Mi ero appena alzato e vestito e mi chiedevo che fare, quando fui avvertito che ero atteso nella hall. C'era un autista mandato da Manlio che doveva portarmi da lui. Dal finestrino dell'auto guardavo la città sfilare sotto i miei occhi. Che città! Proprio come nei film: quella era l'America, dunque.
Arrivammo sotto un grattacielo tutto di vetro, così alto che faceva male al collo per vederne su su la punta, contro il cielo che non avresti saputo dire di che colore fosse.
Un ascensore tutto a specchi (mi fece pensare alla stanza per puttaneggiare di Manlio a Roma) che partì come un razzo. Poi, usciti di lì, un altro ascensore e finalmente l'appartamento in cui era Manlio. Non so se suo, di Floriana o in affitto.
Che appartamento! Era all'ultimo piano del grattacielo. Modernissimo, enorme, con un giardino tutto attorno, servi che si muovevano silenziosamente, e che si inchinarono quando Manlio fece la sua entrée.
Manlio! Indossava un kimono di seta nera. Mi salutò con un lieve sorriso e i suoi occhi di ghiaccio, senza dire una parola. Mi fece un lieve cenno e lo seguii. Entrammo in una stanza ottagonale con quattro pareti tutte a vetro che davano sul giardino pensile. Appena chiuse la porta, con un gesto si sciolse la lunga cintura del kimono, che si afflosciò come un lungo serpente attorno ai suoi piedi e si lasciò cadere il kimono dalle spalle restando nudo nella posa della Venere di Botticelli.
"Giù, sul tappeto!" disse con un sorrisetto.
Oh no! Dopo i lunghi giochini con José, poi la prestazione in aereo, e la mia testa piena di Angelo... Mi liberai degli abiti e cercai di fare del mio meglio per accontentarlo e non sfigurare. Che altro potevo fare?
"Sei fuori allenamento, Eugene." mi disse con voce stanca e un tono spigoloso.
"Beh, con te così, lontano da tanti giorni..." mormorai io punto sul vivo: che voleva, dopo tutto lo stavo accontentando, no?
"Oh, per favore, Eugene! Non fare la verginella innocente con me. Datti da fare, ora. Finisci quello che hai cominciato."
Lo accontentai, mettendocela tutta, pur di farlo stare zitto. Lo presi per le spalle e gli detti dentro come un forsennato e finalmente mi abbandonai sulla sua schiena, cercando di non ansimare troppo, per non fargli capire che ero arrivato al limite delle mie forze con quella cavalcata.
Sedetti sul tappeto, lui si alzò sulle ginocchia e girò su se stesso sedendo di fronte e me. Mi guardò con un sorrisetto ironico, poi disse a voce bassa: "Devo chiedere al mio dottore di farti fare una cura ricostituente."
Ci rivestimmo in silenzio. Mi fece andare a sedere in un'altra stanza, dove un cameriere mi portò una abbondante colazione, mentre lui andava a vestirsi. In quell'appartamento le porte non si aprivano su cardini, ma scorrevano dentro le pareti come porte di ascensore, senza il minimo rumore.
Mi chiedevo perché Manlio continuasse a volersi far montare da me con tutti quei servi, uno più sexy dell'altro, che aveva in quell'appartamento. Sembravano tutti divi dei migliori film porno-gay... Ma magari usava pure quelli, come usava me. Anche se non ne avevo le prove, non di prima mano, ma sapevo che Manlio era insaziabile. E gli piaceva possedere la gente. In realtà non aveva bisogno di me, ma solo di continuare ad avermi nella sua collezione, ci avrei giurato.
Tornò ed ebbe la cortesia di rivelarmi il programma della giornata. Andare a comprarmi il necesario per cambiarmi e il resto, poi un cocktail party, poi a casa di suoi amici per il pranzo, qualche incontro con gente importante, un giro delle migliori discoteche della città, poi un altro paio di party...
Dovevo essere vestito nel modo adatto per ognuna delle occasioni, quindi almeno un paio di puntatine al mio albergo, dove avrei trovato gli abiti che aveva comprato per me, per cambiarmi, mentre il suo autista mi aspettava giù.
In altre occasioni sarei stato elettrizzato, anche perché era la prima volta che mi portava con sé come suo "socio d'affari" ma dopo tutto non lo ero. Avrei preferito andare in un bar con Angelo e poi a passeggio con lui al Pincio, o a vedere un film e al buio tenergli una mano fra le mie...
Chissà come stava il mio Angelo. Avevo voglia di fargli una telefonata dall'albergo, ma siccome il conto lo pagava Manlio, o Floriana per lui, non volevo che vedesse a chi avevo telefonato. Mi limitai a chiamare Bénoit per dargli il numero dell'albergo.
Dall'albergo mi limitai a spedire ad Angelo una bella cartolina illustrata: "Dovuto volare senza preavviso a Chicago. Mi spiace, ti penso. Spero che stai bene. Mi sarebbe piaciuto che tu fossi qui, la città è bella. Un abbraccio, Eugene."
Manlio è una vera troia. Salgo accanto a lui in macchina e mi dice: "No, Eugene caro, dobbiamo fermarci da qualche parte per comprarti una cravatta più decente. Non puoi andare in giro con quell'orrore al collo... quando sei con me." Dico io, ma vada a farsi fottere. Che ha la mia cravatta che non va? Lo dice solo per farmi capire che non ho la sua classe, ci giurerei.
Fermata davanti a un negozio che pare venda esclusivamente cravatte! Enorme e con cravatte da tutte le parti. Ve lo immaginate voi un posto che pare una gioielleria ma che vende solo cravatte? A prezzi da gioielleria, comunque, ci scommetto. Manlio gira fra le vetrinette con l'aria di un supervisore, ne sceglie una qua una là, una decina. Me ne fa mettere una e getta quella che portavo nel cestino dei rifiuti. Fa mandare le altre al mio albergo.
Arrivammo al party: era già affollato, eppure tutti parevano guardare Manlio e me. Poi il benvenuto da parte del padrone di casa. Niente meno che Tom Cruise in persona! Sì, proprio lui. Dopo un "Dear Manlio! Here you are!" e una vigorosa stretta di mano anche con me quando Manlio mi ha presentato, era già altrove ad accogliere un altro ospite. Ho stretto la mano a Tom Cruise!
Il salone aveva colonne di falso marmo, i camerieri erano vestiti da legionari romani e le cameriere da vestali! Molto kitch. Seppi che quello era un salone preso in affitto solo per quel party. Meno male, avevo temuto che a casa sua Tom Cruise facesse vestire in quel modo la servitù. Direte che sono un ingenuo, ma che ne so io di queste cose.
Mi ero un po' stufato di trotterellare dietro a Manlio come un cagnolino fedele, perciò quando una gallinella mi salutò con un "Hi, darling" squillante, decisi di fermarmi con lei. Tanto più che, oltre a essere uno schianto, quella aveva gli occhi che dicevano "fottimi, fottimi". Non che mi illudessi di poterlo fare in quel bailamme, ma è comunque gratificante essere apprezzati da una bella gallinella.
Mi disse che si chiamava Samantha, e che paparino era un "famoooso" produttore di film, che in realtà non avevo mai sentito nominare. Non la smetteva mai di parlare, diceva che doveva tornare a Roma un giorno o l'altro, c'era stata solo quand'era una bimba e non ricordava niente di quel viaggio, e s'interrompeva solo per presenatarmi a coppie di suoi amici.
Notai che Manlio non mi perdeva mai di vista. Dopo un po' venne a prelevarmi. "Quella fraschetta vuole solo farsi scopare da te." mi disse sottovoce, in italiano. "Tu devi restare con me, dobbiamo fare propaganda per l'After-taste, non lo capisci?"
"Quello che stavo facendo. Che vuoi che me ne importi di quella." gli risposi un po' seccato. "Se tu me l'avessi detto, mi portavo un po' di biglietti da visita del club, no?" lo rimproverai.
"Provinciale! Mica devi fare propaganda a una salumeria, no? Devi imparare a essere più raffinato, mio caro."
Bene, mi ha dato del provinciale e del rozzo in una sola frase. Incomparabile Manlio!
A un certo punto gli ho detto che dovevo andare in bagno. Chiesto a un legionario dove fosse, andai. Nella stanza su cui erano le porte dei bagni per gentlemen e ladies, vidi un telefono. Lo presi e una soave voce femminile mi chiese "Can I help you?" in un tono sexy. Chiesi se potevo fare una chiamata intercontinentale, Roma, Italia e le dedi il numero di Angelo. Mi disse di restare in linea.
Pochi minuti dopo (magari solo pochi secondi, ma a me erano sembrati eterni) la voce di Angelo, dolce, chiara, bella: "Sì, pronto?"
"Ciao, Angelo, sono Eugene."
"Ma da dove? L'operatore ha detto dall'America..."
"Sì sono dovuto partire senza preavviso, sono a Chicago, non so quanto mi devo fermare qui. Come stai?"
"Bene, grazie. Sei gentile a chiamarmi da Chicago solo per sapere come sto."
"Non volevo che pensassi che ero scomparso senza dirti niente."
"Grazie."
"Che stai facendo?"
"Sono a letto."
Lo immaginai... e mi immaginai steso al suo fianco. Doveva avere un pigiama, era il tipo da pigiama, secondo me. Io dormo sepre nudo, invece.
"Ma che ora è, adesso, in Italia? Ti ho svegliato? Mi dispiace."
"No, mi ha fatto piacere che m'hai chiamato."
Che tesoro. "Mi manchi..." sussurrai.
Sì. Mi mancava davvero. Al di là dell'attrazione pepotente che provavo per lui. Già solo sentire la sua voce mi dava un senso di piacere, di calmo, caldo piacere. Lui non disse niente.
"Ho detto che mi manchi..." ripetei.
"Sì..." rispose Angelo.
"E?" chiesi io.
"E, cosa?"
"Io non ti manco?"
"Non lo so. Cioè... ci si è visti solo pochi giorni fa... e ci si conosce ancora poco." Fece una pausa, "Sì, anche tu." sussurò poi.
Il mio cuore saltò un paio di battiti. "Spero di poter tornare presto a Roma, prima che tu debba andare di nuovo a Londra. Vorrei vederti ancora."
"Sì..."
"Comportati bene, mentre non ci sono. Fa il bravo ragazzo."
"Sì..."
"Ciao."
"Ciao."
Era bello essere vivi! Aveva avuto un tono dolce con me, anche se l'avevo svegliato, anche se ci si conosceva ancora poco, come m'aveva fatto notare lui. Però aveva ammesso che gli mancavo.
Tornai da Manlio sentendomi bene. Lui stava tenendo corte. "Oh, ecco il grande patron del nostro After-taste, Eugene Porter!" annunciò lui quando mi vide tornare al suo fianco. Più d'uno sguardo mi spogliò nudo: una gradevole sensazione. Poi parlò d'altro. Celebre per dieci secondi e poi dimenticato. Finalmente lasciammo il party.
In auto mi disse: "Eugene, caro, non devi mostrarti così affascinato da tutte quelle mezze celebrità. Devi avere un'aria più distaccata. D'altronde all'After-taste hai incontrato gente anche più importante di quella, no?"
Affascinato, io? Ma via! Ero annoiato, se mai. Comunque Manlio pareva conoscere tutti, là dentro e, quello che è più importante, pareva che tutti lo conoscessero. La figlia del famoso produttore, m'aveva detto "Così tu sei l'ultima scoperta del nostro caro conte Manlio... Ha sempre avuto un ottimo gusto, lui. E voi italiani siete così sexy!"
Gli americani saranno una democrazia, ma pare che un titolo di nobiltà faccia colpo su di loro più di un solido conto in banca. Che comunque viene subito dopo a poche lunghezze di distanza. E Manlio aveva sia l'uno che l'altro, oltre a un bell'aspetto e un portamento elegante.
Arrivammo a casa dei suoi amici per il pranzo. Una casa molto elegante, con un ampio giardino. Erano una coppia: lei, Alexandra, della stessa età di Manlio, magra come una fotomodella, faccia ossuta ma truccata in modo sapiente, vestita come una principessa del sangue. Lui, Benjamin, della mia età, un tipo all-american, di quelli che ti trattano come un vecchio amico dal primo momento che scambiano due parole con te, vestito Versace dalla testa ai piedi.
Mentre Manlio parlava con Alexandra, che sottolineava con basse risatine quello che lui le diceva in tono confidenziale, Ben mi offrì un drink.
"Come ti piace, Chicago?" mi chiese con un sorriso a trentadue denti.
"Ho visto ancora molto poco. Una bella città, mi pare." risposi io.
"Beh, certo non affascinante come Roma, né abitata da gente affascinante come voi romani. Io sono nato in Florida... Tu a Roma?"
"Sì, a Roma."
"Ma tu chi sei?" mi chiese a un tratto.
Lo guardi un po' sorpreso: dopo tutto eravamo i suoi ospiti per il pranzo, no?
"Il patron dell'After-taste di Roma. Un club privato."
"Sì, ma non mi ricordo come ti chiami."
"Eugene. Eugene Porter."
"Non mi pare un nome italiano."
"Nome d'arte." gli risposi, "Mi conoscono tutti così."
"Ah, capisco. Eugene... un bel nome per un bel romano." mi dice Ben misurandomi sfacciatamente da capo a piedi. "E scopi il nostro Manlio?"
Lo guardai sorpreso: non era una domanda molto elegante da fare a qualcuno che hai appena conosciuto, no? Lui vide la mia espressione e ridacchiò: "Siamo gente di mondo, darling. Che c'è di male ad ammetterlo? Sappiamo tutti che Manlio non si lascerebbe scappare uno stallone come te."
Bene, dovevo proprio averlo scritto in fronte. Non risposi, bevvi un paio di sorsi del mio drink.
"Molto riservato... Bello, maschio e riservato. Eugene... sì un bel nome."
Quello stava flirtando con me... o mi sbagliavo? Lui carezzò la falda della mia giacca in modo che le sue dita sfiorarono il mio fedele compagno sotto gli abiti.
"Ottima stoffa. Gi abiti italiani sono sempre magnifici."
No, non mi sbagliavo. Guardai un po' imbarazzato verso sua moglie e Manlio, ma non stavano guardando verso di noi.
"Comprato qui a Chicago." gli dissi un po' seccamente.
"Ma il tessuto è italiano." disse lui con un sorrisetto.
"Sei uno stilista di moda?" gli chiesi con lieve ironia.
Rise: "No, ma sono ugualmente un intenditore. So apprezzare le cose belle e mi piace godere il meglio che offre la piazza."
Un suono di gong mi fece quasi sobbalzare. La voce di Alexandra sorse in tono giulivo.
"Ragazzi, a tavola. Ben, se vuoi passare in lavabo con il nostro ospite..."
Ben scese dall'alto sgabello e mi guidò nel "lavabo". Era una stanza ampia, tutta in marmo rosato, che conteneva solo due lavandini dello stesso marmo contro una parete concava ricoperta di specchi a liste verticali da pavimento a soffitto. La rubinetteria pareva dorata. Ci lavammo le mani, uno per lavandino, e Ben non mi toglieva gli occhi di dosso. Tutto automatico, dal dispenser del sapone liquido al rubinetto alla bocchetta dell'aria calda per asciugarsi le mani.
Stavamo per uscire, quando Ben mi prese da dietro e una sua mano mi toccò fra le gambe, mentre mi si spingeva contro facendomi sentire la sua erezione. Ero così sorpreso che mi irrigidii.
La sua voce, calda, all'orecchio, sussurrò: "Sì, ha molto buon gusto, il nostro Manlio. Di quanti pollici è questo, quando è in forma?"
Mi sottrassi alla sua presa e mi girai a guardarlo: "Ci aspettano per il pranzo." gli dissi cercando di non dirlo in modo troppo rude.
"Manlio non ci aveva parlato di te. Sei fantastico. Una bella sorpresa averti portato qui con sé. Sì, ora ci aspettano per il pranzo."
Mi guidò nella sala da pranzo. Grande anche quella, tutta arredata con mobili in stile inglese, credo un Giorgio III, o forse vittoriano. Comunque roba autentica e costosa, ci avrei giurato. La tavola rettangolare avrebbe potuto essere usata da almeno dodici persone, ma c'eravamo solo noi quattro.
I servitori, credo giapponesi, erano impeccabili, ve lo posso dire io che ho fatto il cameriere in ristoranti di lusso. Il cibo ottimo. Vini italiani. Piatti inglesi, molto raffinati, di porcellana bianca con una sottile riga azzurra, e bicchieri con il calice azzurro e il gambo trasparente. Posate d'argento di stile molto moderno.
Conversazione superficiale. Ben mi faceva il piedino. Alexandra parlava di cose che spesso non capivo ma che gli altri due coglievano al volo. Ben ogni tanto mi scoccava un sorriso, dall'altra parte del tavolo, con tutti i suoi trentadue denti come al solito. Il suo sguardo pareva divertito... da me? Dalla situazione? Tutto sommato mi stavo annoiando.
Dopo il pranzo, Manlio e Alexandra scomparvero chissà dove. Ben mi portò in un'altra stanza e senza chiedermi se lo volessi, mi mise davanti un bicchiere colmo di brandy.
"Dove sono andati?" gli chiesi.
"Chi lo sa? Ma almeno tu non sei sposato a lui..." mi disse Ben.
Che mi voleva dire? Che anche lui era una specie di giocattolo nelle mani della moglie? Ero un po' incuriosito.
"Che facevi, tu, prima di sposare Alexandra?" gli chiesi.
"Il fotografo. Ritratti di gente dell'alta società, a New York. Venne a farsi fare una serie di ritratti da me... Ho lasciato un lavoro molto redditizio, ma non mi posso lamentare, dopo tutto. Alexandra non mi fa mancare proprio niente... No, proprio niente."
"In cambio di che cosa?" gli chiesi.
"Oh bella! Del matrimonio. Le piace mostrarmi in giro. Devo solo tenermi sempre in forma, si capisce. Vuoi venire a vedere la palestra che ha messo su solo per me? Se l'aprissi al pubblico ci farei un sacco di soldi: le migliori e più moderne attrezzature. Vieni?"
"No, grazie."
"Anche tu fai un po' di palestra, hai un corpo tonico." Mica m'aveva visto nudo, come faceva a dirlo? "Si capisce da come ti muovi." spiegò Ben.
Tornarono Alexandra e Manlio: indossavano tutti e due un kimono di seta bianca, lunghi fino ai piedi, con cinture di broccato dorato.
"Perché non porti il nostro ospite a cambiarsi, Ben?" chiese Alexandra in tono lieve, "Mettetevi comodi, poi ci raggiungete nel gazebo."
Ben mi fece un gesto. Lo seguii in una stanzetta arredata alla cinese, con mobili laccati in rosso e nero e, secondo me, di cattivo gusto. Aprì uno sportello e ne tirò fuori due kimono neri, corti. Si denudò tranquillo, aveva un gran bel corpo, niente da dire, e mi guardò mentre anche io, rassegnato, mi spogliavo. Tutti matti, lì dentro, pensai.
"Togliti tutto, stai più comodo." mi disse.
Esitai un attimo... al diavolo, mi dissi, e mi tolsi gli ultimi indumenti. Mi guardava con un sorrisetto.
"Io so perché ci cambiamo, e tu?"
Lo guardai un po' sorpreso e intuii... ma sì, chi se ne frega, dopo tutto poteva anche essere eccitante. Indossai il kimono: la seta sulla pelle nuda dava una magnifica sensazione. I kimono erano solo un po' troppo corti, coprivano a mala pena i nostri attributi... Mi fece infilare sandaletti a infradito, giapponesi pure quelli, con la suola di fine paglia intrecciata e le due stringhe di soffice pelle nera.
Poi mi guidò attraverso altre stanze, fuori nel giardino, fino al gazebo, che pareva un padiglione cinese, cilindrico, tutto laccato in rosso, con fitte grate come pareti e come porte e tegole di gres grigio scuro.
Dentro c'era una panca imbottita lungo le pareti, interrotta solo dove c'era la porta. Una bassa musica cinese aleggiava lì dentro, Manlio e Alexandra stavano fumando uno spinello. Ben ne prese due da una scatola laccata e me ne offrì uno. Esitai, non ero abituato a certa roba... ma lo accettai.
Al centro c'era solo una profusione di cuscini sul tappeto circolare che copriva tutto il pavimento, con decorazioni di greche cinesi e di dragoni. Tutto molto esotico e decadente.
Alexandra si alzò dalla panca, mi venne vicino e mi spinse giù sui cuscini, la sue mani s'infilarono sotto il mio kimono e presero a massagiarmi il petto aprendomi gradualemente il kimono. Guardai verso Manlio, un po' imbarazzato. Ben gli stava togliendo il kimono bianco di dosso, mentre Manlio lo masturbava... Poi arrivarono anche loro due sui cuscini...
Dopo poco eravamo tutti e quattro nudi, non capivo più di chi erano le mani che mi toccavano dappertutto. Ero un po' intontito dal fumo. Mi sentivo totalmente su di giri, mi sentivo grande, forte, mi sentivo fatto... Era un caleidoscopio di facce, di mani, di corpi...
A un certo punto stavo martellando in qualcuno: ero steso su un fianco dietro a Ben e gli stavo dando quello che aveva voluto per tutto il tempo. Alexandra mi baciava e pareva un'idrovora. Manlio si stese davanti a Ben e si fece infilare da lui... Ogni spinta che davo dentro a Ben, lui la dava dentro a Manlio... Ben si mise a leccarla ad Alexandra che gemeva come una troia.
Poi Alexandra mi tolse di peso da sopra a Ben (che muscoli aveva quella!) e si infilò sul mio fedele compagno cavalcandolo come un'amazzone invasata, mentre Ben continuava a pompare come un forsennato dentro a Manlio e frattanto baciava me in bocca fottendomela con la lingua che pareva un cobra...
A un certo punto Alexandra lo succhiava a Manlio, mentre Ben cominciava a fotterla.
"Mettiglielo tutto in culo, Eugene, o Ben non riesce a fare il suo dovere!" mi ordinò Alexandra con voce roca.
Ripresi a fottere Ben con vigore... Manlio mi guardò con occhi divertiti e, per la prima volta da quando stavo con lui, mi prese la testa fra le mani e si mise a fottere la mia bocca... Mi stupii che nessuno avesse ancora attentato al mio culo. Credo che a quel punto non avrei neanche provato a protestare.