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una storia originale di Andrej Koymasky


VITA A NASHVILLE CAPITOLO 1
COME TUTTO COMINCIÒ, NEL 1963

Sono seduto sul muretto davanti a casa, il mio laptop sulle gambe, e sto battendo queste righe per raccontarvi una soria, la mia storia. Da dove cominciare? Mah... innanzitutto mi presento.

Mi chiamo Luca Villa, sono nato a Vicenza, in Italia, il 14 maggio 1946, ma sono cittadino americano dal 1981 e abito a Nasville, TN, al 700 di Glenn Drive.

Mio nonno, che si chiamava Luca come me, emigrò in America, a New York, nel 1912. Qui conobbe e sposò Beatrice Sacchi, figlia di italiani ma nata in America. Nel 1913 nacque mio padre Sergio, poi nel 1918 Marco e nel 1921 Serena. Nel 1923 tutta la famiglia si trasferì a Nashville, Tennessee, dove mio nonno, che era un provetto cuoco professonista, era stato assunto, con un'ottima paga, in un famoso ristorante.

Il proprietario del ristorante, che era anche lui un italiano naturalizzato e senza figli, prese a ben volere mio nonno e così, alla sua morte, lo lasciò erede del ristorante e di tre alloggi che possedeva nel centro della città.

Quando anche gli USA entrarono in guerra, mio padre fu mandato a combattere in Europa e partecipò allo sbarco in Sicilia. Era la prima volta che vedeva l'Italia, di cui aveva solo sentito parlare dal padre, e se ne innamorò. Finita la guerra e tornato a Nashville, disse al padre che intendeva tornare a vivere in Italia, dove voleva sposarsi e riconoscere il figlio che aveva generato e che stava per nascere.

Nonno Luca ne fu terribilmente contrariato, era il padre-patriarca all'antica che vuole avere tutta la famiglia unita e ai suoi ordini, anche perché ora possedeva ben tre ristoranti e intendeva gestirne uno lui e gli altri due uno per ogni figlio maschio. Nonno Luca gli disse di far venire in America la ragazza e il piccolo, e di sposarla lì, ma mio padre voleva stabilirsi in Italia. Perciò in casa ci fu burrasca finché mio padre fece armi e bagagli e tornò in Italia, a Vicenza, dove sposò mia madre, che aveva conosciuto e messo incinta nel 1946 e da cui ero nato io.

Mio nonno allora lo diseredò e fece testamento lasciando tutto a mio zio Marco. Fece appena in tempo, perché nel 1950, all'età di soli sessantacinque anni, nonno Luca morì. Mio padre tornò, da solo, a Nashville per i funerali, la nonna gli disse che il padre era moro per colpa sua, per il dispiacere che gli aveva dato, e scoprì anche di essere stato diseredato. Quindi troncò completamente con la famiglia e tornò definitivamente in Italia.

Questi sono gli antefatti. E ora veniamo a me.

Come ho detto, io sono nato nel 1946, anche se mio padre sposò mia madre solo nel 1947. Non ricordo molto della mia infanzia, se non che i miei mi volevano bene ma, almeno da piccolo, non mi parlarono mai dell'America. I ricordi dei primi anni della mia vita sono pochi e confusi, e credo che vengano più dai racconti dei miei che non da effettivi ricordi personali. Cercando di andare in dietro con la memoria, i primi ricordi veramente miei risalgono solo a dopo che avevo compiuto sette anni.

Avevo quattordici anni, si era cioè nel 1960, e io studiavo spesso con un compagno di classe che abitava non lontano da casa mia. Si chiamava Saverio, ed eravamo molto amici. Fu Saverio che un giorno, mentre si studiava da soli a casa sua, mi insegnò a masturbarmi. Non ricordo esattamente come avvenne. Però ricordo bene che dopo un po' di volte, dal masturbarci uno accanto all'altro, si passò a masturbarci a vicenda e, nel giro di pochi mesi, anche a succhiarcelo a vicenda.

Mi piaceva molto fare quelle cose con Saverio. Però presto mi accorsi di essere diverso dai miei compagni: loro, compreso Saverio, parlavano sempre di ragazze, e di come gli veniva duro solo a starci vicino o a fare fantasie... ma a me, invece, veniva duro a vederli quando, dopo le lezioni di educazione fisica, si faceva la doccia nudi.

Mi resi anche conto che era più prudente tenere ben nascosta questa mia diversità, perché tutti i miei compagni, compreso Saverio, facevano sempre pesanti scherzi sui "busoni", come chiamavano i gay a quei tempi, dove vivevo.

Così iniziò per me un periodo molto difficile, pieno di incertezze e di turbamenti. Io volevo cambiare, diventare come gli altri, ma per quanto mi sforzassi, proprio non ci riuscivo: a me le ragazzine non dicevano niente di niente: andavano bene per essere loro amico, ma appena tentavo di stabilire una qualche intimità, mi sentivo imbarazzato e tutt'altro che eccitato. Non che provassi repulsione, ma davvero non mi veniva duro neanche a toccarle o a lasciarmi toccare da loro.

Ero convinto di essere l'unico "così", infatti anche Saverio era cambiato e non voleva più fare "quelle cose" con me e aveva cominciato a correre dietro alle ragazzine. Perciò io mi sentivo sempre più solo e sempre più "sbagliato".

Di conseguenza anche a scuola il mio rendimento, che era sempre stato piuttosto buono, cominciò a passare attraverso notevoli alti e bassi, io avevo sbalzi di umore sempre più forti, a volte diventavo intrattabile e indisponente, a volte molto chiuso e musone, a volte fastidiosamente allegro e stupidamente ironico.

Questo periodo di lotta interiore, di non accettazione di me stesso, di tentativi di cambiare, di diventare "normale" e di coscienza di non riuscirci, di quasi disperazione perché sapevo che i miei compagni, i miei amici, tutti gli altri e più che mai i miei genitori non mi avrebbero mai accettato per quello che ero, durò per tre anni.

Ma nel 1963, cioè quando avevo ormai diciassette anni, e frequentavo la seconda liceo scientifico, improvvisamente tutto cambiò.

Infatti conobbi Mauro Solari, un giovane maestro di ventiquattro anni. Poiché io andavo molto male in italiano, mia madre gli aveva chiesto di darmi ripetizione tre volte alla settimana. Mauro abitava in una vecchia casa in centro, dietro al Teatro Olimpico. La casa era piuttosto comune, niente di speciale all'esterno, ma all'interno, il suo appartamento, era piuttosto bello. Rispecchiava la sua personalità.

Tanto io in quel periodo ero chiuso, musone, trasandato, tanto lui era estroverso, allegro, elegante. Viveva da solo in un grande appartamento che gli aveva lasciato in eredità il nonno, e l'aveva arredato con molto buon gusto, in modo giovane e moderno.

La prima volta che, controvoglia, andai da lui rimasi molto colpito sia dalla sua personalità sia dal suo appartamento.

Mi chiese se preferivo studiare nel soggiorno, nel suo studio o in biblioteca... mi fece così girare quasi tutto il suo appartamento. Risposi che per me era lo stesso, ma lui insisté che scegliessi.

"Se studi in un ambiente che ti piace, dove ti senti più a tuo agio, rendi di più. Dove vuoi che ti dia lezione? Scegli, Luca."

Così scelsi il suo studio: era una stanza affascinante, luminosa, gaia, piena di ricordi dei suoi numerosi viaggi per l'Europa. E anche Mauro, mi accorsi subito, era una persona affascinante, oltre ad avere un vero dono per l'insegnamento. Nel giro di pochi mesi fu capace di farmi appassionare alla letteratura e alla lingua italiana, cosicché assai presto i miei temi e le mie interrogazioni iniziarono a migliorare notevolmente.

Ero letteralmente affascinato da lui che oltre tutto era anche un gran bel giovanotto. Così presto, oltre a essere il mio insegnante di italiano, divenne anche il mio confidente, il mio amico. Ci si cominciò quindi a frequentare anche al di fuori delle lezioni, ad andare al cinema o a teatro assieme, o anche a fare belle passeggiate in bicicletta nei dintorni di Vicenza.

Mauro aveva una profonda cultura, sapeva tutto, almeno secondo me. Mi raccontava dei suoi viaggi, delle sue esperienze, si discuteva di mille cose... il tempo con lui volava via, persino quando si studiava.

Oltre al mio rendimento scolastico, anche il mio carattere, grazie a lui, migliorò molto. Ma il mio segreto, ora peggiorato dal fatto che mi sentivo sempre più attratto fisicamente da Mauro, continuava a rodemi dentro e non mi permetteva una vera e piena serenità.

Mauro presto se ne rese conto e capì che dovevo avere un problema. Cercò di farmene parlare ma io, ancora convinto di essere l'unico ragazzo ad avere "quei problemi", ancora convinto di essere "sbagliato", pur sentendone il desiderio non riuscivo ad aprirmi completamente con lui, a confessargli l'entità e la vastità del mio problema. Tanto più che, ora, anche lui era coinvolto nelle mie segrete fantasie.

Ricordo che era il mese di maggio e che eravamo andati in bicicletta fino alla villa della Rotonda del Palladio. Lui aveva portato la merenda al sacco. Eravamo seduti sull'erba di un prato davanti alla villa e, mentre si mangiava, si parlava delle epoche passate.

Mauro era un entusiasta del periodo del Rinascimento e mi stava illustrando l'alto grado di civiltà e cultura raggiunto in quell'epoca e specialmente in Italia. Mi parlava di letterati, di poeti, pittori, scultori e architetti e io lo ascoltavo affascinato come sempre.

A un certo punto, non ricordo come venne fuori quel discorso, Mauro mi disse che specialmente in quel periodo, nonostante le leggi fossero teoricamente assai severe nei confronti della "sodomia", non pochi artisti, uomini politici e anche di chiesa amavano, anche fisicamente, persone del proprio sesso: Michelangelo aveva scritto sonetti d'amore per Tommaso Cavalieri, Leonardo da Vinci aveva avuto un processo per sodomia... e fece anche altri nomi che ora non ricordo.

Io lo guardai stupito, quasi incredulo, poi conclusi: "Beh, sarà stato così in quell'epoca, chissà perché, ma oggi non è più così."

Lui rise lieve e mi disse: "Ma no, Luca, da che mondo è mondo l'amore fra uomini è sempre esistito, dall'antica Mesopotamia alla Grecia, a Roma e così via fino ai giorni nostri! Non è una moda, né qualcosa legato a un'epoca o a una regione geografica. È un'esigenza congenita nell'uomo, antico o moderno, bianco, giallo o nero... Una parte degli uomini, e neppure troppo piccola, preferisce sessualmente un altro uomo a una donna. Lo stesso vale anche per le donne, si capisce. È una minoranza ma tutt'altro che trascurabile. Però la pressione sociale, religiosa, culturale è così forte che questa minoranza non può vivere la sua dimensione sessuale alla luce del sole... e sembra perciò molto più inconsistente di quello che realmente sia."

Io lo guardavo sbalordito e sarei anche stato incredulo se non avessi avuto la grande fiducia che avevo in lui.

"Beh... comunque sono molto pochi quelli fatti così..." dissi io.

"Non poi così pochi, Luca. Considera che in ogni classe della tua scuola, in media ce ne sono almeno due o anche tre. Senza contare quelli che provano attrazione verso tutti e due i sessi, perché allora si potrebbe dire che ce n'è almeno la metà."

"Sarà come dici tu, ma per esempio nella mia classe proprio non mi pare che ce ne siano due o tre."

"Come puoi saperlo? Quelli che lo sono lo tengono ben nascosto per paura di essere giudicati, condannati, evitati o peggio ancora perseguitati. E non è che si possa capire dall'aspetto esterno chi è così... Per esempio anche tu o anche io potremmo essere così, e magari anche all'insaputa l'uno dell'altro."

Questa "rivelazione" scatenò dentro di me un tumulto e un'emozione incredibili. Di colpo scoprivo di non essere il solo... ma ero comunque "sbagliato"? Come fare per chiederglielo senza che io dovessi scoprirmi?

"Beh, Mauro, sia come sia, se la società e la chiesa condannano questa cosa, vuol dire che è una cosa sbagliata, no?"

Lui mi guardò con un sorrisetto, poi mi disse: "Sbagliata? Vedi, Luca, la maggioranza è quella che detta legge. Anche essere cristiani, all'inizio, era considerata una cosa "sbagliata" perciò i cristiani venivano perseguitati e anche uccisi per la loro fede. Ma poi, quando i cristiani divennero la maggioranza, diventò "sbagliato" essere pagani, e furono i pagani a venire discriminati e perseguitati dai cristiani. Ma essere la maggioranza non significa automaticamente né avere ragione né essere l'unica cosa giusta, così come essere la minoranza non significa essere sbagliati o avere torto."

"Quindi secondo te un uomo che vuole fare l'amore con un altro uomo dovrebbe essere libero di farlo?"

"Certamente! Ma purtroppo, proprio come hai detto tu, dovrebbe e non lo è. Ecco perché uno così deve vivere la sua sessualità di nascosto. Questo perciò gli rende difficile trovare altri come lui, gli rende difficile vivere serenamente. Vedi, ad esempio, quello che accadde a Oscar Wilde..."

"Perché, cosa gli accadde?" gli chiesi io, che di Wilde sapevo appena che era un letterato inglese.

Così lui mi raccontò di Oscar e di Alfred, del processo, della prigione, tutta la vicenda che ancora non conoscevo.

Allora io gli chiesi: "Ma allora, un ragazzo che fosse così, come potrebbe fare a non restare solo? Come potrebbe fare per non sentirsi sbagliato, diverso?"

"Diversi lo siamo tutti, grazie al cielo. Non c'è niente di male nell'essere diversi, anzi, è naturale. Ma, per risponderti, dovrebbe trovare altri come lui."

"Ma se, poniamo, due ragazzi che sono così devono tenerlo nascosto, non si troveranno mai."

"Proprio questo è il problema. Ma un ragazzo che fosse così porebbe confidarsi con un amico, un amico vero che lo capisca e non lo giudichi. Deve avere il coraggio, sia pure con qualche cautela, di aprirsi e di sondare gli altri, finché trova. Alcuni ci riescono. Per esempio, se tu fossi così e lo dicessi a me, io certamente non tradirei la tua fiducia... Al contrario, cercherei di aiutarti..."

"E come?" chiesi io sentendo improvvisamente il desiderio di aprirmi con lui.

"In vari modi... con consigli, con un sostegno morale, con tutta la mia amicizia... Soprattutto senza tradire la fiducia che riponi in me."

Allora, tremando sia per l'emozione che per l'incertezza, che ancora sentivo forte, gli dissi, quasi sottovoce: "Io, Mauro... io sono così."

Lui sorrise gentilmente e disse: "Lo immaginavo."

"E?" chiesi io con il cuore in gola.

"Non hai ancora mai trovato un altro come te, fino a ora?"

"No, mai... e mi sono sempre sentito solo, sbagliato, diverso."

"No, non sei solo, Luca. Perché, vedi, anche io sono così."

Lo guardai incredulo, stupefatto, quasi sconvolto.

Lui di nuovo sorrise e mi chiese: "Ti meraviglia?"

"Sì... non avrei mai immagiato che tu... anche tu... davvero, Mauro, tu sei come me?"

"Certo."

"E... l'hai trovato, tu, un ragazzo come te?"

"Anche più d'uno. Anche se ho solo ventiquattro anni, ho già avuto tre amanti."

"Tre amanti? Vuoi dire che ci facevi l'amore?"

"Sì."

"E... era bello?"

"Molto."

"E adesso... ce l'hai un ragazzo così?"

"No, da circa sei mesi sono di nuovo solo. Ma spero di trovare di nuovo un ragazzo da amare e che mi ami... Uno come te, per esempio."

Dio, se ero emozionato! D'impulso allora gli dissi: "Io è da quando ti conosco che non sogno altro, Mauro!"

"Davvero? E io ho sognato che tu potessi dirmi queste parole, un giorno."

"Tu... tu vorresti che io fossi il tuo ragazzo?"

"Mi piacerebbe moltissimo. E a te?"

"Io non ho ancora mai fatto l'amore, però."

"Ma vorresti farlo? Vorresti farlo con me?"

"Tu mi insegneresti?"

Di nuovo sorrise: "Non potrei chiedere niente di meglio."

D'impulso lo abbracciai stretto e mi parve di sognare. Lui mi carezzò dolcemente, quasi cullandomi, poi mi staccò da sé.

"Potrebbe passare qualcuno... Non è prudente, così in pubblico, Luca."

"Oh, scusami." gli dissi arrossendo, "Ma mi sento all'improvviso così felice... come liberato da una cappa opprimente, come da un incubo. Davvero tu farai l'amore con me, Mauro? Davvero io ti piaccio?"

"Te l'ho detto: moltissimo."

"Quando?" gli chiesi io impaziente, agitato, emozionato.

"Quando vorrai tu, Luca."

"Possiamo andare a casa tua, ora, subito?" gli chiesi con urgenza.

"Sono già le cinque. A che ora devi tornare a casa?"

"Ho detto per le sette e mezzo, per cena."

"Allora ci dobbiamo sbrigare, Luca."

Riprendemmo le nostre biciclette e pedalammo alla volta di Vicenza e nonostante tutti e due pedalassimo con energia, mi pareva che la strada non finisse mai! Io mi sentivo la testa leggera, un forte calore indosso, ero talmente emozionato che mi pareva quasi di star tremando. Correvamo veloci verso la città, impazienti, e io non vedevo l'ora di essere fra le sue braccia, al riparo da sguardi indiscreti, a casa sua. Mi sentivo impaziente. Mi chiedevo come sarebbe stato... Bello, ne ero sicuro!

Finalmente fummo sotto casa sua. Chiuse le biciclette, salimmo. Mauro aprì la porta del suo appartamento e mi fece entrare. La richiuse dietro di sé poi mi prese fra le braccia.

"Sapessi quanto ho sognato questo momento, Luca!" mi disse stringendomi con vigore a sé.

"Io no... non sapevo neppure che era possibile sognarlo." gli dissi emozionatissimo.

Sentii la sua erezione premere contro di me e immediatamente anche la mia si rizzò in risposta. Mauro mi prese la testa fra le mani e sfregò lieve la punta del naso contro la mia, e i suoi occhi mi guardavano luminosi. Poi posò le sue labbra sulle mie, dapprima sfregandole lievi, poi sentii la punta della sua lingua passare sulle mie labbra. Anche io tirai fuori la mia lingua e giocai con la sua, eccitato e felice.

Eravamo ancora in piedi lì, nel corridoio, stretti l'uno all'altro, le nostre erezioni palpitanti l'una contro l'altra con vigore. Mauro spinse la sua lingua dentro la mia bocca e io, istintivamente, la succhiai e vi mossi la mia contro, e mi sentivo inebriato. Quello era il primo vero bacio della mia vita, e lo trovai fantastico.

La sua bocca aveva un sapore buono e fresco, caldo e intimo che mi fece fremere con forza. Era bello baciare, davvero bello. Mi sentivo il sangue tambureggiare nelle tempie, mi sentivo deliziosamente debole fra le sue forti braccia. Poi lui ritrasse la lingua e io sospinsi la mia nella sua bocca e lui me la succhiò. Mugolai piano per l'intensità del piacere. Se solamente baciarsi era così bello, pensai confusamente, quanto doveva essere bello tutto il resto?

Poi lui si staccò da me, mi guardò negli occhi con uno sguardo luminoso e mi chiese: "Vieni nella mia camera da letto, Luca?"

"Sì..."

Mi guidò, tenendomi con un braccio attorno alla vita. Giunti accanto al suo letto, Mauro iniziò a sbottonarmi la camicia.

"Posso spogliarti anche io?" gli chiesi timidamente.

Annuì. Mi tremavano le mani, ma bene o male riuscii a sbottonargli la camicia e a sfilargliela. Poi a vicenda ci sfilammo anche la maglietta, uno all'altro, mentre l'altro sollevava le braccia. A torso nudo, ci abbracciammo di nuovo, sfregando i nostri petti nudi uno contro l'altro e baciandoci di nuovo.

Poi lui iniziò ad aprirmi la cintura, a sbottonarmi la patta dei calzoni e subito, con mani febbrili, anche io aprii i suoi calzoni. Mauro me li fece calare sulle caviglie e io mi tolsi le scarpe, puntando i piedi uno contro l'altro, e ne uscii, poi feci scendere anche a lui i calzoni sui piedi e anche lui ne venne fuori. Ora eravamo entrambi con le sole mutande indosso.

Mauro mi carezzò lieve il membro duro attraverso la tela leggera, e io accarezzai il suo. Infine ci liberammo anche di quell'ultimo piccolo e inutile indumento e finalmente fummo entrambi completamente nudi, uno di fronte all'altro, la felicità che brillava nei nostri occhi, il desiderio che bruciava sulla nostra pelle, nei nostri corpi.

"Sei bello, Luca!" mi sussurrò lui.

"Anche tu, Mauro, sei bellissimo." replicai io faticando quasi a tirar fuori la voce, tale era l'emozione che stavo provando.

Sì, era davvero bellissimo! Il suo corpo, giovane e armonioso, mi pareva avesse proporzioni perfette. La sua nudità, svelata per me, mi pareva meravigliosa.

Una sua mano si posò a coppa sul mio membro e io sobbalzai come percorso da una scossa elettrica.

"Che c'è, Luca?"

"Nessuno mai mi ha tocato così." dissi, pensando che anche quando mi aveva toccato Saverio, anni prima, la sensazione era stata completamente diversa.

"Ti piace?"

"È troppo bello! Posso... toccarti anche io?"

"Non devi neanche chiederlo, Luca. Se vuoi essere il mio ragazzo devi sapere che il tuo corpo mi appartiene e che il mio corpo è tuo. Fra due amanti non ci si deve mai chiedere il permesso."

Esitante, ma pieno di desiderio, portai le mie mani a toccare i suoi genitali turgidi e nudi, e provai un'emozione fortissima. Erano sodi, caldi, frementi e, come aveva appena detto lui, erano miei!

"Vieni sul letto..." mi sussurrò lui.


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