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una storia originale di Andrej Koymasky


LO STALLONE DOMATO CAPITOLO 12 - LO STALLONE DOMATO

Qualche volta mi capita di chiedermi come sia cominciato tutto questo. Come io sia arrivato a essere l'uomo felice che sono. Uno si aspetta, nella propria vita, un punto di svolta, un qualche fatto decisivo che ha fatto di lui quello che è...

Se un fatto decisivo c'è stato, è accaduto il giorno in cui Angelo è entrato all'After-taste e, così facendo, nella mia vita.

Ora sono giusto cinque anni che stiamo felicemente assieme, come il receptionist di Tivoli col suo ragazzo polacco.

Mi misi a cercare lavoro già il giorno seguente il nostro arrivo a Londra. Girai tutte le agenzie, lasciando i miei dati, il mio curriculum.

Dopo due mesi arrivò una telefonata. Mi offrivano un posto come lavapiatti in un ristorante italiano. Accettai immediatamente. La paga era bassa, ma per lo meno i miei risparmi non diminuivano troppo rapidamente.

Nel mio tempo libero, Angelo cominciò a farmi visitare Londra: una bellissima città, mi piaceva molto.

Il lettino non era affatto troppo piccolo, dopo tutto, anche se la stanza di Angelo, ora che c'erano anche le mie cose, era stracolma. Darrin era simpatico, legammo subito. Spesso mi correggeva (da bravo studente di lettere) sì che migliorai rapidamente il mio inglese. Grazie a lui persi anche, in gran parte, il mio accento un po' troppo italiano.

Ebbi un colpo di fortuna quando un cameriere del ristorante ebbe un incidente sul lavoro, proprio mentre la sala era affollata di clienti. Dissi al padrone che, se voleva, potevo sostituirlo io. Fu molto contento del mio servizio (buon sangue non mente) così cercò un altro lavapiatti e mi passò al servizio in sala, con conseguente aumento dello stipendio.

Dopo un anno che lavoravo come cameriere, Angelo aveva terminato i suoi studi, e aveva trovato un primo impiego al Victoria & Albert Museum. Il lavoro gli piaceva. Così ci cercammo un nuovo appartamento, nonostante Darrin avesse anche lui terminato gli studi e avesse lasciato l'appartamentino.

Lo trovammo in Cheshire Street, a metà strada fra Bethnal Green Station e Liverpool Station. All'ultimo piano, sotto i tetti, una grande camera da letto, un altrettanto grande soggiorno, cucina abitabile, bagno, corridoio e un comodo e ampio sgabuzzino. Spesi i miei ultimi risparmi per arredarlo. Era bello andare in giro a scegliere i mobili e gli arredi con Angelo. Aveva anche una piccola terrazza, dove mettemmo molte piante.

Tutto andava bene, eravamo felici. Gradualmente ci facemmo anche alcuni amici, coppie miste, singles, gay e non. Potemmo anche comprarci un'auto, che però usavamo solo per andare fuori Londra, ché in città era comodo per tutti e due usare i mezzi pubblici.

Due anni fa, avevo finito il mio servizio nel ristorante italiano, e stavo andando a prendere l'autobus per tornare a casa, quando un macchinone di quelli con i vetri oscurati, si fermò accanto a me e una voce chiamò: "Mister Eugene!"

Guardai stupito, ormai mi chiamavano tutti Eugenio, all'italiana (buffo, no? In Italia mi chiamavano tutti Eugene all'inglese ma qui in Inghilterra mi chimavano Eugenio!) e riconobbi, al finestrino abbassato, il volto affilato, con il classico pizzetto nero, di Fayssal.

"Oh, mister Fayssal!" lo salutai sorpreso.

"È proprio lei, dunque, Eugene, non mi sbagliavo... Venga, salga in macchina, ho piacere di parlare un po' con lei, se ha tempo."

Entrai in quella lussuosissima automobile.

"Non credevo di trovarla qui a Londra... È scomparso e nessuno sapeva dove fosse finito... Ho saputo che sua madre è morta... mi dispiace."

Capii che la scusa che avevo adottato era stata ingigantita. Non la smentii.

"Ora lavoro qui a Londra. Ho deciso di cambiare aria."

"Il conte Manlio era furioso. Oh, doveva sentirlo! Ma lo capisco, dopo che lei se ne andò, l'After-taste è andato sempre peggio. Lei era l'anima del club. Ora l'ha venduto, credo sia diventato un ristorante, ma non ne sono sicuro. Ma mi dica, che lavoro fa qui a Londra?"

"Faccio il cameriere in un piccolo ristorante italiano."

"Il cameriere? Non il proprietario, o almeno il capo-cameriere?" mi chiese sinceramente stupito.

"Il semplice cameriere."

"Ma via! Lei è sprecato come cameriere! Uno come lei! Possibile che non si siano accorti chi è lei, le sue capacità? Non riesco a crederlo!"

"Ho di che vivere dignitosamente, mi sta bene così."

"No... no... non ha senso. Lei, l'anima dell'After-taste! Ma via, scherziamo?"

"È troppo gentile, lei mi sopravvaluta."

"Se io non sapessi valutare la gente, non sarei quello che sono. Solo per una cosa dovrei essere arrabbiato con lei..."

Lo guardai con espressione interrogativa. Aveva un'aria seria, quasi scura, aggrondata. Temetti di capire...

Infatti riprese: "M'ha fatto un bello scherzo, lei, Eugene. E io che mi ero fidato di lei. Sì, proprio un bello scherzo, con mio figlio Hussein."

"Ha... scoperto tutto?" gli chiesi un po' intimorito.

"Eh, sì, proprio tutto. Da quando gli faceva andare nello studio privato uno steward invece che una hostess, a quando addirittura me l'ha fatto assumere per servire mio figlio Hussein... a letto. Mi ha confessato tutto, mio figlio. Ah, il mio figlio più amato, un omosessuale! E lei che gli teneva bordone!"

Non sapevo che dire. Avevo sperato che il ragazzo sarebbe stato capace di non farsi scoprire dal padre.

"Comunque... ora è tutto sistemato. Ora mio figlio studia a New York. Ho dato il ben-servito a tutti i suoi camerieri. E soprattutto, Hussein ha messo la testa a posto. Si sta per sposare... Siamo arrivati a un compromesso. Purché lui mi dia numerosi nipoti... ho accettato che... che sia come è, che abbia un suo... segretario particolare. Molto particolare, se capisce quello che voglio dire."

"Luciano?" chiesi.

Rise: "È vero, si chiamava Luciano. No, non era adatto, a parte quello che faceva a letto con mio figlio. No, si è trovato un altro ragazzo poco prima di lasciare Roma per New York. Un ragazzo che studiava arabo all'università, il figlio minore di un inglese, professore universitario di letteratura inglese e di un'italiana, professoressa di filosofia. Un ragazzo a modo... Mezzo inglese e mezzo italiano. Non sfigura accanto a mio figlio. È intelligente, elegante, distinto.

"Quando mio figlio l'ha conosciuto, all'università, si è sentito attratto da lui, e l'attrazione pare fosse reciproca. Dopo tutto è un bel ragazzo, il mio Hussein. Così si sono messi assieme. Che potevo fare? Ho voluto conoscerlo, prima di dargli il mio benestare come parte del nostro compromesso. Mi è sembrato il ragazzo giusto per mio figlio."

Vide la mia espressione ancora preoccupata e rise di nuovo: "Via quella faccia, Eugene! Le ho detto che dovrei essere arrabbiato con lei... non che lo sono. Dopo tutto, anche se lei non avesse assecondato Hussein... omosessuale era e omosessuale rimaneva, no? Basta che mi dia molti nipoti e che sia molto discreto con il suo segretario-amante e non ci sono problemi. Sa com'è, almeno per noi arabi... Basta che non si sappia, e ognuno, nella sua alcova, fa quanto più gli piace. Dopo tutto la nostra legge ci permette di avere due mogli, mio figlio ne ha due, una per... tipo, per così dire." concluse ridendo di nuovo.

Tirai un silenzioso sospiro di sollievo. Davvero non era arrabbiato con me. Allora gli chiesi: "Mi stava dicendo, Mister Fayssal, che Manlio le è sembrato molto arrabbiato con me..."

"Lo era, lo era. Ma gli è passata, credo. Ha capito che tutto sommato avrebbe dovuto trattarla con maggiore rispetto e intelligenza, se non voleva perderla e perdere così anche l'After-taste. Conosco il tipo, non mi stupirei se il signor conte l'ha già cancellata dalla propria memoria. Ma torniamo a lei. Non può continuare a fare il cameriere in un piccolo ristorante... e neanche in un grande ristorante. Non il semplice cameriere, comunque. Mi lasci solo un paio di giorni e... quasi sicuramente sono in grado farle una proposta di lavoro molto più interessante... D'accordo?"

"La ringrazio, lei è molto gentile... Specialmente dopo quanto ha scoperto riguardo a me e suo figlio."

"Quello non conta, come le ho detto. E non sono gentile. Semplicemente so quanto lei vale. L'ho vista all'opera, ho visto che cosa è stato capace di fare e ho visto che cosa è successo dopo che lei ha lasciato l'After-taste. Non ha senso che lei sprechi così i suoi notevoli talenti. Tenga, Eugene, questo è il mio recapito qui a Londra. Mi chiami fra un paio di giorni e le saprò certamente dire qualcosa."

"La ringrazio molto."

"Se ora non le spiace dire al mio autista dove la deve portare..."

"Qualsiasi stazione della metropolitana va bene, grazie."

Quando tornai a casa, raccontai subito al mio Angelo di quel mio incontro. "Ha ragione Fayssal, tu sei sprecato a fare il cameriere. Ti ha detto che cosa ha in mente?"

"No... forse un lavoro in qualche club... Non mi è sembrato opportuno chiederglielo, dato che lui non me ne ha voluto parlare. Fra due giorni sentirò che cosa ha da propormi."

Due giorni dopo telefonai a Fayssal. Mi rispose un segretario. Attesi in linea per qualche minuto e finalmente sentii la sua voce.

"Eugene? Ha tempo di recarsi all'Hotel Hempel domani? Verso le quattro del pomeriggio?"

"Sì, certamente."

"Ottimo. Quando arriva chieda di me."

"Senz'altro."

"A che ora deve tornare al lavoro, domani sera?"

"Alle sette."

"Ottimo, abbiamo tutto il tempo per discutere la mia proposta di lavoro, quindi. A domani, Eugene."

"A domani. Grazie."

Cercai subito su "A to Z London" dove fosse L'Hotel Hempel. Era a due passi da Kensigton Gardens.

Quando vi arrivai, vidi subito che era un albergo di gran lusso, ma di un lusso estremamente raffinato. Chiesi di Fayssal, dicendo che mi attendeva, e mi fecero aspettare in una saletta riservata. C'era un dépliant illustrativo dei servizi offerti dall'albergo, sul tavolinetto e, mentre attendevo, lo sfogliai per ingannare il tempo. Fra le altre cose, vidi anche che era stato tutto progettato ed arredato dalla famosa designer inglese Anouska Hempel, da cui l'albergo aveva preso il nome.

Dopo poco entrò Fayssal.

"Venga, mio caro Eugene, le voglio far fare un giro."

Mi mostrò tutto l'hotel e da come tutto il personale lo ossequiava, capii che doveva essere un ospite molto importante... o qualcosa di più?

Qualcosa di più.

Terminato il giro, tornammo nella saletta.

"Che ne dice?"

"Molto bello! Davvero notevole."

"Sono lieto che le piaccia. E che ne direbbe di prendere il posto del direttore di questo albergo?"

Quando vide la mia espressione, scoppiò a ridere: "Mi dica solo se quella faccia significa un sì o un no."

"Io direttore? Di questo albergo? Non so se ne sarei all'altezza..."

"Se non fossi certo che lei lo è, non glielo avrei proposto."

"Ma... è vacante il posto di direttore?"

"Se lei accetta, il posto diventa immediatamente vacante. L'attuale direttore lo sposterò ad altro incarico, altrove. Questo albergo ha solamente trentacinque stanze, non è difficile da gestire. Ma la clientela è tutta d'alta classe, perciò uno come lei sarebbe un direttore perfetto. E dovrà rispondere del suo operato soltanto a me, dato che sono l'azionista di maggioranza, praticamente il proprietario di tutto questo."

"Ma... sarebbe un onore per me lavorare qui, per lei... Certo che accetto, e con gratitudine."

"Non mi chiede quale sarebbe il suo stipendio?"

"Non credo che sia un problema."

"Solo che c'è una condizione."

"Dica."

"Lei, Eugene, dovrebbe venire ad abitare qui, nell'albergo. Non le ho fatto vedere l'appartamento, poiché ora ci vive l'attuale direttore, ma è ampio, confortevole, adeguato a tutto il resto."

"Il fatto è, però, che... io non vivo da solo."

"Può portare qui la sua famiglia, si capisce. L'attuale direttore è sposato e..."

"Il problema, forse, è che io vivo con il mio ragazzo."

Fayssal mi guardò lievemente sorpreso, poi disse: "Non avrei detto che anche lei... Ma questo riguarda lei, non me né il personale dell'albergo. Il suo compagno, se lei lo desidera, può tranquillamente venire ad abitare qui con lei. Ha un lavoro, il suo compagno?"

"Sì, al Victoria & Albert Museum, nel dipartimento di ricerca."

"Ed è contento del proprio lavoro?"

"Sì, gli piace molto."

"Perfetto. Allora, adesso le faccio portare una copia del contratto. La esamini con cura e con calma, io non ho fretta. Lo esamini facendosi assistere da un esperto, un avvocato, come crede, ma desidero che ne comprenda bene tutte le clausole, anche quelle che si scrivono con cratteri più minuti. Poi mi faccia sapere che cosa ha deciso. Non ho fretta, come le ho detto, per ora posso accontentarmi dell'attuale direttore, che non svolge male le sue mansioni. Solo avrei piacere che lei mi desse una risposta prima che io lasci Londra. Diciamo entro due settimane. D'accordo?"

"Sì, certamente. Io davvero non so come ringraziarla..."

"Lavorando bene per me. È il migliore ringraziamento."

Avuta la copia del contratto, appena potei vedere Angelo lo leggemmo assieme, attentamente. Le condizioni erano, a dire poco, ottime. Comunque, come mi aveva consigliato lo stesso Fayssal, il giorno dopo presi appuntamento da un avvocato per farmi illustrare bene tutte le clausole, dato che alcune facevano riferimento ad articoli di legge che non conoscevo minimamente. Non risultò nessuna controindicazione.

Perciò telefonai di nuovo a Fayssal e gli dissi che, quando gli avesse fatto comodo, ero pronto a firmare il contratto.

Detti il preavviso di legge al ristorante. Dopo poco più di un mese e mezzo, Angelo e io ci trasferimmo nell'albergo, nel nostro nuovo, lussuoso ed elegante appartamento.

Spesi il primo periodo a prendere confidenza con tutto quanto implicava dirigere un albergo. Era molto ben organizzato e poté funzionare bene fino a quando non mi sentii abbastanza preparato. Gradualmente ne presi le redini in mano. Devo ammettere che la mia esperienza all'After-taste, anche se solo in parte, mi facilitò il compito.

Non avevo problemi nel trattare con gli importanti clienti, né con il personale, che poco per volta, dopo aver ascoltato i loro desideri e consigli, riorganizzai. Angelo era trattato dal personale con rispetto e deferenza. Logicamente tutto il personale aveva capito che era il mio compagno, ma nessuno mostrò né sorpresa né atteggiamenti meno che rispettosi.

Per svolgere meglio il mio nuovo lavoro, avevo comprato diversi manuali, da cui ricavai qualche buona idea su come gestire anche meglio sia il personale che l'organizzazione dell'albergo. Imparai a usare Internet, dato che tutte le stanze erano collegate.

Mi tolsi anche una piccola soddisfazione: nel nostro albergo (sì, lo sentivo "nostro" anche se ne ero solo il direttore e non un proprietario) avevamo una "lista nera" di clienti che, all'ufficio prenotazioni, dovevano rifiutare. Era una breve lista, che conteneva pochi nomi: clienti che non avevano pagato, che avevano piantato grane, che s'erano comportati in modo disdicevole o troppo sgradevole. Ebbene, vi aggiunsi di mio pugno il nome dell'illustre conte Manlio Ferro Mattei del Pozzo.

E così, eccomi qui.

Fayssal è molto contento di me e del mio lavoro, che a me piace. Ho anche avuto modo di ospitare per alcuni giorni, in una delle suite dell'albergo, Hussein con il suo "segretario": una bella e gradevole coppia.

Ma soprattutto, sono sempre più felice con il mio Angelo.

Devo dire che ne ho fatta di strada: dal ragazzino che rubava musicassette nei grandi magazzini per rivenderle agli amici a metà prezzo, a direttore di uno dei più prestigiosi ed esclusivi alberghi di Londra.

E devo anche dire che ne ho fatta di strada dallo stallone che ero, al fedele e felice amante di Angelo. Lui è riuscito a domare lo stallone.

L'altra sera, quando siamo andati a letto, Angelo ha tirato fuori un pacchettino e me l'ha dato.

"Cos'è, amore?"

"Buon anniversario, Eugenio."

"Anniversario?" gli chiesi iniziando a scartare il pacchetto.

"Sì. Esattamente cinque anni fa, più o meno a quest'ora, mi hai chiesto di salire a casa tua e mi hai offerto un caffè... che non abbiamo neanche finito di bere."

Ho aperto il pacchetto. Conteneva due tazzine da caffè e piattini in porcellana bianca della Richard Ginori, a dodici lati, con una sottile linea azzurra sugli spigoli. Due pezzi molto raffinati e belli, firmati da Tapio Wirkkala, il famoso designer finlandese.

"Non mi offri un caffè, Eugenio? La moka è pronta di là nella kitchinette." mi disse con aria birichina.

Lo presi per mano e, nudi come eravamo, scendemmo dal letto. Accesi il gas. Versai il caffè nelle due tazzine nuove e gliene feci scivolare una davanti. Lui iniziò a sorseggiarlo.

"Tu vuoi che io venga a letto con te, Eugenio?" mi chiese lui facendo un lieve sorriso e con il tono con cui un turista chiede, a uno che aspetta alla fermata, se per caso l'autobus che stava arrivando portava fino a Trafalgar Square.

"Si, mi piacerebbe molto." risposi a bassa voce, sorridendogli.

"Va bene." disse lui calmo e si alzò in piedi.

"Questa volta, però devi finire a berlo." gli dissi.

Sorrise e lo finì. Posò la tazzina sul tavolo.

"E poi..." gli dissi, "non ti devi nascondere sotto il lenzuolo. Né tenere la luce spenta."

"Non ce n'è più bisogno, amore mio."

Tornammo nel nostro letto, bello e grande. Ci abbracciammo e ci baciammo a lungo, con crescente piacere.

"Devo spiegarti come si fa, Angelo?" gli chiesi scherzosamente, in un sussurro.

"No, l'ho già fatto con il mio uomo. Ora so come gli piace che io lo faccia... Prendimi, amore."

Esaudii la sua richiesta, entrai lentamente in lui. Mi sorrise radioso.

"Il mio uomo..." mormorò accogliendomi.

"Il mio angelo..." gli sussurrai mentre iniziavo a muovermi in lui.

Sì, lo stallone era competamente domato... e felice di esserlo.


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