I quattro cavalieri rifiutarono di divenire i signori dei tre castelli, ma accettarono di guidare per un tratto i tre castelli e il borgo verso un futuro di unione e di pace.
Marcus per prima cosa, convocò i capitani delle milizie dei tre castelli e chiese loro di eleggere un Capitano Generale e unificare le tre milizie in una. Infatti v'era sentore che le signorie e i comuni dei dintorni volessero approfittare della loro temporanea debolezza per muovere loro guerra e assoggettarli. I tre capitani chiesero a Marcus di essere lui il loro Capitano Generale, e Marcus accettò, pro tempore, finché non si fosse costituito il nuovo comune.
Johane radunò i capi delle famiglie di ogni borgo, compreso Castrum Novum, e chiese loro che ogni borgo scegliesse tre rappresentanti che formassero un Gran Consiglio che, dal castello che era stato degli Ulpiani, amministrasse tutti i tre territori come uno solo. Gli chiesero di essere lui il Prior del Gran Consiglio e supremo magistrato e, dopo molte insistenze, accettò, fino al giorno in cui sarebbero stati pronti lo Statuto e le Costituzioni del nuovo Comune.
Florianus, radunati quanti erano esperti di legge nei tre castelli e chiamati famosi giureconsulti anche da fuori, iniziò con loro la stesura del nuovo Statuto, delle Costituzioni e i codici delle leggi, studiando e paragonando quanto avevano fatto gli altri Comuni, al fine di porre buone basi, giuste e saggie, per il nuovo Comune.
Laurentius infine si incaricò di organizzare, con l'assistenza di buoni mastri muratori, la costruzione dei tratti delle nuove mura che avrebbero unito i tre borghi e anche mura per difendere Castrum Novum. Racchiusero così tutto il crinale del colle; in seguito avrebbero abbattuto i tratti di vecchie mura che sarebbero risultate così incluse all'interno delle nuove mura.
Nel frattempo, nel tratto che divideva in passato Castrum Ulpiani da Castrum Mutii, iniziarono a costruire il nuovo palazzo del Podestà, centro e simbolo del nuovo comune. Fu sempre Laurentius che, aboliti i vecchi vessilli e stemmi dei tre castelli, ne formò uno nuovo unendo i tre simboli: su un campo trinciato di rosso e oro, a simboleggiare la gloria dell'amore, un leone rampante con corona in capo e spada ritta tenuta dalla zampa dritta anteriore, il tutto in oro.
Tutto questo intenso ma gioioso lavoro, non durò mesi, ma anni. Il fervere dei lavori attirò nuove forze nel nascente comune, sia mano d'opera che ingegni che mercanti. La nuova milizia unificata dei castelli indossò una nuova livrea, e Marcus la sottopose a severe regole e intensi allenamenti, per far sì che fosse sempre pronta a fronteggiare un qualsiasi pericolo esterno. La organizzò in modo tale che ogni uomo atto alle armi, fosse egli progenie di nobili famiglie o artigiano o uomo del contado, fosse pronto ad accorrere alle armi al primo segnale di pericolo, per radunarsi. Il tutto senza intralciare la vita quotidiana d'ognuno di essi. Dette, agli allenamenti, forma di giostre e di tornei, che divennero occasione di festa per tutto il popolo.
Anche i quattro preti fecero la loro parte, esortando, ammonendo e lodando; chiesero anche a prete Leone, il loro decano, di esser l'arciprete del nuovo comune, con la benedizione del vescovo-conte di Numana.
Tutto l'ameno colle ferveva di gioiosa attività.
In quanto al nome del nuovo comune, dopo varie proposte e discussioni, pur conservando ogni sua parte l'antico nome di Mons Maurellus, Mons Mutius, Mons Ulpianus e Castrum Novum, prendendo l'antico nome di un nobile uomo che aveva avuto signoria su Mons Ulpianus, e di cui si conservava buona memoria, si scelse il nome di Racanato.
I nuovi Statuti furono pronti, unendo il meglio di quanto gli Statuti di altri comuni, i costumi locali, i suggerimenti dei dotti giureconsulti potessero fornire. Il supremo giudice del nuovo comune sarebbe stato chiamato Podestà, eletto dal Gran Consiglio, cioè dai rappresentanti dei quattro borghi, e non avrebbe potuto succedere né a sé stesso né a un membro della sua stessa famiglia. Il Gran Consiglio doveva anche nominare i giudici e il Capitano Generale.
Gradualmente perciò i quattro cavalieri si ritirarono dalle cariche che avevano assunte pro tempore, non desiderando interferire nelle cose del nuovo comune, anche se spesso delegazioni scendevano alla loro casa per avere il loro consiglio.
Passarono gli anni. Il primo ad andarsene fu Marcus, ormai dalla testa canuta, nonostante il suo corpo fosse ancora saldo e forte. Fu pianto non solo dai confratelli, ma da tutta la gente del comune, sopra a tutti dalle milizie, che tributarono al suo corpo grandi onori. Egli fu sepolto nella cappella dell'Ordine, sotto una semplice pietra che recava il suo nome, la sua età e la data della sua dipartita.
Dopo una manciata d'anni, Florianus lo raggiunse in cielo, e si riunì nuovamente al proprio amante e amato. Fu trovato riverso sul tavolo dello scriptorium, il volto ancora bello nonostante il passare degli anni, e sereno come se dormisse.
Florianus fu sepolto accanto a Marcus, nella stessa tomba, sotto la stessa pietra, su cui Laurentius scolpì il nuovo nome e la nuova data. Scolpì il tutto in modo che i due nomi fossero uniti da una "x" unciale, a testimonianza dell'eterno amore che li aveva uniti e che ancora li univa per sempre.
Johane volle che si approntasse, a fianco della tomba dei loro amici, anche la tomba per se stesso e Laurentius. Sulla nuda pietra non vi era scritto ancora nulla, solo una piccola x unciale che attendeva di avere, uno alla destra e uno alla sinistra i nomi dei due ultimi cavalieri.
Mentre i due ormai anziani amanti erano ancora in vita, videro partire dal nuovo comune due ambasciate, una per il Papa di Roma, l'altra per il sacro Imperatore in Allemania, con doni e con copie degli Statuti per avere la loro approvazione.
Laurentius non ebbe il tempo di vedere il risultato di queste due ambasciate. Lasciò questo mondo steso sul suo letto, con accanto Johane che gli teneva una mano.
"Perdonami, amato mio, se ti lascio già solo..." mormorò Laurentius sentendosi sfuggire la vita.
"Non sarò mai solo, ti avrò sempre nel mio cuore. Tu preparami un posto lassù, che a Dio piacendo, non tarderò a essere di nuovo con te riunito." gli disse Johane carezzandogli il pallido volto.
"Ora che Iddio mi sta chiamado a sé, ti posso dire un segreto, Johane?"
"Dimmi, amore mio..."
"In tutti questi anni in cui la vita ci ha concesso di stare assieme, mi sono sempre posto un perché..."
"Al tuo solito, amore. Tu non hai mai cessato di chiederti il perché di ogni cosa..." gli disse Johane con un tenero sorriso.
"Sì, è così. Ma questo perché è un perché a cui non ho mai avuto risposta, fino a oggi..."
"L'avrai di certo quando sarai lassù..." mormorò Johane.
"Lo credo... Il perché era questo: perché il nostro amore non può essere consacrato dinanzi a Dio e agli uomini? Perché la Chiesa di Dio, che predica il suo Amore, è sorda e cieca e nemica a questo nostro amore? Non v'è risposta... o almeno, nessuno me ne ha data una che potessi credere valida e accettare, neppure prete Romeo."
"E nenache io, temo, sono in grado do dartela, mio amato. Ma questo non è un segreto."
"No, il segreto è questo: il giorno in cui tu mi elevasti al rango di cavaliere, là nella nostra cappella, davanti all'ostia consacrata, quando tu mi desti il bacio di pace... il mio fu un bacio di amore e dentro il mio cuore io celebrai in quel momento il nostro sposalizio. E dissi a voce alta, anche se solamente dentro il mio cuore, dentro l'anima mia, che io prendevo te come mio sposo e che mi davo a te come tuo sposo. E tutto l'essere mio, tutto, anima e cuore e corpo e spirito e ragione, tutto udì un: Così è e così sia! Provenire dal cielo."
"Non me ne parlasti mai, mio amato, mio dolce sposo. Perché?" chiese Johane commosso.
"Non so neppure io perché. Forse perché non sono un letterato ed esprimerlo a parole mi pareva di impoverire il messaggio. Ma ora mi urgeva dirtelo. Ti aspetto, di lassù, mio dolce sposo. Perdonami, amato, ma è ora che io vada..." disse Laurentius e mentre gli sorrideva, la sua anima pura volò in cielo.
Johane, datogli un ultimo bacio come viatico, scese nel laboratorio, prese una punta da tracciare, un mazzuolo e uno scalpello da pietra, andò nella cappella, e mentre versava dolci lacrime di addio per il suo amamto, scolpì i loro due nomi, uno a destra l'altro a sinistra della piccola "x" unciale, e sotto quello del suo sposo scolpì l'età e la data della sua dipartita.
Poi, preso il cavallo, andò fino al comune per annunciare la morte del penultimo dei cavalieri. Le campane delle chiese suonarono tutte a lutto. Tutti scesero a dare l'ultimo saluto a Laurentius, che ora giaceva su un catafalco davanti alla casa dei cavalieri, nella sua uniforme bianca e azzurra e con la sua spada di cavaliere, che mai aveva estratto dal fodero, sul petto a mo' di croce.
Scesero tutti, donne e bambini, umili e potenti, ricchi e poveri. E finalmente il suo corpo fu calato nella tomba che lui stesso aveva preparato da tempo, messo da un lato per lasciare il posto al corpo di Johane, quando fosse giunta, a Dio piacendo, anche la sua ora.
Prete Giuliano, che aveva preso il posto di prete Romeo come cappellano dei cavalieri quando Romeo era morto, andò un giorno da Johane e lo invitò ad andare a vivere da lui, o con altri che l'avevano caro, l'amavano e lo rispettavano, e non restar solo nella dimora ormai deserta e silenziosa.
Johane sorrise, ringraziò e disse: "No, il mio posto è qui. Non odi tu le voci e i passi dei miei confratelli? Il mio cuore li ode. Ecco, vedi, quando sono in cucina che preparo il mio pasto, sento ridere e spignattare Laurentius, accanto a me. Quando vado nelle stalle, vedo Marcus che striglia i cavalli e le mucche e i buoi per tenerli ben lustri, e che mi accoglie con un sorriso. Se invece vado nella nostra libreria, vedo Florianus alzare il capo dal tavolo per salutarmi e chiamarmi per mostrarmi i suoi ultimi scritti. Nella nostra cappella, poi, quando canto le lodi, la mia voce non è sola a levarsi, ma sono le nostre quattro voci a lodare Iddio Signore in armonia. Dove avrei tutto questo? No, il mio posto è qui. Ma ti ingrazio per la tua cortesia."
Nell'anno del signore 1210, nel giorno di Pasqua di Resurrezione, dopo aver preso la santa comunione nella cappella dalle mani di prete Giuliano, e dopo che questi lasciò Johane, il cavaliere consumò il suo pasto. Rassettò ogni cosa, andò nello scriptorium e vergò una pergamena, prese una sedia e andò a sedere davanti alla casa.
Ammirò le lunghe e forti mura del Comune, e l'impalcatura che emergeva a fianco del Palazzo del Potestà, per costruire la nuova torre civica. Nessuno avrebbe detto che un tempo lassù sorgevano tre borghi, l'uno contro l'altro armati.
Johane sorrise e disse a se stesso e al vento: "Davvero l'amore compie miracoli, o Signore! Ecco, i miei occhi han visto più di quello che la mente potesse prevedere, il mio cuore ha gioito più di quanto potesse sperare, la mia anima è lieta più di quanto anelasse, la mia carne è stata benedetta dall'amore, più di quanto un uomo possa desiderare. Sono pronto, Signore, portami su da te, dove il mio Laurentius mi attende, assieme ai nostri amici..."
A sera prete Augustinus, ormai carico d'anni e di acciacchi, sostenuto dal giovane prete Jeronimus che il vescovo gli aveva affiancato per prenderne un giorno il posto, volle scendere alla "Domus Equitum Santcti Andreae" per portare la buona Pasqua al Magister Magnus, suo vecchio amico.
Lo trovarono lì, seduto sulla sedia, con un lieve sorriso che illuminava il suo volto non bello, in una mano una pergamena in cui lasciava erede di tutti i possedimenti dell'Ordine il vescovo che aveva nella sua giurisdizione il comune.
Trovarono solo il corpo di Johane, perché la sua anima era volata da poco in cielo.
Prete Augustinus chiuse le palpebre del suo antico amico, e mandò su prete Jeronimus a suonare le campane a lutto. Lui rimase lì a pregare per l'anima di Johane e vegliare l'ultimo dei cavalieri bianco-azzurri. Con la sua voce stanca e rotta dagli affanni e dalla commozione, cantò per lui il "Magnificat".
Furono celebrate solenni esequie e il corpo di Johane poté riposare in eterno accanto a quello di Laurentius. Uniti, come erano ora uniti anche in cielo.
In breve volger d'anni il Comune di Racanato ottenne dal sommo pontefice la qualifica di "Justissima Civitas", poté battere la propria moneta, amministrare la giustizia in proprio nome, e avere pieno dominio sia sulle proprie milizie che sulle proprie terre.
Dall'imperatore, la città ottenne il privilegio di costruire un porto alla foce del fiume Potentia. Le due bolle, quella papale e quella imperiale, prima di essere deposte e conservate negli archivi comunali, furono solennemente poste sulle tombe dei cavalieri, riconoscendo così i loro meriti.
Il papa inoltre dette ai magistrati che reggevano la città, il privilegio di vestire la porpora e l'oro, come solo le città di Bononia e di Roma avevano in tutto il territorio pontificio. Infine il Santo Padre eresse la diocesi di Racanato, con un proprio vescovo.
Il nuovo vescovo, in attesa che si costruisse l'episcopio e la cattedrale, sull'estremo del colle opposto al Mons Maurellus, prese possesso della casa dei cavalieri. Dormì nella foresteria, nella stanza del vescovo, mentre operai riattavano la casa.
Mentre i carpentieri demolivano le paratie in legno che dividevano ognuna delle due stanze da letto dei cavalieri in due anguste cellette, uno di essi scoprì il meccanismo creato molti anni prima da Laurentius per spostare il grande letto.
"Oh che macchina è mai questa? Molto ingegnosa, ma non ne comprendo lo scopo... Non son due letti come pareva, ma un letto solo che può stare in mezzo, o tutto da una parte o tutto dall'altra. A che pro?"
Uno degli altri carpentieri disse: "Forse per fare più agevolmente le pulizie... è sempre un problema scopare sotto i letti..." e disse queste parole senza alcuna malizia.
Un giovane garzone però colse il doppio senso involontario e disse con ironia: "Certo, scopare sopra al letto è molto meglio! Magari è proprio per scopare fra loro che i cavalieri avevano ideato questo marchingegno!"
"Non profanare la santa memoria dei cavalieri, malnato! Vivevano tutti e quattro d'un amore santo e puro. Non vedere il male dove non vi è mai stato!" lo rimbrottò aspramente il capo dei carpentieri, che era quel Micael che molti anni prima Florentius aveva detto essere un arcangelo.
Non immaginava neppure, il buon Micael, che sia il garzone che lui avevano colto nel segno. Quel "marchingegno" era proprio stato ideato per lo scopo immaginato dal malizioso garzone, e al tempo stesso l'amore anche fisico di cui erano stati testimoni quei letti, era stato veramente santo e puro.
Come tutti sanno, il tempo cancella, senza apparente motivo, tratti della storia.
Col volgere dei lustri, scomparve la casa dei cavalieri, dapprima ristrutturata come casa estiva del vescovo, da un altro vescovo assegnata poi all'intendente delle terre della curia, da un altro vescovo ancora destinata a essere una casa colonica, e infine demolita.
Non s'ha notizia dove furono sepolti i quattro cavalieri quando la cappella fu adibita a stalla.
L'incendio che distrusse gran parte dell'archivio del comune nel XIV secolo ridusse in cenere anche ogni menzione dei quattro cavalieri, e un nuovo incendio che distrusse l'archivio vescovile nel XV secolo cancellò le ultime vestigia e documenti che ricordavano ancora le loro vite e le loro opere.
Tutto ciò che resta di loro sono le loro quattro anime, finalmente intimamente unite in due fiamme d'amore lassù nel cielo, e i quattro toponimi in terra, il Mons Ulpianus, Castrum Novum, il Mons Mutius detto anche in seguito Mons Sancti Viti, e il Mons Maurellus, sull'ameno colle.
Ma l'intera Justissima Civitas Racanato e il suo stemma sono il monumento perenne alle loro vite, al loro amore e alla loro opera.
Se vi capita di andare nel Piceno e di visitare l'antica e ridente città che ancora sorge sull'ameno colle, soffermatevi per un attimo accanto all'antica torre civica, e recitate una preghiera in memoria di Marcus e Florianus, di Johane e Laurentius e del loro amore.