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una storia originale di Andrej Koymasky


LO STALLONE DOMATO CAPITOLO 6 - LUFTHANSA SERVICE

Erano le cinque del pomeriggio. José dopo avermi chiesto la sera prima se mi andava, era tornato a farmi visita. Prima di scendere da letto, gli detti una lieve pacca sul bel culetto. Lui mugolò qualcosa e si girò su un fianco, girandomi le spalle, ancora addormentato. L'unica cosa che l'avrebbe fatto svegliare con un bel sorriso era fargli assaggiare qualcosa che però non avevo più voglia di offrirgli, dopo due volte in fila. Era insaziabile, quel ragazzo.

Scesi dal letto, andai in bagno a fare una doccia e a rasarmi accuratamente la barba. Poi andai in cucina a preparare un caffè. Tornai in camera da letto, posai il vassoietto con le due tazzine fumanti sul comodino dalla sua parte e lo scossi.

Aprì gli occhi, mi guardò con aria assonnata, si stirò voluttuosamente, poi mi disse: "Torna qui a letto con me, dai, Eugene..."

Davvero insaziabile.

"Alzati, José," gli dissi scuotendo il capo, "Da un momento all'altro arriva mia madre."

"Tua madre?" chiese il ragazzo alzandosi a sedere come se fosse scattata una molla.

"Sì, mia madre. Ha appena telefonato che passa qui fra meno di un'ora."

"Oh, cazzo!" mormorò scendendo dal letto, il suo bel fratellino dritto e fiero come la banderilla di un torero. Bevve in un sorso il caffè e si precipitò in bagno. Poi dal bagno gridò: "Ma io non l'ho sentito, il telefono!"

Ridacchiai. "Dormivi troppo fondo per sentirlo." gli gridai in risposta.

Sempre gridando, mi chiese: "Ma lei sa di te?"

"No, pensa che io mi porti qui solo gallinelle, non galletti. Se ci trova te, le prende un colpo!"

Sentii scorrere l'acqua della doccia. Cominciai a rivestirmi. Dopo poco lui arrivò, fresco e bello come una rosa. Ammirai le sue belle nudità.

"I miei non lo sanno perché non sono più in seminario. E se avessero saputo che facevo lo strip in un night per sole donne... mio padre mi ammazzerebbe se sapesse la verità. Adesso lavorando all'After-taste, sono più tranquillo. Sai che scopi proprio bene, tu?"

"Sì, lo so. Mi chiamano stallone, per questo."

"Un nome giusto." Si rivestì e mi salutò. "Ci vediamo all'AT, stallone." mi disse facendomi l'occhietto. E uscì.

Erano già le sei. Cambiai le lenzuola e avviai la lavatrice. Misi lenzuola pulite sul letto e sistemai tutto. Misi via la scatola dei preservativi e il gel, riportai le tazzine in cucina e le lavai.

Stavo aspettando l'ora giusta per andare al club quando squillò il telefono.

"Il signor Porter?" chiese la voce di una pollastrella a metà fra il professionale e il seducente. Chi poteva chiamarmi?

Mi secca quando qualcuno che chiama ti chiede chi sei. Un po' seccato dissi: "Se lei mi ha chiamato, sa chi sono io. Lei chi è, piuttosto?"

"Oh, mi scusi. Sono Margherita Bondi, la segretaria della contessa Floriana del Pozzo."

Mi chiesi se Manlio o la consorte avessero avuto un incidente. Non mi aveva mai chiamato, prima, la segretaria della vecchia, non sapevo neanche che faccia avesse.

"Per che cosa mi chiama, signorina?" le chiesi cercando di tornare a un tono cortese.

"Signora, prego." Stupida precisazione: che me ne frega a me se è sposata o no? Mica le stavo facendo la corte... "La contessa desidera che lei vada a Chicago per vedere se si può aprire una sede dell'After-taste anche là."

"Chicago? Stati Uniti?" chiesi io, come se ci fossero una dozzina di Chicago in giro per il mondo.

"Sì. Dovrebbe partire domani. Le ho già prenotato un biglietto per la mattina alle sette, con la Lufthansa. Capisco che ha poche ore per prepararsi, ma..."

"Poche ore, dice lei... e il club... e preparare le mie cose..."

"Mi ha telefonato la contessa. Dice di non preoccuparsi di nulla, basta che abbia con sé il passaporto. Là avrà quanto le può occorrere, dallo spazzolino dei denti, a..." iniziò a dire la "signora".

"D'accordo, ma... devo comunque passare al club... Quanto dovrò stare via?"

"Credo per pochi giorni, ma non le saprei dire. Può partire domattina?"

"Sì... e il biglietto?"

"Faccio venire l'autista della contessa a prenderla. Lui avrà il biglietto. Il suo passaporto è in ordine?"

"Sì... a che ora viene, l'autista?"

"Alle quattro domattina. Le faccio telefonare quando parte per venire a prenderla. Va bene?"

"Sì... sì, va bene. Non devo portare proprio niente, ha detto?"

"Esatto. All'aereoporto a Chicago ci sarà qualcuno ad attenderla."

"Come mi riconosce? Ci sarà il conte?"

"Un incaricato. Avrà un cartello con il suo nome, presumo."

"Ah. Sì, certo." Che ne so io di viaggi internazionali? Di viaggi, semplicemente. Ma se quella diceva così...

Andai al club, lasciai le consegne a Bénoit. Gli dissi che quando fossi arrivato a Chicago gli avrei telefonato per dargli il numero dove mi poteva rintracciare in caso di problemi.

Poi tornai a casa e cercai di dormire, visto che mi aspettava un lungo viaggio. Davvero potevo non portarmi niente, oltre il passaporto? Lo controllai: sì era in ordine. Preparai un completo semi-formale per il viaggio, infilai in tasca il passaporto, controllai il portafogli e quanti soldi avevo con me. Non molti... Avrei dovuto prenderne al club...

Non riuscivo ad addormentarmi. Ripensai al mercoledì precedente, quando ero andato con Angelo e le sue due appendici al pranzo in ambasciata. Dio, quant'era bello, quel ragazzo! Me lo mangiavo con gli occhi. Per tutto il pranzo non feci che guardarlo. Lui si accorse di come lo guardavo... Se non ha capito durante quel pranzo, mi sa che non capirà mai.

Lui mi guardava con espressione neutra: né compiaciuto che lo guardassi, ma neppure seccato. Dopo il pranzo, gli proposi di andare a San Pietro per salire sul cupolone. Accettò. Helena, quando seppe che bisognava fare una lunga scala a pieidi, decise di aspettarci sotto, col fratello. Meglio così.

Angelo e io salimmo. Arrivati sulla lanterna, lui si guardò attorno con l'espressine di un ragazzino che vede l'albero di Natale colmo di doni.

"Mai stato quassù?" gli chiesi.

"No, mai..." disse quasi sottovoce.

Con la scusa di indicargli i punti più interessanti di Roma, mi spinsi un po' contro di lui, sospingendolo verso la balaustra, in un semiabbraccio molto lieve, amichevole, non troppo esplicito. Lui non si mosse, non si sottrasse, non fece nulla per incoraggiarmi... Il mio fedele compagno si stava facendo insistente, e faticai a tenerlo a bada, soprattutto a non farlo sentire ad Angelo.

Se Manlio mi avesse visto in quel momento, sono sicuro che mi avrebbe cavato gli occhi. Stava diventando sempre più possessivo, e mi stava sempre più stretta la relazione con lui. Al diavolo Manlio! Se fossi riuscito a farmi dire di sì da Angelo, sarei stato disposto a perdere tutto, pur di avere lui. Avevo davvero perso la testa per quel ragazzo.

Sì, l'avevo proprio persa, se ancora non gli saltavo addosso. Di solito ero molto più deciso, non dico aggressivo, ma esplicito. Non me n'ero mai pentito. Ma con Angelo non ci riuscivo. Con una gallinella o un galletto, gli avrei già spinto il mio fratellino contro per fargli sentire cosa provavo... Con Angelo, invece, facevo del tutto perché non lo sentisse. Davvero, non mi riconoscevo più.

Mentre scendevamo, durante una sosta lungo la stretta scala, lui si girò e mi disse "Grazie". Grazie per averlo portato lassù? Grazie per non essergli saltato addosso? Grazie semplicemente per stare con lui?

Poi li portai in un caffè, dove chiacchierammo di mille stupidaggini. I fratellini londinesi, logicamente, parlarono soprattutto del tempo. Sarà un clichè, ma quei due parevano davvero più interessati al tempo che a qualsiasi altra cosa.

Quando venne il cameriere a prendere gli ordini, un ragazzo niente male, con i calzoni attillati come piacciono a me, notai che lo sguardo di Angelo indugiava un po' più a lungo del normale sulla patta del ragazzo... Beh, se gli interessa, mi dissi, ho qualche speranza. Quando il cameriere tornò con le nostre ordinazioni, di nuovo Angelo gli carezzò la patta con lo sguardo. Questa volta ero sicuro... Quello era più che un semplice sguardo casuale o solo curiosità...

"Ti spiace riportarmi a casa e lasciare i miei amici al loro albergo?" mi chiese Angelo.

"Nessun problema." risposi.

Logicamente prima portai i due al loro albergo. Poi, finalmente solo con Angelo, invece di portarlo a casa dello zio onorevole, lo portai sotto casa mia. Fermai l'auto.

"Dov'è qui?" mi chiese Angelo un po' stupito per quella fermata.

"Casa mia. Perché non vieni su? Prima di andare al club, ti preparo qualcosa da mangiare, per concludere il pomeriggio..." M'ero fatto audace.

"Oh, Eugene, non devi disturbarti. Hai già fatto abbastanza per noi, oggi pomeriggio."

Ingenuo, o furbo? Un "no, grazie, so cosa vorresti da me", o i normali complimenti fra due che, dopo tutto, si conoscono appena. Ma io ero deciso a farlo venire su da me.

"Che vuoi che sia. A me farebbe piacere farti vedere dove vivo. Niente di speciale, è piccolo, ma gradevole."

"No, davvero, Eugene. Preferisco tornare a casa."

Non potevo stare lì a discutere tutta la serata. Perciò rimisi in moto e, cercando di non mostrare la mia delusione, guidai fino a sotto la casa del suo onorevole zio.

Quando fermai di nuovo, lui mi guardò con un sorriso: "Grazie." mi disse di nuovo, e scese. Il suo sorriso mi fece passare la scontentezza. Era caldo, gentile, bello... Ma che cazzo, stavo diventando un romantico rincoglionito? Accontentarmi di un sorriso e di un grazie... Dov'era andato a finire lo stallone di razza?

Comunque, devo ammettere di non aver mai incontrato un ragazzo come Angelo, prima. Era gentile, bello, quieto, non si dava arie anche se avrebbe avuto tutte le carte in regola per darsene... Un ragazzo pulito, giovane, un angelo in tutti i sensi.

E adesso dovevo andarmene per chissà quanti giorni... Mi alzai e controllai di avere con me i suoi numeri di telefono. Quando mi aveva dettato i dati per registrarlo e fargli la tessera, dopo me li ero copiati su un foglietto e lo avevo ripiegato e messo nel mio portafogli. Avrei voluto anche avere una sua foto, ma non m'ero ancora sentito di chiedergliene una.

Se fossi stato sicuro che era interessato a una relazione con un maschio, l'avrei potuto corteggiare più esplicitamente... potevo anche chiedergli una foto. Corteggiare... Cavolo, persino quella parola era nuova per me. Non avevo mai avuto bisogno di corteggiare nessuno, io. Di solito mi bastava guardare una gallinella o un galletto in quel certo modo, che erano loro a pregarmi di portarmeli a letto. Altro che corteggiare.

Mi imbarcai sull'aereo senza essere riuscito a chiudere occhio. Era quasi vuoto, ci sarà stato si e no un quinto dei posti occupato da passeggeri. Gli stewards e le hostess (quelli veri, non come i nostri, anche se pure quelli sull'aereo, dopo tutto, non erano altro che cameriere e camerieri) fecero tutta la loro pantomima mentre l'aereo rollava sulla pista. Per me era la prima volta, perciò li guardai assorto. Più vicino a me c'era una hostess assolutamente poco interessante.

Dietro di lei un ragazzetto dai capelli ricci, che invece non era niente male. Perciò, anche se era più lontano da me, guardai le sue istruzioni e pantomime. Un paio di volte i nostri sguardi si sono incontrati e io gli ho lanciato uno dei miei sorrisi. Lui non ha cambiato espressione, ma i suoi occhi hanno lanciato un messaggio di discreta risposta. Un semplice "ricevuto", per così dire.

Finite le pantomime, si sono affaccendati a preparare il pasto nel cubicolo che non so come si chiama. Poi lui è passato a distribuire i menu. Li porgeva ai pochi altri passeggeri con un gesto gentile e un sorriso professionale.

Arrivato al mio posto, me l'ha dato e mi ha detto, con un sorriso un po' più che professionale: "Se desidera qualcosa di speciale..."

"Sì... anche se credo che non ci sia sul menù." gli ho detto guardandolo col mio sguardo assassino.

Ha fatto un risolino divertito: aveva colto immediatamente il messaggio. Niente male, il ragazzo. Sulla targhetta ho letto il nome: Heinrich.

"Le interessa guardare il film? Dopo la colazione tiriamo giù lo schermo..."

"Qualche alternativa più interessante?"

Un altro risolino: "Qualche passeggero, se ha già visto il film, va a sedere giù in fondo... è tutto libero..."

Niente da dire, quando decido che vale la pena di colpire, colpisco. So essere irresistibile, modestia a parte.

"Ho già visto tutti i film. Andrò a sedere giù in fondo." gli dissi.

"Bene, quando abbassiamo le luci..." mi disse il ragazzo.

I pantaloni dell'uniforme gli fasciavano il culetto in modo delizioso, avrei avuto voglia di allungare la mano e palparglielo, ma quelli seduti più in dietro di me potevano vedere... Mi portò il vassoietto del cibo, passando con il carrello assieme alla vikinga poco interessante. Quando lo presi le nostre mani si sfiorarono e il suo sorriso si accentuò. Rispondemmo al suo sorriso, sia io che il mio fedele compagno.

Quando tirarono giù lo schermo, poi si abbassarono le luci, passarono a tirar giù le tendine dei finestrini. Aspettai che scorressero i titoli di testa e cominciasse il film. Quindi mi alzai e andai in fondo all'aereo. Heinrich era nella cucinotta che riordinava tutto assieme a un altro steward un po' più vecchio di lui, un po' stempiato, e un po' troppo in carne per i miei gusti, e stavano parlando in tedesco e ridendo.

"Posso dare una mano?" chiesi entrandovi anche io.

"Mi scusi, signore, ma i passeggeri non sono autorizzati a entrare qui." mi disse lo stempiato.

"Può andare ad accomodarsi in uno dei posti giù in fondo. Fra poco qui abbiamo finito." mi disse Heinrich con un sorriso pieno di promesse.

Anche l'altro mi fece un sorriso. Aveva bei denti, anche begli occhi, ma per il resto preferivo sicuramente il bell'Heinrich. Andai a sedere accanto al finestrino, lasciando i due sedili alla mia destra vuoti, ma tirai su tutti i braccioli. Fuori c'era un mare di nubi bianche che splendevano sotto il sole.

Arrivò dopo poco e sedette accanto a me, sorridendomi: "Chiuda il finiestrino, è meglio."

Eseguii. Nella semioscurità, lo guardai: "E adesso, che succede?" gli chiesi.

"Tutto quello che desidera." mi rispose lui con un sorrisetto malizioso.

In quel momento mi venne in mente Angelo, così timido e innocente e dolce... non lo stavo tradendo, dopo tutto ancora non c'era stato niente fra noi né sapevo se ci sarebbe mai stato qualcosa.

Allungai una mano e gliela posai su una coscia.

"Tutto qui? Pensavo a qualcosa di più..." mi disse lui con un sorrisetto, poi prese dal sedile vuoto una delle tre copertelle blu in dotazione e la stese sulle nostre gambe. "Marcus sta di guardia per avvertirci se arriva qualcuno che vuole usare i gabinetti qua in fondo."

Che organizzazione! pensai. Volate Lufthansa e avrete un servizio completo. Sotto la copertella la mia mano iniziò a esplorare: l'aveva già sull'attenti anche lui. Lottai con la sua cintura. Lui scese sotto la copertella con le mani e mi aiutò nel mio compito. Io gli infilai la mano sotto la camicia e salii a pizzicargli con la giusta pressione i capezzoli. Emise un lieve sospiro e la sua mano si posò fra le mie gambe.

Con poche mosse rapide ed esperte, mi aprì i calzoni e in un attimo me l'aveva già preso saldamente in mano. Un tocco caldo ed esperto, un ottimo inizio.

"Ma l'altro steward... nessun problema?" gli chiesi continuando a stuzzicarlo nei punti giusti.

"Marcus è il mio ragazzo." spiegò lui fremendo tutto ai miei toccamenti, e massaggiandomi lì con perizia.

"Il tuo ragazzo? E ti fa il palo mentre tu..." gli chiesi stupito.

"Una volta per uno, quando capita." disse lui, poi mi tolse la copertella dal grembo e si tuffò giù a fare qualcosa di più serio.

Gli carezzai i capelli mentre la sua testa andava su e giù. Ci sapeva proprio fare, muoveva anche la lingua nel modo giusto. Evidentemente non era di primo pelo. Chiusi gli occhi a godere il suo alacre lavorio... Poi portai la destra sul suo culetto e lo palpai. Sodo, piccolo, attraente. Infilai una mano sotto i calzoni per palparlo anche meglio. La mia mano trovò la via fra le sue chiappette e il mio dito medio gli stuzzicò il foro...

Tirò su la testa: "Lo vuoi? Vuoi fottermi?" mi chiese eccitato.

"Sì, ma qui..." risposi.

"Aspetta un attimo." mi disse. Si ricompose e andò a parlottare con Marcus, il suo ragazzo. Lo stempiato guardò un attimo verso me e fece un sorrisetto, annuendo. Heinrich tornò da me, ma invece di sedere, mi disse: "Vieni."

Mi fece entrare in uno dei minuscoli cessi, ci chiudemmo dentro e ci calammo i calzoni. Mi ricordai la prima volta che l'avevo fatto con Manlio nel suo minuscolo ascensore. Chiuse il coperchio del water e mi ci fece sedere sopra. Frugò in tasca e tirato fuori un preservativo, me lo infilò. Poi sedette sopra di me e guidandomelo, se lo fece scivolare tutto dentro.

Stavamo molto stretti, ma non tanto da non riuscire a farlo. Cominciò a muoversi su e giù e i suoi occhi erano allegri. Lo tirai a me e lo baciai in bocca. Sapeva anche baciare molto bene. Mugolava contento.

Io ero molto eccitato, sia per la situazione inconsueta, sia perché il ragazzo ci sapeva fare, sia per l'idea che il suo ragazzo ci stava facendo da palo.

Sentimmo la voce di Marcus: "Mi spiace signora, i gabinetti non sono in ordine, quaggiù, il mio collega li sta sistemando. La prego di usare gli altri su a metà del corridoio."

Heirich fece uno dei suoi risolini e continuò a cavalcare allegramente. Quando sentì che stavo per arrivare al capolinea, fu lui a baciarmi in bocca e mi si dimenò sopra fino a quando mi sentì rilassare. Allora si fermò. Quando riaprii gli occhi, lui mi guardava allegro.

"Tutto bene?" mi chiese.

"Non immaginavo cha la Lufthansa fornisse anche questo ottimo servizio." gli dissi ridacchiando.

"No, questo è un extra che Marcus e io offriamo a una clientela molto scelta." disse lui disincagliandosi da me e rimettendosi in piedi.

"Tu non sei venuto..." gli dissi.

"Ci manca poco. Ti dispiace se..."

Si mise in piedi davanti al lavello e iniziò a masturbarsi velocemente. Mi alzai e mi addossai a lui, sfregandogli sulle chiappette il mio amico ancora semieretto e stuzzicandogli i capezzoli.

"Sì... sì..." mormorò lui rovesciando la testa sulla mia spalla. Gli titillai un orecchio con la lingua e venne anche lui, sussultando.

"È stato bello, grazie." mi disse il ragazzo. Mi ripulì, si ripulì, fece scomparire ogni traccia e ci ricomponemmo. "Esco prima io. Grazie." ripeté ancora. Sulla porta disse: "Non so come si chiama, lei, signore, ma spero che usi ancora questo volo della Lufthansa." e uscì.

Tornai al mio posto. I due stewards non si vedevano in giro. Sedetti soddisfatto. Era stata davvero una bella scopata, inusuale, molto gradevole.

Mi addormentai quasi subito. Dormii a lungo. Qualcuno mi scuoteva delicatamente. Era la vikinga.

"Stiamo per atterrare. Tiri su lo schienale e si allacci la cintura di sicurezza, per cortesia." Dovevo avere un'aria strana, perché lei, mentre eseguivo quanto richiestomi, mi chiese: "Tutto bene, signore?"

"Sì, un servizio perfetto."

"Grazie."

"Dovreste solo fare i gabinetti un po' più grandi..." le dissi.

Mi guardò un po' sorpresa: "Scusi?"

"Niente, niente. Un piacevolissimo volo." le dissi.

"Ne ho piacere." rispose lei ed andò a controllare gli altri passeggeri.

Passarono con un ultimo rinfresco. Heinrich mi porse il succo di pomodoro che gli avevo chiesto.

"Che fai stasera?" gli chiesi.

"Sarò in albergo con Marcus. Logicamente. A terra... solo noi due." mi disse con un sorriso lieve e passò oltre.

Passato il controllo dei documenti, dopo aver garantito all'incredulo agente della dogana che non avevo davvero nessun bagaglio, neanche il bagaglio a mano, e che no, non l'avevo dimenticato in aereo, finalmente uscii.

Un tizio dai tratti un po' grossolani, un'aria annoiata, vestito però in modo inappuntabile, teneva in mano un cartello con su scritto con un pennarello rosso "Mr. Eugene Porter". Mi feci riconoscere.

"Venga, l'auto è qui fuori. La porto in albergo."

Lì a Chicago era la mezzanotte. Non avevo pensato al cambiamento del fuso orario. Arrivati in albergo, il receptionist mi dette la chiave della mia camera. Grande, abbastanza elegante. Andai subito a farmi una doccia poi, restando nudo mi stesi fra le lenzuola fresche di bucato. Una splendida sensazione...

Nonostante avessi dormicchiato in aereo, mi addormentai subito. Sognai che stavo a letto con Heirich da una parte e Angelo dall'altra, che ci si divertiva in tre...


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