Ricominciammo a fare l'amore. Dopo esserci carezzati e baciati per un po', Alex mi disse, ridacchiando: "Questa volta il re di cuori è venuto a te, e a me la regina di cuori."
"Come ti piace essere preso, Alex?"
"Mi stendo sulla pancia e tu mi vieni sopra. Va bene?"
"Come piace a te..." gli dissi.
Lo preparai con la saliva poi mi stesi sopra di lui e spinsi in giù... entrai in lui liscio liscio fino in fondo con la semplice pressione del peso del mio corpo. Quando gli fui tutto dentro, lui fece palpitare con forza il suo ano.
"Dai, Luca, fatti una bella cavalcata!" mi disse girando la testa di lato per guardarmi e sorridendomi invitante.
Sì, ne avevo davvero voglia e anche bisogno. Cominciai a battergli dentro, su e giù, con determinato vigore. Alex sembrò apprezzare quella mia vigorosa monta. A ogni mio affondo spingeva in su il suo bel culetto per dare più forza alle mie stoccate. Mugolava a voce bassa e calda, incitandomi... anche se davvero non ne avevo bisogno. Mi piaceva come mi si muoveva sotto, come accompagnava ogni mio movimento per darmi e ricevere il massimo del piacere da quella cavalcata.
Pensai che si sentiva che era un ragazzo con molta esperienza. Non durai molto in quella piacevolissima ginnastica, ero troppo eccitato, così dopo pochi minuti mi scaricai in lui gemendo per l'intensità del piacere.
Ci rilassamo di nuovo e chiacchierammo un po'. Quando guardai l'orologio con mia sorpresa vidi che erano già le cinque del mattino. Non m'ero affatto reso conto che fosse passato così tanto tempo. Spegnemmo la luce e chiacchierammo ancora un po', stando semi-abbracciati, finché scivolammo in un bel sonno tranquillo e ristoratore.
Quando Alex mi svegliò erano le tre del pomeriggio. Fuori stava nevicando ed era già tutto bianco.
"Hai fame?" mi chiese.
"Un po'..."
"Che facciamo, aspettiamo fino all'ora di cena o scendiamo adesso e facciamo uno spuntino?"
"Per me si potrebbe anche aspettare fino all'ora di cena, però mi piacerebbe bermi un buon caffè."
"Allora vestiamoci e scendiamo." disse Alex ma invece di scendere dal letto mi prese fra le braccia e mi baciò con passione.
Quando ripresi fiato gli dissi: "Se fai così, Alex, io non scedo ma ricomincio a fare l'amore con te!"
"Mica male... Io preferisco una bella scopata con te a un caffè."
Così ci rimettemmo a fare l'amore.
Quando scendemmo per cena decidemmo di andare in un piccolo ristorante dietro a Capitol Hill. Avevamo appena parcheggiato e stavamo andando verso il ristorante, quando si fermò un'auto accanto a noi.
"Ehi, Alex, dove sei scomparso tutti questi giorni? Volevamo passare le feste con te... Tutti gli amici si chiedevano dove fossi finito. Abbiamo anche provato a chiamarti a casa, ma non rispondeva nessuno."
"Oh, ho avuto un improvviso impegno di lavoro." rispose Alex facendo spallucce ma lanciando un'occhiata verso di me.
"Tu lavori troppo, Alex. Dovresti goderti di più la vita... Beh, ci vediamo, fatti vivo quando hai di nuovo un po' di tempo. Anche gli altri amici chiedono sempre di te, lo sai. Beh, ciao."
Quando i suoi amici furono ripartiti, io gli chiesi: "Ma non mi avevi detto che eri solo?"
Lui sorrise con un velo di imbarazzo: "Era una bugia... Volevo stare solo con te... speravo di riuscire a sedurti."
"Beh, ci sei riuscito in pieno! Ma sei un bugiardone!" gli dissi scherzoso, ma grato che avesse detto quella bugia agli amici per poter stare con me.
"Non me la perdoni questa bugia?" mi chiese con un sorrisetto malizioso.
"No! A meno che, per farti perdonare, passi con me anche questa notte e fai di nuovo l'amore con me."
"Ci tengo troppo a farmi perdonare da te, Luca... perciò accetto." mi disse con aria birichina.
Così cominciò la mia relazione con Alex.
I lavori nel mio nuovo complesso residenziale continuavano alacremente. Terminata la palazzina A, iniziarono i lavori per le altre palazzine. Per l'estate del 1974 tutto il complesso era finito e pronto per essere abitato. Assunsi quattro persone, due donne e due uomini per far funzionare il complesso. Una delle due donne, Margie, teneva la contabilità e l'amministrazione. Jennifer curava la pulizia di tutte le scale e androni e curava il ricambio dei filtri nei condizionatori dell'aria negli appartamenti nonché, la pulizia degli stessi quando cambiava inquilino.
C'era poi Ross, il giardiniere, che si occupava delle aiuolette attorno al complesso, di rasare l'erba e potare gli alberi nel prato interno, e che curava anche il pezzo di bosco che faceva parte del complesso come pure la pulizia del rio. Infine c'era Brion che era un po' elettricista, un po' lattoniere e che si occupava della manutenzione generale, della sala della lavanderia e della piscina, a volte aiutato da Jennifer; a volte invece Brion dava una mano a Ross.
Io finalmente mi installai nell'appartamento A1, che era al piano sopra ai locali degli uffici. Lo feci arredare in modo molto sobrio, moderno e funzionale, con tutte le comodità e con un letto a due piazze molto bello... e finalmente potei invitare Alex a trasferirvisi con me per vivere insieme.
Contrariamente a quello che mi aspettavo, Alex non accettò subito. Mi disse che non sapeva come fare a giustificare con i suoi il fatto che sarebbe andato a vivere con un uomo.
Cinquantuno dei cinquantasei appartamenti furono chiesti in affitto nel giro dei soli primi due mesi dopo l'apertura del complesso e finalmente il tutto iniziò a rendere. Nel frattempo avevo anche venduto tre dei quattro ristoranti, i due negozi e anche tutti e sette gli appartamenti in città, perciò i miei conti in banca ricominciarono a salire.
Finalmente, nell'aprile del 1975 Alex, approfittando del fatto che i suoi avevano deciso di trasferirsi definitivamente, tornando in Oregon, accettò di trasferirsi da me. Gli offrii anche di lavorare per me ma lui preferì continuare a lavorare per il suo architetto in cantiere: gli piaceva troppo.
Fu costruita la strada che terminava di fronte alla palazzina A, la Markus Drive, e qua e là vidi iniziare i lavori per costruire le prime casette unifamiliari. Prima della fine del 1975 vendetti anche l'ultimo ristorante.
Nell'estate del 1976 facemmo la nostra prima vacanza assieme. In luglio visitammo il Giappone per tre settimane: era il mio regalo per il suo ventiseiesimo compleanno. Visitammo Okinawa, Kyoto, Ise, Nagoya e scalammo il monte Fuji. Poi visitammo anche Tokyo, Sendai e Sapporo... tutto il Giappone da un estremo all'altro. Ad Alex e a me piacque molto dormire nei ryokan, cioè nelle tradizionali locande giapponesi.
Sono sicuro che Alex fosse veramente innamorato di me eppure a volte, specialmente se si era lontani per qualche giorno per qualche motivo, lui aveva anche qualche avventuretta extra. Ma essendo un ragazzo estremamente sincero, non me le teneva nascoste. All'inizio me ne parlò con un certo timore, non tanto temendo una mia arrabbiatura o una mia qualche cattiva reazione, quanto per paura di farmi stare male.
Io gli dissi che per me l'unica cosa veramente importante era che mi amasse e che restasse con me... Non è che lo incoraggiassi a farlo, si capisce, ma davvero non ero geloso. Comunque non andò mai con altri quando eravamo assieme.
Da parte mia non ebbi mai nessuna avventura per tutto il periodo in cui stetti con lui, non tanto perché mi imponessi di non averne, ma semplicemente perché realmente, avendo lui, non mi intressava nessun altro.
Credo che Alex, quando era lontano da me, non sapesse resistere alle tentazioni. Probabilmente aveva una sessualità molto vivace, a differenza di me. Ma quando era con me non voleva assolutamente farmi stare male. Capiva, credo, che se gli potevo facilmente perdonare di aver fatto l'amore con un altro quando eravamo lontani, in viaggio separatamente, mi avrebbe fatto stare male sapere che, a Nashville, era andato a fare l'amore con qualcun altro invece che con me.
Ma purtroppo queste sue avventurette estemporanee ebbero una conseguenza che in quegli anni ancora nessuno di noi sapeva potessero avere: un giorno scoprì di essere sieropositivo. Non si parlava ancora di AIDS come si fa ora, in quegli anni, e perciò quasi nessuno predeva precauzioni. Nessuno parlava ancora di sesso sicuro. Il massimo che si rischiava era la sifilide o la gonorrea, o altre malattie veneree che però normalmente, con una sola iniezione, si potevano facilmente debellare.
Alex un giorno notò strani sintomi, cose da poco, ma decise di fare qualche esame e così scoprì di essere sieropositivo. La notizia lo distrusse. Tornò a casa pallido e tremante, mi diede la notizia e scoppiò a piangere. Io lo abbracciai e piansi con lui. Mi pregò di fare subito le analisi anche io, era terrorizzato dall'idea di aver infettato anche me.
Andai a farle e in cuor mio non sapevo neppure io se sperare di essere sieropositivo anche io o no. Se lo fossi stato, mi sarebbe sembrato di condividere fino in fondo i suoi problemi, di essere accanto a lui nella buona e nella cattiva sorte. Ma se lo fossi stato, lui ne avrebbe provato un rimorso troppo grande... Comunque andai a fare le analisi sentendomi molto sereno e pronto ad accettare qualsiasi risultato.
Io risultai negativo...
Alex era distrutto e non voleva più fare l'amore con me per paura di infettarmi. Si sentiva finito. Ma io lo costrinsi a venire con me dal medico che l'aveva preso in cura per farci spiegare bene quali cautele dovessimo prendere e finalmente riuscii a convincerlo a usare il preservativo e a continuare a fare l'amore con me. E anche a seguire con serietà le cure mediche che si potevano avere in quei primi anni.
Ma purtroppo in Alex si era spento qualcosa, non aveva più in sé la voglia di vivere. Nonostante tutto il mio amore, la mia vicinanza, il mio affetto, non mi riusciva di rimontargli il morale. Cominciò ad avere complicazioni su complicazioni, a entrare e uscire dall'ospedale. Era sempre più magro e sempre meno determinato a vivere.
Io lo assistetti meglio che potei, cercai di fargli avere le migliori cure, i migliori medici, le ultime medicine... Ma purtroppo la migliore medicina è la determinazione a vivere, e questa in lui era del tutto assente.
Negli ultimi momenti della sua vita, dentro di me, lo scongiuravo di vivere, di non lasciarmi... Dentro di me urlavo, piangevo, cercando di non darlo a vedere, cercando di dargli il mio sorriso, il mio amore... di fargli sentire che non era solo... ma invano.
Così, infine, nel novembre del 1983, mentre gli tenevo la mano, spirò in una stanza dell'ospedale Vanderbild...
Aveva sofferto molto, negli ultimi giorni, ma ebbi l'impressione che spirò serenamente. Sperai che fosse stato il mio amore a dargli quella serenità finale, a dargli un po' di sollievo.
Lo piansi per giorni, per settimane, per mesi. Mi chiedevo perché la vita fose così crudele con me, perché mi avesse tolto una dopo l'altra le uniche due persone che avevo amato, che amavo.
Continuai a occuparmi del complesso cercando un po' di sollievo nel lavoro. Ma il pensiero di Mauro, poi di Alex, non mi abbandonava mai e mi faceva terribilmente male.
Il ricordo dei momenti più belli e più dolci che avevo vissuto con loro, invece di recarmi sollievo, pareva opprimermi in un modo impietoso, perché sembrava vanificato dal pensiero della loro morte. A volte pareva quasi che mi mancasse il respiro, tanto soffrivo nel ricordare i momenti più belli che avevo passato con loro.
Mi chiesi che farne, della mia vita. Dopo una disgrazia si suole dire che la vita continua, e razionalmente sapevo che era così, che era vero. Ma quando sei immerso nel dolore, la speranza, anche se non è uccisa, è completamente offuscata. Come in un giorno di fitta nebbia: tu sai che la strada è lì, da qualche parte, che ci sono bivi e incroci, che da qualche parte c'è anche un panorama, bello, ampio forse, ma non riesci a vedere nulla... Provi solo un senso di vuoto, di smarrimento, di incertezza, di inutilità.
A volte mi sorprendevo a guardare il complesso "Oxford Creek Apartments and Duplexes" di cui ero stato così fiero, che mi era parso così bello in passato, e mi chiedevo che senso avesse, che valore potesse avere... mi pareva ora soltanto una fredda macchina per fare soldi, un "oggetto senz'anima".
Eppure ricordavo bene tutto l'entusiasmo con cui Alex vi aveva lavorato e allora pensavo che dopo tutto quel complesso di costruzioni era un po' come un monumento al mio Alex.
Queste contrastanti emozioni mi accompagnarono per un periodo piuttosto lungo, finché a poco a poco subentrò in me una specie di quiete, una specie di strana e vuota calma. La disperazione che avevo provato nei primi giorni dopo la dipartita di Alex ora non c'era più, ma non c'era ancora neppure la speranza che è il motore della vita.
Mi lasciavo vivere giorno per giorno, senza sapere da che parte il mio futuro mi avrebbe orientato, che cosa il domani mi potesse riservare. Subentrò in me un periodo di apatia. Anche la mia vita sessuale si era bruscamente interrotta e mi sembrava di non sentire neppure più lo stimolo sessuale.
In un certo senso avevo smesso di vivere anche io: stavo solo vegetando. Anche se vedevo un bel ragazzo questo non suscitava più in me nessuna emozione, non risvegliava in me il minimo desiderio.
A volte riprendevo in mano gli album in cui avevo raccolto le foto di Mauro e quelli con le foto di Alex e sfogliandoli piangevo di nuovo. Non era forse più un pianto disperato, ma accorato... Ora, scrivendo queste righe, mi chiedo se piangessi più su loro e sulla loro prematura morte o su me stesso e sulla mia solitudine... forse piangevo sia una cosa sia l'altra, chissà.
Circa sei mesi dopo la morte di Alex provai ad andare in qualche locale di musica country nella Printer's Alley, o al Bluebird Café, all'Ace of Clubs, per divagarmi un po', ma tutto mi sembrava vuoto e inutile e anche l'allegria un po' rumorosa degli altri avventori mi pareva inutile e vuota. Vedevo coppiette che stavano semi-abbracciate, coppiette che flirtavano e mi chiedevo se veramente si amassero, se veramente anche il loro amore avesse un senso, un valore.
Non so se stessi diventando più un pessimista o più un cinico, a volte è estremamente difficile leggere in se stessi. Di una cosa ero certo, mi sentivo assolutamente vuoto e tutto ciò che mi circondava mi sembrava inutile e senza valore.
Avevo solo quarantadue anni eppure mi sentivo incredibilmente "vecchio", mi pareva che la mia vita fosse finita. A volte mi auguravo di non dover vivere ancora troppo a lungo. Non ho mai pensato al suicidio, perché è sempre stato un qualcosa di inconcepibile per me, ma speravo di morire presto.
L'unica cosa che in parte ancora mi mandava avanti, e in cui perciò mi ero tuffato, era la gestione del complesso e a volte andavo anche ad aiutare il personale, soprattutto Ross il giardiniere quando andava a curare il bosco che mi pareva la parte più bella di tutto il complesso: vi si godeva una quiete che mi faceva bene.
Ross era un uomo silenzioso e un gran lavoratore nonostante fosse in là con l'età, ed evidentemente amava il suo lavoro. Nel bosco non di rado vedevo scoiattoli, come pure vari tipi di uccelli e altri animali selvatici e di ognuno di essi Ross sapeva il nome e le abitudini, quegli animaletti parevano non aver alcun timore della nostra presenza.
Fra una cosa e l'altra, bene o male, le giornate passavano, ma quando a notte mi stendevo nel mio letto, lo sentivo tropo grande e così vuoto... Qualche volta mi svegliavo in piena notte e alla luce che trapelava fra le lame della tenda veneziana, guardavo quasi con stupore il posto vuoto accanto a me.
Continuavo a dormire dalla mia parte del letto, lasciando vuoto il posto in cui di solito dormiva Alex. Non era una scelta cosciente, semplicemente ero abituato così e non cambiai quella mia abitudine. Ma in quel modo quel posto vuoto non faceva che rinnovare il senso di solitudine che aveva invaso il mio cuore e la mia anima.
Quando venne il periodo delle vacanze, non andai da nessuna parte, e preferii sostituire il mio personale, lavorando al loro posto mentre uno dopo l'altro si prendevano le loro ferie: non avrei saputo dove andare, che fare, preferivo perciò restare lì.
Quando si chiudevano gli uffici del mio complesso, solitamente andavo a passeggiare nel mio bosco, cosicché a poco a poco ne conobbi ogni angolo, ogni pianta e ogni cespuglio. A volte stavo semplicemente seduto lì, senza fare nulla.
Dando una mano negli uffici, gradualmente conobbi tutti gli inquilini del mio complesso: c'era gente di ogni tipo, anche se in grandissima maggioranza giovani. Circa il sessanta per cento erano "caucasici" come sono definiti negli States, un venticinque per cento neri "afro-americani", un dieci per cento "latini", per lo più messicani, e un cinque per cento circa asiatici...
Almeno un terzo delle persone che abitavano nel mio complesso erano single, anche se spesso avevano "ospiti" che si fermavano da loro per più giorni e, soprattutto, per più notti. C'erano poi coppie appena sposate o con figli piccoli, ma anche non pochi adolescenti. Il ricambio degli inquilini era abbastanza forte, specialmente fra i single o nel caso delle famiglie più numerose.
Nel complesso era una piccola comunità abbastanza quieta, e durante la giornata la maggioranza era al lavoro o, i piccoli e gli adolescenti, a scuola, quindi restavano ben pochi abitanti negli appartamenti. Tutti avevano l'automobile e durante il giorno se ne vedevano poche parcheggiate davanti alle palazzine. Solo a sera quasi tutti i posti-macchina erano occupati.