Iniziarono a giungere le visite canoniche. La prima fu svolta da quattro prelati della curia. Era una visita esplorativa e tutto filò liscio. La seconda giunse in piena notte: era composta da due giureconsulti della curia e da due canonici della cattedrale di Numana. Questi analizzarono la vita, secolare e religiosa, dei quattro. E anche questa volta tutto parve andar bene.
Giunsero poi l'ausiliare del vescovo, accompagnato da un giovane prete e due anziani monaci. Misero il naso dappertutto, fecero mille domande, inquisirono a fondo anche sulle più minute cose. E se ne andarono dopo alcuni giorni, senza aver sollevato alcuna obiezione.
Altre visite seguirono. Con il passar dei mesi e l'avvicendarsi delle stagioni, i quattro amici terminarono di sistemare degnamente la casa e anche di riorganizzare le proprie terre che, come previsto, rendevano sempre più. Mantenendo uno stile semplice e austero nella loro dimora, apprestarono una delle stanze della foresteria in modo che fosse degna dell'attesa e sperata visita del vescovo o di importanti signori, riunendo nella stessa stanza il parlatorio e la sacrisita.
Le opere di Laurentius iniziarono ad abbellire le chiese dei dintorni, suscitando apprezzamento e meraviglia. Florianus passava parte del suo tempo nel loro scriptorium-libreria, che iniziava ad avere una buona collezione di opere, sia sacre che profane, studiando e scrivendo. Marcus si sobbarcava i lavori più pesanti e girava per le loro terre, amministrandole saggiamente, a volte spronando i loro contadini, ma anche soccorrendoli nei loro bisogni, sì che i contadini dei cavalieri iniziarono a essere invidiati in tutto il contado.
Johane amministrava la loro casa e i loro beni accortamente, provvedendo a ogni loro necessità con attenzione e cura. Ognuno era pronto ad aiutar l'altro quando ve ne fosse bisogno. Johane con Florentius aveva scritto canzoni adatte alla loro nuova vita e alla loro missione, che a sera i quattro amici, quando riposavano dalle fatiche del giorno sotto il loggiato, cantavano tutti assieme, con la bella voce di Laurentius come solista.
Giunse il mese di settembre dell'anno del Signore 1168. Johane, che stava curando il piccolo giardino davanti alla loro casa, fra le tre ali del portico, vide giungere di gran carriera prete Romeo che, appena lo scorse, inizò ad agitare nell'aria un rotolo di pergamena.
"È fatta! È fatta!" gridava il prete correndo verso di lui con volto lieto, rubizzo per l'eccitazione per la buona novella che recava e per la corsa. "Il nostro vescovo ha apposto il suo sigillo! E verrà di persona a consacrare la vostra cappella e consacrare ognuno di voi!"
"Su, calmati, ora, mio buon prete Romeo. Vuoi un boccale di vino?" chiese Johane contenendo a stento la sua gioia.
"Sì, grazie. Ho corso a perdifiato. Apri la lettera del vescovo, leggila!"
"Prima raduno gli altri fratelli." disse Johane e suonò la campanella per richiamarli tutti.
Riuniti finalmente nel refettorio, Johane svolse il rotolo e lesse: "Prosperus, vescovo-conte della diocesi di Numana per grazia di Dio, ai quattro aspiranti cavalieri, pace e salute. Ho letto la supplica sottoscritta dai degni preti che ho posto a cura delle anime..." iniziò a leggere a voce alta e chiara Johane, finché giunse al punto più importante: "... e pertanto, approvo la vostra Santa Regola. Verrò di persona per compiere i sacri riti di ammissione del vostro Ordine nella Santa Chiesa di Dio, nel dì primo di novembre del corrente anno, festa di tutti i Santi..." continuò a leggere, fino ai saluti finali e le benedizioni.
"È già tutto pronto, immagino, per quel bel giorno." disse prete Romeo.
"Sì, lo è. Solo una cosa manca: ciascuno di noi inviterà per quel giorno la gente delle proprie famiglie, castelli e borghi. Tutti quelli che vorrano esser qui per festeggiare con noi il lieto giorno, dovranno così essere uniti in un solo gruppo. Nella nostra cappella prepareremo quattro banchi per i nostri maggiori, con i colori dei tre castelli e del borgo. Così, se qualcuno di loro non venisse, la loro assenza brillerà agli occhi di tutti." disse Johane.
"Ottima idea. E noi preti dai pulpiti proclamenremo quel giorno come giorno di pace e di concordia, di fratellanza e di armonia." disse prete Romeo.
"E ognuno di noi tre dirà al proprio padre e ai propri fratelli che non venire quel giorno a onorare il vescovo e festeggiare con noi, sarebbe prova di pusillanimità, di codardia." disse Marcus con fierezza.
"Io ho un'altra idea: il nostro vescovo non si è mai fermato in nessuno dei tre castelli, per non suscitare ulteriori gelosie e animosità. Se voi gli offriste, ogni qual volta viene, la vostra ospitalità, son certo che la accetterebbe di buon cuore. E tutti dovranno venir qui per rendergli l'onore dovuto." disse prete Romeo.
Johane disse: "Nella lettera del vescovo non si fa menzione alla nomina del nostro cappellano. Noi avremmo piacere che fossi tu, prete Romeo, se i tuoi impegni te lo permettono e se il vescovo lo concedesse."
"Forse conserva la nomina in pectore. O forse prima desidera conferire con voi, ascoltare i vostri desideri. Comunque anche prete Leone sarebbe un buon cappellano per voi, vi stima molto. E anche gli altri due preti..." disse prete Romeo.
"Concordo con te, anche se preferiremmo te sopra a tutti... anche per i motivi che ben sai. Ciò che temiamo di più è che il vescovo ci imponga un suo inviato, un estraneo per noi, che in qualche modo, più che vegliare su di noi, ci sorvegli..." disse Johane.
"Il nostro vescovo è assai sensibile al tasto del denaro. Non che sia avido né gretto... diciamo che per una saggia amministrazione, valuta attentamente le spese e i costi. Se gli si dicesse che nominando me come vostro cappellano, io non chiederei nessun aumento della mia prebenda... chi sa..." suggerì prete Romeo. "Il vescovo vedrà che non siete ricchi e comunque lo sa già dalle relazioni ricevute. Credo che capirà e accetterà di buon grado, o almeno lo spero."
"Hai qualche consiglio da darci per compiacere il vescovo quando verrà qui? Qualche cosa che ama particolarmente, o che non ama?" chiese Johane.
"Non saprei... beh, sì, ha una piccola mania: dopo aver desinato, ama strofinarsi sui denti foglie di salvia. Fategliene portare alcune in una coppetta colma d'acqua, alla fine d'ogni pasto. Ah, e non ama né l'odore né il fumo delle lucerne ad olio. Fategli trovare candele di cera d'api, nella sua stanza, anche se sono costose."
"Me ne ricorderò. Anche qui nel refettorio, la sera, ceneremo solo al lume delle candele." disse Laurentius.
"Sì, salvia e candele di cera, due cose semplici, ce ne ricorderemo. Altro?" chiese Johane.
"Se mi venisse in mente, ve ne parlerò." disse prete Romeo.
"Perché saresti contento d'essere tu il nostro cappellano?" gli chiese Marcus.
"Mi sono affezionato a voi... e per proteggere la vostra bella intimità."
"Ma... anche tu, per caso, come noi..." chiese Florianus.
"No," rispose sorridendo e scuotendo il capo, prete Romeo, "Per grazia di Dio, da quel lato, sono tranquillo e non ho problemi a osservare la totale astinenza. Non è merito mio, semplicemente sono fatto così: non mi sento turbato né dalla vicinanza di donna né di uomo."
Venne finalmente il giorno della consacrazione. La sera prima, all'ora dei Vespri, giunse il vescovo-conte con il suo seguito.
Era, Prosperus, un uomo basso e un poco corpulento, la sua tunica e il suo mantello erano apparentemente semplici ma fatti di ottimo tessuto e cuciti in modo perfetto. Quando scese da cavallo, uno dei chierici del seguito si mise a quattro zampe per fargli da gradino, mentre un altro gli porgeva il braccio perché vi si potesse sostenere. I quattro amici si inginocchiarono davanti a lui.
"Benvenuto nella nostra dimora, vescovo Prosperus."
"Alzatevi, alzatevi, figlioli." disse il prelato.
Johane fu sorpreso per la sua voce baritonale.
"Chi di voi è il capo di questa nascente comunità?" chiese poi l'uomo.
"Sono io, padre, Johane Ulpianus."
"Me ne compiaccio, Johane. Sei il primo che non mi dice di esserlo indegnamente. Questa forma di falsa umiltà mi disturba. Se davvero uno pensasse di essere indegno dell'incarico che ricopre, lo dovrebbe lasciare, io dico. Vuoi ora presentarmi i tuoi confratelli?"
"Certo. Questi è Laurentium da Castrum Novum, il nostro maestro di casa e artista. Questi è Florianus Maurellus, il nostro sudioso intendente. E questi infine è Marcus Mutius, il pilastro della nostra comunità."
"Ho notato, Johane, che me li hai presentati in ordine di età e iniziando dall'unico che non proviene da una nobile famiglia. Anche questo è assai raro. Tu dunque sei Laurentius. Ho molto apprezzato il bel cofanetto che hai scolpito e che mi avete inviato in dono. Come ho molto apprezzato la vostra Regola. Chi l'ha scritta?"
"I monaci di Sanctus Firmanus." rispose Johane.
"Sì, d'accordo, ma mi riferivo al contenuto. Sei stato tu Florentius, il letterato?"
"Tutti e quattro assieme, l'abbiamo redatto." rispose Florentius.
"È scritto in un latino assai elegante. Non credo che tutti e quattro siate maestri di stile..."
"Johane e io siamo fluenti in latino, Marcus lo padroneggia più che a sufficienza. Solo Laurentius ne è digiuno, poiché a causa delle sue origini non ha avuto modo di studiarlo."
"È dunque Laurentius analfabeta?"
"No, vescovo Prosperus, legge e scrive senza problemi, ma solo il nostro idioma volgare." rispose Florianus.
"Molto bene. Ma ora mostrateci le nostre stanze, siamo un po' stanchi per il viaggio." disse il vescovo.
Il vescovo aveva quattro uomini al suo seguito, un prete, un armigero e i due chierici. Johane prima mostrò al vescovo la sua stanza, poi le altre due al suo seguito, dicendo loro di dividersele come meglio credevano. Notò che l'armigero prese per un braccio uno dei due chierici, lo sospinse in una delle due stanze e lo seguì dentro. Johane si chiese se per caso, quel gesto di possesso, significasse che... ma scacciò il pensiero: non lo riguardavano questi particolari, si disse.
Bussò alla porta del vescovo: "Vescovo Prosperus, a che ora desideri unirti a noi per la cena?"
"Quando siete usi mangiar voi, per me va bene. Fammi avvertire poco prima, affinché mi prepari, e verremo." disse l'uomo che si era tolto il mantello da viaggio e gli stivali. Poi disse: "Il letto è soffice, per mia fortuna. Le mie stanche ossa avranno il desiderato sollievo, questa notte. Dopo la cena concorderemo assieme al mio cerimoniere i particolari dei riti per domani e ci mostrerai la cappella. Ah, una richiesta: puoi farmi trovare una caraffa di latte nella mia stanza, prima che io mi ritiri per riposare, questa notte?"
"Sarà fatto, vescovo Prosperus. Ora vi lascio riposare un poco. Per qualsiasi cosa tu possa desiderare, mandaci uno dei tuoi chierici a informarci, e faremo del nostro meglio per esaudire le tue richieste." disse Johane e si ritirò.
Laurentius era già nella cucina che spignattava e Florianus stava preparando il refettorio, ponendo un coccio con freschi fiori di campo davanti al posto di ogni commensale.
"Dov'è Marcus?" chiese Johane.
"Sta badando alle bestie, nella stalla."
Johane vi andò e gli chiese di mungere la loro vacca per riempire di latte fresco una brocca per il vescovo.
"Che te ne pare del vescovo Prosperus?" gli chiese Marcus.
"Una persona gradevole... un uomo autoritario sotto un'apparenza bonaria... e un acuto osservatore."
"La mia stessa impressione, Johane. Si sente che è uomo abituato al comando. E non ha peli sulla lingua, il che è cosa positiva. Ma credo pure che sia pericoloso contrariarlo."
"E noi faremo del nostro meglio perché non diventi pericoloso." gli disse Johane.
"Florianus mi ha detto che ha saputo dai monaci di Sanctus Firmanus che Prosperus è uno dei pochi vescovi-conti della zona, non di nobili origini. Pare fosse figlio di un mercante. Forse per questo ha apprezzato il modo in cui trattiamo il nostro Laurentius."
"È possibile, ed è bene che sia così, perché almeno forse interpreterà il mio amore per Laurentius, che temo di non saper celare a sufficienza, come fraterno affetto."
"E quello fra Florentius e me?"
"Essendo voi entrambi di nobile stirpe, penserà alla naturale camerateria fra gente di pari livello sociale... spero."
"Lo spero anche io, Johane. Fino a ieri ero sereno, ma ora mi sento un po' preoccupato."
"Non devi. Non cercare di controllarti troppo, comportati spontaneamente e vedrai che tutto andrà per il meglio."
Il mattino seguente, di buon'ora, iniziò ad arrivare gente dai quattro borghi, e con essi anche i loro preti.
Prete Leone disse a Johane: "Tuo padre non voleva venire, ma fra la sua sposa e me, gli abbiamo strappato la promessa che sarà presente."
Prete Augustinus, allora disse: "Tuo padre, Florianus, dopo aver promesso che sarebbe venuto, questa mattina si è dato per malato. Ma tua madre e i tuoi fratelli verranno."
"E sai nulla della mia famiglia?" chiese Marcus a prete Serafinus.
"Tuo padre... non arrabbiarti, Marcus, ma ha detto che verrà certamente... per ridere di te e della tua pagliacciata davanti a tutti..."
"Gastaldus Mutius non avrà certo questo ardire... non in presenza del vescovo-conte!" esclamò scandalizzato prete Leone.
"Temo di sì, se conosco mio padre." mormorò Marcus.
In quella si avvicinò il vescovo, che aveva già indossato i paramenti sacri, scortato ai lati dai due chierici, uno che recava il pastorale e la mitria, l'altro la corona comitale e la spada. Era preceduto dal cerimoniere e seguito dall'armigero. Tutti s'inginocchiarono al suo passaggio.
"Benedicite, episcopus Prosperus." disse prete Leone.
"Che cosa temi, Marcus, da tuo padre?" chiese il vescovo al forte cavaliere.
Quando gli fu spiegato, disse: "Ebbene, appena giungerà qui, gli si comunichi che gli voglio parlare in privato, nella cappella, prima della cerimonia." disse il prelato. Poi, indicando attorno a sé disse: "Vedo che sta affluendo parecchia gente, e me ne compiaccio. Ma noto anche che di fatto sono divisi in quattro gruppi, presumo corrispondenti ai quattro borghi del colle."
"Purtroppo è così, vescovo Prosperus." disse prete Romeo. "Nonostante noi si sia detto dall'altare che oggi doveva essere giorno di pace e di concordia."
"Capisco. Ebbene, lasciate che facciano come credono e preferiscono... per ora. Mi occuperò io anche di questo, al momento opportuno. Ora io vado nella cappella. Venite anche voi con me, per indossare i vostri paramenti." ordinò ai quattro preti.
I quattro amici andarono a prepararsi anche loro, rientrando nella loro casa. Tolsero l'uniforme dell'Ordine e indossarono abiti semplici, ma con i colori delle loro famiglie. Laurentius indossò il suo migliore abito da artigiano. Ripiegarono accuratamente le loro tuniche bianche e i mantelli azzurri e presili in mano, si avviarono verso la cappella. Videro che la famiglia Ulpiana e Maurella erano già giunte, escluso Furius. Così pure i Mutii. Silvanus guardò Marcus con espressione di scherno, ma Marcus gli rispose con un quieto sorriso.
Fecero per entrare nella cappella, ma l'armigero sbarrò loro il passo: "Il vescovo-conte ha ordinato che nessuno entri, per il momento. Sta conferendo con il nobile Gastaldus Mutius."
Attesero. Johane osservò l'espressione di Marcus, che sembrava sereno.
Dopo pochi minuti, il cerimoniere del vecovo comparve sulla porta, spalancandola, e disse all'armigero che ora i fedeli potevano entrare. L'armigero si fece da parte e il cerimoniere fece entrare per primi i quattro amici, che andarono a inginocchiarsi davanti all'altare. Poi fece entrare i nobili, poi i cavalieri, infine il popolo comune. Molti dovettero restare fuori dalla cappella che era stracolma.
Le tre famiglie dei signori e i capi delle gilde di Castrum Novum, occuparono gli scanni loro assegnati.
Il cerimoniere, salito davanti all'altare, spiegò in volgare lo svolgimento dei riti. Il vescovo sedeva a destra dell'altare su un alto scanno, con due preti per parte seduti su sgabelli e i due chierici seduti a terra davanti al loro vescovo. Prosperus intonò il "Te Deum" e tutti i preti lo cantarono con lui. Quindi, dopo aver consacrato l'altare e benedetto la cappella, ebbe inizio la messa.
All'omelia, il vescovo parlò del precetto divino "Ama il prossimo tuo come te stesso, e ama il tuo nemico". Poi, alla fine dell'omelia, calzata la mitria e preso il pastorale in mano, ordinò: "Alzatevi tutti in piedi!"
Nel trapestio generale, tutti obbedirono, compresi i nobili. Solo i quattro amici restarono inginocchiati davanti all'altare.
"Ora ordino, con l'autorità del nostro sovrano il Sommo Pontefice e in nome di Dio... ordino, ho detto, che vi mescoliate fra voi in modo tale che ciascuno di voi abbia, alla sua mancina e alla sua dritta, persona che non sia del proprio castello o borgo!"
Vi fu un attimo di stupito silenzio e nessuno si mosse. Erano tutti a disagio, nessuno osava muoversi per primo.
Il vescovo ordinò: "Iniziate voi a dare il buon esempio, Ulpiani, Mutii e Maurelli!" e il suo tono non ammetteva repliche.
Guardandosi in cagnesco e con occhi torvi, i nobili obbedirono in silenzio. Altra gente allora si mosse.
Il vescovo, sovrastando il rumore, ordinò: "Passate parola del mio ordine anche a coloro che son fuori!"
Johane guardò con la coda dell'occhio i suoi tre compagni e vide che tutti erano, come lui, sorridenti.
Il vescovo chiese: "Siete ben certi di non avere al fianco qualcuno del vostro stesso borgo? Se è così, procediamo nella santa messa."
Dopo la consacrazione e prima della santa comunione, il vescovo ordinò: "Ora scambiate con ognuno dei vostri vicini l'abbraccio e il bacio di pace... e che sia con cuore sincero e non un gesto vuoto di significato! Dio legge nei vostri cuori, non lo dimenticate."
Poi, fatti stendere a terra i quattro amici, li consacrò a Dio, li benedisse, li fece spogliare dei loro abiti e fece giurare loro sul libro degli Evangeli fedeltà alla Chiesa. Quindi li fece rivestire con l'uniforme dell'Ordine. Fatti loro emettere i previsti voti, consegnò a Johane la sua spada e il libro della Regola e ordinò:
"Magister Magnus Johane de Sancto Andreas, fai quanto ti spetta."
Johane ricevette dai tre amici il giuramento di fedeltà all'Ordine e alla sua Regola, e consegnò a Marcus e Florianus le loro spade, che cinsero.
Poi ordinò a Laurentius di inginocchiarsi ed estratta la spada, lo investì cavaliere, ungendolo sulla fronte e dandogli l'abbraccio di pace. Uno dei chierici portò su un cuscino una cintura e una spada, e Johane, fatto alzare Laurentius, gliela cinse. I quattro cavalieri, quindi, si inginocchiarono nuovamente davanti all'altare. La messa proseguì con la santa comunione, i riti finali e terminò.
Allora uscirono tutti in processione: prima i due chierici, poi i quattro preti, poi il cerimoniere del vescovo, quindi i quattro cavalieri di Sancto Andreas e dietro loro il vescovo. Seguirono poi i nobili e i cavalieri dei tre castelli, poi tutti gli altri. La gente fuori dalla cappella lanciò a una voce il triplice "vivat!" in onore dei quattro cavalieri bianco-azzurri.
Le tre nobili famiglie dei Maurelli, dei Mutii e degli Ulpiani, nuovamente divise in tre gruppi compatti, si allontanarono subito e risalirono ai loro castelli. Tutti gli altri, compreso qualche cavaliere e parecchi soldati, e tutta la gente comune, rimasero sul prato davanti alla casa dei cavalieri, mescolati in allegria, e sedettero tirando fuori dai loro fagotti di che mangiare e bere e mettendolo in comune con la gente degli altri borghi.
Il vescovo, la sua scorta, i preti e i quattro cavalieri, entrarono in casa. Il vescovo e i preti andarono nello scriptorium a deporre i sacri paramenti, mentre tutti gli altri andavano nel refettorio.
Il cerimoniere stava spiegando ai quattro amici: "... e vescovo Prosperus disse a Gastaldus che se avesse profanato i riti e la casa di Dio con un atteggiamento oltraggioso, l'avrebbe scomunicato e avrebbe pronunciato su lui l'anatema di fronte a tutti..."
Il vescovo, raggiuntili, aggiunse: "E gli ho anche ricordato che nonstante la loro autonomia, i signori dei castelli di queste terre, sono comunque sotto l'autorità del Papa."
"E mio padre?" chiese Marcus.
"Ha tentato di protestare, ma ha rinunciato non appena ho dato ordine a uno dei chierici di portarmi il libro degli anatemi."
"Esiste anche un libro degli anatemi?" chiese Florianus stupito, "Non ne ho mai sentito parlare..."
"No, non esiste affatto," disse il vescovo ridacchiando, "Ma Gastaldus Mutius non lo sapeva. È impallidito e ha taciuto."
Tutti, nella sala del refettorio, risero.
Laurentius disse: "Se avete un po' di pazienza, termino di peparare il desinare e presto metto in tavola."
Tutti sedettero. Il vescovo a capo tavola con Johane alla sua destra, i tre cavalieri, con il cerimoniere e uno dei chierici, sul lato sinistro del tavolo, e sul destro i quattro preti, l'altro chierico e infine l'armigero.
Il vescovo guardò tutti a uno a uno, poi si chinò verso Johane: "Laurentius aveva gli occhi lucidi. Credo che anche per questo sia corso in cucina con la scusa di terminare a preparare il nostro pranzo. Eppure sapeva che durante la messa tu l'avesti investito cavaliere, no?"
"Sì, certo, lo sapeva. Ma Laurentius ha un animo molto sensibile, malgrado la sua semplicità e allegria."
"Sì, ha certamente un animo molto sensibile, se sa scolpire opere tanto belle. Il Signore lo ha benedetto con un raro e prezioso talento."
Dopo il pranzo la gente fuori chiamò a gran voce i quattro cavalieri e il vescovo e dopo un ultimo triplice "vivat!" iniziò a disperdersi, tornando ciascuno verso il proprio borgo e la propria casa. Restò solo uno dei contadini dei cavalieri di Sancto Andreas che, a nome di tutti i contadini, donò al vescovo un cesto pieno di frutta scelta, uova e formaggi.
A sera anche i quattro preti lasciarono la casa, dopo che il vescovo, accogliendo la richiesta di Johane, promise di inviare a prete Romeo la nomina a cappellano dei cavalieri.
Il vescovo Prosperus si fermò a dormire ancora una notte nella foresteria della "Domus Equitum Sancti Andreae" e il mattino seguente, rimontato a cavallo con la sua scorta, prese la via del ritorno.
I quattro amici erano esausti ma felici.
"Ora che il nostro Ordine ha ricevuto l'ufficiale riconoscimento e l'investitura della missione," disse Marcus, "possiamo iniziare a girare tutti e quattro i borghi e i castelli per il nostro lavoro."
"Possiamo dedicare ogni giorno a uno dei borghi e negli altri tre giorni dedicarci alle nostre cose." suggerì Laurentius.
"Sì, la prima feria a Mons Maurellus, la seconda a Mons Mutius, la quarta a Mons Ulpianus e la quinta a Castrum Novum. La terza e la sesta la dedicheremo al contado, e nel giorno del Signore prenderemo il nostro meritato riposo." disse Johane.
A notte, Laurentius e Johane erano finalmente stesi sul loro letto, non più diviso in due dalla tramezza, l'uno nelle braccia dell'altro.
"Eri emozionato, ieri, mio dolce amore, sia durante il rito dell'investitura che dopo." gli sussurrò Johane carezzandone il bel corpo nudo.
"Sì, molto. Ma sopra a tutto perché sei stato tu a investirmi cavaliere. Ho fatto fatica a non mettermi a piangere davanti a tutti!"
"Per me sei sempre stato il mio cavaliere, Laurentius, fin dal giorno in cui mi hai dichiarato il tuo amore. Anzi, più ancora, sei sempre stato e sei il mio signore."
"E tu il mio, Johane, e tu il mio. Ho tanto desiderio di te, e tanto amore!"
"Prendimi!"
"Dopo di te, amato. Riempi con la tua carne, riempimi del tuo amore. La prima volta che tu entrasti in me mi consacrasti cavaliere!"
"E la prima volta che tu entrasti in me, Laurentius?"
"Ti feci mio signore!" esclamò lietamente il giovane, baciando Johane e offrendoglisi.
Johane lo prese e con gioiosa lena si mosse in lui, godendone il lieto sorriso che vedeva accentuarsi a ogni spinta.
"Sei così bello, Johane, mentre fai l'amore con me!" sospirò Laurentius e gli occhi gli brillarono.
"Lo so, anche se sono brutto agli occhi di tutti, io stesso mi sento bello nel guardarmi nei tuoi occhi. Tu, mio dolce amato, sei la mia bellezza."
"E tu la mia vita! Oh... quant'è bello sentirti in me. Oh sì, cesella con il tuo utensile di forte e dura carne, parole d'amore dentro di me! Oh, Johane... così... così... Quant'è bello averti in me..." mormorò lieto scuotendo il capo da un lato all'altro in preda a un crescente piacere.
Quando Johane si fermò, per non bruciare troppo rapidamente la sua passione, e con gli occhi lo invitò a farlo suo, si scambiarono le parti e Laurentius si immerse nelle calde ed accoglienti carni del suo amante.
Nella stanza accanto, con un silenzioso grido, Marcus donò al proprio amato, lietamente ripiegato sotto di sé per accoglierlo, tutto il proprio seme d'amore. Ristette un poco, lievemente ansante, carezzando il corpo dell'altro.
Poi gli chiese, colmo d'amore: "Non desideri anche tu, Florianus, farmi tuo?"
"Se tu lo desideri, lo farò, mio amato, ma tu sei già tutto mio. Lo sai che io preferisco averti in me. Quello che vuoi, però, diverrà per natura il mio desiderio."
"Davvero preferisci che sia io a prenderti così? Davvero è ciò che desideri? Non lo fai solo perché sai che io preferisco questo? Sii sincero, ti prego."
"Sono sincero. Non avrei problemi a farlo, a volte l'ho già fatto con altri... come so che, sia pure rare volte e molto tempo fa, tu hai accolto altri in te. Ma fra te e me, è perfetto così." gli disse con dolce tenerezza Florianus, carezzandogli i forti muscoli del petto, delle braccia e delle cosce. "Per me è cosa sublime sentirti in me e in questo modo farti mio." aggiunse con voce sognante.
"E a me piace moltissimo dissetare la mia passione bevendo il tuo dolce seme. Solo che ora sei venuto nell'atto in cui io stavo venendo in te..."
"La notte è lunga, amato mio. E se il cielo lo permette, anche la nostra vita. Ti disseterai alla mia fonte d'amore quando vorrai. Lo sai che è tutta tua!"
Marcus gli si tolse da sopra, lo fece stendere e l'avvolse fra le sue braccia e le gambe.
"Lo sai, Florianus, che la bellezza sublime delle tue forme sembra quasi stia scemando?"
"È possibile, con il passar degli anni..."
"Non in quel senso, amato mio. È che la bellezza del tuo animo e del tuo cuore la stanno sopravanzando. È che più ti conosco, più sono innamorato di te. Il mio cuore è così colmo di gioia che lo sento scoppiare. In passato, guardandomi attorno, ero convinto che anche l'amore fosse un fenomeno transeunte. Ora so che mi sbagliavo. Mi basta guardare noi due, mi basta guardare i nostri fratelli che vivono qui con noi, per sapere che mi sbagliavo. Non mi stancherò mai di dirti quanto ti amo."
"Né io di sentirmelo dire e di dirlo a te." mormorò Florianus.
"Mi spiace che tuo padre non sia venuto, ieri..."
"A me no. A me basta avere te al mio fianco. Decidendo di non venire, di fingersi ammalato, lui ci ha rimesso, non io."
"Forse è ammalato davvero..."
"Io, per chi amo, mi sarei fatto portare su una lettiga, pur di non mancargli. Mio padre non conosce l'amore, perché il suo cuore è accecato e reso sordo dalla sete di potere. Mi dispiace per lui. Temo che un giorno la sua insensibiità al più nobile dei sentimenti, lo condurrà alla rovina."
Le parole di Florianus si sarebbero rivelate, un giorno, parole di profezia.