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una storia originale di Andrej Koymasky


I CAVALIERI
DI SANT'ANDREA
CAPITOLO 12
UN ORDINE CAVALLERESCO

Quando Florianus raccontò questi fatti agli altri tre, Johane esclamò: "Senza averlo programmato, s'è compiuto un altro passo! I tuoi uomini non erano tutti concordi, alcuni fra loro abbracciavano le tue parole, hai detto. Questo è positivo."

"Dividerci anche fra noi, nei nostri castelli, è un bene?" chiese un po' stupito Marcus.

"Dividerci ora per creare una più vasta unione poi. Seminare il dubbio se sia bene continuare come s'è sempre fatto o cambiare per il meglio. Che si discuta fra i nostri uomini, finalmente, se è meglio farci guerra o unirci in un solo forte sodalizio..." disse Johane.

"E se un giorno decideremo che è bene fare come la plebe di Roma e ritirarci sul nostro Aventino, se una parte degli armati s'unirà a noi e uscirà dai castelli, sarà ancor più facile averla vinta. Basterebbe che un terzo degli armati di ogni castello s'unisse a noi e, uniti, avremo più uomini di ogni singolo castello." disse Flavianus.

"Ma se quelli che restano nei tre castelli si unissero contro di noi..." obiettò Marcus.

"Con questa stessa allenza ci darebbero ragione." disse Laurentius.

Pochi giorni dopo Marcus fu invitato da un cugino che si stava per sposare, alla festa fra uomini che s'usava fare con il futuro sposo prima del suo matrimonio. Vi avrebbero preso parte, quindi, molti nobili e cavalieri di Mons Mutius, circa una ventina di persone.

Marcus si preparò: prese le sue frecce e ne colorò alcune con i colori dei Maurelli, altre con quelli degli Ulpiani e altre ancora lasciò con i colori dei Mutii. Le ripose nella faretra che chiuse sì che non se ne vedesse il contenuto, indossò i suoi abiti più belli, cinse la spada e il pugnaletto e, presa la faretra ma non l'arco, si avviò per partecipare alla lieta adunata.

Quando giunse nella sala del raduno, qualcuno celiò con lui chiedendogli se volesse andare a caccia senz'arco e lanciare le sue frecce con le mani. Marcus rispose solo con un sorriso.

Mangiarono e bevvero, lanciarono, come s'usava, battute salaci al futuro sposo... poi Marcus s'alzò in piedi e chiese silenzio.

"Discorso, discorso..." cantarono in molti.

Marcus iniziò: "Ho da sottoporvi un apologo, amici." Aprì la faretra e ne sparse il contenuto sul tavolo davanti a sé. Prese una freccia con i colori dei Maurelli: "Guardate bene. La riconoscete tutti, no? Questa rappresenta i Maurelli..." disse e con un gesto secco, la spezzò in due e la gettò via.

"Evviva! Sì, spezziamo i lombi ai maledetti Maurelli!" dissero in molti ridendo e battendo i palmi delle mani sui tavoli in segno di approvazione.

Marcus prese allora una freccia con i colori degli Ulpiani e spezzò pure quella con un sol gesto.

"Così, così! Spezziamo le gambe agli Ulpiani, sì che diventino tutti cionchi!" risero i suoi compagni divertiti.

Ma quando Marcus prese una freccia con i loro colori e la spezzò e la gettò via, scese il silenzio.

"E a noi... spaccheranno la testa?" chiese con voce forta e cupa Marcus.

"Che vorresti dire con questo?" chiese uno dei suoi fratelli, aggrottando la fronte.

"Non ho terminato. Ora, guardate..." disse prendendo tre frecce, ognuna con i diversi colori. Le strinse nelle due mani, le curvò, le curvò nel silenzio generale ma, astutamente non le spezzò. Tutti però avevano notato i suoi sforzi e sapevano bene che Marcus non era certo il più debole fra loro.

"Ecco ciò che intendo. Solo se uniti, nessuno spezzerà né le nostre gambe, né i nostri lombi, né spaccherà le nostre teste. Se Castrum Mutii non è scomparso a vantaggio degli Ulpiani o dei Maurelli, è perché le nostre famiglie non si sono combattute fra di loro, ma unite in una comune! Ma se noi ora non ci uniremo con gli Ulpiani e i Maurelli, avete appena visto che fine faremo. Le città e i castelli sui colli a noi d'intorno, si stanno rafforzando e diverranno sempre più, per noi, una temibile minaccia."

"E che gli Ulpiani ed i Maurelli si uniscano a noi a formare una più vasta comune." disse un altro dei fratelli di Marcus.

"E perché loro a noi e non noi a loro? O meglio..." disse placando con un gesto le proteste, "... o meglio, perché non unirci tutti in un nuovo comune che non sia né dei Mutii, né dei Maurelli, né degli Ulpiani? Perché non incontrarci per stabilire nuovi e migliori statuti e leggi che ci rendano uniti e forti? Pensate, abbattere i tratti delle mura che ci dividono e costruirne nuovi tratti che invece ci uniscano. Costruire nuove case, più ampie e belle nei tratti fra i nostri tre borghi. Attirare qui nuove braccia, nuovi talenti e ingegni, e poi mercanti... e crescere in forza e ascendente.

"Viviamo gli uni sugli altri, le nostre mura si fanno via via più strette e non v'è più spazio, quando là fuori vi è terreno pianeggiante a sufficienza per far nuove magioni e botteghe e mercati. O siamo fatti per starcene qui rinchiusi come topi e spiarci l'un l'altro tra i nostri tre castelli e borghi, e a trovare ogni scusa per pestarci i piedi a vicenda?"

"E chi si fida degli Ulpiani o dei Maurelli?" chiese Duccio degli Antici.

"Prima che i Mutii trasformassero in un comune questo borgo, non diffidavano forse i Mutii degli Antici, e viceversa? Ma s'è fatto. Che se non si fosse fatto..." disse Marcus e presa un'altra freccia con i loro colori, la spezzò e la gettò via con disprezzo.

"Tu, Marcus, sei un sognatore..."

"Questa..." disse Marcus sfoderando la sua spada e brandendola alta sopra la sua testa, "... questa vi sembra far parte di un sogno? Tutti voi m'avete visto sul campo di battaglia, vi son sembrato un sognatore, allora? No. E non è il sognatore, ma il guerriero che vi sta parlando. Ho riflettuto a lungo su questa cosa. Ora tocca a voi riflettervi seriamente." disse Marcus, e spazzati via con un gesto secco dalla tavola i mozziconi delle frecce spezzate, ripose le altre, con i colori dei tre castelli ben visibili, nella faretra che non richiuse ma posò in bella vista sul tavolo.

La discussione si accese, e Marcus sorrise fra sé e sé.

Il giorno appresso il padre lo chiamò: "M'han detto i tuoi fratelli degli strani discorsi che hai fatto ieri..." iniziò in tono calmo ma severo.

"Strani, padre? Erano forse strani quando li fecero i nostri avi per dar concordia e più forza a Castrum Mutii?"

"Quelli eran altri tempi. Il solco che ci divide ormai dai Maurelli e dagli Ulpiani s'è fatto troppo profondo."

"A me pare, padre, che i nostri tre borghi siano collegati da una strada assai pianeggiante. E se vi è un solco, colmiamolo, e se troppo profondo, costruiamoci sopra un ponte..."

"E chi dovrebbe essere il Prior di questo nuovo comune allargato che vai sognando?"

"Ah, questo è dunque il problema! Se ne discuterà tutti assieme e si troverà una soluzione che accontenti tutti. Che so io, un consiglio di tre Priores uno per ogni borgo, i quali sceglieranno un Magistrato a rotazione, che sia sopra di loro. O un'altra soluzione anche migliore. Discutendo con calma e in buona fede, attorno a un tavolo, una equa soluzione si può trovare."

"La cosa non mi convince affatto. Unirsi col nemico, trovarselo in casa... è un matrimonio destinato a fallire sul nascere."

"Ma che può invece produrre buoni figli, più saggi e più forti di noi. Pensa ai vantaggi, padre..."

"Non riesco proprio a vederne. Lasciare la via sicura per correr la ventura, porta solo sciagura. E quali e quante rinunce questa tua sognata unione ci imporrebbe?"

"Simili a quelle che ogni nobile famiglia di Mons Mutius ebbe a fare quando si stabilirono gli statuti del comune. Lo fecero non pensando alle rinunce, ma ai guadagni."

Gastaldus de' Mutii scosse il capo: "Pensavo d'aver fatto di te un guerriero, non un sognatore."

"E guerriero io sono: non te l'ho forse dimostrato mille e mille volte? Non ho forse, or non è molto, fatto mio prigione Florianus Maurellus?"

"Giusto lui! Ti si è visto, dopo quel giorno, parlar con lui... È dunque quel Maurellus ad averti messo certe idee in capo?"

"Nessuno mette in capo a me idee che io non voglia. Ne ho parlato con lui, sì, padre, e Florianus Maurellus concorda pienamente con le mie idee. Noi giovani, padre, forse si è in grado di vedere più vasti orizzonti."

"E perdere il senso dell'orientamento." commentò il padre con sarcasmo.

"O invece forse scorgere la via più agevole e sicura."

"Se guardi l'orizzonte e non dove metti il piede, t'inciampi e cadi."

"E se guardi solo la punta delle tue scarpe, rischi di non vedere il pericolo che ti sovrasta."

"Con te è inutile ragionare. Sei sempre stato e resti testardo come un mulo!"

"Grazie, padre, per questo complimento."

"Complimento?" chiese l'uomo scrutando negli occhi il figlio.

"Il mulo, fra gli animali, è quello che sa portare la soma più pesante, inerpicandosi senza tema su per le vie più impervie." rispose Marcus con un sorriso.


Laurentius frattanto era sceso fino a Castrum Novum per comprare della bella e forte tela dai tessitori del borgo. Voleva farsi un pagliericcio nuovo, e schermarlo con una cortina, per accogliervi più confortevolmente il proprio amato.

Appena giunto, i suoi antichi compagni gli chiesero: "Che ne sai tu, Laurè, della nuova che corre di bocca in bocca?"

"Di che nuova parlate?"

"Ma sì, ne parlan tutti: che alcuni armati dei tre castelli s'è radunati in allegra brigata. Pare cosa dura da credere sia vera. Tu che ora vivi lassù, non ne sai nulla? È una fola o cosa vera?"

"È una fola... eppure è vero." rispose Laurentius.

"Che dici? Ci meni per il naso?"

"No, non erano alcuni armati, ma solo un Ulpianus, un Mutius e un Maurellus. Li ho visti con i miei occhi."

"E davvero parevano... amici?" chiese uno, stupito.

"Più che amici, parevan fratelli."

"E di che discutevano?"

"Di qualunque cosa conversassero, parevan assolutamente concordi."

"Ah, fosse vero che i tre castelli trovassero concordia. Ne avremmo tutti un guadagno." disse un altro.

"Tre soli uomini, e una sola volta... non significa quasi nulla." disse un terzo.

"Però... se invece di perdere tempo ed energie e denaro a farsi guerra, vivessero in pace... e si costruissero più belle magioni, per noi vi sarebbe più lavoro e più guadagno." fece notare Laurentius.

"Sì, e se il gallo, invece di cantare facesse le uova, ve ne sarebbe il doppio da mangiare!" rise uno dei ragazzi.

"Sia come sia, sono i signori a decidere, e noi si campa di conseguenza." notò un altro dei ragazzi.

"Non ovunque è così, ho sentito dire..." spiegò Laurentius. "In alcuni comuni dei dintorni, anche noi artigiani s'ha voce in capitolo."

"Non nelle signorie, e neppure a Castrum Mutii, che pure si fregia del nome di comune." rispose quello.

"Per questo si dovebbe fare qualcosa perché anche su questo colle cessino le signorie e si formi un solo, grande e vero comune." disse Laurentius.

"E cosa? Andiamo a dire all'Ulpianus e agli altri: ehi tu, scendi dal tuo seggio, rinuncia al tuo potere... noi non ti vogliamo più come nostro signore, vogliamo un comune! Come minimo ti farebbero caricare di legnate dai loro servi."

Laurentius allora disse: "Forse qualcosa si sta muovendo, su nei castelli. Forse l'idea di un comune unito sta mettendo radici. E se noi si sarà pronti a prendere la parte di quelli che vogliono un grande comune, al momento giusto, potremo davvero aver voce in capitolo e non dover sempre chinar la fronte."

"Prender parte, tu dici? E come?"

"Ospitando i fuoriusciti, se ve ne saranno... Favorendo fra i nostri clienti, quelli che vogliono il comune e non quelli che sostengono le signorie... Parlando con alcuni di loro, quando se n'ha l'agio, dicendo che noi se n'ha abbastanza delle loro guerre e che vogliamo la pace... Facendo in modo che Castrum Novum diventi un luogo d'incontro neutrale per le fazioni che intendono incontrarsi e discutere, e trattandoli con ogni onore... Vi son mille modi più uno, e a noi artigiani non è mai mancata né la fantasia, né l'astuzia.

"Facendo sì che nostri clienti dei diversi castelli si incontrino qui da noi e con buona grazia, smussando le loro inimicizie e diffidenze... Insistendo con tutti che questo è un luogo di incontro e di pace... Son solo alcune idee, queste. Voi potete di certo averne di migliori, se solamente v'impegnate. Per noi, dopo tutto, un Maurellus, o un Ulpianus o un Mutius, sono del tutto eguali..."

"Sì, certo, purché paghino bene i nostri servizi!" esclamò ridendo uno dei ragazzi.


Anche Johane non stava con le mani in mano. Di buon mattino, si recò alla messa nella chiesa parrocchiale del borgo di Mons Ulpianus. Terminato il rito, andò a parlare con il sacerdote.

"Buon giorno a te, prete Leone."

"Buon giorno anche a te, Johane Ulpianus. Che lieta sorpresa vederti a messa anche fuori dal giorno del Signore!"

"Nella casa di Dio si respira la pace... a differenza che fra i tre castelli di questo ameno colle." disse Johane, "Pax vobiscum, tu dici nella messa, ma pare che queste parole entrino da un'orecchia ed escano dall'altra dei più, senza soffermarsi nel cuore."

"Eh, Johane, che ci vuoi fare! Purtroppo è esattamente come tu dici."

"Già. E non vi si può far nulla?"

"Solo pregare..."

"Questo è sicuramente importante. Ma vi è pure il saggio detto: aiutati che il ciel t'aiuta. Oltre che pregare, si può di certo far altro, io credo."

"E che altro?" gli chiese il sacerdote incuriosito.

"Dimmi, prete Leone, se io venissi un giorno qui da te con un randello, e ti chiedessi di benedirlo e di dare a me pure la tua benedizione, la benedizione del Signore Iddio, perché io sto per andare a rompere con esso la testa a mio fratello... tu che faresti?"

Il prete lo guardò stupito: "Ti direi di desistere, cercherei di farti entrare in capo un po' di ragione, anche nel caso tuo fratello meritasse le tue legnate... ti direi di ricorrere ad altri mezzi... mezzi dettati dall'amore cristiano."

"Ma se io insistessi, pronunceresti tu, prete Leone, le parole e il rito della benedizione?"

"No certo, mi rifiuterei."

"E quante volte ti sei rifiutato di benedire gli Ulpiani che partivano per dar legnate, se non per mieter vite, contro i loro fratelli, i Mutii o i Maurelli?"

"È diverso... non si nega mai la benedizione a chi rischia di non tornar vivo..."

"Se il suo caso è giusto, certamente..."

"E chi sono io per decidere se il caso è giusto o no?"

"Se il suo caso è giusto, stavo dicendo, e se morisse, certamente il buon Dio l'accoglierebbe fra i santi anche senza la tua benedizione. Ma se il caso giusto non fosse, non l'accoglierebbe in paradiso neppure se tu gli avessi dato cento o mille benedizioni. Non è forse l'Evangelo di Nostro Signore un Evangelo di pace? E non dovresti perciò tu essere un uomo di pace? Benedici chi vuole la pace, non chi va in guerra. E se gli altri preti degli altri borghi facessero altrettanto... il messaggio risuonerebbe più alto e forte."

"Se così si facesse... saremmo noi preti i primi a prenderci le legnate... e saremmo cacciati dai castelli."

"Non sei tu il seguace... che dico, il rappresentante di Gesù Cristo Nostro Signore qui fra noi?"

"Se pure indegnamente, lo sono."

"E non fu Egli posto sul legno della croce, per aver parlato chiaro e forte in favore dell'amore e della pace?"

"Tu pretendi molto, da un povero prete."

"Non io, ma nostro Signore e i suoi discepoli fedeli, che accettarono tutti la morte pur di non tacere. Fai la tua parte, prete Leone, e io farò la mia. Parla con gli altri preti, formate un sodalizio. Tu non sei il prete degli Ulpiani, prima di tutto, ma un prete della Santa Chiesa. Rifletti su questo."

"Le tue parole sono dure, Johane... ma sono giuste. Il tuo rimprovero è entrato nelle mie orecchie... e sta discendendo nel mio cuore."

"Non è un rimprovero, prete Leone, e se così ti è sembrato, te ne chiedo venia. Ti ringrazio per aver avuto la grazia di ascoltare le parole di un giovane di soli ventuno anni, meno della metà della tua età. E se posso farti un augurio, sii Leone di fatto e non solo di nome. Che Dio t'assista."

"E che il Signore assista te. Rifletterò sulle tue parole, Johane, ne parlerò con i miei confratelli nel sacerdozio, e cercherò di tornare a essere... un leone!"


Quando i quattro amici si ritrovarono, e ciascuno raccontò agli altri quanto aveva fatto e detto, e come nei castelli, ove più ove meno, vi fossero discussioni e una certa agitazione, concertarono i nuovi passi da farsi.

"Dovremo farci vedere, tutti e quattro assieme, per le vie fra i castelli..." propose Marcus.

"Non ancora... è presto... forse più in là." disse pensieroso Florianus.

"Tu hai intenzione di prendere una donna in sposa, Marcus?" chiese Johane.

L'amico lo guardò sorpreso: "Mai nella vita, fratello! Dovessi pur litigare con mio padre."

"E tu, Florianus?"

"Han già iniziato a fare pressioni... Ma neppure io ho intenzione di cedere. Ma che c'entra questo con ciò di cui si stava discutendo?"

Invece di rispondere, Johane chiese: "E tu, Marcus, e tu, Florianus, non ambireste di poter vivere assieme, sotto lo stesso tetto, senza problema alcuno, come lo vorremmo Laurentius e io?"

"Oh, e come lo vorremmo, se una tal cosa fosse possibile!" disse Marcus e Florianus assentì con calore.

"Ebbene, io ho qui la soluzione." disse Johane togliendo dalla sua sacca un fascio di fogli di pergamena e deponendolo sul desco.

Laurentius compitò le parole che apparivano sul primo di essi: "Regola dei Cavalieri della Santissima Trinità".

"Di che si tratta?" chiese Florianus incuriosito e iniziando a sfogliare il plico, leggendo rapidamente qua e là.

"Il giorno in cui tornai da Bononia al nostro colle, per via incontrai un cavaliere d'un ordine cavalleresco e mi accompagnai e conversai con lui per un buon tratto. Mi spiegò in che consistesse un ordine cavalleresco: fanno voto di castità, quindi non possono sposarsi, vivono assieme, sotto lo stesso tetto, e lottano uniti per un comune ideale..."

"E allora?" chiese Marcus prendendo i fogli che l'amato aveva già letto e scorrendoli a sua volta.

"Se noi quattro fondassimo questo Ordine Cavalleresco, ci si potrebbe costruire una casa fuori dalle mura e vivere tutti e quattro sotto lo stesso tesso, voi due assieme, e Laurentius con me... E la ragione del nostro Ordine è quanto già stiamo facendo: portare la pace e la concordia fra i castelli."

"Sì, ma... e il voto di castità... mica dirai sul serio!" protestò Laurentius.

Johane sorrise: "Il voto di castità, per tutti, significa soprattutto non prender moglie e non giacere con una donna... Dovrebbe anche, in verità, significare non giacere neppure con un uomo, però... Io comunque ho scritto nella regola solo la prima parte, perciò la potremo seguire, restando amanti, senza violarla. E soprattutto saremo giustificati nel non poter prendere moglie."

"E costuirci una casa tutta nostra... Sarebbe bello. Ma con che denaro?" chiese Laurentius.

"Ognuno di noi tre può chiedere al proprio padre di dargli la sua parte. Mettendo assieme il denaro che riceveremo, potremo decidere se costruire una casa più bella e comoda e grande o una più piccola e semplice. Due stanze per dormire, una cucina e una cappella, potrebbero bastare, per iniziare."

"E io dovrei smettere il mio mestiere? Lo farei anche..." disse pensieroso Laurentius.

"Puoi continuare a farlo come passatempo..."

"Ma poi, come fare per il denaro necessario per la nostra vita quotidiana?" chiese Florentius.

"Se necessario, andremo di borgo in borgo a chiedere l'elemosina, come si faceva quando tu e io si era clerici in Bononia. Se però i nostri padri ci dessero anche un po' di terra..." spiegò Johane.

"E sarei un cavaliere io pure?" chiese Laurentius poco convinto.

"Di norma solo chi è di nobili natali è cavaliere. Tu dovresti essere, perciò, solo un famiglio. Però si può prevedere anche questo: basta che io aggiunga nella regola che il Magister Magnus dell'Ordine può nominare cavaliere anche un famiglio..."

"Oh, non è che me ne importi. Cavaliere, servo, sguattero o famiglio, pur di vivere con te senza problemi, mi starebbe bene ogni cosa." disse Laurentius.

"Ma un ordine cavalleresco, come si fonda?" chiese Marcus a cui l'idea non dispiaceva affatto.

"Per prima cosa ci si raduna, ci si dà una regola più o meno come quella... che poi assieme perfezioneremo e metteremo a punto. Poi si chiede l'approvazione del vescovo del luogo, e dello stesso Santo Padre di Roma, eventualmente, in un secondo momento. Se la petizione al vescovo fosse appoggiata anche dal clero locale, tanto meglio. Credo che prete Leone, di Castrum Ulpiani, la appoggerebbe."

"E dovremo vestire tutti uguali." disse Florianus, accarezzando l'idea.

"Davvero? Anche questo è bello. E come? Con che colori?" chiese Laurentius.

"Tunica e mantello, e armi per i cavalieri. Quanto ai colori, o mettiamo assieme tutti i colori dei tre castelli, o ne scegliamo altri che nessun castello usi, a simboleggiare che noi non si parteggia per nessuna fazione." disse Johane.

"I colori dei nostri castelli... azzurro e nero, porpora, bianco e verde, oro e bianco ancora... sembreremo dei buffoni..." fece notare Florianus sorridendo.

"Il bianco è comune a due castelli e l'azzurro o il nero dell'altro. Tunica bianca e mantello o nero o azzurro, potrebbe andare bene." disse Marcus.

"Bianco e azzurro, è bello. E l'insegna?" chiese Florianus.

"Una X rossa, che può sembrare una croce di Sancto Andreas, ma che per noi simboleggia l'amore reciproco che ci unisce. Ha quattro braccia, come noi siamo quattro." disse Laurentius, "Una X rossa qui sul nostro cuore."

"Perché hai scelto il nome di Cavalieri della Santa Trinità?" chiese Marcus.

"Così... perché tre sono i castelli..." rispose Johane.

"E Castrum Novum?" chiese Florianus.

"Ebbene, se X è il nostro segno, Cavalieri di Sancto Andreas sarebbe un nome adatto." propose Marcus.

Discussero i vari articoli della bozza di Regola stilata da Johane, ne approvarono alcuni, altri modificarono o ne aggiunsero. Eran tutti assai contenti e soddisfatti.

Florianus disse a un certo punto: "Johane, tu sarai il nostro Magister Magnus."

"Io? E perché io? Marcus è il più grande fra noi, è il più adatto..."

Questi replicò: "Concordo con Florianus. Tu hai dato origine all'idea di unire i tre castelli e i nostri quattro borghi, tu hai pensato a fondare il nostro Ordine. Tu sarai il nostro Magister Magnus, perciò. Anche Laurentius è d'accordo, vero? Perciò siamo tre a uno... devi accettare..."

"Bene. Qua la mano tutti: da questo momento, fratelli, L'Ordo Equitum Sancti Andreae inizia a vivere."

In quel momento le campane della chiesa di Castrum Mutii si misero a suonare a festa.

"Quale migliore auspicio!" esclamò Marcus lieto.

"Andiamo ad affrontare le nostre famiglie e a comunicar loro che intendiamo prendere i voti." disse Florianus.

"Non diciamo ancora, però, che l'ordine esiste solo sulla carta, né che ne faranno parte anche gli altri. Ognuno di noi dirà solo che ne vuole entrare a far parte." consiglò Florianus.

"Anch'io lo dirò a mio padre e vedrò se potrò farmi dare un po' di denaro..." disse Laurentius e l'allegra brigata si disciolse.


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