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una storia originale di Andrej Koymasky


LO STALLONE DOMATO CAPITOLO 8 - UN INCONTRO RILASSANTE

Quando aprii gli occhi, ero steso, completamente vestito, sopra al mio letto d'albergo. Come avevo fatto a tornare lì?

Quel porco di Manlio s'era divertito, offrendomi in pasto ai suoi preziosi amici. D'accordo. Ero fatto a causa del fumo, comunque non è che mi fossi opposto, no? Nessuno m'aveva puntato una pistola alla tempia, dopo tutto. M'ero anche divertito, in un certo senso, o almeno il mio fedele compagno s'era preso il suo divertimento. Però ero tutt'altro che contento.

Mi spogliai e andai a fare una lunga doccia. Cazzo! Farlo con Manlio è una cosa, ma essere un giocattolo anche per i suoi amici, era troppo. Pensai ad Angelo, e quello che avevo fatto con Manlio e i suoi preziosi amici, mi sembrò ancora più squallido.

Quella troia di Alexandra s'era sposata con un fustaccio frocio che non sapeva fare "il proprio dovere" senza prenderlo in culo. Beh, cazzi loro. Io non volevo aver niente a che fare con quelle cose. No, era stata la mia prima ammucchiata ma giurai che sarebbe stata anche l'ultima.

Avevo fame: ordinai toasts, uova e pancetta al servizio in camera, e un biccherone di latte. Accesi la TV, mentre mangiavo: un branco di teenager con solo morbidi shorts indosso stava giocando a pallavolo su una spiaggia. Cambiai canale: una partita di football americano.

Mi gettai di nuovo sul letto con i soli boxer indosso e scivolai nel sonno senza accorgermene. Mi svegliò il telefono. Alla TV c'era Rosie O'Donnell che faceva il suo talk show. Risposi.

"Sì?" chiesi.

"Eugene, non mi dire che sei ancora a letto." La voce di sua signoria, il signor conte Manlio del Pozzo.

"Che c'è?"

"Un sacco di cose eccitanti. Ti sei divertito, ieri?"

"No."

La sua voce divenne fredda come una lama d'acciaio: "Oh, e perché?"

"Non è il mio ambiente, quello, Manlio. Non mi piacciono le ammucchiate. Non mi piace il fumo. Che c'è di male in una normale scopata a due?"

La sua risata era divertita: "Eugene, sei talmente provinciale, incorreggibile! È stato molto gradevole, e se tu fossi stato un po' più rilassato, lo poteva essere anche il doppio."

"Non voglio che capiti più, non con me, chiaro?" risposi seccato.

La sua voce ora era sarcastica: "Sì, signore. Niente più piccole orge con lei, signore."

Silenzio. Sapevo che odiava essere criticato, ma al diavolo, qualcuno doveva pur fargli capire che non ha il diritto di metterti in certe situazioni. Era già anche troppo doverlo fottere ogni volta che gliene veniva voglia.

"Allora, che c'è?" chiesi quando il silenzio cominciava a diventare pesante.

"Non ho nessuna intenzione di corromperti, caro ragazzetto. Ma ho pensato che potresti venire a un paio di party anche stasera. Non t'ho fatto venire qui per farti stare in albergo tutto il giorno o per fare il turista."

"Purché non ci siano di nuovo Alexandra e Ben. Vengo ai party con te, poi voglio farmi un giro per conto mio. Niente inviti particolari, comunque."

"Eugene, sai essere così noioso, quando ti ci metti. D'accordo, facciamo come vuoi tu. Ti faccio venire a prendere fra mezz'ora. Metti il completo azzurro con la camicia nera e la cravatta fiammata, quella sulle tonallità giallo-arancio." disse e sbatté giù il telefono.

Sì signore! Dio, cominciavo a odiarlo sul serio. Dovevo farmi dare un po' di soldi da Manlio, se volevo andarmene in giro da solo. In giro dove, poi? Ovunque, purché non con lui. Mi vestii, controllai il mio aspetto allo specchio. Sopra alla TV c'era una manciata di bustine di fiammiferi che avevo preso nel giro dei vari club e disco. Avrebbero fatto bella figura nel mio appartamentino: la prova di quel mio viaggio.

Uno era semi-aperto e dentro c'era scritto a mano un numero di telefono e un nome: Neil. Chi era quel Neil? Non mi ricordavo nessuno con quel nome. Guardai il nome del locale: "Bon-bon"... che razza di nome per un club. Lo misi in tasca e mi guardai di nuovo allo specchio. Non ero male, dopo tutto. Giusto in tempo, mi chiamò il receptionist: l'autista di Manlio era arrivato.

Sceso, chiesi la linea esterna al receptionist. Feci il numero di quel Neil.

"C'è Neil?"

"Un attimo, vedo. Chi devo dire?"

"Eugene Porter, ma non so se ricorda il mio nome. Ci siamo conosciuti al Bon-bon..."

"Resta in linea, darling. Non m'interessa la storia della tua vita..."

Dopo poco un'altra voce maschile rispose: "Sì?"

"Neil?"

"Sì?"

"Ci siamo incontrati al Bon-bon, ieri. M'hai dato il tuo numero di telefono e..."

"Ah, sì."

Un gran conversatore. E non riuscivo neanche a ricordare che faccia avesse.

"Pensavo che ci si poteva incontrare, stasera, se sei libero..."

"Sì. Ho una cena con alcuni amici al Petit Louvre. Sai dov'è? Puoi unirti a noi..."

"No, ma mi ci posso far portare da un taxi. A che ora?"

"Bene. Alle nove e trenta... se non cambi idea. Noi saremo lì, comunque."

"Vedrò di esserci."

"Come vuoi." disse e riagganciò.

Amichevole, davvero. Era lui che m'aveva lasciato il suo numero di telefono, dopo tutto, no? Uscii e salii in auto. Arrivai all'appartmento di Manlio. Uno dei servi mi fece attraversare un paio di stanze e mi indicò una porta. Bussai, entrai.

Manlio era steso nudo sul proprio letto, in una posa oscena, appena coperto fra le gambe da un lembo di un lenzuolo di seta verde pisello.

"Vieni qui, prima che mi prepari per uscire. Svelto." ordinò guardandomi con i suoi occhi freddi.

Lo odiavo, provavo repulsione per lui, eppure il mio corpo iniziò subito a reagire al suo e il mio fratellino già si stava già lietamente preparando al proprio lavoro. Mi tolsi tutto e m'arrampicai sul letto, scoprendolo del tutto. Mi infilai il preservativo che lui mi porgeva.

"Dai, Eugene," mi disse impaziente, "fottimi!"

M'inginocchiai fra le sue gambe e senza troppi complimenti le feci passare sulle mie spalle e lo infornai. È davvero solo una troia, dovevo trovare il modo di mollarlo, specialmente ora che Angelo riempiva tutti i miei pensieri.

Lui aveva chiuso gli occhi, mi sfregava i capezzoli e dimenava il culo a ogni mia spinta, godendosi la mia monta. Sapeva come farmi godere: non che gliene importasse un fico secco del mio godimento, ma la troia sapeva che se faceva godere me, si poteva godere meglio la mia prestazione. Infatti venne un attimo prima di me.

"Posso farmi una doccia?" gli chiesi quando mi sfilai da lui.

"Sì, dietro quella porta. L'altra la uso io."

Aveva due bagni annessi alla sua camera! Meglio così. Non mi andava né di farla con lui né di aspettare. Mi chiusi nella doccia e mi lavai di dosso la sua presenza... Finii con l'acqua fredda: piacevole e tonificante. Mi asciugai con un asciugamano di spugna grande come un lenzuolo e soffice come piuma.

Tornai nella stanza e mi rivestii. Sedetti ad aspettare che finisse. Entrò che era vestito di tutto punto e sapientemente truccato come sapeva fare lui: ora che lo conoscevo, io potevo dirlo, nessun altro l'avrebbe capito.

"Sei pronto, per fortuna. Non mi piace aspettare." mi disse e uscì dalla stanza.

Lo seguii. In ascensore gli dissi: "Senti, sono partito da Roma senza un soldo in tasca. Dato che più tardi vado a farmi un giro da solo, avrei bisogno di un po' di contante."

Sembrò seccato: "Non hai la carta di credito?"

"No." dissi. "Non ho fatto a tempo a prepararmi. E la segretaria di tua moglie m'ha detto che avresti pensato tu a tutto, una volta arrivato a Chicago."

Tirò fuori il portafogli e mi dette quattro carte da cento dollari, con un gesto come se gettasse via carta straccia. Li misi in tasca.

"Per ora ho solo questi. Domani provvederò." disse rimettendo in tasca il portafogli. Era proprio seccato.

In auto mi disse: "Cerca di essere un po' più socievole. Andiamo al party di Calvin. Ci saranno i più quotati stilisti degli States. Stammi vicino, se ci tieni al tuo prezioso culetto, sono tutti una manica di froci assatanati e appena ti vedono, ti fanno una corte spietata... per usare un eufemismo."

Da che pulpito viene la predica, mi dissi. Bello, elegante e troia più che mai.

"M'aveva detto la segretaria di tua moglie che dovevo venire per vedere di aprire una sede dell'After-taste qui a Chicago, ma fino a ora più che party non ci sono stati..." gli dissi.

"Oh, quello... Ho cambiato idea. Ti volevo qui, semplicemente. Prima che arrivi Floriana."

"Che è? Qui a Chicago non ci sono abbastanza stalloni?" gli chiesi con un lieve tono di sarcasmo.

Mi guardò fulminandomi per un attimo con gli occhi, poi con un sorrisetto disse: "Nessuno che io abbia avuto il tempo di preparare bene come te. Sono rozzi, qui. Tu sei diventato un artista. Sai sempre cosa voglio da te, senza bisogno di parlare."

"Ah, grazie." gli dissi.

Sì, preparato bene. Ammaestrato come un cagnolino. Mi chiedevo come fosse possibile che da una parte la sua presenza mi infastidisse sempre più e che dall'altro mi piacesse tanto fotterlo. Beh, era bello e ci sapeva fare più di chiunque altro, dovevo ammetterlo, però...

I due party furono noiosi. Manlio voleva solo mostrarmi attorno e far crepare d'invidia gli altri e le altre... Era chiaro, dal suo atteggiamento, che mi usava per quello: questo stallone è proprietà privata - guardare ma non toccare.

Mi sentivo gli occhi di tutti addosso, e non erano occhi da intenditori d'arte, ma da assatanati. Pare che i latin lovers siano merce pregiata, da queste parti. Dopo il secondo party ne avevo abbastanza. Erano già le otto di sera.

"Ne ho abbastanza. Io vado via." gli dissi.

"Bye bye." mi rispose lui in tono freddo, e uscii per le vie di Chicago.

Finalmente respiravo. Mi chiesi chi era quel Neil che stavo per incontrare, e chi i suoi amici. Peggio di Manlio e i suoi amici, era difficile. E comunque, potevo mollare anche quelli in qualsiasi momento, molto più facilmente che sganciarmi da Manlio, che dopo tutto era il mio datore di lavoro.

Fermai un taxi e gli chiesi di portarmi al Petit Louvre. Quello partì in quarta, senza chiedermi l'indirizzo. Evidentemente era un posto famoso. Dopo un po' di giri, frenate brusche ai semafori rossi e partenze a razzo appena diventavano verdi, mi scaricò davanti alla porta del Petit Louvre.

Mancavano solo dieci minuti alle nove. Non sapevo nemmeno il cognome di quel Neil, né come fosse fatto. Come facevo a sapere se era già nel ristorante, o come riconoscerlo fra i clienti che entravano? Avrei dovuto chiederglielo, quando gli avevo telefonato.

Mi chiedevo che fare, quando un ragazzo sui venticinque anni mi vene incontro dal marciapiede, sorridendomi. Con lui c'erano tre ragazze.

"Eugene?" mi chiese porgendomi la mano.

Meno male che m'aveva riconosciuto lui. "Neil?" chiesi io stringendogli la mano. Una bella stretta.

Entrammo. Un cameriere ci accompagnò al tavolo. C'erano già seduti cinque suoi amici: due ragazzi bianchi, due neri, molto belli, e una ragazza anche nera.

Neil fece le presentazioni. Sedemmo.

Liza, la ragazza nera chiese: "Neil, dove hai trovato questo tuo nuovo amico?"

"A un party, ieri pomeriggio. Sembrava un pesce fuor d'acqua, e così..."

"Neil il buon samaritano!" rise uno dei negri, quello che m'era stato presentato come Drew. "Benvenuto nella compagnia, Eugene."

Uno dei due bianchi, quello di nome Mark, mi chiese: "E che pesce sei, tu, Eugene?"

Lo guardai senza capire. Gli altri risero e Liza mi spiegò, chinandosi verso di me: "Gay, straight o bi?"

Credo di essere arrossito, perché di nuovo tutti risero. "Bi..." risposi.

"Ottimo! Beautiful, built and bisex. Un triplo B. Che si può chiedere di meglio dalla vita?" disse Drew.

"A me sembra più un triplo A." disse la biondina arrivata con Neil. "Adon, athletic and..." non trovava la terza A e tutti ridemmo.

"Arousing!" suggerì Drew.

Era una compagnia simpatica, molto gradevole. Mentre si mangiava e si chiacchierava, intuii che i due bianchi, Mark e Peter erano in coppia, come le due ragazze arrivate con Neil, sua sorella Janet e Meg. Liza e Tony, l'altro negro, erano anche in coppia. Neil e Drew, entrambi single e gay. Drew era il più bello di tutti e mi chiesi come potesse essere farlo con un ragazzo di colore...

Mi sentivo rilassato e allegro. Neil a un certo punto mi chiese: "Ma che ci facevi tu, ieri, in quel noioso party?"

"Mi ci aveva portato qualcuno..."

"Sì, qualcuno, d'accordo. Qualcuno che ti ha mollato lì tutto solo. Che bella compagnia. Avevi un'aria desolata..."

"M'avevano fatto fumare... non ci sono abituato..." dissi, "ero fatto."

"Sì, ne ho avuto l'impressione. Facevi tenerezza. Anche io mi stavo rompendo non poco. Mio padre m'aveva costretto ad andarci, che noia. Anche se eri fatto, sei stato la compagnia più gradevole."

"Mi sono comportato male?" gli chiesi.

"No, per nulla. A parte che t'ho dovuto accompagnare in albergo e mettere a letto..." mi disse Neil con un sorriso.

"Ti sei dovuto mettere a letto con lui, vorrai dire!" lo punzecchiò Janet.

"No, quando mi sono svegliato avevo tutti i vestiti addosso." risposi sorridendo.

"Oh, il nostro Neil avrà scartato il regalo di natale prima della mezzanotte, poi l'avrà certamente incartato di nuovo in modo che nessuno se ne accorgesse!" disse ridendo Peter.

"No, era troppo partito per provarci. Ma gli ho lasciato il mio numero di telefono sperando che mi richiamasse." rispose Neil.

"Io non sarei stato così gentiluomo!" disse Drew facendomi l'occhietto.

Dopo la cena andammo tutti assieme a ballare. Poi Neil ci salutò e andò via con un tizio che aveva agganciato. Anche Mark e Peter dopo un po' salutarono. Poi Janet e Meg decisero di andare in un'altra discoteca.

Drew allora mi prese per un braccio e mi disse: "Ti va di fare un salto da me? Dopo, se vuoi, ti porto in albergo."

"Con piacere..." gli dissi.

"Ma senza nessun legame, dopo, d'accordo?" disse il bellissimo ragazzo color dell'ebano.

"Sono solo di passaggio a Chicago." gli dissi.

"Non lo dicevo per te, ma per me. Mi paci un sacco. So che potrei perdere la testa per te. È tutta la sera che ti osservo... Sì, mi piaci un sacco."

Non mi aspettavo una dichiarazione di quel genere. Ne fui lusingato.

Viveva in un bell'appartamento pieno di pezzi autentici di Keith Haring. Non mi portò subito a letto, e anche questo mi piacque, benché la voglia mi bruciasse addosso. Mise su buona musica, mi offrì da bere, parlammo un po'. Lavorava come human resources manager alla Deloitte & Touche.

Dopo un po' mi prese il volto fra le mani e mi baciò in bocca. Era dolce, appassionato. Mi piaceva come baciava. Poi mi fece alzare e finalmente mi portò in camera. Si stese sul letto. Io salii fra le sue gambe e, baciandoci di tanto in tanto, cominciai a spogliarlo. Lui mi lasciava fare e mi sorrideva con l'espressione di un gatto che fa le fusa.

Aveva un corpo molto bello, glabro e color dell'ebano, una pelle di seta. Mi spogliai anche io e lui mi osservava con un sorriso compiaciuto. Mi stesi sopra di lui e ci baciammo ancora. Gradualmente cominciammo a farlo... lui mi cinse la vita con le sue gambe forti e snelle, e mi si offrì. Che differenza da Manlio. Non pretendeva, non mi usava... Mi sorrideva contento, mostrandomi quanto gradiva la mia compagnia.

Lo presi con estrema calma e altrettanto piacere.

"Lo immaginavo... non mi sono sbagliato..." mormorò mentre mi muovevo in lui con lunghi e calmi, saldi va e vieni.

"Che cosa?" gli chiesi con un sorriso.

"Che tu sai fare l'amore come si deve. Peccato che devi tornare in Italia."

"Avevi detto senza legami, no?"

"Potrei anche cambiare idea, se tu vivessi qui a Chicago."

Lo baciai, mentre continuavo a muovermi in lui. Drew mi carezzava per tutto il corpo, mugolando lievemente, e un bel sorriso gli illuminava il volto.

Lo lasciai la mattina dopo alle dieci. Stava ancora dormendo, un'espresione beata sul bel volto. Gli scrissi un biglietto, ringraziandolo e lasciandogli il mio indirizzo e numero di telefono di Roma. Uscii in punta di piedi. Presi un taxi e tornai in albergo.

C'era un messaggio della segretaria di Floriana: "Si trovi oggi stesso alle dieci di sera all'aereoporto, banco della United Airlines. Ci sarà il biglietto per il volo per Roma..." eccetera.

Ero di nuovo in viaggio. Ma ero felice di poter tornare a casa, e da Angelo.

Neanche una riga, una telefonata da Manlio. Meglio così. Che si friggesse nel suo olio. Meno lo vedevo o sentivo, meglio stavo.

Se non avessi avuto il cuore pieno di speranza e aspettative nei confronti di Angelo, avrei potuto anche io desiderare di poter restare con Drew. Era non solo molto bello, ma anche molto dolce. Da molto tempo non facevo più l'amore così piacevolmente.

Ultimamente avevo avuto poche gallinelle e molti galletti... Non che me ne lamentassi. Mi chiesi fino a che punto io fossi veramente un bisex... sì, forse lo ero, ma più verso il lato gay, probabilmente. La cosa non mi preoccupava affatto. Dopo tutto, sono solo etichette.

Il volo di ritorno fu senza storia. La hostess pareva che mi facesse gli occhi dolci, ma non mi interessava. Dopo parecchio tempo, ero tranquillo, appagato. La notte passata con Drew mi aveva fatto bene, senza dubbio.

Poi capii il motivo della mia improvvisa partenza per Roma: Floriana stava arrivando a Chicago! Certo, doveva essere così. E la segretaria di Floriana teneva il bordone per il conte Manlio... che ci guadagnava? Non certo il suo corpo. Anche se non ci potevo giurare, magari Manlio sapeva anche come scopare una donna... non ci avevo mai pensato.

Comunque durante il viaggio di ritorno, presi tre importanti decisioni.

Primo: andarmene dall'After-taste e trovarmi qualche altro lavoro in cui non mi tenessero per i coglioni come quella troia di Manlio. Con l'esperienza che avevo, potevo trovare un lavoro decente e una paga sufficiente.

Secondo: dire finalmente ad Angelo quello che sentivo per lui (che ero innamorato, cioè) e sperare che non mi sbattesse la porta in faccia. E logicamente, piantarla di spupazzarmi gallinelle e galletti. Se mi avesse detto di sì, gli sarei stato fedele.

Terzo: se Angelo mi avesse detto di sì come speravo, trovare il modo di andare a vivere con lui: o lui tornava in Italia, o io mi trasferivo a Londra. Mi sentivo dispostissimo a farlo. Però in questo caso dovevo mettere da parte abbastanza soldi.

Sì, ero deciso. Non mi chiesi neppure che cosa avrei fatto se Angelo mi avesse detto di no. Non per presunzione, ma "sentivo" che era una possibilità molto remota.

Arrivai a Roma giusto in tempo per farmi portare al club. Avevo con me solo una valigia con gli abiti che m'aveva comprato Manlio. E quasi tutti i dollari che m'aveva dato sua signoria: la cena e tutto il resto aveva voluto offrirmela Drew, e per il taxi avevo speso poco.

Ero contento di essere di nuovo a casa. Se non avessi incontrato Drew la penultima notte, avrei odiato Chicago. Avrei voluto telefonare subito ad Angelo per dirgli che ero tornato, ma pensai che sarebbe stato meglio aspettare il giorno dopo. Era tardi, magari stava già dormendo il sonno dei giusti.

Arrivai al club inatteso. Lasciai la valigia nel mio ufficio ed entrai nella sala. Tutti furono sorpresi di vedermi. Bénoit stava sorvegliando la sala, tutto era in ordine. Sapevo che potevo fidarmi di lui e, pensai, dopo tutto ormai il club poteva andare avanti bene anche senza di me.

"Oh, Eugene... Sono lieto che tu sia tornato." mi salutò Bénoit.

"Tutto bene, durante la mia assenza?" gli chiesi.

"Sì... abbastanza. Ho dovuto licenziare Giacomo: s'era fatto pagare da uno dei soci per..."

"Si è lamentato il socio?"

"No, se ne faceva grande lui con gli altri. Mi sono fatto dare i soldi e li ho restituiti al socio facendogli le scuse della casa. Ho fatto bene?"

"Molto bene. Chi era, il socio?"

"Giuliano G."

"Il regista?" gli chiesi un po' stupito.

"Sì. Non voleva riprendersi i soldi, ma io gli ho detto che il nostro personale poteva accettare un regalo, ma mai sollecitarlo. Una regola assoluta. Comunque... mi risulta che ora Giacomo ha avuto una parte nel suo ultimo film..."

"Meglio così."


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