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una storia originale di Andrej Koymasky


LO STALLONE DOMATO CAPITOLO 10 - PREPARATIVI

Mi sentivo in paradiso. No, meglio che in paradiso. Stavamo lì in silenzio, avrei voluto dirgli un milione di cose ma nessuna sarebbe stata adeguata, giusta. Il silenzio era probabilmente il migliore dei messaggi. Ci si carezzava lievemente, su un braccio, sulla mano.

Angelo stava lì accanto a me, quieto, adorabile, dolcemente felice. Girò il capo verso di me e sorrise timidamente.

"Non credevo... che potesse essere così bello." sussurò.

"Neanche io. E stata anche la mia prima volta, questa."

Capì quello che volevo dire, annuì. Poi disse: "Ma adesso è meglio che io torni a casa."

"Ti ci porto."

"Puoi far venire un taxi..."

"No, voglio stare ancora un po' con te... ti porto io."

Si rivestì girandomi le spalle. Nonostante la nostra intimità di poco prima, ancora si vergognava... mi fece tenerezza. Mi rivestii anche io. Per tutto il tragitto restammo in silenzio tutti e due.

Quando fermai sotto casa dello zio onorevole, prima di scendere carezzò la mano che avevo sul pomello del cambio. Scese, si fermò sul portone di casa, si girò e mi sorrise. Scomparve dentro il portone. Rimisi in moto e guidai verso casa mia.

Dio, quanto mi sentivo bene! Mi fermai davanti a un bar che stava aprendo, scesi e feci colazione, con un ottimo cappuccino e cornetti caldi e croccanti. Poi tornai a casa. Mi rimisi a letto: c'era ancora il suo delizioso odore, anche se lievissimo. Mi addormentai abbracciando il cuscino su cui il mio angelo aveva poggiato il capo.

Quando suonò la sveglia, per un attimo mi chiesi dove fossi. Solo per un attimo. Annusai il cuscino che ancora avevo fra le braccia. Il gradevole odore di Angelo non si sentiva più. Peccato. Dio, se ero innamorato! Scesi dal letto, nudo, e andai a preprarmi qualcosa da mangiare. Mi sentivo affamato. Sarà che avevo saltato il pranzo, sarà che l'amore mette appetito...

Dovevo trovare il modo di liberarmi dall'After-taste, e soprattutto da Manlio. Ma anche senza rimetterci troppo. Avrei potuto andarmene in qualsiasi momento: dopo tutto non avevo firmato nessun contratto con Manlio. Però prima dovevo prendere il mio stipendio e i dividendi... la miseria che mi dava. I guadagni erano alti, perciò anche quella "miseria" non era proprio una miseria, e non volevo rinunciarci.

Quando sarebbe dovuto tornare a Londra, Angelo, il mio angelo, per i suoi studi? Non gliel'avevo chiesto. Mi sentii quasi in panico: magari mancavano solo pochi giorni... Dio, no, pochi giorni no, adesso che sapevo che anche lui mi amava.

Misi i piatti nel lavello e andai in soggiorno a telefonare. Dovevo chiamare subito Angelo, sapere quanti giorni ci rimanevano. Stavo per sollevare la cornetta quando il telefono squillò.

"Sì, sono qui" dissi con voce allegra.

"Me ne compiaccio." Doccia fredda! Era la voce di Manlio. "Tra poco passo da te, prima che vai al club."

"Sei a Roma?" chiesi come uno stupido, sentendo una morsa allo stomaco.

"Dove dovrei essere?" disse gelido. "Preparati."

"No."

"Cosa vuol dire, no."

"È venuta a trovarmi mia madre. Non posso."

"Mandala via."

"No. Non posso."

"Allora vengo al club. Useremo uno studio." disse e chiuse la comunicazione.

Brutto bastardo, troia maledetta, maiale schifoso! Tremavo tanto ero incazzato. Il telefono squillò di nuovo.

"Chi è?" chiesi quasi gridando.

"Sono Angelo... disturbo?"

Oh, cazzo! Mi sentii subito sciogliere. "No, amore, anzi... stavo per chiamarti... Come stai?"

"Bene. Posso venire al club, stasera?"

Che dolce! "No, stasera non ci vado. Passo a prenderti, andiamo assieme da qualche parte." Non volevo certo che fosse lì quando c'era Manlio. E non volevo vedere Manlio, comunque.

"Sì, va bene. Dove mi porti?"

"Tu dove vuoi andare?"

"Non so... non importa. Dove possiamo parlare."

"Solo parlare?" gli chiesi scherzoso.

"Beh... sì."

"D'accordo. Alle otto sono sotto casa di tuo zio."

"Bene. Sarò giù ad aspettarti."

"A presto... amore."

"A presto."

Perché non m'aveva detto "amore" anche lui? E voleva solo parlarmi... S'era pentito? Voleva dirmi che era meglio scordarci tutto?

Mi sentii terribilmente agitato. Guardai l'orologio. Facevo appena in tempo di farmi una doccia veloce, vestirmi e scendere a prendere la macchina. Telefonai al club e dissi a Bénoit che non potevo andare, di pensare lui a tutto. Mi chiese se stavo male. No, gli dissi, problemi di famiglia.

Alle otto meno cinque ero sotto casa dello zio onorevole. Lui era già lì. Salì in macchina e mi fece un sorriso incerto.

"Dove vuoi andare?" gli chiesi. Stavo per aggiungere "amore" ma non ero sicuro che fosse opportuno.

"Ti va di guidare fino a Frascati?"

"Sì, certo." dissi e partii.

Stavamo tutti e due in silenzio.

"Stai bene?" gli chiesi quando fummo fuori da Roma.

"Sì, grazie."

"Davvero?"

"Sì, certo. Perché?"

"Sei silenzioso..."

"Anche tu."

"Forse perché ti vorrei dire troppe cose e non so da dove cominciare."

"Troppe?"

"La prima è che sono davvero innamorato di te. Non scherzavo, quando te l'ho detto, stamattina."

"Lo so. Anche io, però..."

"Però?" chiesi allarmato.

Tenevo gli occhi fissi sulla strada. Non solo per il traffico, ma soprattutto perché non volevo vedere che espressione avesse. Quel "però", sia pure dopo che aveva detto che anche lui mi amava, mi faceva gelare il sangue.

"Fra pochi giorni devo tornare a Londra... Chissà quando ci si può vedere... Tu qui, io là... E l'After-taste e tutto il resto... Che futuro possiamo avere, tu e io?"

"Tu... tu lo vorresti un futuro... con me?"

"Avrei voluto almeno provarci. Forse dovevo pensarci prima, ma... volevo che fossi tu a... mi dispiace, Eugenio."

Non m'aveva chiamato Eugene, ma con il mio vero nome... cioè voleva proprio parlare con me, non con il patron dell'After-taste.

"A me non dispiace proprio per niente. Io voglio provarci con te. Non voglio altro... Cosa significa che fra pochi giorni devi andare a Londra. Pochi, quanti?"

"Sei."

"Pochi, sì... Ma io non ti voglio perdere, ora che t'ho trovato."

"Neanche io vorrei, ma..."

Arrivammo a Frascati. Parcheggiai sul piazzale da cui si vedeva il panorama di luci giù giù fino a Roma. Scendemmo e sedemmo sul muretto.

"Io voglio restare con te, Angelo."

"Sarebbe bello, ma..."

No, no, no, non volevo perderlo. Mi sentivo quasi tremare. Non dovevo perderlo! Oh, cazzo! Non c'era che una soluzione.

"Vengo a Londra con te." dichiarai.

"Eh? Ma... e il tuo lavoro?"

"Avevo già intenzione di mollarlo, di cambiare."

"Sì, ma... e che fai a Londra? Io non credo di poterti mantenere con il mensile che mi manda mio padre."

"Troverò qualcosa da fare. Farò il cameriere... il lavapiatti... Vengo a Londra."

"La mia camera è piccola e..."

"Non mi ci vuoi?"

"Ti ci vorrei sì, Eugenio, credimi. Ma non è una... pazzia? Se poi fra noi le cose non funzionano? Tu molli tutto... io cosa ho da darti in cambio?"

"L'amore. A me basta."

"È una pazzia, Eugenio... Una pazzia."

"Sì. Non mi vuoi più bene, se sono così pazzo?"

"Io... forse dovrei... potrei lasciare l'università e restare io qui."

"No. Vengo io a Londra, è deciso. Non lo vuoi un lavapiatti come amante?"

"Che m'importa, Eugenio. Ma tu rinunci a tutto..."

"Mi basta non dover rinunciare a te. Te l'ho detto, avevo intenzione di lasciare l'After-taste."

"Eppure avevo l'impressione che ti piacesse dirigerlo."

"Non reggo più il proprietario. Sono arrivato a odiarlo."

"Ho... ho sentito dire che... che tu sei... sei il suo amante." mormorò Angelo.

"No. Ero il suo giocattolo preferito. Amante, proprio no. Stasera mi sta aspettando al club, per farsi scopare da me. Non ne voglio più sapere. Non ora che so che mi ami. Mi faceva già abbastanza schifo prima, ma ora... Non lo voglio neanche più vedere, te lo giuro."

"Oh, Eugenio, cosa possiamo fare?"

"Te l'ho detto, vengo a Londra con te."

"Sei proprio sicuro?"

"Se tu non mi ci vuoi..."

"Sì che ti ci vorrei! Sì che ti ci voglio! Mi porti a casa tua? Adesso?"

"No... se Manlio non mi vede arrivare al club, è capace di venire a cercarmi a casa. E è capace di fare qualcosa di perfido, se sa che tu sei importante per me. Non deve neanche sospettare che io voglio venire via con te."

"Ho voglia di te..." mormorò Angelo.

"Anche io, angelo mio... tanta! È stato così speciale, così bello, così unico fare l'amore con te."

"Anche se sono così... incapace?"

"Quello non conta. E verrà con il tempo, con l'esperienza. Per me è bellissimo anche starti vicino così, anche senza nemmeno toccarti."

"Sei proprio deciso?"

"Sì, vengo a Londra con te. Mi puoi ospitare per un po', finché non trovo un lavoro e poi ci troviamo una sistemazione migliore?"

"Sì... anche se ho solo un lettino."

"Occupiamo poco spazio, se si sta abbracciati." gli dissi sorridendo.

"È vero."

"Il ragazzo con cui dividi l'appartamento..."

"Darrin? Non vedo perché dovrebbe fare storie."

"Ma lui... lui è gay?"

"No."

"E se dormiamo assieme, tu e io..."

"Non lo riguarda. Sono cose che non lo riguardano. Ha parecchi amici gay, comunque. No, non è un problema, Darrin."

"Ottimo. Domattina vado a fare il biglietto aereo. Se tu mi fai sapere con che volo torni, vedo se riesco a trovare ancora un posto; se no, arriverò con un altro volo." mi sentivo eccitato.

Sì, lo sapevo bene che stavo facendo un tuffo nel buio... ma al diavolo la prudenza. Dopo tutto rischiavo solo del mio.

Mi guardai attorno: c'erano solo due coppiette, lontane, che pomiciavano. Allora gli presi una mano. Lui intrecciò le dita con le mie e mi sorrise. Dio, che tenerezza! Mi sentivo levitare sul muretto, mi sentivo felice e leggero.

"Ho voglia di te..." mormorò lui.

"Non mi va di farlo in macchina... o fra i cespugli... o di cercare un alberghetto... tu meriti di più. Tu non sei come gli altri, per me. Anch'io ho voglia di te, ma non voglio una sveltina."

"Sì, hai ragione. Grazie."

"Grazie?"

"Sì, grazie. Per quello che hai detto. Che non vuoi una sveltina. Se solo io avessi già un lavoro e fossi indipendente..."

"Quanto ti manca?"

"Un anno per la laurea. Poi posso cercarmi un lavoro."

"Un anno passa in fretta."

"Vorrei che fosse già passato."

Lo riaccompagnai a casa che erano le due di mattina. Tornai a casa mia. Non riuscii a chiudere occhio, avevo la testa piena di idee, di progetti, di piani.

Poco prima delle quattro telefonai al club. Bénoit mi disse che Manlio era furioso con me. No, era andato via verso mezzanotte. Mi chiese se il giorno dopo sarei andato al club.

"Forse. Mia madre è moribonda..." gli dissi. "Farò il possibile."

Faceva parte del mio piano.

Alle otto, senza essere riuscito a chiudere occhio, mi rivestii, presi la macchina e andai da Bianca. Era già qualche mese che non la vedevo, anche se le avevo telefonato ogni due o tre settimane.

"Entro una settimana mi devo trasferire a Londra. Ho trovato un ottimo lavoro, ma o ci vado subito o lo perdo." le annunciai mentre facevo colazione.

"Ah, bene."

"Ti devo chiedere un favore..."

"Soldi non ne ho."

"Ma no, non mi servono. Devo lasciare l'appartamento. Dovresti farmi una cortesia: disdirmi tu gli abbonamenti, l'affitto, vendere i mobili o prenderli tu. Io non faccio in tempo. Ti lascio le chiavi di casa. E in questi giorni torno a dormire qui... se non è un problema."

"La tua stanza è libera. Anche se ci ho messo qualche scatolone con le cose che mi davano impiccio."

"Non importa, va bene. Puoi pensarci tu a chiudermi casa?"

"Se vendo i mobili, dove ti mando i soldi?"

"Li tieni tu. L'affitto è pagato fino alla fine del mese prossimo, puoi fare tutto con comodo. Grazie, mamma. Ah, e ti lascio anche la macchina. Vendi anche quella."

"Sì, tanto io non ho la patente. Ma quanto ci devo fare? Io non me ne intendo."

"Quello che ti danno va bene. Non ti preoccupare."

"Un buon lavoro, hai detto. Che lavoro?"

"Direttore al Lancaster Hotel." inventai, chiedendomi se davvero esisteva un albergo con quel nome.

Da casa di Bianca chiamai Angelo. Mi dette gli estremi del suo volo. Li annotai. Passai da casa e presi il libretto degli assegni e la carta di credito. Andai in agenzia e chiesi se c'era un posto sul volo di Angelo. Ce n'era ancora uno! Lo pagai e uscii con il biglietto in tasca.

Poi andai in banca e controllai quanto avevo sul conto. Chiesi come dovevo fare per ritirare soldi o fare pagamenti in Inghilterra con la mia carta di credito. Scoprii che era molto semplice.

Tornato a casa preparai due valigie con quello che mi interessava portarmi a Londra. Il minimo, i vestiti più belli e quelli più comodi, qualche ricambio. Non c'erano cose a cui fossi particolarmente affezionato. Portai le due valigie a casa di mia madre. Le lasciai il doppione delle chiavi del mio appartamento. Poi la portai da un notaio e le firmai una procura generale, perché potesse fare tutto a nome mio.

"Sembra quasi che stai fuggendo... Mica ne hai combinata qualcuna delle tue, no?" mi chiese mia madre mentre la riportavo a casa.

"Ma no, che vai a pensare. Quei tempi sono passati da un pezzo."

"Hai una donna, a Londra?"

La guardai sorpreso: "Perché?"

"Sei strano..."

"Sono eccitato per il nuovo lavoro, tutto qui."

"Tu mi nascondi qualcosa."

"Ma no, dai."

"Speriamo..."

Scesi al bar sotto casa dei miei per chiamare Angelo: non volevo che mia madre sentisse.

"Ho trovato un posto sul tuo volo, partiamo insieme. A casa mia non rispondo più al telefono. Se mi devi chiamare per qualcosa di urgente, ti lascio il numero di casa di mia madre. Io comunque ti chiamo un paio di volte ogni giorno, se mi dici a che ora è meglio."

"Non vuoi farti trovare da... quello?"

"Esatto. Dormo da mia madre."

"Non vai più al club?"

"Solo stasera per prendere il mio stipendio e dire a Bénoit che non vado più. Ho già detto loro che mia madre è moribonda... tanto perché Manlio non si insospettisca troppo. Ieri sera era furibondo che non ci sono andato, ha detto Bénoit."

"Possiamo vederci ancora, prima di partire?"

"Sì, ormai sono libero. Anche di giorno. Devo solo fare alcune commissioni, sistemare poche cose."

"Dobbiamo aspettare fino a Londra, per..."

"Temo di sì, piccolo mio."

"Pazienza. Mi manchi."

"Anche tu... Ti amo."

"Anche io."

Il giorno dopo dovevo tornare in banca a depositare lo stipendio e la percentuale che mi sarei preso all'After-taste.


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