Girai la sala a salutare i soci. Strette di mano, kiss-kiss, battute. Maurizio era seduto al tavolo con una bionda che teneva mezzo abbracciata e con Alessandro, e mi salutarono con allegria.
Dario, il banchiere, stava con una femmina dipinta in modo assurdo, mezzo punk e mezzo dark, che gli si strofinava addosso. Mi chiesi dove potesse averla trovata. Mi salutò chiedendomi dove fossi finito in quei giorni e mi disse che si sentiva la mia mancanza.
"Bénoit è troppo professionale, non ha la tua eleganza e il tuo garbo." mi disse mentre mi scuoteva con calore la mano. "Posso presentarti la mia nuova amica? Lei è Sara Rubinstein, pittrice e cantante. Lui è Eugene Porter, il nostro anfitrione."
"Ah, non ho fatto che sentire parlare di te..." mi disse la donna dandomi una mano molliccia. "Pare che tu sei quello che... chi non ti conosce è una nullità!"
"Bene, ora che mi hai conosciuto, non sei più una nullità." le dissi con ironia.
Sara Rubinstein scoppiò a ridere in un modo che tutti si girarono a guardarla.
Continuai il mio giro e... Angelo era seduto a un tavolo, tranquillo e composto come uno che sta a messa, bello, anzi stupendo come un iris in un campo di pratoline.
Ma che cavolo ci faceva, Angelo, lì a quell'ora, in compagnia di un ragazzo più giovane di lui e di una belloccia vestita come per il ballo delle debuttanti?
Ci stringemmo la mano, e sedetti accanto a lui cercando di stare calmo (ma mi sentivo geloso). Mi sorrise. Sembrava un po' stanco.
"Come stai?" chiesi al mio dolce Angelo.
"Bene." mi rispose in un tono un po' forzatamente allegro. "È durato poco, il tuo viaggio."
Arrivò a salutarmi Frank. Ci stringemmo la mano.
"Lieto di rivederti..." mi disse. Poi si girò verso la debuttante. "Mi concede un ballo?"
La ragazza si alzò, ma Angelo si alzò immediatamente e disse: "No, l'ha già promesso a me." e andò a ballare.
Il mio Angelo, che non amava ballare, il mio Angelo adesso ballava con quella? Che cavolo stava succedendo? Impossibile, ci doveva essere uno sbaglio.
Mi girai verso il ragazzotto che era rimasto seduto al tavolo: "Chi è quella ragazza? Che ci fa Angelo con lei?" chiesi in tono un po' battagliero.
"Mia sorella... sua cugina..." rispose il ragazzo un po' incerto, cercando di capire il perché della mia domanda e del mio tono.
"Siete... i figli dell'onorevole?" gli chiesi un po' ammansito.
"No, del fratello della madre di Angelo. Noi viviamo a Milano, siamo qui per pochi giorni."
Mi sgonfiai: nessun pericolo, dunque. "Ti piace il nostro club?"
"Avrei preferito una discoteca..." mi disse quello un po' scontroso, poi aggiunse: "Ma è molto elegante, qui."
Angelo e la cuginetta tornarono a sedere.
"Angelo, devo parlarti." gli dissi cercando di avere un tono casuale.
"Sì, Eugene?" mi chiese guardandomi con quei suoi occhii limpidi e belli.
"Vieni con me..."
La ragazza lo trattenne per un braccio: "Sei venuto qui con noi!" protestò.
"Per sua norma e regola, signorina, Angelo è maggiorenne e può decidere da solo. E non lo porto via per tutta la sera. E c'è suo fratello per tenerle compagnia." le dissi seccato.
La ragazza arrossì. Angelo si alzò e venne con me. Lo portai nel mio ufficio.
"Ti vedo stanco. Riportali a casa, vai a dorimre. Che ci fate qui, tutti e tre."
"Volevano uscire... e io devo tenerla d'occhio... quella è speciale per mettersi nei guai... con uomini che non conosce."
"Una piccola ninfomane." dissi io.
"Piccola solo per età..." mormorò lui.
"Ma tu sei stanco, basta guardarti negli occhi... Non possono pretendere che tu faccia loro da baby sitter. Falli andare a letto e, soprattutto, vedi di riposarti."
Mi chiesi che diritto avessi io di dirgli quello che doveva fare. Beh, anche se lui non lo sapeva ancora, avevo il diritto di chi è innamorato. Dio che voglia di abbracciarlo e di baciarlo avevo!
"Grazie per preoccuparti così per me, Eugene, sei molto gentile. Ma penso di poter gestire la situazione."
Il suo sorriso dolce mi fece perdere l'autocontrollo. Lo presi per le spalle, lo tirai a me e lo baciai in bocca! Non resistevo, lo desideravo troppo. Forzai la punta della lingua fra le sue labbra e gli posai le mani sulle chiappette tirandolo a me, e facendogli sentire il mio baldo compagno...
Lui si divincolò e posandomi le mani sul petto, mi fece allontanare. Era rosso in volto come un pomodoro.
"Ehi!" disse a voce bassa, "Che ti ha preso!"
"Scusami... non lo so. Possiamo vederci domani, con calma, e riparlarne?" gli chiesi in tono mite, dandomi dell'imbecille per quello che avevo fatto.
"Mi dispiace, Eugene. Domani ho parecchi impegni." disse lisciandosi la giacca. "È meglio che torno di là, ora."
"Sì..." mi sentivo distrutto, continuavo a insultarmi con i termini più atroci. "Credo che sia meglio."
Mi sentivo a pezzi. Come se mi avessero dato un calcio nei testicoli. Prima di tutto perché ero incredibilmente eccitato nell'aver sentito il suo corpo contro il mio, le sue labbra contro le mie. Poi anche perché sentivo di averlo perso per sempre. Che imbecille, che imbecille, che imbecille, mi ripetevo.
Quando riuscii a calmarmi, tornai in sala. Angelo e i suoi due cuginetti non c'erano più. Logicamente. Che dovevo fare? Telefonargli il giorno dopo e chiedergli scusa? Forse sì... anche se credevo che sarebbe servito a ben poco. Il suo sorriso mi era sembrato così... invitante. Possibile che mi fossi sbagliato fino a quel punto?
Per tutto il giorno dopo continuai a chiedermi cosa dovessi fare. A volte prendevo il telefono e cominciavo a comporre il suo numero, ma poi riagganciavo prima di finire a digitarlo. Magari dovevo scrivergli una lettera... Chiedergli scusa... dirgli che non potevo farci nulla, se m'ero innamorato di lui... pregarlo di incontrarmi ancora, di permettermi di spiegargli...
Non mi ero mai sentito così confuso in vita mia!
La sera dopo, al club, ero di umore nero. Alessandro se ne accorse, mi invitò a sedere con lui.
"Che hai, Eugene?" mi chiese con un sorriso preoccupato.
Per la prima volta, invece di essere io ad ascoltare le confessioni e i problemi dei soci del club, decisi di confessarmi a mia volta. Gli raccontai tutto quanto riguardava me e Angelo, da quando m'ero accorto di essermi innamorato di lui, fino all'orribile sbaglio della sera prima.
"Secondo me... Angelo è gay." mi disse lui.
"Cosa te lo fa pensare?" gli chiesi, "E anche se lo è, evidentemente io non sono il suo tipo, se mi ha respinto così..."
"Può darsi. O magari semplicemente l'hai preso in contropiede e..."
"Se era interessato a me, non reagiva in quel modo. Perciò o non è gay, o io non lo interesso per niente. Dio, che stronzo sono stato!"
"Cotto completamente, vero?"
"Puoi dirlo. E adesso mi sento uno straccio. Vorrei parlargli, chiedergli scusa... Ma a che serve, sia che Angelo sia gay o no?"
"Se non altro a fargli capire che non volevi mancargli di rispetto, no?"
"Sì, però... Se non mi vuole, che può fregargliene che io sia innamorato di lui? Farlo ridere di me, nel migliore dei casi."
Alessandro cercava di consolarmi, ma non è che ci riuscisse molto. D'altronde cosa poteva dirmi? Comunque, essermi confidato con lui mi faceva sentire un po' meno peggio.
"Tutto bene, tu con Alfio?" gli chiesi.
"Sì, tutto bene. Una di queste sere veniamo assieme. Gli ho dato un lavoro come gestore di un baruccio che ho all'Eur. È in gamba quel ragazzo. Lo sa far girare bene. Il lavoro gli piace e così non dipende da me, per i soldi. Sì, stiamo molto bene assieme, e mia moglie è contenta che non mi cerco più avventure in giro. Si sono conosciuti... Pare che vanno d'accordo."
"Sei fortunato." gli dissi.
La sera trascorse. Non c'erano molti soci, sì e no un quarto dei tavoli era occupato.
Poi, verso le tre, arrivò lui. Angelo. Era solo. Andò a sedere a uno dei tavoli, senza guardarmi. Non sapevo se andare a salutarlo o no. Lui m'aveva evitato. Perché era venuto? Per mettermi in imbarazzo? Notai che era molto pallido. Non riuscivo a non guardalo. Da lontano. Fece un cenno a una delle hostess e si fece portare un drink. Sedeva eretto, lo sguardo perso nel bicchiere, da cui di tanto in tanto sorbiva un piccolo sorso.
Verso le quattro meno un quarto si alzò, aggirò il tavolo e il bicchiere cadde a terra, rompendosi in mille pezzi. Si chinò a raccoglierli, e uno degli steward andò subito a raccoglierli con una spazzola e una paletta.
Lo steward gli disse: "Non si preoccupi, faccio io."
Angelo si alzò, più pallido di prima: "Mi dispiace... mi dispiace molto... Davvero, mi dispiace..." disse e si avviò verso l'uscita.
Notai che barcollava un poco. Era ubriaco? Stava male? Feci un cenno a Bénoit: "Chiudi tu, io vado a occuparmi di lui." gli dissi, e uscii in fretta anche io.
Lo trovai davanti alla porta dell'ascensore. Piangeva. In silenzio gli porsi il mio fazzoletto. Ci si asciugò le lacrime e ci soffiò il naso. Quando arrivò l'ascensore, lo seguii dentro. Sempre in silenzio. Lui guardava a terra.
Lo portai nel cortile e gli aprii la portiera della mia auto. Entrò e sedette. Andai al posto di guida e misi in moto. Guidai fino a sotto casa mia. Quindi spensi il motore.
Lui guardò fuori, poi con voce lamentosa disse: "Oh, Eugene, è troppo tardi... devo tornare a casa."
Di nuovo quella discussione, mi dissi. "Solo un brandy, poi ti accompagno a casa. Non puoi rientrare in queste condizioni. Tu non stai bene."
"No, grazie, ho bevuto anche troppo, stasera."
"Allora un caffè."
"Poi non dormo per tutta la notte. Portami a casa, per favore."
"Senti, solo dieci minuti, davvero. Un caffè, parliamo un poco... devo parlarti. Poi ti accompagno a casa, te lo prometto. Solo un caffè e due parole, niente altro, te lo prometto." lo pregai.
Sospirò: "D'accordo..."
L'appartamento era in disordine, la valigia era ancora aperta sul tavolinetto del soggiorno. Lo portai in cucina e lo feci sedere. Preparai la moka e la misi sul gas. Tirai fuori due tazzine e il barattolo dello zucchero e misi tutto sul tavolo, davanti a lui. Poi accesi il mini-stereo che avevo accanto al forno a micro-onde. C'era un CD dei Doors. Abbassai il volume.
"Carino, qui da te..." disse Angelo, sempre senza guardarmi.
"Piccolo... ho intenzione di trovarmi qualcosa di meglio."
"Ti sei divertito, a Chicago?" mi chiese.
Che razza di stupida conversazione stavamo facendo? Come se non fosse successo niente fra me e lui. Voleva forse lanciarmi un messaggio? Non parliamone più, è meglio. Non ce l'ho con te... Ma io volevo parlarne, invece. Sbagliavo?
"Più o meno... un po' annoiato, un po' divertito." risposi. Il caffè gorgogliava. Spensi il gas.
Versai i due caffè e aprii il barattolo dello zucchero sospingendolo verso di lui. E sedetti sulla sedia alla sua sinistra.
"Io, Angelo... io ho un sacco di cose che ti devo dire." cominciai, deciso ad affrontare il discorso.
"Tu vuoi che io venga a letto con te, Eugene?" mi chiese lui facendo un lieve sorriso e con il tono con cui un turista chiede a uno che aspetta alla fermata se quell'autobus portava a piazza San Pietro.
Io per poco lasciavo cadere la tazzina con il caffè. Lo guardai completamente sbalordito. "Cosa?" gli chiesi sentendomi un idiota.
Lui arrossì, e si morse il labbro inferiore, poi, guardandomi negli occhi, mi chiese: "Allora, vuoi?"
Non era esattamente quello il modo in cui avevo pensato di affrontare l'argomento con Angelo. Io volevo dirgli perché l'avevo baciato, quello che sentivo per lui, magari abbracciarlo, cullarlo un poco, magari se lui diceva di sì, dargli un bacio tenero e caldo e...
"Si, mi piacerebbe molto..." risposi a bassa voce, incerto. Mi aveva completamente preso in contro piede.
"Va bene." disse lui calmo.
"Va... bene?" chiesi io sentendo che la testa mi girava come se fossi completamente ubriaco.
Ci guardavamo negli occhi. La sua mano con la tazzina a mezz'aria, tremava visibilmente.
"Sì, va bene." mormorò in un bisbiglio e arrossì di nuovo.
Gli tolsi la tazzina dalla mano, lo tirai a me, lo abbracciai con gentilezza e avvicinai le mie labbra alle sue, lentamente, continuando a guardarlo negli occhi. Non si irrigidì, non mi respinse, e quando le mie labbra sfiorarono le sue, chiuse gli occhi, emise un lieve sospiro... schiuse le labbra e rispose al mio bacio.
Le mie mani lo carezzarono lievemente sulla nuca, sul collo, sulle spalle e i fianchi. La sua lingua giocò lieve con la mia. Iniziai a sbottonargli la giacca.
"Possiamo andare in camera da letto?" mi chiese. "Magari... magari io per primo."
"Sì, come preferisci..." gli risposi mentre ci alzavamo in piedi.
Non capivo più niente. Ero eccitatissimo, ma anche completamente confuso. Avevo paura di fare un altro passo falso. Lo portai davanti alla porta della mia camera da letto.
Entrò, accese la luce a colpo sicuro come se avesse saputo dov'era l'interruttore, poi un attimo prima di chiudere la porta, mi disse: "Quando sono pronto... ti chiamo."
Restai lì come un baccalà, completamente sbalordito. Avevo sempre pensato ad Angelo come a un ragazzo pulito ed innocente... e lui... Comunque ne ero sempre innamorato cotto. Anche se lui mi si dava così facilmente. La sera prima mi respinge arrabbiato e la sera dopo mi chiede se voglio scopare con lui! Evidentemente voleva essere lui a prendere l'iniziativa. Sapeva quello che voleva.
Avrei voluto potermi fare una doccia, ma da un momento all'altro mi avrebbe detto di entrare. Dovevo cominciare a spogliarmi o no? Perché aveva voluto entrare da solo? Si vergognava a spogliarsi davanti a me? Però non s'era mica vergognato a chiedermi se avevo voglia di scopare.
"Vieni, Eugene?" disse la sua voce da dentro la mia camera da letto. Mentre entravo, mi disse, sottovoce: "Non accendere al luce, per favore. Lascia la porta aperta."
La luce del corridoio mi permetteva di vederlo. Era sul mio letto, sotto il lenzuolo tirato su fin sotto il mento. Mi tolsi di dosso tutto lasciando cadere gli abiti sul pavimento, in disordine. Restai con i soli boxer indosso, e salii sul letto accanto a lui.
Lo carezzai attraverso la tela del lenzuolo. Era caldo, il lenzuolo gli aderiva addosso facendo intuire le forme perfettamente proporzionate del suo corpo. Lui mi carezzò con una mano sulla mia schiena e l'altra sul petto. Mani delicate, elettrizzanti. Non scendeva mai oltre l'elastico dei miei boxer.
Infilai una mano sotto il lenzuolo e gli carezzai il petto: liscio come seta, piacevolissimo. Fremette. Sentii che era teso come la corda di un violino. Il fremito si trasformò in tremito.
"Rilassati, Angelo," gli sussurrai, "non c'è fretta, rilassati e goditi le mie carezze... Mi piaci da morire, Angelo."
Quando la mia mano raggiunse il pelo del suo pube, si irrigidì per un attimo. Scesi ancora un poco e sentii che gli si stava inturgidendo. Io ero già duro come marmo, in quel reparto laggiù!
Lo forzai a lasciare la presa sul lenzuolo e glielo feci scivolare via dal corpo, poi mi stesi sopra di lui. Continuava a tremare. Restandogli sopra, mi sfilai i boxer e premetti la mia erezione contro la sua che stava diventando sempe più soda. Chiuse gli occhi. Cercai di inserire le mie gambe fra le sue, facendogliele allargare. Lui le teneva strette.
Aprì gli occhi, mi guardò con occhi limpidi ma con un velo di timore, e mormorò: "Eugene... io... non l'ho mai fatto... mai, con nessuno... e con nessuna."
Mi sentii afflosciare come uno pneumatico forato... Dio santo, un vergine! Allora non era solo Maurizio a essere vergine. Angelo non l'aveva mai fatto! E mi aveva chiesto se volevo farlo con lui, e mi aveva detto di portarlo a letto...
"Sei deluso di me? Ti secca?" mi chiese sottovoce.
Deluso? Seccato? Al contrario ero... deliziato! Angelo aveva scelto me per la sua prima volta! Io sarei stato il suo primo uomo, anzi, la sua prima volta in assoluto! E questo mi diceva qualcos'altro: era vergine e si dava a me... non era un segno che per lui ero importante? Che anche lui... forse... era innamorato di me?
"Stupidello, certo che non mi secca, che non sono deluso... anzi... È bellissimo... perfetto."
"Ah, bene... avevo paura che..."
Gli scivolai di fianco, lo presi fra le braccia facendolo girare verso di me e lo strinsi a me con tenerezza.
"Vedi... io non ho esperienza, non so cosa devo fare... come... È la prima volta che sono nudo in un letto con qualcuno."
Chiusi gli occhi e lo tenni contro di me sentendomi felice, sentendomi un re! Il mio Angelo mi si affidava così... mi si voleva dare... voleva che lo guidassi io a fare l'amore per la prima volta. Mi sentivo pieno di tenerezza.
"Davvero non sei deluso di me, Eugene? Davvero per te va bene lo stesso?"
Riaprii i miei occhi. Lui mi guardava preoccupato. Aspettava una mia risposta e doveva essere una risposta convincente.
"Certo che va bene. Sono tutto meno che deluso. Al contrario, ti sono grato di aver scelto me per la tua prima volta. Non immagini quanto sono felice, Angelo mio! Perché, vedi, io... io sono innamorato di te! Non voglio solo scoparti, Angelo, io voglio fare l'amore con te."
"Innamorato?" mi chiese con una voce piccola piccola.
"Sì, innamorato."
"Di me?"
"Di te, certo, di te."
"Ma tu puoi avere tutti quelli che vuoi..."
"Se anche tu senti di amarmi quanto ti amo io... se vuoi darmi il tuo amore... ti giuro che non guarderò mai più nessun altro, nessuna ragazza o ragazzo... solo te, se tu vuoi... se anche tu mi ami."
Dio, lo amavo davvero da morire! Non era sesso quello che volevo dargli, quello che volevo da lui, era davvero amore. Non mi sentivo neppure più sicuro di volerlo prendere, non necessariamente quella prima volta. Era così puro e inocente, anche più di quello che avessi pensato.
Lo baciai e aspirai il suo buon odore, fresco e dolce, gradevolmente eccitante.
Ma lui mi voleva, voleva essere mio. Voleva che lo prendessi, lì e subito. Voleva donarmi la sua verginità. Mi tirò di nuovo sopra di sé e allargò le gambe facendo spazio alle mie. Lo guidai pian piano, lo preparai ad accogliermi, e lui era docile e sempre più appassionato e caldo.
Aveva smesso di tremare, era come creta fra le mie mani, sorrideva in una dolce e tenera attesa. Sentivo che si fidava totalmente di me. Si era affidato completamente a me. Mi voleva e voleva che lo facessi mio.
Quando finalmente iniziai a entrare in lui chiuse gli occhi, per un attimo si irrigidì e aprì le labbra come per gridare, poi riaprì gli occhi e mi sorrise con incredibile dolcezza.
Mormorò: "Anche io ti amo... da morire. Vieni!"
I suoi occhi chiari, puri e innocenti erano sempre più luminosi mentre lo prendevo, mentre con tenera passioe, con delicato vigore, con calmo piacere avanzavo dentro di lui.
Mi carezzava il petto, i fianchi, le cosce con tenerezza. Quando gli fui completamente dentro, mi sussurrò di nuovo: "Ti amo..."
Con una calma che non avevo mai provato, entravo e uscivo lentamente dal suo caldo e stretto canale, e ora le sue mani, sulle mie natiche, mi tiravano a sé a ogni mio affondo e continuava a sorridermi beato.
Lo sentii venire contro il mio ventre teso. Dopo poco anch'io raggiunsi il massimo del piacere e mi stesi su di lui, appagato e felice come mai prima di allora. Mi prese una mano e la coprì di baci e mi sussurrò di nuovo:" Anche io ti amo da morire, Eugene!"
Ero suo!