Io non sapevo più che fare, quel ragazzo m'aveva scombussolato. Guardavo il bell'Angelo ballare con la mantide religiosa. Lei cercava di appiccicarglisi addosso, lui tentava di mantenere la distanza di sicurezza.
Con quel ragazzo ci si era scambiati solo un "piacere", nient'altro. Poteva anche essere un bastardo figlio di papà, antipatico e noioso da morire, eccetera, eppure... Lo volevo con una forza che quasi mi faceva paura. Altro che colpo di fulmine, quello: era un temporale, una burrasca in piena regola.
Che mi aveva preso? E poi magari quello era un figaiolo disperato, uno sciupa femmine. Che tenesse a distanza la mantide religiosa non voleva dire niente. E poi, mica potevo permettermi di rischiare... Soprattuto con Manlio lì che se si fosse reso conto di qualcosa...
Nomini il diavolo e appare. Mi venne accanto con la sua andatura elegante, perfetta, come tutto in lui... Aveva gli occhi di mezzo club su di sé, solo perché per l'altro mezzo club era fuori vista. Non passava certo inosservato, Manlio, pur non essendo affatto un esibizionista. Sarà pur stato un ex-autista, ma ora era un conte dalla testa ai piedi... quando riusciva a tenersi i calzoni addosso.
"Eugene, Fai due tessere per il console e sua moglie. Da questa sera sono soci del club."
"Mensile?"
"Certo. Offro io, per questa volta. Il console voleva pagare... pagherà il rinnovo. Gli devo questa piccola cortesia."
"Tolglierò le due quote da quanto verso sul tuo conto..." gli dissi io.
"Il solito bastardo..." soffiò Manlio e mi guardò con i suoi occhi freddi.
Se avesse pensato davvero che lo ero, me l'avrebbe detto con un sorriso. Quando mi guardava con quegli occhi... aveva chiaramente altro in mente.
Infatti mi disse: "Le tessere le fai dopo. Vado a scusarmi un attimo con il console. Aspettami in ufficio, tu."
"Obbedisco." gli dissi chiedendomi se capiva che gli stavo dando la risposta di Garibaldi a Vittorio Emanuele II.
Lanciai un'ultima occhiata piena di desiderio al bellissimo Angelo, piena di desiderio e di rammarico... e andai in ufficio, dopo aver detto a Bénoit che dovevo assentarmi per un po'. Credo che abbia intuito, anche se quella era la prima volta che Manlio voleva farlo lì al club. Ma Bénoit non è stupido, deve aver letto sia negli occhi di Manlio che nei miei... più nei miei, sicuramente.
Avevo appena detto a Silvia di andare in uno degli studi privati, che arrivò Manlio. Chiuse a chiave la porta. Mi spinse con un dito sul petto, finché mi fece stendere sulla mia scrivania.
"Scivola più in dietro, metti il culo in centro." ordinò con voce roca.
Mi aprì i calzoni e me li fece calare con le mutande fin sulle ginocchia. Nonostante tutto, il mio fedele compagno era già sull'attenti. Manlio riusciva sempre a mettermelo in funzione in un amen, per quanto odiassi sempre più le sue pretese. Si tolse le scarpe, si sfilò i calzoni e le mutande, salì sulla scrivania, mi infilò un preservativo e mi si accoccolò sopra infilandocisi al primo colpo: mi chiedo come avesse fatto, mica è facile!
Si mise a cavalcare il mio cavallo da battaglia con la ferocia di un unno che corre all'assalto. Mi guardava con occhi in cui pareva stessero bruciando due barre di uranio. Finché avvenne la reazione nucleare e lo gratificai con una serie di vigorosi colpi dal basso in alto. Per mia fortuna lui non venne o m'avrebbe sporcato tutta la giacca.
Fine.
Mi chiesi se s'era accorto di come guardavo Angelo e avesse voluto ribadire che non dovevo permettermi di provarci con altri. Speravo di sbagliarmi. E avevo sempre più voglia di provarci con il bellissimo Angelo. Manlio comunque non mi disse niente. In un attimo era rivestito e perfetto come sempre. Mentre mi rimettevo a posto, mi disse di prendere il necessario e di andare al tavolo del console per registrarlo come socio e dare loro le tessere.
Mentre andavo dal console al tavolo di Manlio, guardai le coppie che ballavano. Non lo vidi. Era tornato al tavolo dell'onorevole. La mantide religiosa invece stava ballando con il mio amico banchiere.
Tornando verso l'ufficio con il registro, dopo aver registrato i due greci, passai davanti al tavolo dell'onorevole.
"L'avete, a Londra un club come il nostro?" chiesi ad Angelo.
Il ragazzo mi ignorò. Oppure forse non mi aveva sentito. La moglie dell'onorevole mi guardò.
"Cosa?" mi chiese la donna.
"Niente." mormorai io e proseguii dopo aver lanciato un'altra occhiata ad Angelo.
Era bello! Aveva una pelle liscia e lievemente olivastra, appena una sfumatura. Aveva un che di raffinato eppure di estremamente semplice. Mi faceva pensare a un ragazzo di campagna, pulito, sano, timido... che si trova per sbaglio in mezzo a gente troppo importante per lui. Eppure doveva essere abituato al bel mondo...
Mi immersi nei miei doveri di patron, cercando di smettere di pensare a lui. Passai di tavolo in tavolo: una sorriso qui, una battura scherzosa là, un "tutto bene?" a uno dei tavoli.
Hussein era tornato al tavolo del padre. Aveva un'aria soddisfatta sul viso. Anche il padre, che non immaginava a che cosa realmente fosse dovuta l'espressione del figlio... Guardai dove fossero Luciano e Silvia. Erano dietro al bar tutti e due, stavano ridacchiando, e Luciano stava preparando un cocktail. Mi avvicinai a loro.
"Tutto bene?" chiesi.
"Ottimamente." rispose Luciano.
Ero un po' curioso: mi chiedevo chi avesse fottuto chi, nello studio. Ma non facevo mai domande di quel genere, specialmente se l'interessato aveva la faccia soddisfatta come avevano sia il giovane Hussein sia Luciano.
"M'ha voluto lasciare un centone," mi sussurrò Luciano, "e io ne ho dato metà a Silvia."
"Hai fatto bene." gli dissi.
"Penso che il ragazzo verrà di nuovo. Sembrava soddistatto di come l'ho preso. Ha il fuoco addosso, quello..."
"Bene. Ma tientelo per te." lo ammonii io.
"Non l'ho detto neanche a Silvia. So che non vuoi che ne parliamo." disse Luciano.
"Bene." dissi di nuovo io.
L'onorevole e consorte ora stavano ballando. Allora andai a sedere al tavolo in cui Angelo era rimasto tutto solo.
"Ti piace?" gli chiesi, tanto per dire qualcosa.
"Mi piace, che cosa?" mi chiese lui. Aveva una voce morbida ma chiara.
"Qui. Questo club." dissi facendo un gesto con una mano indicando attorno a noi.
"Gradevole." disse lui tentando di trattenere uno sbadiglio.
Notai che aveva belle mani, curate. "Non hai voglia di ballare?"
"Non mi piace."
Non era incoraggiante. Restai per un po' lì seduto con lui, senza dire niente. Guardavo la sala, per evitare di guardarlo troppo. Finché onorevole e dolce metà tornarono al tavolo. Mi alzai e ripresi a fare il mio dovere di patron. Il club si stava riempiendo. Ottima serata. Anche se Angelo pareva annoiarsi a morte. Avrei voluto poterlo far divertire a modo mio...
Una delle modelle al tavolo di Steven, lo stilista australiano che veniva al club ogni volta che faceva una sfilata a Roma, cioè circa quattro volte l'anno, a cui facevo solo pagare un mese ogni volta, invece di fargli pagare l'anno intero, venne a chiedermi se la facevo ballare.
Era una bella pollastrella, aveva una voce molto sexy, un corpo un po' troppo magro, occhi pieni di promesse. Mi scusai, le dissi che non potevo permettermelo e che mi dispiaceva, ma che poteva farsi dare il mio numero di telefono da Steven...
Mi guardò sorpresa: "Che cosa ti fa pensare che io abbia voglia di telefonarti?" mi chiese, improvvisamente sulle sue.
"Così ti puoi concedere un giro di danza con me... quando sono meno occupato. Tu e io da soli..." le dissi guardandola col mio sguardo assassino.
Fece spallucce e andò a chiedere a un altro di farla ballare. Sì, fai spallucce, mi dissi, ma ci scommetto che te lo fai dare il mio numero da Steven.
Steven era simpatico. Ci aveva provato con me, ma era un po' troppo effeminato per i miei gusti. Io a letto voglio che l'uomo sia uomo e la donna sia donna. Sarò all'antica, ma non mi piacciono né le donne viriloidi né gli uomini effeminati. Manlio, era tutto meno che una checca, nonostante i suoi difetti.
Una sola volta ci avevo provato con una checchina... quando quello s'è messo a fare le mossette come una femmina in calore, il mio fedele compagno si è sgonfiato in quattro e quattr'otto e ha ripreso a dormire. Non ci posso fare niente.
Non sono sicuro, ma credo che Steven si sia passato, uno alla volta, tutti i nostri steward. Loro forse sono più di bocca buona di me, non so.
All'improvviso è arrivato Bénoit a parlarmi. Vista la sua faccia, ho subito capito che c'era qualche problema. C'era. All'ingresso c'era una coppia che voleva entrare senza essere soci, e stava piantando un quarantotto. Mi chiese se doveva chiamare i ragazzi per farli sbattere fuori, o se volevo occuparmene io.
"Chi sono?" gli chiesi.
"Non lo so, non hanno voluto dirmi né chi sono né perché vogliono entrare qui senza essere soci. Io gliel'ho detto che senza una presentazione..."
"Me ne occupo io." gli dissi, "tu occupati della sala." e andai all'ingresso.
Il povero Mario, che quella sera faceva il receptionist, stava cercando, in modo gentile ma deciso, di far abbassare il tono ai due.
"Che succede?" chiesi io chiudendomi la porta alle spalle.
I due cominciarono a parlare contemporaneamente. Lui era alto e con un gran casco di capelli ricci, aveva un anellino d'oro alla narice destra, era vestito tutto in pelle grigia morbida, roba costosa. Lei era una spanna più bassa di lui. Faceva pensare a Morticia Frump Addams.
"Se avete la cortesia di parlare uno alla volta..." dissi io chiedendomi da dove fossero piovuti quei due.
Parlò lui: "Non capisco perché fate tutte queste storie. I nostri soldi vi fanno tanto schifo?"
"Conoscete qualcuno dei nostri soci?" chiesi io senza badare alla sua battuta.
"Io sono il cugino del presidente del Senato."
"Mi dispiace, non è un nostro socio." gli dissi io gelido.
Quelli che vantano grandi parentele, vere o false che siano, mi danno sui nervi. Un po' come quelli che dicono: lei non sa chi sono io.
"Ti rendi conto che io ti posso far arrivare qui la polizia e farti chiudere i battenti?" mi dice quello con una faccia da schiaffi che per poco glieli davo davvero.
"Se non sono soci, e se non hanno il mandato di un giudice, anche loro non entrano." gli dissi io tranquillo. "Se avete saputo del nostro club da uno dei nostri soci, fatevi fare una presentazione e se ne può riparlare. Adesso per cortesia uscite, questa è proprietà privata e non avete nessun diritto di stare qui."
Intervenne Morticia: "Andiamocene Dodi, che me ne frega se non ci vogliono in questa fogna. Non mi va di rovinarmi la serata a pregare una manica di rottinculo." gli disse tirandolo per un braccio.
L'altro ci lanciò un'occhiataccia che nelle sue intenzioni voleva essere omicida, prese la sua dama per la vita e uscì. Così potei tornare nel club ai nostri soci, che per quanto vari e assortiti più degli ospiti di uno zoo, erano molto più gradevoli dei due che erano appena usciti.
Il club era affollato, non c'era più un tavolo libero, nemmeno quelli che solitamente tenevo riservati per me. Parecchie coppie ballavano e i camerieri dovevano fare lo slalom per andare a servire ai tavoli, portar via i bicchieri vuoti eccetera.
La cosa curiosa che avevo già notato in altre occasioni, era che quando avevamo il pieno, come quella sera, quasi nessuno chiedeva di appartarsi con un membro del nostro personale negli studi privati... Meglio così.
L'onorevole con consorte e con Angelo se ne andarono, e per me fu come se di colpo avessero ridotto di metà l'illuminazione del club! E non certo perché se ne era andato l'onorevole. Cavolo se ero preso da quel ragazzo. Prima che uscissero tutti e tre, ero riuscito a dare al bell'angelo una tessera provvisoria del club, una di quelle gratuite, che gli avrebbero permesso di venire anche senza scorta.
Speravo proprio che tornasse, da solo, e meglio pure se in una sera in cui Manlio non fosse venuto: volevo corteggiare Angelo, conquistarlo. Ammesso che si lasciasse conquistare da uno del suo stesso sesso... Quel ragazzo m'era entrato nel sangue.
Sarà perché io funziono a dovere sia con le gallinelle che con i galletti, purché siano di bell'aspetto, ma m'illudevo che anche altri che facevano mettere sull'attenti il mio nascosto compagno avessero la mia stessa propensione.
Non ero proprio riuscito a capire da che parte della barricata stesse Angelo, o se come me stesse a cavalcioni... Comunque non riuscivo a togliermelo dalla testa. Per tutto il resto della serata ogni tanto guardavo verso il tavolo a cui era stato seduto il ragazzo, inconsciamente disturbato nel vederci seduti altri soci e non lui...
Tornai a casa esausto, e non sentii neanche la mancanza di una compagnia, quando mi stesi sul mio letto. M'addormentai di schianto.
Era passata una settimana. Manlio era scomparso, partito per uno dei suoi viaggi per chissà dove e che sarebbe durato chissà quanto. Non aveva l'abitudine di dirmi niente, se non che partiva, bontà sua. Non che ne sentissi la mancanza, tutt'altro. Credo che si divertisse a tenermi sul chi vive, non dicendomi quando sarebbe tornato: me lo sarei visto comparire al club all'improvviso e m'avrebbe salutato con il suo glaciale "Sono di nuovo qui."
Era un sabato, un sabato pomeriggio tardi. Mi stavo preparando, mentre Zulaide, la modella che s'era fatta dare il mio numero di telefono da Steven, finiva di truccarsi in bagno. Era stata una bella scopata, ci sapeva fare a letto: aveva perso la sua aria di sufficienza, troppo occupata a esplorare tutte le possibilità che il mio corpo, e il mio fedele compagno, le offrivano.
Non volle venire al club con me, perché diceva che i sabato sera erano troppo affollati all'After-taste. Così alle otto ero al club a verificare che tutto fosse pronto per la serata. Speravo che Manlio si decidesse a tornare: dovevo affrontare un discorso serio con lui.
Volevo un appartamento un po' più grande, più comodo. Dopo tutto me lo meritavo, no? Tutti i giorni dalle otto di sera alle sei di mattina, escluso il lunedì. Doveva aumentarmi lo stipendio, o la percentuale sui guadagni. Non aveva senso che mi facessi il culo così, per sessanta ore alla settimana, per quello che mi dava. E meno male che Bénoit pensava lui agli approvvigionamenti e alla manutenzione.
Un ragazzo efficiente, Bénoit, il più prezioso dei miei collaboratori. Anche il suo stipendio doveva essere aumentato, anche se lui non m'aveva chiesto niente. S'era messo in coppia con Annamaria, una delle nostre hostess, e le aveva fatto lasciare il lavoro al club, dato che non gli andava di vederla andare in uno degli studi con uno o una dei nostri soci.
Annamaria, per essere a casa quando Bénoit tornava, aveva trovato un lavoro in un consenter, turno di notte. Prima che si mettesse con Bénoit, avevo avuto qualche incontro intimo con lei, e sapevo che ci sapeva fare... ero contento per Bénoit, per tutti e due.
Al club c'era già Danilo, il nostro pianista, che stava provando alcuni pezzi nuovi. Un bravo pianista, molto versatile, Danilo. Sì, anche a letto... Pur non essendo parte del personale del club, infatti lo pagavo a serata, era praticamente in pianta stabile da noi, era diventato un elemento fisso della scena. Solo il suo completo bianco e camicia carta da zucchero lo distingueva dal personale.
Bénoit si stava affaccendando perché tutto fosse pronto in tempo, e lanciava ordini come un generale sul campo di battaglia. Alla reception era di turno Lisetta, che si stava rifacendo le unghie.
Mi sentivo un po' stanco, quel sabato sera, ma sapevo che la stanchezza sarebbe scomparsa come d'incanto all'arrivo dei nostri primi ospiti. Andai in ufficio a riordinare alcune carte. Suonò il telefono: era Marco.
"Eugene, ho trovato due bijoux, ma lui ha diciassette anni... vero che posso portarlo al club, che fai un'eccezione?" mi chiese in tono speranzoso.
Mi chiedo dove se li va a cercare. Beh, per un cantante, fra i suoi fans... È vero che per la legge, se hanno più di sedici anni e sono consenzienti... ma la nostra regola era chiara: solo maggiorenni, o minorenni accompagnati dai genitori, come nel caso di Hussein (che tra parentesi è tornato un paio di volte, ripetendo a beneficio del padre il giochetto con Silvia e Luciano).
"Conosci il regolamento, Marco. Mi dispiace, ma..."
"Se lo vedi... pare un ventenne, non dimostra la sua età..."
"Ma la carta d'identità che gli ospiti devono mostrare alla receptionist..."
"Ti prego... dopo tutto ha solo un anno in meno, anzi solo sette mesi... E nessuno degli altri a vederlo può immaginare... Siamo amici, no? Fai una piccola eccezione, dai."
Avevo voglia di dirgli di sì, nello stesso tempo, una volta fissato un limite... Più che altro non volevo che si spargesse la voce che si poteva chiudere un occhio, altrimenti tutti avrebbero chiesto una "piccola" eccezione.
"Se sia il ragazzo che tu dite a tutti che ha venti anni... posso chiedere alla receptionist di non controllare i documenti, per questa volta, quando arrivate..." dissi incerto.
"Grazie, sei un vero amico."
"Ma aspetta, ci sono due condizioni."
"Sì?"
"Prima e ultima volta. E non te lo porti in uno degli studi..."
"Ma..."
"E niente alcolici al ragazzo."
"Questo va bene... però sai che..."
"Non voglio avere grane, non lo capisci? O così, o niente."
"Gli avevo promesso..."
"Spiegagli che non si può, per altri sette mesi. Le conosci le nostre regole, no? Non puoi portartelo in una altro posto, per quello?"
"È tutto eccitato all'idea di venire all'AT..."
"E ci viene, per questa volta. Ma o così, o niente."
"E va bene. Grazie, comunque."
Andai subito a dire a Lisetta di non chiedere i documenti, solo per questa volta, agli ospiti di Marco. Mi chiese perché... che deliziosa ochetta! Le dissi che conoscevo i suoi ospiti e che perciò garantivo io, e tanto bastava. Annuì.
Cominciarono ad arrivare i primi soci. Alessandro, come sempre, chiese di Alfio e scomparve con lui. Chissà perché quei due non si decidevano a mettersi insieme seriamente? Bah, cazzi loro. Letteralmente.
Poi arrivò Maurizio, solo come al solito. Andò a sedere al suo solito tavolo, ordinò la sua solita acqua tonica corretta gin... Nonostante tutti gli sforzi degli amici del club, era ancora desolatamente vergine, come il solito...
Il club si stava lentamente riempiendo, per mezzanotte erano rimasti liberi pochi tavoli. Frank era arrivato con un'amica, una ricca vedova americana dall'aria di donna in carriera, che a differenza di Frank parlava solo inglese, con un forte accento del Texas. Erano andati a sedere al tavolo di Maurizio.
Poi arrivò Marco con le sue due ultime conquiste. La ragazza doveva avere sui venticinque anni, il ragazzo davvero ne dimostrava venti. Andarono a sedere anche loro al tavolo con Maurizio e Frank. Belloccio, il ragazzo di Marco. Si guardava attorno con l'espressione di chi sta visitando il Topkapi a Instanbul o il tesoro della corona nella Torre di Londra, e ogni tanto si chinava a sussurrare qualcosa a Marco.
Maurizio andò a ballare con la ragazza che era arrivata con Marco. Mi chiesi se era lui ad aver invitato lei o viceversa... Seppi poi che era stato Marco a decidere che dovevano ballare assieme. Voleva forse vincere la scommessa su chi, fra gli amici, sarebbe riuscito a far perdere la verginità al nostro Maurizio. La ragazza gli si strofinava addosso e Maurizio, notai, non tentava di mantenere le distanze. Anzi, mi pareva che avesse il volto lievemente arrossato: buon segno.
Anche Frank con la vedova erano andati a ballare. Notai che, sotto il tavolo, la mano di Marco s'era spostata su una gamba del ragazzo, che ora lo guardava con occhi che gli dicevano "fottimi, fottimi". Non so se feci bene o male, ma a quel punto decisi di mandare al diavolo i nostri regolamenti.
"Venite." dissi ai due.
Marco mi guardò sorpreso, poi con un sorriso incerto fece cenno al ragazzo di seguirlo. Li portai nel mio ufficio.
"Qui state tranquilli, per un po'. Chiudi la porta, Marco... Apri solo se senti la mia voce. Non fate troppo casino." dissi e li lasciai soli.
Mentre traversavo la hall per tornare in sala, sentii Lisetta dire: "Mi spiace, ma i soci temporanei non possono portare ospiti..."
Guardai: c'erano un ragazzo, una ragazza, e un'altro ragazzo che stava parlando con Lisetta. Il mio cuore fece il doppio salto mortale: quello che parlava con la nostra receptionist, era Angelo!
Lui mi vide e mi fece un ampio sorriso: "Si ricorda di me, mister Eugene?" mi chiese.
Se mi ricordavo di lui? Oh, altro che se lo ricordavo!
"Certo che mi ricordo..." gli dissi emozionato.
Cavolo, che mi faceva quel ragazzo? Nessuno mai m'aveva turbato tanto, in vita mia. E perché mi dava del lei, ora?
"Lisetta, i due amici del nostro socio, sono miei ospiti, perciò possono entrare." le dissi.
"Non devo chiedere neanche a loro i documenti?" mi chiese l'ochetta, non se se ingenuamente o per ricordarmi che quella sera stavo facendo troppe eccezioni.
Al diavolo, il patron ero io e potevo fare come meglio credevo senza dover rendere conto a Lisetta. "Certo che devi prendere i loro dati, come dice il nostro regolamento." le dissi un po' secco, per ricordarle di restare al suo posto.
"Allora possiamo entrare tutti e tre?" mi chiese Angelo con un sorriso grato, una volta espletate le formalità.
"Certo, venite, vi trovo un tavolo." gli dissi, emozionato: era la prima volta che ci scambiavamo tante parole e che lui mi sorrideva così...