Johane andò a parlare al padre, che era nella cosiddetta "sala degli armigeri", dove in realtà teneva l'archivio di tutti i documenti sulla storia e sui possedimenti della famiglia degli Ulpiani.
"Padre, ti devo parlare."
"Che c'è? Non ho molto tempo da perdere. Di' svelto!"
"Calcola la mia parte e dammela, lascio il nostro castello."
Il padre lo guardò, preso di sorpresa: "Andartene? E dove? E a far che?"
"Ho deciso di entrare a far parte dell'Ordine de' Cavalieri di Sancto Andreas."
"Ti vuoi far frate, tu?"
"Una specie. È un Ordine di Cavalieri."
"E ti pigliano pure se sei cionco?"
"Han detto che non vi è alcun problema."
"E perciò vuoi la tua parte."
"Ogni nuovo Cavaliere deve portare una dote, quando entra nell'Ordine, piccola o grande che sia, secondo le possibilità della famiglia."
"Ma sì, tutto sommato fare il frate può essere una soluzione, per te, se pigliano pure i cionchi. D'altronde t'avevo pur detto, io, di entrare in un'abbazia. E quanto alla tua parte, piccola è meglio."
"Dopo tutto sono il tuo primogenito. Hai deciso che ti succederà Filippus invece che io, e sicuramente hai fatto la giusta scelta. Ma visto che lui così penderà ciò che per nascita sarebbe spettato a me, mi dovresti dare almeno la parte che spetterebbe a un secondogenito. Mi pare giusto."
"Ti pare giusto! Ti pare giusto! Ho pure cinque figlie da maritare, e per ognuna ci vorrà una dote! Parli in fretta, tu."
"Questo non cambia nulla riguardo al diritto che ho alla mia parte. Rinuncio volentieri a quella del primogenito a favore di Filippus, no? O vuoi che nei castelli e non solo di questo colle, oltre a esser conosciuti come i puzzolenti Ulpiani, si sia conosciuti come gli Ulpiani puzzolenti e con le pezze sul culo?"
"Non pronunciare quell'epiteto qui dentro! Non in mia presenza!" disse l'uomo in tono irritato.
"Posso non pronunciarla io... ma la pronunzieranno gli altri."
"Comunque... comunque non ho molta disponibilità di denaro in questo momento, perciò..."
"Mi darai la mia parte, quel che puoi in denaro e il restante in terre. Per l'Ordine van bene sia l'uno che le altre."
"Il signorino ha deciso, il signorino fa tutto lui, di testa sua, e io devo sborsare!"
"Hai un'altra soluzione, padre? Se vuoi posso girare di casa in casa a far la questua..." disse il giovane guardando il padre dritto in viso.
"Ci mancherebbe anche questa! Vuoi svergognarmi davanti a tutti? Davanti ai miei stesi uomini?"
"Dipende da te, padre... e da come farai calcolare la mia parte. Ammettilo che, dopo tutto, la mia scelta è la soluzione migliore anche per te. Nessuno avrà da ridire se Bondone degli Ulpiani ha preferito il secondo figlio al primo, se io sarò entrato nell'Ordine..."
L'uomo era scuro in volto e pensieroso: "E va bene, chiederò all'intendente di calcolare la tua parte e di vedere quanto posso permettermi di darti in denaro e quanto in terre. Ora lasciami in pace e togliti dai piedi."
"Grazie, padre. Spero di poter contare sul tuo senso di giustizia... e sulla tua generosità."
Johane salì in camera sua. Era contento, era stato più facile di quanto avesse pensato. Certamente il padre gli avrebbe assegnato i terreni peggiori, o quelli ai confini che spesso erano disputati dagli altri signori e dove più di frequente vi erano attriti e litigi, ma a lui andava bene.
Più o meno nello stesso momento, anche Laurentius stava comunicando la sua decisione al padre.
"Farti frate, dici... e dovrei pure darti una dote?"
"Così si usa. Ma siccome la nostra famiglia non è né nobile né di ricchi mercanti, l'Ordine non s'aspetta granché."
"Tu ti vuoi fare frate, e io dovrei pure pagare per questo!"
"Se ero una figlia anziché un maschio e mi dovevo maritare, dovevi pur darmi una dote, no? Consideralo così..."
"Ma essendo un maschio come sei, se tu ti accasavi era tua moglie a portare una dote in casa e non il contrario. Che ci guadagno io, con te che ti vuoi fare frate?"
"Non un frate qualsiasi. Entro in un ordine di cavalieri e presto sarò fatto cavaliere io pure, dal Gran Maestro. Così potrai dire di essere il padre di un cavaliere, e il tuo prestigio nel borgo ne crescerà assai. E poi, io chiudo la mia bottega là sotto a Mons Maurellus, e ti mando tutti i miei clienti. Questo ce lo guadagni."
"Ma tu lo sai che i denari in casa sono pochi..."
"Denari o beni... Basta che non mi presenti a mani vuote, no? Potresti farmi la dote da cavaliere dandomi del legname, o comprandomi dai tessitori rotoli di tela bianca e di tela azzurra... e farti fare da loro un buon prezzo in cambio di un tuo qualche lavoro che gli fai..."
"Sì... questo si potrebbe anche fare. Padre d'un cavaliere, dici... Marianus di Antonius, il padre del cavaliere di... di che santo hai detto che è questo tuo Ordine?"
"Sancto Andreas."
"E quando te ne andresti da casa?"
"Sono già fuori di casa... comunque entrerò nell'Ordine appena tu m'avrai messo insieme la dote."
"Che vuoi che ti dica, Laurentius... Farò del mio meglio. Però che idea, farti frate. Ma già, dovevo immaginarmelo."
"Immaginarlo? E perché?"
"A differenza dei tuoi fratelli, non t'ho mai visto correre dietro alle trecce delle ragazze."
Laurentius sorrise: "Forse perché già sentivo la chiamata." disse sornione.
"L'hai già detto a tua madre? Quella, tutta di chiesa com'è, sarà pure contenta."
"Lo dirai tu a tutti stasera a cena. Mi fermo anche io, per dare l'addio a tutti."
"Ma questi frati cavalieri, che fanno, oltre a pregare?"
"Lavorano per la pace e la concordia."
"Oh, ecco i tuoi discorsi che si dice vai facendo per il borgo. Non si fa che dire: Lorentius ha detto, Laurentius dice che... Se davvero codesto tuo Ordine portasse la pace in queste terre, sarebbe una buona cosa. Ma dovreste riuscire a cambiare la testa a quei signori... tagliargliela e mettergliene una nuova."
Laurentius rise: "Non è tagliando teste che si ottiene la pace. Allora, farai in modo di mettermi insieme una dote?"
"Sì, certo. Dirò a tutti che è per aver la pace che mio figlio si fa frate-cavaliere... e chissà che anche altri nel nostro borgo contribuiscono per farti la dote. Andrebbe anche bene se nella dote ci fosse, che so io, qualche pollo o coniglio?"
"Se sono vivi, meglio pure. Potrei mettere su un piccolo allevamento per i fratelli dell'Ordine..."
"Sì, Laurentius, sì, vedrai che riuscirò a mettere assieme una dote per non farti sfigurare. Marianus il padre di un cavaliere... Mastro Marianus del Cavaliere... suona bene."
Al castello dei Maurelli, le cose andarono un po' diversamente, quando Florianus comunicò la sua decisione.
"Frate il mio secondogenito! Mai! Fosse il quinto... speso i più piccoli delle nobili famiglie entrano nella Chiesa. Ma il mio secondo! Tu devi sposarti, e con la figlia di una delle nobili famiglie dei castelli qua attorno. Solo così si fanno alleanze che ci rendono forti, più forti dei nostri odiati vicini che infestano questo colle. Scordatelo! Tu ti sposerai!"
"Non puoi obbligarmi. Quand'anche tu mi facessi trascinare a forza davanti all'altare, e se pure potessi costringermi a pronunciare un sì, il matrimonio non sarebbe valido secondo la legge di Santa Romana Chiesa."
"T'ho fatto studiare a Bononia, ho speso fior di quattrini, per averne in cambio un frate?"
"Dimentichi, padre, che mi sono mantenuto in Bononia mendicando, come quasi tutti i clerici, e non col tuo denaro. Quali quattrini hai speso per me?"
"Ora, comunque, pretendi la tua parte."
"A meno che tu non voglia diseredarmi, sì. Ma per diseredarmi e cacciarmi, devi avere un buon motivo, quando farò ricorso al Papa in Roma!"
"Ricorso al Papa in Roma? Avresti il coraggio di trascinare tuo padre davanti al tribunale ecclesiastico? Bel figlio, saresti. Non sapevo di essermi allevato una serpe in seno."
"Il Signore Iddio t'ha benedetto con cinque figli tutti maschi! Se devi cederne uno alla Santa Chiesa, che sia il secondo o il quinto, che differenza fa? Dopo tutto te ne restano quattro, per le tue preziose alleanze."
"Vuoi insegnare tu a me come si vive, Florianus?" disse urtato Furius.
"Giammai, padre, giammai. Stavo solo... riflettendo ad alta voce. Pensavo solo che per te, cedere alla Santa Chiesa il quinto figlio o il secondo, non fa grande differenza."
"Non ho mai detto che intendo cedere il mio quinto figlio. Dicevo solo che solitamente è il più giovane a prendere gli ordini sacri..."
"Non pensi che potresti avere un alleato nella Chiesa, cedendo a lei un tuo figlio? Dopo tutto, nonostante la nostra indipendenza, il Papa è il nostro sovrano."
"Ma questo ordine dei Cavalieri di Sancto Andreas, è un ordine potente? Più o meno dei Cavalieri del Tempio?"
"Meno, padre, meno. Ma è pur sempre un ordine di Cavalieri cristiani..."
"Sono un buon cristiano, io, e fedele figlio della Chiesa... Ma se almeno tu diventassi vescovo..." mormorò Furius.
Florianus sentì che stava per vincere quella battaglia con il padre. "Beh... pensaci, padre, e dormici sopra. Si dice che la notte porti consiglio. Domani mi darai la tua risposta."
Il padre annuì, ancora d'umor nero, ma meno di prima. Florianus uscì e andò alla chiesa parrocchiale, da prete Augustinus.
"Oh, Florianus, a che devo la tua gradita visita?"
"Sono venuto a chiedere la tua benedizione, prete Augustinus... e che tu preghi per mio padre."
"Il nobile Furius è ammalato?" chiese il prete mostrandosi preoccupato.
"Grazie a Dio, no. Ma ha preso assai male la notizia che io gli ho appena dato."
"Quale notizia? Ti sei cacciato in qualche guaio?"
"Al contrario, prete Augustinus. Gli ho comunicato che intendo prendere i voti nell'Ordine dei Cavalieri di Sancto Andreas... e perciò gli ho chiesto di darmi la mia parte."
"Vuoi prendere i voti? Ma questa è un'eccellente notizia. Sì, certo, pregherò per tuo padre, che il Signore gli illumini la mente e il cuore, e invocherò la benedizione di Dio su di te. E domenica, all'omelia, ti porterò a esempio ai giovani del luogo. Ma codesto tuo Ordine... non l'ho sentito mai nominare... qual è la sua missione?"
"Portar la pace fra le genti e i castelli."
"Oh, quanto ne abbiamo bisogno! Santa è la vostra missione. Ne ho parlato or non son molti giorni con prete Leone di Mons Ulpianus, e con prete Serafinus di Mons Mutius, e poi anche con prete Romeo di Castrum Novum. Si deve predicare con maggior forza la pace, il perdono, la concordia. Per troppo tempo abbiamo taciuto, è ora di levare le nostre voci."
Florianus annuì. S'inginocchiò davanti al sacerdote e ricevette la benedizione. Non che lui ci credesse molto, ma male non faceva ed era opportuno averla chiesta. D'altra parte, come futuro Cavaliere della Chiesa di Dio, non poteva farsi vedere miscredente.
"Ditelo a tutti, nelle vostre omelie, che Florianus vuol prendere i voti... e che suo padre gli darà una buona e degna dote..." si raccomandò il giovane prima di lasciare prete Augustinus.
Ultimo ad affrontare il proprio padre, fu Marcus Mutius. La reazione del Prior di Castrum Mutii, fu il sarcasmo.
"Tu prendere i voti? Tu diventare uomo di Chiesa? Ma se sei nato per combattere e per goderti la vita! Non ti sei mai fatto mancare nulla, belle vesti, un comodo letto, buon cibo e il miglior vino, allegra compagnia e ore passate in sala d'armi, non certo in chiesa. Cos'è mai questa storia di prendere i voti? E poi, così, dall'oggi al domani!"
"Un fiore si forma lentamente, ma poi sboccia nel giro d'una notte o di un mattino." disse Marcus.
"Ma via, Marcus! Cosa c'è veramente sotto questa tua ridicola decisione? Spirito d'avventura? Vuoi andare a morire in Terra Santa combattendo contro i Mori? Non si fa altro che parlare di queste inutili crociate... E poi, per Giove! Tu sei il più valente dei miei cavalieri, e vorresti abbandonare così tuo padre, la tua famiglia, la tua terra?"
"Hai altri valenti cavalieri, uno in più o uno in meno non farà grande differenza."
"No, tu mi nascondi qualcosa. Voglio sapere il vero motivo per questa tua assurda idea! Per questo tuo subitaneo cambiamento. Tu e le cose di chiesa non siete mai andati d'accordo."
"È stato qualcosa di imprevisto e di improvviso... sono caduto sulla via di Damasco..."
"Quando sei caduto, Marcus? E questo Damasco, dov'è, dalle parti di Auximum o da quelle di Fanum?" gli chiese Manlius, il penultimo dei suoi fratelli.
Il secondo, Silvanus, disse: "Ma via, Manlius! La conversione dell'apostolo Paulus sulla via di Damascus, nell'oriente. Non ascolti mai le letture, tu, durante la messa?"
"Preferisco guardare le fanciulle che mi guardano di soppiatto, in chiesa, e che quando le loro famiglie non le stan guardando, mi fanno gli occhi dolci!" rispose Manlius.
I fratelli risero, nonostante le occhiate severe della madre.
"Convertito sulla via di Damascus, dici, Marcus." disse il padre in tono beffardo, "E a che si deve questa miracolosa conversione da gaudente a frate?"
"All'incontro con alcuni cavalieri di Sancto Andreas, e all'ammirazione per la loro Santa Regola..."
"Giusto la regola!" disse Gastaldus Mutius con accentuato sarcasmo. "Tu che ogni volta che trovi una regola, pare ti diverti a infrangerla! Che vi è di tanto allettante, in codesta regola?"
"Se lo desideri, padre, cerco di procurartene una copia, così la puoi leggere di persona. Il fatto è, vedi, che mi sono reso conto che la vita che ho menato fino a ora non è la migliore, che la via che seguivo non è quella giusta."
"Io dico, padre," interloquì Silvanus, "che questa notte dovresti mandargli in camera una serva piacente per vedere fino a che punto è pronto a pronunciare il voto di castità, quando quella gli mostrerà il giusto fodero per la sua spada!"
"Silvanus!" protestò la madre, "Non voglio che si facciano codesti discorsi alla mia presenza! Diglielo anche tu, Gastaldus!"
"Il prode Marcus che si fa frate! Diventerai lo zimbello di tutto il castello e di tutto il comune!" lo schernì Donato, il maggiore, facendo una smorfia di disgusto.
"Rimane pur sempre un cavaliere..." dise la madre, anche se in tono poco convinto.
"E perciò, immagino, ora tu vuoi la tua parte." disse Manlius.
"È naturale. Ogni cavaliere, quand'è ammesso nell'Ordine, deve portare la sua dote." rispose Marcus.
Silvanus rise: "Io sapevo che è la donna che porta la dote a suo marito! Chi è tuo marito, Marcus?"
"Sposo la causa dei Cavalieri di Sancto Andreas." rispose Marcus tranquillo.
"E te la porti a letto e te la fotti, codesta causa?" rise ancora Silvanus.
"Silvanus, ora basta con queste stupide e sconce parole!" protestò la madre, veramente infuriata. "Se tuo padre non è in grado di farti chiudere quella tua boccaccia, te la chiuderò io con due ceffoni!"
"Sai che paura!" le disse il giovane ironico.
"Silvanus, ora taci o i conti li farai con me." gli disse severo e infastidito Gastaldus. Poi, rivolto a Marcus, disse: "Sei sempre stato un carattere testardo e so che è tempo perso cercare di farti ragionare. Perciò, fai quello che vuoi. Ti farò avere la tua parte, così fra te e me, fra te e la mia famiglia, non vi sarà più nulla da spartire. E se un domani ti pentirai di questa tua dissennata decisione, non venire a bussare a questa porta!"
"Così hai detto e così sarà." disse Marcus soddisfatto per averla spuntata e per nulla infastidito dal sarcasmo del padre e dei fratelli.
"Ma dirai anche messa?" gli chiese la madre.
"No, madre, non mi faccio prete, non prendo gli ordini sacri, ma solo i voti." spiegò Marcus.
"Peccato... Se prendevi gli ordini sacri, magari un giorno potevi anche diventare vescovo. Avrebbe fatto comodo avere un vescovo in famiglia, non è vero, Gastaldus?" disse la donna.
"Mi basta avere un figlio che s'è bevuto il cervello!" disse Gastaldus. "Che diventi prete, o frate, o vescovo o papa, non me ne importa un fico!"
"Se però diventasse papa, ci pensi, padre, diventerebbe il tuo sovrano! Avere per re il proprio figlio! Inginocchiarti davanti a lui e baciargli l'anello..." disse ironico Silvanus.
Donatus gli dette un calcio sotto il tavolo.
"Domani farò calcolare la tua parte. Chiamerò il notarius e firmeremo l'atto alla presenza di due testimoni: io sceglierò il mio e tu il tuo. Poi potrai portar via di qui le tue cose e seguire la pazzia che hai scelto. Ma ricorda, non avrai una paglia in più di quanto ti spetta, né oggi né mai."
"Né io ti chiederò mai più di quanto è giusto che tu mi dia. Io ho già scelto il mio testimone: sarà prete Serafinus."
"Hai già parlato con lui prima che con me di questa tua pazza idea?"
"Non ancora, padre, non sarebbe stato né giusto né corretto. Ma sono certo che mi farà da testimone, così come m'ha battezzato a suo tempo. E almeno lui, approverà questa mia decisione."
I quattro amici si ritrovarono dopo qualche giorno. Ognuno raccontò agli altri le proprie notizie e quanto aveva ottenuto dalla propia famiglia.
Laurentius aveva avuto da suo pade, e dalla gente di Castrum Novum, un carro con due buoi, rotoli di tela, alcuni piccoli animali vivi, derrate alimentari, materiali vari e qualche moneta. Gli altri tre, avevano avuto vari appezzamenti di terra, sparsi qua è là per il contado, solitamente, come avevano previsto, i meno produttivi e per lo più lungo i confini fra i territori dei tre castelli. Florianus e Marcus, avevano portato ciascuno il proprio cavallo. Tutti e tre avevano anche portato tutti i loro libri, specialmente Florianus che ne aveva molti, e tutti assieme avevano abbastanza denaro.
Dato che due dei campi, uno di Marcus e uno di Johane, erano sul confine fra le due terre sul versante verso il mare, e avevano in comune un tratto lungo alcune pertiche, e che questo era ben soleggiato, decisero di far costruire lì la loro casa. In attesa che fosse terminata, decisero che Johane avrebbe vissuto nella botteguccia con Laurentius, e Florianus con Marcus nel suo capanno, che con la terra circostante ora apparteneva a lui e perciò all'Ordine.
Decisero poi di andare a visitare, ciascuno dei tre, i contadini che avevano le case sulle terre loro assegnate, per avvertirli del cambiamento di proprietà. Confermarono loro le precedenti decime e corvé ma, per invogliarli a far fruttare di più i terreni che dovevano lavorare, e fargli anche curare gli appezzamenti di terreno dove non vi erano case coloniche e perciò neanche contadini, introdussero un cambiamento.
Era usanza, in quelle terre, che ogni contadino avesse un pezzetto di terra da coltivare per le necessità della sua famiglia, e che il frutto dei restanti campi fosse consegnato tutto al loro signore.
I quattro amici, su consiglio di Laurentius, decisero che tutto il frutto delle terre sarebbe stato consegnato all'Ordine, che ne avrebbe ridistribuita una parte ai contadini, in proporzione al raccolto e alle esigenze di ogni famiglia. In questo modo, tutta la terra sarebbe stata coltivata bene. Inoltre in questo modo, in ogni terreno si sarebbe potuto coltivare quanto era idoneo per quell'appezzamento, il tipo di suolo, la sua esposizione e la quantità d'acqua disponibile. I contadini videro di buon occhio questo cambiamento.
In quanto alla loro casa, decisero di farla costruire con tre ali, collegate da un portico. La parte centrale sarebbe stata la loro dimora, con la dispensa, la cucina e il refettorio a pian terreno, la libreria e due camere al piano superiore. Un'ala avrebbe contenuto le stalle, i magazzini e il laboratorio per Laurentius. Nell'altra ala, infine, vi sarebbe stata la cappella con alle spalle la foresteria, composta di quattro stanze.
Comprarono o ordinarono tutto il materiale necessario per costruire la "casa" e ingaggiarono un bravo capomastro che si incaricò di trovare la necessaria manodopera. Con lui tracciarono sul terreno la pianta delle tre costruzioni e i lavori ebbero inizio.
Poi fecero chiamare prete Romeo di Castrum Novum, che era il più giovane e il più dotto dei quattro preti, e gli chiesero, per il momento, di accettare di fungere da loro cappellano. In seguito, terminata la casa e ottenuta la firma di tutti e quattro i preti, sarebbero andati dal vescovo-conte di Numana, nella cui diocesi era tutto il colle con i suoi borghi, per chiedere sia l'approvazione della regola che la nomina di un cappellano.
Laurentius con Florianus andarono a Castrum Novum per trovare donne esperte per farsi confezionare le loro nuove divise. Furono mesi di febbrile attività.
Questo intenso lavorio non li distoglieva, ogni volta che uno di loro incontrava per via o nei campi uno degli uomini dei loro borghi di origine, di continuare a parlare in favore della pace. Parlavano con gli uomini e anche con le donne, che parevano le più sensibili ai loro discorsi. Specialmente Florianus, che non si vergognava di usare il proprio fascino con il gentil sesso per farsi ascoltare.
Tutto ciò non impediva alle due coppie di avere sufficienti momenti di calda e dolce intimità, di dare espressione al loro fresco e appassionato amore, di unirsi in gioioso piacere. Anzi, ora, potendo finalmente vivere assieme, avevano agio di fare l'amore senza problemi.
Una sera, dopo aver fatto lungamente l'amore donandosi l'uno all'altro, Laurentius era ancora unito al suo Johane che gli sedeva in grembo. Si carezzavano e si baciavano teneramente.
Laurentius chiese: "Sei felice, mio Johane?"
"Da quando sono tuo, la felicità non mi ha mai abbandonato."
"Bene, questa è la cosa più importante di tutte. La mia felicità è saperti felice grazie a me. La seconda, è sapere che anche i nostri fratelli sono felici assieme."
"E la terza?"
"La terza cosa in ordine di importanza, è per me riuscire a svolgere bene i compiti che mi avete assegnato. Sto seguendo i lavori per la nostra casa, che sta venendo su bella. Faccio abbastanza spesso il giro dei nostri contadini e sto imparando da loro un sacco di cose nuove e interessanti, e posso anche portare all'uno le esperienze dell'altro, sì che i contadini sono lieti per le mie frequenti visite che all'inizio avevano preso solo come un oppressivo controllo. La vita è bella, insomma."
"Ma io, faccio abbastanza, mio dolce amato, per la tua felicità?"
"No che non fai abbastanza."
"Dimmi, in che cosa manco?"
"Non ho detto che manca qualcosa, mio amato. Volevo dire che quanto pensavo di poter avere da te è molto meno di quanto tu mi dai."
"Per un attimo ho temuto di non essere adeguato a te..." disse Johane con un lieve sospiro e un grato sorriso.
"Continui a sottovalutarti, amore. Ma mi piaci come sei. Quand'ero ragazzino ero quasi infatuato di Florianus."
"E chi non lo è, amato mio?" commentò Johane con un sorriso.
"Ma ora so che, se anche lui mi avesse voluto, avrei fatto uno sbaglio a essere suo, perché avrei perso te, che sei perfetto per me."
"La perfezione non è di questa terra..." gli fece notare Johane.
"Non ho detto: perfetto, e basta. Ho detto: perfetto per me. E questo lo puoi credere, amato mio."
"Ho sempre il timore di deluderti, un giorno..." sussurrò Johane.
"Smetti di avere di queste paure. Amami oggi... e che questo oggi sia vero ogni giorno, e non mi deluderai mai."
"Dire che t'amo è poco. Non vi sono parole per esprimerti ciò che provo per te."
"Non hai bisogno di parole: tutto di te me lo dice."