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una storia originale di Andrej Koymasky


I CAVALIERI
DI SANT'ANDREA
CAPITOLO 16
L'INSURREZIONE CONTRO I SIGNORI

I quattro cavalieri si misero a girare per i borghi e i castelli. Predicavano la pace, cantavano le loro canzoni in lode dell'amore, esortavano tutti all'armonia. A volte erano chiamati a sedare liti fra vicini, a volte riuscivano a riportare l'armonia nelle famiglie dei borghi o del contado. Solo i tre castelli rimanevano pervicacemente preclusi ai loro passi. Ma neanche le guardie alle porte dei borghi dei tre monti tentavano di ostacolare il loro ingresso.

Un giorno, mentre stavano intrattenendo la gente con le loro canzoni, le loro esortazioni, i loro apologhi sullo spiazzo davanti al castello dei Mutii, si affacciò al verone Gastaldus Mutius e gridò: "Via! Andate via, mestatori e ribelli. Siete sulla mia terra e non vi ci voglio. Via di qui, bastardi!"

Il silenzio scese sulla piazzetta. Poi la voce di uno dei giovani delle altre famiglie nobili di Mons Mutius, gridò: "Vattene tu da Mons Mutius, Gastaldo! Questa terra è tua quanto nostra! Vattene tu, se non ci stai più bene."

Subitamente un coro di voci iniziò a gridare: "Via da qui, Gastaldus! Liberaci dalla tua presenza."

Gastaldus, infuriato, gridò: "Guardie! Prendete a legnate questa gente e arrestate i facinorosi: questa è una sedizione!"

Una delle guardie gli gridò di rimando: "Io bastonare la mia gente? I miei vicini, i miei compagni, i miei amici o i miei parenti? Vieni giù tu, Gastaldus, e fallo con le tue mani! Ma attento, vecchio: prima di poterlo fare, ti troverai me davanti, e dovrai abbattermi per farlo!"

"Sedizione, sedizione!" gridò Gastaldus rosso in viso, "La pagherai per questo!"

Uno degli altri nobili gridò: "Abbiamo leggi e regolamenti, e abbiamo magistrati. Denuncia tutti noi alla giustizia e si faccia un regolare processo. E vedremo a chi i magistrati daranno ragione. Questa terra e tutto quanto contiene è mia, e sua, e anche sua, quanto tua! Tu sei Prior a vita, ma non il nostro signore e padrone. Questa non è sedizione. E i nostri soldati sono pagati per difendere il borgo dai nemici, non per far del male agli amici!"

"Quei quattro pagliacci sono miei nemici!" urlò Gastaldus.

"Oh che bel padre sei! Un bell'esempio di padre, per davvero!" gli gridò una donna.

"Saranno tuoi nemici, ma sono amici nostri. Perciò non hai alcun diritto di cacciarli dal nostro comune!" urlò un'altra donna.

"Pace, fratelli, pace... e concordia." gridò allora Laurentius.

"Sì, pace e armonia. Ma se nel coro canta anche una vecchia cornacchia, ti saluto l'armonia!" esclamò un ragazzo.

Tutti risero e si misero a cantare, guardando in su verso Gastaldus: "Cornacchia, cornacchia, cornacchia..."

Gastaldus lasciò il verone e rientrò nel castello, fra le risate di tutti.

Marcus suonò un forte accordo sulla mandola di Florianus e tutti lo guardarono.

"Amici, fratelli... non così, vi prego, non così."

"Difendi ancora tuo padre?" gli chiese uno dei nobili, "Dopo che ti ha cacciato da casa senza motivo?"

"Mio padre o no, non cambia nulla. L'armonia e la pace iniziano anche con il non deridere l'altro. Dissentire e deridere, sono due cose diverse. La prima è giusta, la seconda no. Non si può invocare la pace senza essere i primi a portare la pace."

"Parole sagge e sante!" si levò la voce di prete Serafinus che era stato attratto dal vociare. "Tornate alle vostre case, ora. Se avete lagnanze da fare, chiedete che si riunisca il Gran Consiglio e presentatele lì. Comportiamoci tutti da figli di Dio e da esseri civili!" poi si rivolse con un sorriso ai quattro amici: "E voi, cavalieri, siete sempre i benvenuti in questo borgo, finché vi saranno anime timorate di Dio. Ma ora, per cortesia, andate. Vi aspettiamo presto di ritorno, ogni seconda feria, come avete peso l'abitudine di fare."


Il secondo fatto notevole di questa storia, accadde pochi mesi dopo questi fatti. Era metà giugno. I quattro cavalieri entrarono nel borgo di Mons Maurelli, salutati da una frotta di ragazzini che gridarono felici: "I cavalieri di Sancto Andreas! I cavalieri di Sancto Andreas sono qui!" La gente uscì dalle case.

"Che ci cantate, oggi, bei cavalieri?" chiese una donna.

"Bel cavaliere a me, donna? I tuoi occhi stan forse perdendo la vista?" le chiese Johane ridendo.

Tutti risero, ma un bimbo lo tirò per il mantello e gli disse: "Ma a me tu pari bello, e i miei occhi sono buoni!"

Johane gli carezzò il capo: "Grazie, Micael, sei molto gentile, Ti chiami Micael, nevvero?"

Il bimbo lo guardò meravigliato: "Tu sai il mio nome, cavaliere? Eppure tu non sei nato in questo borgo."

"So il tuo nome perché l'ultima volta che venimmo qui, udii la tua mamma chiamarti, e pensai che tu sei bello proprio come l'arcangelo di cui porti il nome."

In quella giunse Furius Maurellus, seguito dai suoi armati.

"Che ci fate qui, voi quattro cialtroni! Fuori dalle mie terre!"

Florianus gli si parò davanti e disse, in tono mite: "Padre, non stiamo facendo nulla di male, e la tua gente è lieta di vederci."

"Non io. Fuori di qui, fuori dal mio borgo, o io..." disse e sguainata la spada la brandì alta minacciando il figlio.

Florianus non si mosse.

Il padre allora, ruggendo, abbassò la spada sul figlio, mentre un grido di orrore si levò dalla piccola folla. Florianus restò immobile mentre la lama calava su di lui. La folla urlò. Ma un attimo prima che la spada di Furius toccasse il figlio colpendo il suo capo scoperto, uno degli armati della sua scorta, balzò in avanti e lo spintonò con forza deviando così la traiettoria della lama, che tagliò un lembo del mantello di Florianus e si abbatté con un forte rumore sul selciato.

Furius si girò irato: "Come osi, disgraziato! Pagherai con la tua testa questo affronto!"

"Avevi detto, Furius, che volevi mandar via i cavalieri di Sancto Andreas, e noi t'abbiamo seguito, obbedendo ai tuoi ordini. Ma non hai detto che volevi ammazzare tuo figlio, che non ha neppure sguainato la sua spada! Che uomo sei? Neanche una bestia uccide il figlio!"

"Io gli ho dato la vita, io ho il diritto di togliergliela! Non t'immischiare, tu, bastardo!" disse Furius con voce gelida e alta, e nuovamente sollevò la spada con studiata lentezza.

Il capitano dei soldati gli si parò davanti prontamente, interponendosi fra Furius e il figlio. "Come nostro signore, noi tutti t'abbiamo giurato fedeltà. Ma il giuramento cade di fronte a uno che vuole assassinare il figlio. Tu non sei più il mio signore!"

"Né il mio!" dissero alcuni soldati.

"Né il mio!" gridarono molti dalla folla che si stava ingrossando.

"Chi mi è fedele, a me!" gridò Furius.

I quattro figli maschi, fratelli di Florianus, accorsero dal castello con le spade sguainate e affiancarono il padre.

Il capitano rise: "E che vorreste fare voi cinque, contro tutti noi? Rinfoderate le vostre spade e rientrate nel vostro castello."

"Non accetto ordini da te, cane rognoso e spergiuro!" ringhiò Furius.

"Pace, fratelli, pace!" gridò Johane.

"Sì, pace. Nessuno alzerà la mano su questi cinque, su nessuno dei Maurelli. Ma nessuno obbedirà più ai vostri ordini. Il nostro giuramento di fedeltà e il nostro dovere di obbedienza è sciolto e terminato."

"Oh, la vedremo!" disse minaccioso Salvus, il figlio maggiore. "Vedremo se non obbedirete alle nostre spade."

"Ci difenederemo e difenderemo chiunque voi minacciate!" gli rispose il capitano.

In quella accorse l'intendente del catello: "Furius, Furius! Tutta la servitù sta abbandonando il tuo castello!"

"Abbandonando? E perché mai?" chiese incredulo e irato Furius.

Una voce si levò dalla folla: era il maniscalco, che si fece avanti: "Perché sono andato io ad avvertire i tuoi servi che tu volevi ammazzare come un agnello questo tuo figlio. E nessuno vuole più servire chi si vuole macchiare di un così orribile crimine! Tornate nel vostro castello, voi cinque miserabili e chiudetevici dentro. Nessuno spazzerà le vostre stanze, nessuno vi preparerà più il cibo e nessuno ve ne venderà più. Mangiatevi il vostro potere e la vostra superbia, se basta a sfamarvi. O mangiatevi fra voi Maurelli come cani rabbiosi. Qui siamo tutti cristiani timorati di Dio. Nessuno leverà un dito per voi. Tutte le porte vi saranno chiuse."

"Ma questo borgo, questo territorio è mio!" urlò Furius.

"Zappati la tua terra!" gli gridò una donna.

"Vatti a cercare i tuoi capponi, se riesci a trovarli, mangiateli, sono tuoi!" gridò un contadino, "Ma né io né i mie figli lavoreremo più per te, maledetto omicida!"

"Ma che omicida? Mio figlio Florianus è qui, vivo e vegeto, davanti a voi!"

"Non per merito tuo, omicida!"

"Omicida! Omicida!" gridarono in molti.

Ormai tutta la gente del borgo era accorsa affollando anche le vie che menavano alla piazza.

"Lasciatemi passare!" gridò Furius e sia lui che i suoi figli brandirono le spade.

La folla non si mosse e i soldati, brandite le loro spade, si misero in posizione per difendere la loro gente.

Florianus disse: "Suvvia, gente, lasciateli passare. Piuttosto che vi sia spargimento di sangue per causa mia, preferisco che mio padre si riprenda la mia vita!"

La gente allora si mosse, si aprì un varco, un corridoio di corpi assiepati, che dalla piazza conduceva alla porta del borgo, fuori dalle mura.

"Ecco, vedi?" disse il capitano delle guardie, con sarcasmo, "Ti è stata spianata e indicata la strada. Fuori da queste mura, andatevene dove volete, purché lontano da qui."

Salvus gridò: "Ci apriremo la via verso il nostro castello con le nostre spade!"

"Lasciateli rientrare nel loro castello, ve ne prego..." implorò nuovamente Florianus.

"E sia. Perché ce lo chiedi tu, Florianus." disse il capitano, poi gridò: "Sfollate, gente, tornate alle vostre case. Lasciamo soli questi cinque miserabili!"

"Ma nessuno di noi vi darà da mangiare!" gridò uno.

"E nessuno vi servirà più." gridò un altro.

"E vi eviteremo come la peste!" gridò una donna.

"Mettetevi le vostre spade nel culo!" gridò un ragazzino e tutti, ridendo, lasciarono la piazza.

Restarono solo i soldati, i quattro cavalieri e i cinque Maurelli.

In quella arrivò sulla piazza la moglie di Furius: "Furius! Non hai perso solo i tuoi servi e i tuoi uomini d'arme! Hai perso anche me. Hai cercato di ammazzare uno dei miei figli..." disse e sputò in terra. "Mi fai schifo! E voi... voi, invece di difendere vostro fratello..."

"Nostro padre era minacciato, madre."

"Da chi? Ho visto e udito tutto. Florianus non ha neppure toccato la sua spada."

"Ma il capitano..."

"Non l'ha alzata su di voi. Ha solo detto che avrebbe difeso la sua gente dalla vostra prepotenza, se aveste provato ad alzare le vostre spade su di loro. Siete solo bestie, bestie assetate di sangue e di potere. Io me ne vado!"

"Tu resterai qui!" ordinò Furius. "Tu sei mia moglie e mi devi obbedienza!"

"Uccidimi, dunque! Solo così mi fermerai. E voi quattro, che ho partorito nel dolore... volete uccidermi anche voi? O velete godervi la scena di vostro padre che mi sgozza? Ecco..." disse la donna prendendo dalle vesti uno stiletto e porgendolo al marito, "Fallo, su! Fallo, è l'unico modo che hai per impedirmi di andarmene. Ammazzami... e ti obbedirò come un cadavere."

"E dove te ne vorresti andare, donna!" disse sprezzante l'uomo prendendo lo stiletto.

"A chiudermi in monastero per non vedere più questo mondo che tu m'hai reso odioso!" disse fredda la donna.

"Lasciala andare, padre, non ti merita!" disse Salvus.

Il padre rigirò fra le mani lo stiletto e guardò torvo la moglie.

Il minore dei figli si mise fra la madre e il padre: "Tu non la toccherai, o quant'è vero iddio, io ti ucciderò. Anch'io me ne vado da qui, vado con mia madre!" disse con sdegno.

"A farti monaca anche tu?" chiese con scherno Salvus.

"Ma via, che vi piglia a tutti? Non mettiamoci a litigare fra di noi... e davanti agli altri!" disse un altro dei figli.

"Oh, guarda guarda! Ora il messaggio di Florianus ha infettato anche la tua capoccia?" chiese Salvus con una smorfia di disgusto.

Furius, con voce irata e stanca, disse: "Ma fai ciò che vuoi, donna. E anche voi quattro. Non mi importa più nulla." e si avviò verso il castello.

A uno a uno, tutti i membri della famiglia rientrarono. Il giorno dopo dal castello uscirono due cavalli, con in sella la moglie di Furius e il figlio minore. Traversato il borgo diventato silenzioso al loro passaggio, uscirono dalle mura e se ne andarono.

Dopo tre giorni le porte del castello si aprirono nuovamente. Quattro cavalieri, i cavalli carichi di sacchi, abbandonarono il castello: erano Furius con i restanti tre figli. Quando l'ultimo ebbe varcato le porte del borgo, tutta la gente si riversò festante per le vie e presto le campane della chiesa suonarono a festa.

Provvisoriamente, il capitano degli armati assunse il potere, in attesa di decidere come organizzare il loro borgo, ora che i Maurelli se n'erano andati.


Le notizie correvano di bocca in bocca, di borgo in borgo, di castello in castello. A Castrum Mutii il Gran Consiglio aveva deciso, a grande maggioranza, che Gastaldus Mutius era decaduto dalla carica di Prior e che nessuno avrebbe più ricoperto quella carica a vita, né il figlio poteva prenderne il posto.

Bandone Ulpianus, il padre di Johane, a questo punto fu colto dal terrore. "Ora toccherà a me... ora toccherà a me," andava ripetendo girando per le stanze del suo castello.

A nulla valevano le proteste di fedeltà del suo capitano. La goccia che fece traboccare il vaso fu quando Filippus, che aveva ormai ventuno anni, affrontò il padre.

"Devi deciderti a fare qualcosa. Questa situazione non è più sostenibile. La gente per strada finge di non vedermi, nessuno più mi saluta, e spesso cambiano strada quando mi vedono da lontano o rientrano in casa e chiudono porte e finestre! Mi pare di essere diventato un fantasma o un appestato! Qualcuno, quando passo, ha persino l'ardire di turarsi il naso! Gli artigiani di Castrum Novum inventano mille scuse per non servirci: o che han troppo lavoro o altre diavolerie! Devi dare ordini perché tutto questo cessi!"

"E che, faccio un editto che chi non ti ossequia gli faccio mozzare il capo?" gli rispose irato e seccato Bandone.

"La colpa è tutta di quei maledetti Cavalieri di Sancto Andreas! Raduniamo tutti i nostri uomini, scendiamo fino a quella loro stramaledetta casa, bruciamola e ammazziamoli tutti!"

"Oh che, sei pazzo, Filippus? Quanti dei nostri stessi uomini credi che ci seguirebbero? E credi che a questo punto, gli uomini degli altri castelli ci lascerebbero fare, ora che sono tutti e due dalla parte di quei quattro? Che non hai sentito quello che è capitato a Furius Maurellus per aver fatto solo il gesto di alzare la spada su suo figlio? Se ammazzassimo quel cionco di tuo fratello, credi che non avremmo anche noi la stessa sorte? E son protetti dal vescovo: vuoi che ci scagli la scomunica e l'interdetto?" gli gridò il padre.

"E allora cagati sotto, padre! In queste condizioni, con un padre codardo e tutto il resto, è meglio che io me ne vada a cercar fortuna andando a servire un principe con i coglioni!"

Bandone gli dette un manrovescio così violento che Filippus cadde a terra. Si rialzò furibondo. Bandone gli gridò: "Tu i coglioni pensi di averli, ma vieni a piagnucolare da tuo padre perché il volgo non ti fa la riverenza!"

Filippus si rialzò lentamente da terra massaggiandosi la gota. La madre e le sorelle, attirate dall'alterco, accorsero dalle stanze vicine.

"Che succede?" chiese la donna vedendo marito e figlio che si affrontavano con occhi irati e minacciosi.

"Succede che tuo marito è un pezzo di merda senza coglioni!" urlò Filippus.

"Gli è che tuo figlio crede che tutto si risolva menando la spada come se fosse il suo cazzo!" gridò il padre.

"E da chi ha imparato, Filippus, a fare così, eh?" lo accusò la donna, "Da chi se non da te? Voi e le vostre maledette faide! Perché non usate la testa invece che i vostri coglioni, tutti e due?"

"Bene, donna, e che dovremmo fare? Su, mostraci la tua infinita saggezza, tu che non sai neppure distinguere la tua mano dritta dalla mancina!" le gridò Bandone.

"Dobbiamo mostrarci amici di quei quattro cavalieri, stringere con loro alleanza, ecco che cosa dovremmo fare! Chiedono solo che vi sia pace con gli altri castelli, e allora, pace vi sia e tutto tornerà normale anche a Castrum Ulpiani. Ora che né Mutii né Maurelli son più i signori, resti tu solo. Possibile che non lo capite da soli, uomini senza cervello?" disse la donna alterata.

"Allearci ai cavalieri? Mai!" gridò Filippus. "Dovremmo mostrare al mondo che si ha paura di quattro esaltati? Son solo quattro, non sono un esercito!"

"Ma hanno la protezione della chiesa," disse la madre, "e le loro idee hanno messo sotto sopra già due castelli. Perciò non sono solo quattro come tu dici!"

"No, Filippo ha ragione, non possiamo allearci a loro. Ma anche tu, donna, hai ragione, non possiamo toccarli." disse Bandone.

"E allora?" chiese Filippus.

"E allora... non ci resta che radunare tutte le nostre cose di valore, preziose, e lasciare questo posto infame."

Nonostante le sdegnate rimostranze di Filippus, un giorno si aprirono le porte del castello e un convoglio di carri carichi delle cose di maggior valore, scortato da un manipolo di uomini fidati, lasciò Mons Ulpianus, dopo aver affidato il castello e le terre al vecchio intendente, con la promessa di tonare un giorno in armi e forze per "ristabilire l'ordine"...

Quando il corteo di carri e cavalieri fu lontano, il vecchio intendente andò da prete Leone, che già sapeva della fuga dei signori, e gli chiese che fare. L'assenza dell'autorità costituita, poteva dar spazio all'anarchia.

Prete Leone disse: "Non v'è che una cosa da fare, a questo punto: chiameremo i cavalieri di Sancto Andreas e consegneremo loro il castello e il borgo. La gente li rispetta... rispetterà la loro autorità."

L'intendente concordò, e così fu fatto.


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