dolci amici, anzi, con voi. Giorno soave è questo."

Laurentius aveva preso la mano di Johane e gli aveva sorriso. Poi, lasciatola, prese lo stilo e la tavoletta che erano sul desco, lisciò la cera con cura cancellando i precedenti segni, e sotto lo sguardo stupito di Florianus tracciò, in bei caratteri unciali, "Johane x Laurentius".

"D'improvviso sai pure scrivere! Ah, miracoli dell'amore." disse Florentius.

"Leggi." lo invitò il ragazzo.

"Johane x Laurentius."

"Quasi esatto. Dobbiamo insegnargli a leggere, nevvero, mio Johane?"

"Sì è vero. Lì vi è scritto: Johane unito a Laurentius. Non è una "X" qualsiasi, quella, è il sigillo del nostro amore!"

Florianus annuì: "Non vedo l'ora di far partecipe anche il mio Marcus di questa bellissima nuova! Ne sarà felice anche lui almeno quanto me. E io che ero preoccupato che Laurentius avesse avuto un malore!"

"Mai stato meglio in vita mia, lo giuro." mormorò il giovane artigiano.

"Non hai bisogno di giurarlo, basta guardare il tuo, il vostro volto. Si dovrebbe celebrare questo giorno facendo suonare tutte le campane..."

"Noi le sentiamo suonare, non è vero Johane?"

"E dovrebbero suonare ogni qualvolta sboccia un nuovo amore." disse Johane annuendo. Poi cantò sottovoce a Laurentius:

Pulchra tibi facies
oculorum acies,
capillorum series,
o quam clara species!

Rosa rubicundior,
lilio candidior,
omnibus formosior,
semper in te glorior!


Bello è il tuo viso,
degli occhi il sorriso,
e le ciocche dei capelli.
Tu sei bello fra i belli!

Di una rosa più vermiglio,
più candido di un giglio
di tutti il più perfetto,
sempre in te io mi diletto!


"Aspettatemi qui! Non so se impiegherò poco tempo o molto, ma... voi due non muovetevi da qui." disse ed uscì di fretta dalla bottega.

Si avviò a passo rapido fino a raggiungere Castrum Mutii. Sulla porta del borgo due armati gli sbarrarono il passo.

"Altolà, Maurellus! Hai una bella faccia tosta a presentarti al nostro Castrum!"

"Devo conferire immediatamente con il figlio minore del Prior, con Marcus Mutius." disse Florianus con il tono fiero che si addice a un nobile.

"È da vedere se lui ha piacere di vedere la tua faccia, Maurellus!"

"Ditegli che Florianus è alla porta."

"Lo sappiamo bene chi sei: sei stato nostro prigione." disse con un lieve tono di disprezzo il soldato.

"Prigione di Marcus, non tuo. E affrettati, o Marcus te la farà pagare."

"Eh, vado, vado. Tu resta qui. E tu," disse rivolto all'altro soldato, "non lo perdere d'occhio un solo istante."

Dopo pochi minuti giunse Marcus con espressione preoccupata.

"Che c'è Florianus Maurellus, che vuoi da me?"

"Puoi venire con me? Devo parlarti."

"Vengo..."

"Signore, non ti fidare, potrebbe essere un tranello!" gli disse uno dei soldati.

"Ho con me la mia spada, non temere."

"Ma, signore..."

"E taci!" gli disse brusco Marcus e uscì dalla porta del borgo, allontanandosi con l'amante.

"Scusami, amore, per la bruschezza di poc'anzi, ma dovevo fingere con i soldati."

"Lo so."

"Ma che accade di tanto grave per arrischiarti di venire di persona? Laurentius sta male?"

"No, non temere. Vieni con me, andiamo proprio alla bottega di Laurentius."

"Non vuoi dirmi che accade? A vedere il tuo volto lieto, non è certo una disgrazia..."

"Tutt'altro."

"Perché mi fai tanto il misterioso, quest'oggi? Non è da te."

Florianus rispose solo con un sorriso al suo uomo. Giunsero in breve alla botteguccia di Laurentius.

Entrando, Marcus disse: "Oh, tu pure qui, Johane! Ci siam proprio tutti..."

Poi notò come i due giovani stessero la mano nella mano, e che il loro sorriso aveva un colore speciale, e i loro occhi pieni di luce, e anche lui capì. Un cuore che conosce l'amore e lo vive, lo riconosce senza fallo sul volto degli altri.

"Oh, finalmente! Hai fatto bene, Florianus, a farmi venire fin qui con tanta urgenza per rendermi partecipe di questo bellissimo evento. Amici miei, la vostra gioia è la mia!"

Strinse a sé l'uno poi l'altro in un fraterno abbraccio, poi chiese: "E da quando..."

"Da stamane... credo fosse l'ora di terza." rispose Laurentius.

"E chi di voi due s'è deciso al grande passo?" chiese Marcus.

"Fu questa tavoletta e la lezione di scrittura..." rispose Laurentius e raccontò agli amici come fosse il tutto avvenuto.

"Benedetta sia la "x" scritta in stile unciale, allora, fratelli!" commentò Marcus.

"D'ora in poi io inciderò sempre una x unciale come firma su tutti i miei lavori..." annunciò Laurentius.

"Sapete che vi dico? Dovremmo andare tutti e quattro da qualche parte per celebrare questo lieto evento." propose Florianus.

"Hai qualche idea su dove si potrebbe andare?" chiese Marcus.

"Sì, giù a valle, oltre il fiume, passato il ponte della via per Potentia de' Piceni, c'è una locanda ove danno buon cibo e anche ottimo vino."

"Sto giusto morendo di fame..." si accorse solo allora Laurentium.

"Scommetto che non avete nemmeno mangiato il pranzo, voi due." disse Florianum.

"Avevamo di meglio da fare, vero mio dolce amato?" disse Johane con un sorriso lieto.

"Aspettatemi solo un poco, torno dai miei che se non mi vedono penseranno che tu m'abbia rapito..." disse Marcus, "e sono subito da voi."


Scesero a valle in allegra brigata. Non pochi dai campi o incrociandoli per via, li guardavano a bocca aperta: un Maurellus, un Ulpianus e un Mutius, riconoscibili dai colori dei loro abiti, e un altro, in pacifica e gioiosa compagnia! Mai s'era vista, a memoria d'uomo, una simile cosa!

La voce si diffuse nel contado, sussurrata di bocca in bocca, ascoltata da orecchie incredule, commentata sottovoce. I contadini dei Maurelli comunicarono la strana notizia a quelli dei Mutii, e questi ai servi, poi, nel volgere di pochi giorni, la notizia raggiunse anche i contadini degli Ulpiani...

Chi diceva ch'era una fola, chi diceva che si dovevan esser visti male i colori degli abiti, chi sospirando sperava che fosse tutto vero, che fosse un segno di pace... I più non ci credevano, ma la voce persisteva e s'arricchiva di nuovi particolari inventati, s'ingigantiva.

Finché la voce giunse anche alle orecchie del vecchio Furius Maurellus. L'uomo subito indisse un'adunata dei suoi armati sulla spianata davanti al suo castello e così parlò ai suoi uomini con voce tonante:

"Ho udito, e le mie orecchie stentano a crederlo, e le mie labbra hanno ritegno a pronunciarlo, ho udito che si è visto, giù verso il fiume Potentia un gruppo di miei uomini intrattenersi in amichevole compagnia con un gruppo di Mutii e di Ulpiani. Chi sta complottando alle mie spalle? Chi è fra voi che ardisce stringere amichevoli rapporti con i nostri nemici?"

Tutti si guardarono l'un l'altro, facendosi domande, negando, mostrando sdegno o alta meraviglia. Solo Florianus, che aveva intuito trattarsi della loro scampagnata, non mostrava nessuna reazione.

Furius alzò un braccio facendo segno di tacere e di nuovo scese il silenzio e tutti i volti dei presenti tornarono a guardare il loro signore.

"Un gruppo di miei uomini! Non uno solo! Chi di voi sa qualcosa, parli, non può essere passato inosservato un simile fatto. Se chi s'è recato a quella riunione non ha fegato bastante per parlare, che siano gli altri a denunciarlo!"

Florianus, a questo punto, pensò giusto intervenire:

"Padre, se come hai detto, un gruppo dei nostri uomini avesse veramente voluto incontrare un grupppo degli Ulpiani e dei Mutii per congiurare, non l'avebbe certo fatto né in pieno giorno né sulla pubblica via, non credi? L'avrebbero fatto nelle tenebre e radunandosi in un altro territorio, giungendovi in segreto e alla spicciolata. Chi si incontra per tramare fa in modo di non essere scorto né sospettato... Deve essere tutta una fola!"

"Ma la voce m'è giunta da più bocche, quindi deve avere un fondamento!" tuonò il padre.

Da parecchi degli astanti si levarono voci: "Anch'io l'ho udito... Anche io... Erano in molti... In sette se non più... No, dieci... Io ho udito ch'erano solo in quattro..." e così via.

Florianus riprese la parola: "Chi di voi l'ha visto con i propri occhi?"

Nessuno rispose.

"Io stesso per la via ho incontrato un Mutius, e un Ulpianus, e così penso sia capitato ad ognuno di voi. Or son pochi giorni, di certo, qualcuno di voi m'avrà scorto camminare a fianco di Marcus Mutius, o conversare con Johane Ulpianus che studiò con me in Bononia. Alla luce del sole, imperocché non s'aveva nulla da nascondere. E anche a ognuno di voi sarà capitato di fare un simile incontro, d'aver scambiato qualche parola."

"Sì, certo, per insultarci a vicenda!" gridò uno degli uomini e tutti risero assentendo.

"Ma qui non si parla di un casuale incontro, figlio! Li han visti ridere e cantare tutti assieme!"

"A volte, con Johane Ulpianus anch'io ho riso e cantato ricordando i tempi di Bononia e le strofe salaci dei clerici..." disse Florianus.

"In due... vecchi compagni di studi... e non in dieci o venti!"

"Da quel che ho udito, sul numero le voci sono assai discordi: chi dice ch'eran pochi, chi dice ch'eran molti... e tutti per sentito dire. Comunque, che male vi sarebbe se nostri uomini, con quelli di altri castelli, fossero andati per via a cantar strofe d'osteria?" insisté Florianus. "Non è forse miglior cosa spendere il proprio tempo a cantare che non a darsi legnate? Toglietevi di dosso i colori, e che differenza vi è fra voi e gli Ulpiani o i Mutii?" insisté Florianus.

Diverse voci si levarono. Alcuni dicevano: "È vero!", "È giusto!" ma altri asserivano: "Mai col nemico!" e la discussione divampò fra gli uomini. Florianus sorrise fra sé e sé, soddisfatto.

"Noi maledetti Murelli, e i puzzolenti Ulpiani, e i Mutii ladri e bugiardi... siam nati tutti su questo ameno colle, benedetti dallo stesso sole, lavati dalla stessa pioggia e nutriti dalla stessa terra. Noi tutti, a quel che si narra, discendiamo da compagni d'arme dei tempi dei romani, che combattevano assieme come fratelli, sotto gli stessi vessilli e contro il comune nemico." disse Florianus cercando di sovrastare la confusione.

"Ma che vai dicendo, figlio snaturato!" eclamò Furius aggrondato.

"Quel che è giusto e vero e che io penso, padre. Attorno a noi, sui colli che da qui vediamo, che ci circondano, città e castelli in concordia si stanno rafforzando e un giorno si volgeranno verso noi che, divisi, non potremo far nulla, e a uno a uno sottometteranno i nostri castelli e prenderanno le nostre terre! Se invece fossimo uniti..."

"Io non stringerò mai la mano a un Ulpianus, né farò mai alleanza con un Mutius!" tuonò il padre, "E tu... faresti bene a cessare questi tuoi assurdi vaneggiamenti!"

Sulla spianata ora gli uomini discutevano animatamente, chi sostenendo le idee di Florianus, chi quelle del padre. Il fratello maggiore di Florianus, con voce forte, chiese silenzio.

"Quel che dice Florianus può parer giusto, e lo sarebbe se ci si potesse fidare di un Mutius o di un Ulpianus. Ma sono gente infida, lo sappiamo bene tutti, e con loro non è possibile e non ha senso stringere un'alleanza!"

"È vero! È così!" dissero molte voci.

Florianus allora disse: "E ne son certo, sia i Mutii che gli Ulpiani affermano di noi con altrettanta sicumera che siamo noi gli infidi! Han ragione loro o noi? O torto tutti? Chi veramente è forte, ha il coraggio di fare il primo passo. Chi è debole e vile si nasconde dietro le sue paure e diffidenze!"

"Vorresti insinuare che siamo noi i deboli ed i vili?" tuonò Salvus Maurellus, il fratello maggiore, indignato.

"Non più e non meno dei Mutii e degli Ulpiani, finché non dimostreremo d'essere i più forti tendendo loro la mano della pace!"

"No, mai! Dimostreremo d'essere più forti di loro muovendo loro guerra e sottomettendoli!" tuonò Furius.

"Sì, sì!" gridarono in molti sguainando le spade e sollevandole in alto.

"Ma se tutte le nostre guerre non hanno mai mutato nulla! Oggi prendiamo un campo ai Mutii o agli Ulpiani un pozzo, e domani li perdiamo! Oggi siam noi a fare più prigionieri e ad avere meno morti, ma domani son loro! E i nostri vicini dagli altri colli godono a vederci scannare fra di noi e affilano le loro armi!" gridò Florianus.

La discussione fra gli uomini divampò ancora.

"Se invece unissimo le nostre forze..." gridò Florianus, infervorato, "dal Muso al Potentia, dal mare a Mons Fani si estenderebbero le nostre terre, uno dei più vasti territori di tutta la Marca!"

"E chi dovrebbe guidare le nostre forze unite? Un Mutius? Un Ulpianus? E noi dovremmo inchinarci a loro?" chiese Salvus con sdegno.


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